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Autore: EleAB98    07/05/2022    2 recensioni
Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni interiori, e non solo quelli... Riuscirà mai a guardare oltre l'orizzonte? Ma soprattutto, chi lo aiuterà nell'ardua impresa?
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[...]
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*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo XII – Confessioni
 


«Allora? Come sto?» domandai con fare bonario, guardandomi dall'alto in basso attraverso lo specchio di un costosissimo negozio di abbigliamento cui eravamo appena entrati io e la mia fida assistente. Ero un figurino, dovevo ammetterlo.

«Sei uno schianto, non c'è che dire», mi rispose Benedetta, borsetta di strass alla mano e vestito da sera color mare che le fasciava il corpo alla perfezione. Era davvero carina, dovevo ammettere anche questo.

«Non ti sembra di esagerare un po'?» le chiesi, a mo' di scherzo. Uno dei miei difetti più grandi consisteva proprio nell'essere pieno, anzi, stracolmo, di vanità: sapevo di avere un certo ascendente sulle donne e sapevo anche come usarlo a mio esclusivo vantaggio. Curare il mio aspetto esteriore mi faceva sentire più sicuro di me stesso, mi permetteva di rendere meglio persino sul lavoro. Mi permetteva di catalizzare l'attenzione di qualsiasi spettatrice. Mi permetteva di sentirmi un re pure senza corona.

«Fidati, quando ti chiameranno sul palco non sfigurerai, anzi.»

Scossi la testa, fingendo noncuranza. Il mio ego mi aveva appena trascinato sulla Luna. «E tu pensi che possano proclamare vincitore proprio me? Certo che le tue convinzioni sono proprio dure a morire.»

Lei mi fece un sorrisetto. «Esattamente. Sono sicura che ti chiameranno. Il tuo elaborato è una bomba.»

Sorrisi ancora. «Se lo dici tu...»

«A che ora parte l'aereo?»

Sollevai il lembo della camicia abbinata alla giacca elegante. «Tra mezz'ora», esalai. «Che dici, andiamo a prenderci un caffè?»

«Buona idea.»

Come dei serpenti, ci incanalammo attraverso un cunicolo per evitare la folla, quindi uscimmo dal negozio e ci avviamo nei pressi del Mc Café. Era una giornata calda e assolata, milioni di passanti troneggiavano sui marciapiedi e altrettante macchine sostavano sulla carreggiata. Attraversammo sulle strisce pedonali ed entrammo nel locale, piuttosto piccolo ma non meno accogliente.

Mi sembrava quasi impossibile che stessi per prendere il volo per Montreux. Contro ogni mia previsione, avevo trovato il coraggio di inviare il mio scritto alla redazione afferente al Concorso Annuale di Giornalismo soltanto poche ore prima della scadenza del bando, come fossi stato colto da una smania strana, ma non per questo ingiustificata. Nell'ultimo mese, io e la donna misteriosa c'eravamo sentiti talmente spesso da risvegliare in me quel turbinio di sentimenti che credevo morti per sempre. Persino quel coraggio di rischiare che per tanto e tanto tempo mi era mancato. «Sto seriamente cominciando ad affezionarmi a te», avevo trovato il coraggio di confessarle qualche sera prima. «Perché non ci vediamo? Muoio dalla voglia di sapere chi sei. Credo di non poter continuare ancora per molto con questa storia. Ho bisogno di vederti.»

«Lo desideri davvero?»

«Più di ogni altra cosa. Desidero conoscerti. Conoscere ogni parte di te. Anzi, non lo desidero... lo pretendo.» Mi stupii del mio stesso ardire, ma quella speranza mi eccitava ed emozionava allo stesso tempo. Durante quelle serate non facevamo altro che confidarci l'un l'altra sui nostri rispettivi problemi (anche se lei, al solito, si sbottonava quel poco che bastava a non lasciar trapelare nulla che mi facesse pensare a una donna già conosciuta), senza contare la condivisione delle tante aspettative che nascevano da quelle conversazioni spontanee, misteriose e non meno divertenti. Talvolta flirtavamo persino, e in quei momenti specifici mi accorgevo, tra l'altro, che l'approccio tenuto con lei non apparteneva al buon vecchio casanova di turno, bensì a un semplice uomo interessato a fare colpo su una donna che, di fatto, ammirava già dalla testa ai piedi. Il suo approccio con me, d'altra parte, non era assolutamente da femme fatale, eppure con una semplice parola riusciva a stimolare la mia fantasia suscitando in me sempre più curiosità. Mi intrigava da morire, ma non era la solita gatta morta. Mi strappava sempre una risata, ma le sue battutine erano tutt'altro che stupide. In buona sostanza, ci sapeva davvero fare, aveva uno charme tutto suo. E, senza neanche accorgermene, mi ero lasciato influenzare da quel tipo di corteggiamento che, forse, avevo adottato soltanto con Melissa.

