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Autore: Mary P_Stark    26/04/2022    0 recensioni
Muspellheimr - Regno di Surtr
Il giovane Gigante di Fuoco Sthiggar, discendente della dea Sòl e figlio del Sommo Sacerdote Snorri, non conosce né paura né tanto meno vergogna e, a causa di ciò, finirà dapprima per essere punito dal re, e in seguito confinato sullo sperduto Regno di Manaheimr (Terra), nell'ancor più sperduto paesino di Lulea, in Svezia. Questo confino - agli occhi di Sthiggar più che ingiusto - porterà a sconvolgenti verità e alla scoperta di un destino a cui non sapeva di essere designato fin dalla sua nascita. L'aiuto della berserkr Ragnhild sarà vitale per comprendere meglio se stesso e il ruolo che gli compete nella complessa rete del Fato che si è stretta attorno a lui, ma saranno antiche divinità e nuovi nemici a mettere definitivamente alla prova il guerriero muspell. (per una totale comprensione, si devono leggere prima le altre storie legate a questa raccolta)
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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Cap.1
 
 
 
 
 
Leggenda narra che, alla fine di ogni cosa, quando l’Universo stesso volgerà al termine e ogni vita, mortale o immortale che sia, verrà sfiorata dal bacio della Nera Tessitrice, il Ragnarök investirà i Nove Regni.

Devastazione, angoscia e caos avvolgeranno ogni cosa, ogni luogo, ogni anfratto oscuro o luminosa terra promessa.

I Regni di Jötunheimr, Muspellheimr e Niflheimr condurranno nel reame di Hel schiere di cadaveri, invano combattuti da Odino e i suoi figli mentre le genti degli altri Reami verranno circonfuse da paura e terrore.

Fenrir, Hati e Sköll porteranno vendetta dopo i torti subiti, mentre il Sole e la Luna – governati da Sól e Mani – cadranno per sempre, gettando nell’oscurità perpetua i Mondi.

Questo, almeno in teoria.

E tra molti, moltissimi millenni.

Nel Regno di Muspell, come in altri reami dell’Universo, vi erano ben poche persone impegnate a pensare a simili scenari apocalittici.

Di certo, chi non aveva neppure un cruccio per la testa, era il giovane Sthiggar Glenrson, della dinastia di Sól e figlio del Grande Sacerdote della Fiamma, il sommo Snorri.

Mille e più erano state le punizioni che, nel corso dei decenni, i suoi precettori – financo il re! – gli avevano comminato per raffreddare i suoi bollori adolescenziali, ma nulla era parso valere allo scopo.

La sua immensa curiosità, unita all’impavido coraggio e alla sfrontata mancanza di paura, lo avevano reso noto ai più come la peggior calamità vivente dopo gli aesir1.

Essere un ragazzino dall’animo solare e allegro - oltre che orfano di madre - lo aveva salvato dalle punizioni più terribili ma era chiaro a tutti che, prima o poi, Sthiggar avrebbe fatto il passo più lungo della gamba, cacciandosi in guai seri.

Quando questo fosse successo, neppure suo padre Snorri avrebbe potuto salvarlo dal pesante maglio della penitenza. Un'altra cosa di cui tutti erano più che sicuri.
 
***

Forse, dopotutto, tentare di penetrare nel tempio delle Sacerdotesse Vergini di Sól – un termine davvero ambiguo, visto ciò che si accingeva a fare –, poteva rivelarsi per lui un compito davvero troppo complesso.

D’altra parte, non poteva tornare con la coda tra le gambe dai suoi amici, Bhirger e Gottfrid, millantando fantomatici e insormontabili ostacoli.

A dire la sacrosanta verità, l’unico vero ostacolo a frapporsi fra lui e le stanze delle bellissime sacerdotesse era l’immagine della sua ava che, con sguardo ammonitore, scrutava chiunque da ogni angolo del tempio in cui ci si trovasse.

L’ingegnere che aveva ideato il progetto di quel luogo così sacro e virginale si era rivelato davvero geniale, almeno a suo avviso. Apporre l’immagine di Sól su ogni parete, angolo, colonna o arco di quell’enorme, stramaledettissimo tempio, poteva davvero intimidire anche il più folle tra gli uomini.

