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Autore: Emilia Zep    03/05/2022    0 recensioni
Tra le masche della Val Varaita si raccontava di un luogo mitico, un mondo segreto che si trovava dall'altra parte di un lago ghiacciato, oltre il fondale. Un giorno quel passaggio venne chiuso e quel luogo dimenticato per sempre.
Secoli e secoli più tardi, Pietro e Giulio, come ogni anno, sono in vacanza in Val Varaita dal nonno. Il giorno in cui fanno la conoscenza di Micaela, la loro misteriosa vicina, si ritrovano catapultati in un mondo di masche, servanot, voci misteriose e soprattutto in un luogo di cui mai avrebbero immaginato l'esistenza...
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era già da un’ora che camminavano e la strada era tutta in salita. Pietro e Giulio avevano il fiatone e cominciavano a essere un po’ preoccupati: se il nonno avesse saputo che si erano allontanati tanto! E per giunta senza nessun adulto con loro.
 “E’ ancora molto lontano?”
“Be’, Zefi… lo vedrete, è un tipo solitario, vive isolato. Gli piace starsene per i fatti suoi.”
Finalmente Micaela si fermò in una radura “Eccoci qui!” disse.
Pietro e Giulio si guardarono attorno perplessi: non sembrava esserci proprio nulla di abitato nei paraggi.
Ma Micaela, come fosse la cosa più ovvia del mondo, si accovacciò di fronte a una fenditura che si apriva ai piedi di una parete di roccia “Signor Zefi! Signor Zefi!” chiamò “E’ in casa? La disturbo?”
Pietro non poteva crederci. Quella fessura era piccolissima, avrebbe fatto fatica a passarci persino Giulio. Come poteva abitarci qualcuno?
“Signor Zefi?” Continuò a chiamare Micaela. “Speriamo ci sia…”
Ecco che, da dentro la grotta, si sentì un borbottio “Sì sì! Ho sentito! Un momento, un momento! Quanta fretta!”
E dall’entrata della caverna sbucò fuori l’essere più strano che Pietro e Giulio avessero mai visto!
Non era più alto di cinquanta centimetri, aveva piedi di capra e orecchie a punta. E indossava abiti bizzarri, dai colori sgargianti.
“Oh… Micaela, sei tu! Cosa c’è di così urgente?” disse seccato, poi alzò lo sguardo verso Giulio e Pietro “E voi chi siete?”
I due bambini rimasero in silenzio, sempre più sbalorditi.
“Su, cosa c’è?” Incalzò Zefi “Siete muti? O non avete mai visto un sarvanot?”
Pietro e Giulio mormorano stupiti: “Un sarvanot?”
“Si ragazzi cari, un sarvanot. Non sono un folletto e nemmeno un goblin, come piace tanto dire a voi ragazzini di oggi perché lo avete letto sulle carte di quei giochi che fate voi… magic o come si chiama! Generalizzazioni insopportabili, come fossimo tutti la stessa pappa. No, noi siamo sarvanot. Abitiamo queste montagne da migliaia di anni, dovreste saperlo.”
“Non si offenda signor Zefi” Intervenne Micaela “Pietro e Giulio non sono, come dire… del nostro ambiente.”
Zefi fece un gesto infastidito “Ambiente, non ambiente, un tempo tutti conoscevano i sarvanot! Ah i giovani d’oggi, non sanno nulla di quello che è importante.”
“Eh già...” disse Micaela con un sorriso di circostanza “Come sono cambiati tempi!”
“Cambiatissimi! Peggevolevolissimevolmente cambiati!”
I tre bambini si guardarono sforzandosi di restare seri.
“Be’, signor Zefi.” Si fece avanti Micaela “Siamo qui perché abbiamo bisogno del suo aiuto. Cerchiamo notizie di una certa Moltina. Forse lei sa dirci qualcosa?”
Zefi si irrigidì di colpo “Come avete detto?”
“Moltina.” Ripeté piano Micaela “Conosce per caso qualcuno che si chiama così?”
“Per tutti i laghi ghiacciati!” Mormorò il sarvanot tra sé “Erano secoli che non sentivo quel nome.”
“Ci ha detto di venire a cercarla!” Saltò su Pietro.
Zefi spalancò gli occhi esterrefatto “Chi?”
“Moltina.”
“Se questo è uno scherzo, non è divertente.” Sbottò “E’ chiaro che non sapete di cosa parlate.”
“Ma quindi la conosce?”
“Oh no! Non conosco nessuna Moltina che possa mai avervi mandato qui! Nessunissimissimamente nessuna. E adesso se volete scusarmi…” e fece per rientrare dentro la grotta.
“Dice che ha bisogno d’aiuto per Uruk! ” sputò fuori Pietro, tutto d’un fiato.