«Non vedo dov'è il problema. Io ci sono, tu ci sei... perché non ci diamo appuntamento?» le avevo chiesto poi, a seguito del suo silenzio.

«Che ne dici di incontrarci a fine concorso? Potrei... sì, insomma, potrei anche venire a Montreux, sempre se ti va.»

A quelle parole, il mio cuore aveva perso non uno, ma mille battiti. «Dici sul serio? Tu verresti a Montreux per... per assistere a quel concorso?»

«Potrei, sì... magari sarò nel bel mezzo della folla e non ti accorgerai nemmeno di me.»

«Questo perché non ti conosco. Altrimenti, sono certo che ti riconoscerei eccome.»

«Potremmo darci appuntamento lì, allora. Sei d'accordo?»

«Affare fatto», avevo risposto, con il cuore in gola. Avrei finalmente conosciuto l'oggetto dei miei desideri e non potevo esserne più felice.

«Mi farò viva io, allora. Buona fortuna, Malcom. A prestissimo.»

Entrai nel Mc Café ripensando a quella promessa che non mi aveva fatto più dormire la notte e Benedetta, al solito, si accorse nell'immediato che stessi viaggiando su un altro pianeta.

«Allora? Che cosa ti ha detto?»

Mi voltai verso di lei e, nel frattempo, estrassi una banconota da dieci dollari dalla tasca della mia giacca, porgendola al cassiere. «Cosa ti fa credere che io stia pensando a quella donna? Due brioche e un caffè, per favore» dissi poi, rivolgendomi alla signorina del bancone.

Benedetta sorrise. «Ogni volta che ci pensi, il tuo sguardo si tinge di un'espressione che definirei tanto enigmatica quanto eloquente al tempo stesso. Sei cotto di lei, ammettilo!»

«Chi, io?» Mi scappò una risatina. «Ma se non la conosco neanche!»

«Però avete parlato per molto tempo, o sbaglio?»

«Per quasi due mesi, sì», le risposi, avviandomi insieme a lei verso un tavolinetto circolare con un paio di brioche e di caffè posati sul vassoio che ci aveva appena porto la signorina addetta alle ordinazioni. «Pare sia arrivato il momento di conoscerci di persona.»

Benedetta spalancò gli occhi. «Caspita! Ti ha davvero detto così?»

Feci spallucce e mi accasciai sulla sedia. Quella situazione mi destabilizzava non poco e non sapevo proprio come avrei dovuto comportarmi. Non tentavo di conquistare una donna da ben tre anni, e da ben tre anni non mi concedevo un'avventura che, come da copione, terminava in una camera da letto o d'albergo che dir si voglia. Cosa sarebbe successo se io e quella donna ci fossimo abbandonati alla passione? Mi sentivo decisamente fuori allenamento, potevo soltanto sperare che, in ogni caso, sarei stato pronto a sfoderare le mie doti da perfetto amatore nel caso in cui la serata avrebbe preso una piega di quel genere. Inutile dirlo: dentro di me ero convinto che quella ragazza fosse bellissima e che, dato il mio caratterino tutto pepe, non avrei potuto resistere al richiamo della carne. Senza contare che, perlomeno con lei, avevo instaurato un rapporto di natura prettamente mentale, e questo avrebbe persino potuto alimentare una perfetta sintonia sessuale; quella sintonia tipica delle coppie di lungo corso. «Pare di sì. Mi ha detto di essere pronta per un incontro... a Montreux. Assisterà alla premiazione anche lei.» Benedetta annuì. All'unisono, addentammo una brioche. «Ti ringrazio tanto per aver deciso di accompagnarmi. Non eri tenuta a farlo.»

«Lo sai che ci tengo», esalò Benedetta. «Adoro quel Festival e sono felice che tu mi abbia detto di sì, per me non è un peso. Temevo volessi stare da solo.»