Persino lui, entro certi limiti.

Dopotutto, voleva bene a quella stupenda, meravigliosa creatura che aveva dato inizio alla sua stirpe, pur se non aveva mai avuto l’onore – e l’onere – di conoscerla in prima persona.

Per volere degli dèi, adirati con Sól per aver concesso la sua verginità a un mortale, la dea aveva abbandonato l’amato compagno Glenr e non aveva più potuto mettere piede su nessuno dei Nove Regni.

Le divinità, irritate al pensiero che una dea sua pari – votata alla verginità – potesse aver ceduto il proprio cuore a un essere ritenuto indegno, l’avevano punita relegandola nel cielo. Alla guida del carro dell’astro del mattino, Sól aveva quindi preso su di sé quell’incombenza, guardando da lontano la sua dinastia senza avere con alcuno il seppur minimo rapporto.

Così facendo, e sacrificando se stessa per il marito e i figli, Sól aveva potuto salvare la sua stirpe, ma era stata costretta a osservarli – e amarli – da lontano, sempre divisi, mai veramente insieme.

Per questo, l’idea di penetrare – ma non esisteva un termine meno ambiguo? – nel suo tempio gli costava così tanta fatica. Amarla era una delle cose che gli venivano spontanee, perciò fare qualcosa contro di Lei gli pesava molto sull'animo.

Purtroppo per tutti, però, il pensiero di perdere una scommessa gli rimordeva ancor di più la coscienza.

Fu per questo che, in barba a qualsiasi divieto, scavalcò la recinzione, sgattaiolò all’interno del cerchio di colonne che delimitavano il pronao dopodiché, con un ghigno beffardo dipinto sul bel volto, si avviò verso il compimento del suo misfatto.

O almeno, i suoi piani avrebbero dovuto essere questi.

Quando i suoi calzari di cuoio sfiorarono la superficie liscia e iridescente del quarzo citrino con cui era costruito il pavimento del tempio, tre lance sciabordarono l’aere profumato e si puntarono contro il suo collo robusto, bloccandolo.

Immediatamente, fiammelle spontanee presero ad ardere negli incensieri appesi alle pareti di ossidiana, e gli occhi scarlatti di tre guerriere in armatura scagliarono strali contro l’invasore.

Perfettamente immobile di fronte alle Fiamme Nere – nobili guerriere che proteggevano, tra le altre cose, le Sacerdotesse di Sól, oltre a essere al servizio diretto del re – Sthiggar deglutì a fatica e si lasciò andare a un mezzo sorriso, mormorando: “Signore,  ...buonasera.”

Una delle lance si avvicinò ulteriormente, segnandogli le carni all’altezza del pomo d’Adamo e una singola, brillante stilla di sangue macchiò il metallo prezioso dell’arma.

Sthiggar, però, non diede adito di aver patito alcun dolore, all’atto del ferimento e, nel sollevare lentamente le mani in segno di resa, disse con minore ironia: “Non avevo intenti irriguardosi. Era una semplice scommessa. Il furto di una tunica, tutto qui.”

“E ti pare poco?” replicò la guerriera che lo aveva ferito, sollevando finalmente l’elmo che ne nascondeva il volto e mostrando così la sua identità.

Accigliandosi non appena scoprì l’identità della guerriera, Sthiggar sbuffò sonoramente e replicò: “Da te non me l’aspettavo, cugina. Davvero pensi che farei del male alle fanciulle che si trovano qui? Io amo le donne, non le circuisco di sicuro. Non ne ho bisogno.”

Reclinando con un movimento armonioso la sua lancia – e dando così il la alle due compagne per fare lo stesso – Hildur ribatté gelida: “Il figlio di un Sacerdote non dovrebbe prendere alla leggera le leggi dei templi a noi sacri, a maggior ragione trattandosi del tempio di una tua ava. Quanto al resto, sei talmente giovane che dovrei punire le donne che ti hanno avuto nel letto, piuttosto che il contrario. Il solo pensiero mi infastidisce più di quanto non ammetterò mai.”