Zefi si voltò di colpo.
“Cosa ne sai tu di Uruk?”
“Ha detto anche di farle sapere che è viva.”
Zefi guardò Giulio e Pietro negli occhi “Questo è impossibile. Moltina morì molti moltissimi anni fa. E io c’ero al suo funerale.  Non so chi vi abbia detto queste cose ma nulla di tutto ciò ha senso.”
“Ma ce lo ha detto lei!” protestarono i due fratelli.
“O almeno, crediamo.” Precisò Pietro titubante “Sa, abbiamo sentito una voce. Nel ruscello… nelle rocce…”
“… nel vento.” Proseguì Zefi rubandogli le parole di bocca.
“Si nel vento! C’era un ventaccio l’altra notte.”
“Che mi venga un colpo!” Mormorò Zefi.
“Ma allora la conosce?” Chiese Micaela.
Il sarvanot sospirò e fece segno di seguirlo in casa.
I tre dovettero accovacciarsi per infilarsi nell’apertura della caverna.
Una volta passata l’entrata Giulio, Pietro e Micaela fecero per rialzarsi.
“Attenti alla testa!”
Il soffitto era molto basso ma la grotta era completamente arredata, con tanto di tappeti, graziosi mobiletti in legno e tendine a fiori.
“Bè, cosa fate li impalati! Accomodatevi, vi preparo un tè!”
I tre bambini obbedirono e si sedettero in silenzio al tavolo mentre il sarvanot armeggiava ai fornelli.
“Ecco qua! Ho delle ottime radici nere! Un po’ di muschio… licheni…”
Pietro e Giulio gli lanciarono uno sguardo diffidente.
“Mi raccomando, fategli i complimenti” Sussurrò Micaela “I sarvanot possono essere molto permalosi quando si tratta del loro tè”.
Zefi li raggiunse con tre tazze fumanti.
Quando Giulio bevve il primo sorso per poco non lo sputò tutto fuori.
“Cosa c’è? Non vi piace?” Chiese Zefi inquisitorio.
Micaela si sforzò di mandare giù “No no, è ottimo, signor Zefi!”
“Amarognolo al punto giusto” Fece eco Pietro.
Zefi poggiò la sua tazza sul tavolo e si arrampicò sullo sgabello “Be’” disse poi “Deve essere uno scherzo, non c’è altra spiegazione. Sarà stato qualcuno dei ragazzi. Sapete, noi sarvanot abbiamo il vizio di farci i dispetti a vicenda, ci divertiamo moltissimo!
Sarà stata la Mirna, vedrete. Oppure Rubella che è bravissima a fare le voci. Vi avrà fatto credere di essere Moltina e voi ci siete cascati come pere cotte.” Fece una pausa “Però nessuno di loro è abbastanza vecchio da ricordarsi di Arcolago.” Fu costretto ad ammettere.
“Arcolago?”
“Avete detto di aver sentito la voce nel ruscello e poi nel vento, giusto?”
“Sì, proprio così, signor Zefi.”
“E’ in questo modo che comunicavano con noi da Arcolago. Nessuno a parte me può ricordarselo, nel Mondo di Qua.” Il sarvanot alzò la testa “Non c’è dubbio. Chiunque sia davvero chi vi ha chiamato, il messaggio arriva proprio da lì. Da Arcolago”
“Arcolago” mormorò Micaela “Non è il luogo di quella vecchia leggenda? Quel mondo che stava oltre il fondo del lago ghiacciato?”
“Non è una leggenda!” sbottò il sarvanot “E’ tutto vero. Un tempo non si faceva che andare e venire dal Mondo di Qua ad Arcolago. Masche, spiritelli, sarvanot lo frequentavamo di continuo. Eravamo il tramite fra i due mondi.”
“Signor Zefi ma è impossibile! Lo sanno tutti che è solo una vecchia storia. Anche la maestra Clerionessa dice che è un mito del paradiso perduto e che…”
“Clerionessa non sa niente di niente!”
“E allora perché questo posto non c’è più? Se è tanto bello come si dice, perché nessuno ci va?”
“Eh perché perché perché… quante domande signorina! Non volevate sapere della vostra Moltina?”
“Sì certo”
Anche Giulio e Pietro annuirono.
“E allora prima devo parlarvi di Arcolago. Perché è da lì che viene Moltina, l’ultima erede del regno di Uruk.”
I tre bambini trattennero il respiro.
Zefi prese un sorso di tè bollente “Arcolago era davvero un mondo bellissimo” sospirò “Era sempre in fiore, un‘eterna primavera.  E che profumo nell’aria! 
Non si faceva che festeggiare. Oh non sapete com’erano festaioli gli abitanti di Arcolago. Ogni occasione era buona per cantare e danzare, avevano un ricorrenza per tutto! Noi del Mondo di Qua li prendevamo in giro.