«Anche io so bene quanto ci tenevi. Questa sarà un'esperienza molto formativa per te e non potevo precludertela.»

Benedetta addentò un altro pezzo di brioche, le cui briciole caddero sul piattino di porcellana impiastricciato di crema alla nocciola. «Ciò non toglie il fatto che dovrò necessariamente togliermi di mezzo quando questa donna misteriosa farà il suo ingresso.»

Bevvi l'ultimo sorso di caffè e  feci per rispondere, ma lei mi precedette.

«Ascolta, Malcom, sono felice per te. Sul serio. Ti chiedo solo di...» Fece spallucce. «Sì, insomma, di non farti troppe illusioni. Tutto qui.»

Scossi la testa, più confuso che mai. «Perché dici così?»

«Dai, mi sembra ovvio! Non conosci quella donna, non sai chi si nasconde dietro le sue parole. Potrebbe anche... potrebbe anche non piacerti, e... potresti restarci molto male. Questo mi dispiacerebbe molto.»

«Come mai questo pessimismo? Io, al contrario, sono sicuro che rimarrò sbalordito. Questa ragazza è così intelligente, sveglia e intraprendente che non potrò non rimanere a bocca aperta non appena si farà viva. Ne sono sicuro. Tu, piuttosto... come va con Nathan?»

Benedetta posò la tazzina di caffè con una certa fretta. «Oh, piuttosto bene. Però... ecco, io e lui ci stiamo andando davvero piano. Ci stiamo ancora conoscendo. Anche se è un tipo abbastanza geloso, per questo non gli ho detto che io e te andavamo a Montreux.»

La guardai con aria contrariata. «Questo non va affatto bene. Potrebbe scoprirlo da qualcun altro, non ci hai pensato?»

«Io e lui non siamo fidanzati.»

«Ma vi state conoscendo, no? Ci sarà pur stato qualche bacio, qualche—»

Benedetta ridusse gli occhi a due fessure. «Come mai sei così interessato a Nathan? Te lo assicuro, lui non capirebbe.»

«Non credo ci sia nulla di male se glielo dici», insistei, deciso a scoprire cosa si nascondesse dietro quel suo voler tacere a tutti i costi.

«Tu non lo conosci bene quanto me. Se solo sapesse, mi metterebbe il muso per un'intera settimana!» Si alzò di scatto e, pulendosi i lati della bocca con il tovagliolino di carta a fantasia, mi prese per mano e mi trascinò fuori dal bar. «E comunque sì, qualche bacio c'è stato», mi disse nel mentre, facendomi l'occhiolino. «Forza, andiamo! Montreux ci aspetta!» 

E fu così che, correndo e saltellando come due conigli inseguiti da chissà quale preda, ci ritrovammo immediatamente sull'aereo.

 

*

 

Sprizzavo ansia da tutti i pori. Da una parte, sapere che la donna misteriosa poteva vedermi da qualsiasi angolazione mi arrecava una sensazione di pudore inaspettato. Mi sentivo vulnerabile, tremendamente esposto. Dov'era quella donna? Mi guardai intorno. Dietro di me, che me ne stavo in prima fila, c'erano almeno cinquecento persone e molte di queste erano rimaste in piedi. Impossibile individuarle tutte. Tornai a focalizzare la mia attenzione sul palco. Accanto a me, Benedetta non faceva altro che torcersi le mani, sembrava sin troppo nervosa. Quel palcoscenico, adornato di luci soffuse e qualche piccolo lustrino decorativo ai lati, ospitava un giudice che, vestito di tutto punto, si apprestava a proclamare i finalisti del tanto agognato Concorso di Giornalismo. Come un perfetto show man, microfono alla mano e un papillon a pois  – che, tra l'altro, giudicavo disgustoso –, abbinato al solito completo elegante, cominciò a pronunciarsi sul terzo e secondo classificati. Due colleghi distinti (che mi pareva di aver incontrato di sfuggita durante il mio apprendistato come giornalista) raggiunsero il palco con aria soddisfatta, a grosse falcate. Venne consegnata loro una pergamena di merito e discussero in breve sull'argomento del loro elaborato. Fino a quando... 

«E adesso, miei gentilissimi ospiti, accogliamo su questo palco i due vincitori del concorso. Ebbene sì, questa volta la commissione non ha saputo scegliere tra due elaborati di ottimo livello e pieni di spunti interessanti... La vittoria per il Concorso Annuale di Giornalismo va a... Malcom Stone e... Megan Rossi!»