Scrollando leggermente le spalle e piantando con aria irriverente le mani sui fianchi, il giovane muspell si limitò a dire: “La fai più grande di quanto non sia, cugina. Chiederò scusa a tutte voi e me ne andrò, visto che non vi è stato alcun danno. Quanto alle donne di cui parli, alcune sono tue colleghe, perciò andrei piano a parlare di punizioni.”

Nel dirlo, ghignò malizioso e Hildur, nel tentare di mantenere la calma, preferì soprassedere su quest’ultima affermazione per concentrarsi sul problema di quel momento, e cioè le intemperanze del cugino.

“Lasceremo giudicare a Sua Maestà Surtr che punizione dovrai ricevere. Ancora una volta” sentenziò a quel punto lei, portando il cugino a sgranare gli occhi color lapislazzulo.

Sbattendo le palpebre con espressione a metà tra lo sconvolto e il timoroso, Sthiggar esalò meno baldanzoso: “Sei pazza, a voler disturbare il re per una simile scemenza?”

Le colleghe di Hildur parvero dello stesso avviso, almeno a giudicare dai loro sguardi dubbiosi ma si guardarono bene dal replicare alle parole del loro superiore.

“Sei tu a pensare che lo sia, Sthiggar, ma non certo io. Mio compito è difendere queste ragazze dalle mire degli idioti come te, o dai codardi che pensano di sottrarre dall’occhio di Sól le sue magiche armi, perciò capirai bene perché io sia costretta a fargli rapporto.”

Nel dirlo, la guerriera scosse il capo con espressione spiacente e aggiunse: “Lo zio ti ha ripetuto per anni di mettere la testa a posto, ma tu non hai mai voluto ascoltarlo. Pensi che mi diverta l’idea di essere proprio io quella che ti porterà da Surtr? Credimi, non mi piace per niente.”

“Bene. Non piace neanche a me, quindi chiudi un occhio e lasciami andare” ritentò Sthiggar, muovendo un passo verso la cugina per sfiorarle la spalla.

Lei, però, lo scansò, tornò a sfiorare il bel viso del cugino con i penetranti occhi color rubino e sibilò: “Non tentare di blandirmi, Sthigg. La nostra parentela non può e non deve rendermi cieca di fronte alla tua infrazione delle regole, perciò verrai condotto dal re senza opporre alcuna resistenza.”

“Mi deludi davvero, Hildur” replicò Sthiggar, accigliandosi a quelle ultime parole.

“Potrei dire lo stesso di te” sospirò a quel punto la donna, accennando un assenso alle sue compagne.

Queste ultime lo bloccarono ai polsi con i Lacci di Fenrir, manette così chiamate perché create dai nani di Svartallfheimr con lo stesso materiale con cui il famoso figlio di Loki era stato imprigionato con l’inganno.

Leggere quanto resistenti, le manette di impalpabile tessuto color carbone si avvolsero come spire attorno ai polsi di Sthiggar che, immediatamente, ne percepì il potere subdolo e dolente.

Non solo era impossibile per chiunque spezzarle, ma quelle mefistofeliche trappole depredavano altresì qualsiasi energia di colui – o colei – che veniva da esse ghermito.

La pelle bronzea e rilucente di Sthiggar perse immediatamente fulgore, al tocco di quelle manette e, nel rendersene conto, il giovane mormorò orripilato: “Che schifo! Sembro un misero umano!”

“Un misero umano, come tu definisci gli abitanti di Midghardr, non avrebbe di che preoccuparsi di gleipnir. Non gli farebbe alcun effetto” replicò Hildur, sospingendo verso l’esterno il cugino. “Forse dopotutto, se lo fossi stato, saresti riuscito nei tuoi intenti, perché non avremmo percepito la tua aura.”

Sthiggar borbottò un’imprecazione tra i denti, ben comprendendo ciò che intendeva dire la cugina.

In quanto figlio di stirpe divina – essendo uno dei pochi nipoti di Sól – il suo potere era particolarmente forte e la sua aura, o chioma, era localizzabile anche in fase quiescente.