Ma avevano ragione di stare allegri. Tutti i popoli vivevano in armonia e non avevano mai conosciuto la guerra.
Erano divisi in sette regni ma pareva ce ne fosse uno solo tanto era forte la fratellanza e l’amicizia fra tutti gli abitanti.
Uno di questi regni si chiamava Uruk ed era retto da una stirpe di regine illuminate e pacifiche. Le masche erano le loro consigliere e noi sarvanot eravamo sempre i benvenuti.
C’era un fermento ad Uruk! Da tutto Arcolago accorreva gente di continuo: maghi, scienziati, poeti, cantori. Era il centro nevralgico di tutti i sette regni!
Fino a che non arrivarono i Kurr.”
 “I Kurr?”
“Oh sì. Un giorno arrivò a Uruk una carovana di cavalieri eleganti e splendenti. Venivano da molto lontano, dalle terre oltre il deserto, e portavano con sé ogni genere di tesori. Erano armati di daga e per la prima volta ad Uruk si videro armi.
Dicevano di chiamarsi Kurr e cercavano una nuova terra per insediarsi.
Perché avessero lasciato le loro, visto che erano così ricche, era per tutti un mistero.
Il loro re, Orkosh propose alla regina un’alleanza. Chiese la sua mano e in cambio offrì ad Uruk tutto  l’incredibile tesoro dei Kurr.”
“E la regina accettò?”
“Eh sì. Accettò. Il re Orkosh era giovane e bello, usava parole di miele, aveva ricoperto la sua gente di ricchezze. E poi in fondo ad Uruk c’era sempre stato posto per tutti.
In più la regina aveva una figlioletta ancora piccola a cui desiderava moltissimo dare un padre.
E per un po’ infatti tutto sembrò andare per il meglio. Orkosh pareva amare la principessina come se fosse sua  e i sudditi si godevano le ricchezze del tesoro dei Kurr.
Dopo qualche tempo però Orkosh cominciò a lamentarsi con la regina. “Non è giusto” diceva “Che Uruk debba rimanere dentro ai suoi confini. E’ il più ricco e il più prosperoso dei sette regni e anche il più popoloso.”
Orkosh cominciò a mettere questa pulce anche nelle orecchie dei sudditi. Ogni volta che poteva parlava in pubblico e la storia era sempre la stessa: Uruk aveva bisogno di spazio e grandezza, produceva più ricchezze di tutti gli altri regni messi insieme ed era evidente che il suo fosse il popolo eletto.
Pian piano mise su un esercito e convinse la regina a dichiarare guerra al regno vicino. E poi ad un altro e ad un altro ancora. Trovava sempre una scusa che faceva apparire la cosa urgente e necessaria. Inevitabile.
L’ esercito di Uruk sembrava invincibile, ogni territorio che occupava era costretto a sottomettersi.
A guidare la sua invincibile armata era la giovane principessa che ormai era cresciuta e grazie agli insegnamenti del suo patrigno era diventata una guerriera provetta.
Era bella e coraggiosa, le sue frecce erano micidiali. La sua sola presenza terrorizzava il nemico.
Ma lei, proprio come le sue antenate, aveva una natura riflessiva e pacifica. Odiava usare violenza sugli altri.
Eh, quanto ha sofferto la nostra Moltina.”
 
“Moltina?” mormorò Pietro
“E’ lei!”
“Oh sì. E’ proprio di lei che parliamo. Detestava combattere, ogni volta pregava il patrigno di risparmiarla.
Ma lui nulla.
L’esercito senza di lei era perduto, le diceva. Se non fosse scesa sul campo di battaglia sarebbe stata la rovina.
Ed era vero.
Bastava che Moltina comparisse sul campo con la sua armatura bianca che ad ogni guerriero si scaldava il cuore. Chi non aveva coraggio lo ritrovava, chi era scettico si accendeva di speranza.
Così Uruk divenne un impero potente e grandissimo.
“Vi prego, patrigno” Supplicava ogni volta Moltina “Ora però fermiamoci”
Ma per Orkosh non era mai abbastanza.
Fino a che un giorno qualcosa andò storto.
L’esercito aveva preparato un attacco a sorpresa nella valle di Prato Alto: i guerrieri sarebbero scesi nel cuore della notte dalle montagne e avrebbero stretto il nemico, impreparato, da tutti i lati.
A condurre l’avanguardia, come sempre, era Moltina che però quando giunse sui monti trovò i guerrieri di Parto Alto ad attenderla.
Il nemico sapeva tutto. Qualcuno aveva tradito.
La divisione di Moltina fu accerchiata e la principessa cadde.