“Ora basta, comunque. Subirai il giudizio del re, e io prego soltanto che stavolta tu possa comprendere i tuoi errori” tagliò corto Hildur, sospingendolo lontano dal Tempio di Sól.
 
***

Re Surtr, signore incontrastato di Muspellheimr, padrone della Fiamma Viva, Gran Generale delle schiere dei Giganti di Fuoco e almeno un'altra mezza dozzina di titoli – che il Gran Ciambellano ripeteva ampolloso a ogni visita di altisonanti ospiti – viveva nello splendido Palazzo Reale di Hindarall.

Fiero e imponente maniero costruito tra i monti che sovrastavano l’imponente capitale di Muspellheimr e del Continente Boreale, il Palazzo Reale poteva vantare una linea sontuosa, slanciata e dai molteplici stili.

Era infatti stato costruito e ampliato nel corso dei millenni, regalandogli così una livrea unica e non eguagliabile ad alcun’altra reggia nei Nove Regni.

Bracieri di ogni origine e forma illuminavano gli ampi locali di cui era composto l'immenso palazzo, mentre pietre tra le più preziose dei Nove Regni riflettevano la luce altalenante dei fuochi, creando giochi di colore sempre differenti alle pareti.

Diamanti della grandezza di un pugno d'uomo si intervallavano a infinite distese di rubini dalle forme eleganti, intessendo arabeschi sulle pareti e sulle volte a botte dei saloni.

Smeraldi impreziositi da sontuose montature in oro erano abbinati a opali dalle mille e variegate tinte arcobaleno, e ogni pietra era incastonata ad arte per ricreare i blasoni delle più importanti famiglie nobiliari del pianeta.

Per completare in bellezza quell'orgia di colori e ricchezze, il sommo sovrano Surtr aveva voluto per sé un enorme quanto barocco trono in marmo di Carrara, giunto direttamente da Midghardr. Checché ne pensassero i suoi scalpellini reali, l'artigianato umano era degno di nota, e in particolare quello italiano.

Avere degli ottimi contatti su Midghardr serviva anche a quello, oltre a farsi inviare dei preziosi manufatti in vetro di Murano, o dei magnifici broccati di seta cinese per la sua dolce - e modaiola - signora.

L'unico difetto del Palazzo Reale della Corona Muspell era, a ben vedere, anche il suo più grande pregio; l'ampiezza. Sovente, le persone ivi accolte si perdevano.

Non era insolito che zelanti servitori dovessero passare anche intere giornate per recuperare non tanto zelanti ospiti che, tra una bevuta di troppo o una scappatella in più rispetto al consentito, finivano con il trovarsi ben lontani dalle proprie stanze.

Quando non venivano visti alla tavola del grande sovrano, o non si presentavano a qualche appuntamento ufficiale, i più veloci e intraprendenti tra i Cercatori - come ormai venivano chiamati i servitori di Surtr inviati in queste fantomatiche Cerche - erano invitati a procedere al recupero dei malcapitati.

A volte, Surtr aveva anche pensato di trasferirsi in un palazzo meno sontuoso e, soprattutto, meno vasto ma, alla fine, avevano sempre vinto la vanità e l'affetto per quel mastodontico, esagerato agglomerato di cristalli, quarzi e pietre preziose.

"Caro, ...dove sta divagando la tua mente iperattiva? Sembra quasi che dalle tue orecchie esca del fumo" ironizzò la sua signora, servendosi un acino d'uva prima di pizzicargli un bicipite con aria birichina.

Surtr le sorrise ghignante, sapendo bene che sì, le sue orecchie stavano effettivamente fumando ma, essendo lui il capo dei Giganti di Fuoco, era anche un tantino normale, no?

A ogni buon conto, poggiò la guancia sbarbata di fresco contro il pugno sollevato e replicò: "Stavo in effetti ripensando all'ultima volta in cui Guntrudd si perse nell'ala ovest del palazzo. Ricordi quanto tempo impiegò, il povero Mithrag, per ritrovarlo? Alla fine, dovemmo ricoverarli entrambi per mancanza di forze!"

Il solo ripensare a quell'epica Cerca lo fece scoppiare in una grassa, sgraziata risata a cui si unì, più modestamente, la moglie. Moglie che, ammiccando con i profondi occhi color amaranto e sormontati da lunghe ciglia brune, mormorò: "Credo che il nostro caro cugino non venga più da noi proprio perché ha il terrore di perdersi. Ma forse, se lo facessimo accompagnare dalla bella Sildahir, non si perderebbe più."

"Per carità divina!" esclamò Surtr, protestando con un gran tramestio di pugni sui braccioli del trono. "Non pensarlo neppure! Non farei mai perdere del tempo in questo modo a quella cara ragazza! Dovrebbe passare metà della giornata a tenere lontane le mani di mio cugino, e l'altra metà a tenere d'occhio i suoi passi."

Picchiettandosi l'unghia laccata sul mento a punta, Ilya ammise quel piccolo inconveniente e, con un sospiro, soggiunse: "Beh, allora potremmo affiancargli Johr, o Friggher."

"Stesso problema... ma, in questo caso, scateneremmo una rissa" sospirò Surtr. "Mio cugino è un gran simpaticone, ma ha lo stesso autocontrollo di un margrario reale."

"Oh, dèi!" esalò Ilya, scoppiando in una risatina maliziosa. 

Era infatti noto a qualsiasi abitante di Muspellheimr quanto, i margrari reali - piccoli roditori dalla pelliccia dorata - fossero famosi per la loro attitudine alla riproduzione e alla copulazione frequente.

"Dovrò dotarlo di un sonaglio, caso mai decidesse di tornare... oppure lo affiancheremo a un soldato così arcigno e impietoso che neppure a lui verrà voglia di infastidirlo con le sue avances."

Nel dirlo, Surtr ghignò soddisfatto, divertito dal suo stesso piano, piano che però non ebbe il tempo di mettere pienamente a punto perché il possente portone che li divideva dal salone reale venne battuto con grazia.

Due rintocchi del bastone del cerimoniere. A quanto pareva, c'erano dei guai alla porta, e il Gran Ciambellano desiderava metterlo al corrente della cosa.

Scusandosi con Ilya, Surtr acconsentì a che la porta venisse aperta e, sull'entrata della loro saletta privata - ove la coppia era solita pranzare e cenare in solitudine, se era loro piacere - il giovane paggio di nome Synian si inchinò per poi dire: "Sommo Surtr, Somma Ilya, chiedo perdono per il disturbo, ma le Fiamme Nere sono a palazzo e domandano udienza alle loro maestà."

Levando un bruno sopracciglio, Surtr si levò dal suo trono - ne aveva fatto fare uno più piccolo su cui accomodarsi nella saletta privata, tanto gli piaceva lo stile dell'originale - ed esalò: "Le... Fiamme Nere? Che diavolo è successo?"

"Un caso di insubordinazione, a quanto pare" sospirò il paggio, scuotendo poi il capo con fare leggermente esasperato.

Accigliandosi maggiormente, Surtr allungò una mano alla sua consorte perché lo accompagnasse nel Salone delle Udienze e, nell'avvicinarsi a Synian, lo scrutò incuriosito e chiosò: "C'è una sola persona di nostra conoscenza che riesce a farti perdere le staffe, ragazzo. Non dirmi che è lui."

"Ebbene sì, mio re. So che dovrei rimanere impassibile, ma... ma lui è così... così..." tentennò il paggio prima di inchinarsi nel lasciarli passare e terminare di dire: "...insomma, non riesco proprio a capire cosa gli passi per la testa."

"Credo che neppure Madre lo sappia" celiò Surtr, avviandosi a grandi passi assieme alla consorte che, a quanto pareva, stava sfoggiando un nuovo paio di sandali di provenienza elfica.

Sorridendo a Ilya - che pareva assai soddisfatta dell'assoluto silenzio prodotto dal suo passo lungo e slanciato - Surtr chiosò: "Dovrò mettere un sonaglio anche a te, ora. Quei calzari in seta di ragno provenienti da Elfheimr sono silenziosissimi."