Solo allora Orkosh si fermò.
La regina non riuscì mai perdonarsi di aver perso sua figlia.  Si ammalò di tristezza e non ci fu guaritore che fu in grado di curarla.
Una volta perdute sia la sovrana che la sua erede, il regno passò nelle mani di Orkosh.
Si dice che in quei giorni la vecchia masca che sedeva al consiglio della regina ebbe una visione su chi aveva tradito la principessa e fece una profezia sul futuro del regno.
Nessuno seppe con certezza cosa disse. Ad ascoltarla c’erano solo il re e qualcuno tra i consiglieri.
Ricordo solo che Orkosh annunciò al popolo che le parole che aveva udito gli confermavano quanto sospettava: era in atto un complotto di masche, masconi, spiriti e sarvanot contro la corona.
Eravamo noi ad aver tradito Moltina, disse.
Non passò molto tempo che iniziò una caccia feroce a tutti coloro che avevano poteri magici.
Chi di noi riuscì a fuggire passò oltre i confini del lago e fece ritorno per sempre al Mondo di Qua, ma non tutti ce la facemmo.
La mia dolce Drusilla per esempio non fece in tempo.”
Zefi emise un sospiro e tirò su col naso “Da allora” riprese “Nessuno di noi tornò mai più ad Arcolago e col tempo il passaggio tra i due mondi venne del tutto dimenticato.
Ad oggi credo di essere l’unico superstite di quella grande fuga, ancora qui su questi monti.”
Fece una pausa e poggiò la tazza sul tavolo “Eh, ne è passato di tempo. Seicentotrentacinque anni.”
Pietro e Giulio fecero un balzo sugli sgabelli “Seicentotrantacinque? Ma quanti anni ha?”
“Oh Be’” Zefi alzò le spalle “Settecentocinquantotto ottobre prossimo. Portati bene spero!”
“Benissimo! Altroché” fecero Giulio e Pietro.
“Ma signor Zefi” si fece avanti Micaela, ancora tutta presa dal racconto “Secondo lei era vero che c’era un complotto del mondo magico contro la corona?”
“Falso! Falsissimo!”
“E allora perché il re si accanì contro di voi?”
Il sarvanot prese un respiro “E’ un grande mistero. So solo che tutti non aspettavano altro che un colpevole per consolarsi della perdita della principessa. E Orkosh divenne presto l’eroe del popolo.”
“E lei crede che Moltina potrebbe davvero essere viva?” saltò su Pietro
Zefi sbuffò e con un balzo scese dallo sgabello “Non mi spiego! Non mi spiego!” Si agitava in su e in giù per la stanza “Seicentotrentacinque anni, capite? Non è uno scherzo” Si fermò di colpo “Be’ c’è solo un modo per scoprirlo.”
I tre bambini si guardarono l’un l’altro “Non vorrà dire…”
“Ebbene sì. Tornare ad Arcolalago!”
“Ma se la sente? Dopo tutto quello che è successo?”
“Oh quante chiacchiere! Forza, mettetevi le felpe che c’è da camminare.”
 
Zefi e i tre bambini si misero in marcia.
Cammina cammina arrivarono in una valle stretta e scura e si fermarono di fronte a una fessura nella roccia ancora più piccola di quella che portava a casa di Zefi.
Il sarvanot si inoltrò e gli altri tre lo seguirono in silenzio. Si rialzarono in piedi in una caverna rischiarata da un buco nella volta. L’attraversarono e si infilarono nel passaggio che s’intravvedeva al fondo. Il camminamento era buio e man mano che avanzavano si faceva sempre più stretto, finché divenne un cunicolo in cui dovevano procedere in ginocchio.
Ecco che d’improvviso l’oscurità si fece meno profonda e, via via che proseguivano, una luce giallastra illuminava il passaggio, ora più ampio e comodo. Alla fine entrarono in un’altra caverna. Era grande e dal soffitto, altissimo, pendevano lunghi pinnacoli che sembravano fatti di pietra bianca.
Il buio era rischiarato da una fiammella bluastra che fluttuava nell’aria. “Un fuoco fatuo” mormorò Micaela “Non ne avevo mai visto uno.”
Zefi annuì “Appare sempre quando il passaggio è aperto.” Poi indicò con la mano verso il centro della caverna “Eccolo.”
Illuminato dalla luce magica si intravedeva il lago ghiacciato.
“Bisogna saltarci dentro?” Chiese Micaela.
I due fratelli al pensiero dello strato di ghiaccio ebbero un brivido.
Zefi li guardò “Adesso!”
Pietro e Giulio videro il sarvanot e Micaela tuffarsi. Allora anche loro si tapparono il naso, fecero un salto e sprofondarono nell’acqua ghiacciata.
 
  
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