"Oooh, non sono adorabili? Me li ha mandati Titania, dicendomi che sono l'ultima invenzione del suo Mastro Calzaturiere, e devo dire che sono magnificamente comode!" sorrise tutta contenta Ilya. "Mi mancano, ovviamente, le mie décolté francesi, ma i tacchi fanno effettivamente troppo baccano, lungo i corridoi. Troppa eco."

"Le indosserai solo per me, se lo vorrai" le propose allora lui, trovando che le scarpe che le aveva fatto arrivare da Midghard le slanciassero in modo sensualissimo le gambe.

"Ma certo" mormorò allora Ilya prima di sorridere comprensiva a un imbarazzato Synian.

Non era insolito che i sovrani tubassero anche in presenza del personale o di estranei, e Synian era al loro servizio solo da un anno, perciò Ilya si sentiva sempre un po' in colpa, quando lo metteva in imbarazzo.

Ma flirtare con suo marito la metteva sempre così di buon umore che, beh... era difficile rinunciare a un simile piacere!

Dovette comunque lasciar perdere il suo sorriso malizioso, quando mise piede nella Sala delle Udienze e, a dirla tutta, neppure le venne voglia di sorridere quando, per la settemilionesima volta, vide il volto ineffabile di Sthiggar in attesa del loro arrivo.

Le tre Fiamme Sacre che lo tenevano al laccio erano in evidente stato alterato, segno che il loro prigioniero aveva fatto loro perdere la pazienza ben prima dell'arrivo a palazzo. Cosa non insolita, quando si aveva a che fare con Sthiggar.

Gli dèi soli sapevano - forse - cosa ronzasse in quella bella testolina affascinante, ma di sicuro non certo loro. 

Di una sola cosa erano certi, e che sarebbe stata comminata l'ennesima punizione al figlio del Gran Sacerdote.

Surtr non arrivò neppure a mettere piede sul primo scalino che conduceva al Podio Reale. Si fermò dinanzi al quartetto, piantò a sorpresa un pugno sul grugno di Sthiggar - che emise un gracidio di dolore in risposta - e ringhiò furente: "Che cosa #### hai combinato, stavolta?!"

(La parola pronunciata da re Surtr era così antica, oltre che così terribile e volgare, da non avere una trasposizione nella lingua moderna. Di sicuro, comunque, fece impallidire le tre Fiamme Nere.)

"Come ho tentato di spiegare alle tue valenti guerriere, Sommo Surtr, si è trattato di un fraintendimento. Uno stupido scherzo... peraltro, neppure portato a termine, visto che queste ingegnose paladine della giustizia mi hanno fermato prima di arrivare a destino, e..." cominciò col dire Sthiggar, sorridendo affascinante al possente sovrano, venendo però azzittito da un altro pugno sul grugno.

"Dèi! Se hai parlato così fino a palazzo, mi sorprende che non ti abbiano ancora ammazzato, ragazzo! Sei peggio di una spilonga marina!" sbottò il re, lasciandosi cadere a sedere sul primo gradino del Podio Reale.

Sthiggar storse appena la bocca, al pensiero di essere stato paragonato a uno starnazzante pennuto che sorvolava senza sosta i mari di lava del Continente Boreale di Muspellheimr.

Ugualmente, pensò bene di tacere, per una volta e il re, lanciando uno sguardo a Hildur, domandò: "Cos'ha combinato, stavolta, questo sciagurato ragazzo?"

"Si è introdotto nel tempio di Sól, a suo dire per rubare una veste delle Sacerdotesse. Sono incline a credergli, perché posso dire molte cose di mio cugino, ma di certo non che è un approfittatore di donne, o un bugiardo. Però..." iniziò col dire la guerriera prima di sospirare e aggiungere: "...non posso dire che questo, a sua difesa. Non mente. Quanto al resto..."

"Già. Quanto al resto..." borbottò Surtr, cercando con la mano la presenza della moglie perché gli impedisse di spaccare la testa di quel ragazzo così indisciplinato.

Gli voleva bene al pari dei suoi molti figli perché, alla fin fine, sapeva essere adorabile, quando voleva, e aveva la capacità innata di saper sorridere col cuore... ma era una tale pestilenza!

"D'accordo, vedo bene che hai la testa più dura di un diamante grezzo, perciò dovrò trovare il modo di incastonarti in una montatura sopraffina. Sei arruolato d'imperio nel mio esercito e bandito per cinquant’anni dalla Capitale. Sosterrai l'addestramento più duro che esista, e sotto il comandante più duro e puro che esista su tutti i Nove..."

"Otto..." ci tenne a dire Sthiggar prima di venire frizzato da un'occhiata furente - e fumante - di Surtr.

"...Otto Regni, come hai giustamente - quanto incautamente - sottolineato tu. Diverrai un Gigante di Fuoco, padroneggerai fino all'ultima stilla del tuo potere divino e ti verrà consegnata - se lo meriterai – il grado di Fiamma Purpurea, con cui mi servirai con onore e serietà. Non dovessi superare questo addestramento, ti verrà bloccato per sempre qualsiasi dono legato alla Fiamma, e verrai messo a spalare carbone nelle segrete di palazzo. Ti è chiaro, stavolta, quanto io sia furioso con te?"

Sthiggar deglutì a fatica e assentì silenzioso, ora realmente terrorizzato, e mormorò soltanto: "Sì, mio re."

"Partirai domattina e, naturalmente, dirai a tuo padre che hai deciso di tua spontanea volontà di arruolarti, così da mettere le briglie al tuo carattere bizzoso. Non voglio che lui soffra per la tua idiozia. Ho troppo a cuore la sua amicizia perché tu la rovini, è chiaro?" dichiarò Surtr, tornando a levarsi in piedi per poterlo guardare dall'alto al basso.

Il giovane assentì una sola volta e Hildur, nel strattonarlo per riaccompagnarlo fuori, disse: "Scusate ancora per il disturbo, sire. Farò in modo che Sthiggar non combini altri guai."

"So bene che tu non c'entri, Hildur. Tu e le tue compagne avete fatto solo il vostro dovere" assentì Surtr, lasciando che andassero via.

Non appena furono soli, Ilya si permise di parlare e disse: "Caro... non esiste una miniera di carbone, sotto il palazzo."

"Io lo so, tu lo sai... ma lui no. E' bene che parta debitamente terrorizzato dalle estreme conseguenze di un suo potenziale fallimento" replicò il re con un sogghigno. "Quel ragazzo ha bisogno di una strigliata coi fiocchi e, comunque, era ormai giunto il tempo che decidesse del suo futuro. L'adolescenza è ormai finita, ed è giusto che cresca."

“Oh, da quel che so, in certe cose, è già grande a sufficienza” ironizzò Ilya, coprendosi le labbra arcuate per nascondere un sorriso.

Surtr sospirò esasperato, borbottando: “Lo so, purtroppo.”

"Comunque… nelle mani di Yothan? Davvero?" sottolineò turbata Ilya.

"Ora non essere sdolcinata con quel ragazzo, anche se so che ti fa pena" brontolò Surtr. “Yothan è un ottimo comandante, oltre che mio vecchio amico.”

"Non sono sdolcinata, ma realista. Yothan lo distruggerà" sottolineò accigliata la regina.

"Se Sthiggar dimostrerà di avere carattere, oltre alla stupidità più nera che io abbia mai conosciuto, sopravvivrà" si limitò a dire il re.

"Se lo dici tu..." sospirò allora la regina, mettendo qualche dubbio nel cuore del suo sovrano.

 
 
1 aesir: termine per indicare gli abitanti di Asghardr.
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N.d.A.: Non vi stupite, quando sentite parlare di decenni, perché i Giganti di Fuoco vivono per migliaia di anni. 
Qui iniziano le avventure di Sthiggar e, nel corso dei prossimi capitoli, scopriremo sia più cose su di lui, sia il perché sia in qualche modo legato alla Terra e ai berserkir. Buona lettura e buon ritorno nel mio mondo!
P.S.: se qualcuno si stesse chiedendo perché Sthiggar corregge il re, in merito ai Nove Regni, vi rammento che Vanaheimr (dove regnavano i fomoriani) fu distrutto millenni addietro dalla morte della stella del sistema galattico dove si trovava quel pianeta. Per questo, Sthiggar dice che sono otto, i Regni, e non più nove.
  
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