Spalancai gli occhi e la bocca in una muta espressione di sorpresa e, al tempo stesso, estraniamento totale. Mi sembrava di essere stato catapultato indietro nel tempo. Mi sembrava che il destino si stesse nuovamente prendendo il gioco del sottoscritto. Poteva davvero trattarsi di quella Megan?

«Malcom, hai vinto! Wooow!» strillò Benedetta, alzandosi in piedi insieme agli altri spettatori. «Hai vinto, te ne rendi conto?» continuò, mi scosse per le spalle mentre io non sapevo proprio che cosa dire. «Dai, va' sul palco! Forza!»

Ancora scosso dalla duplice notizia, mi avviai su quel palco e solo in quel momento mi accorsi di avere la tremarella. Io non ero pronto a scontrarmi di nuovo con quello sguardo. Troppi ricordi sarebbero tornati a galla, troppe recriminazioni sarebbero sorte nel caso in cui io mi sarei ritrovato faccia a faccia con lei. Dopo qualche istante, vidi proprio Megan Rossi che, con un bel tacco dodici, si apprestava a raggiungere il presentatore. Cercai in tutti i modi di assumere un'espressione di pura freddezza. Non mi avrebbe annientato di nuovo, non avrebbe sortito alcun effetto su di me. I suoi occhi azzurri si posarono sui miei per un istante che sembrò eternità, le labbra laccate di rossetto erano leggermente schiuse, il suo viso aveva un'espressione contratta; sembrava sbigottita. I capelli mossi, neri come la notte, erano cresciuti più del dovuto e gli arrivavano alla vita, tra l'altro aveva una frangetta che le ricopriva totalmente la fronte. Quel deciso cambio di look mi stupì. Indosso portava un abito firmato, rosso fuoco, che lasciava intravedere quel paio di belle gambe che si ritrovava, con annessa scollatura a cuore. Scostai lo sguardo da lei. Quella visione non doveva farmi alcun effetto. Io non conoscevo quella donna. O meglio, per me non esisteva più da molto tempo. Ci ritrovammo l'uno di fianco all'altra con in mezzo il presentatore, che si sperticava in un profluvio di lodi che giungevano lontane, se non lontanissime, alle mie orecchie. Continuavo a pensare al fatto che Megan fosse lì, che le probabilità di incontrarla di nuovo erano pressoché nulle, eppure il destino mi aveva presentato il conto un'altra volta. 

Cercai Benedetta con lo sguardo. Per un istante, il suo largo sorriso mi infuse assoluta tranquillità. Lo ricambiai e cercai di concentrarmi sulla cerimonia: avevo vinto un premio e dovevo andarne fiero. Senza incrociare lo sguardo di Megan, presi la coppa a me riservata e l'alzai per aria, sotto agli occhi estasiati di un gruppo di fotografi che parevano esultassero con me (tanto erano smaniosi di svolgere il loro lavoro). Quando fu il turno di Megan, la scrutai con la coda nell'occhio. Sembrava pensierosa, e soltanto in quell'istante la trovai spenta. Sembrava avesse perso quella grinta, quella sfacciataggine che, sin dal primo momento, mi aveva attratto. Scesi dal palco e tornai all'ovile. Non dovevo pensare a lei, bensì... alla mia cara donna misteriosa, che mi aveva garantito la sua presenza. Ma dove poteva essere?

«Malcom, sei stato grande! Lo sapevo!» esultò Benedetta non appena la raggiunsi. Mi diede un caldo abbraccio e, in quel preciso istante, mi sentii a casa. Ricambiai e scossi la testa. Rivedere Megan mi ha fatto proprio uno strano effetto, mi ritrovai a pensare. Era la prima volta che abbracciavo Benedetta e non v'era alcunché di sconveniente, eppure mi sentivo strano, forse perché temevo che Megan ci stesse guardando. Mi scostai da lei. «Che ne dici se cerchiamo un posto tranquillo per festeggiare? Credo che tutto questo caos non faccia per me.»

Lei annuì, entusiasta. «Come vuoi.»

Ci avviamo verso il grazioso terrazzino della grande piazza, che dava sul lago di Ginevra. Ci sedemmo su un tavolinetto circolare e, mentre ci godevamo il panorama, Benedetta sfiorò la coppa che tenevo tra le mani. «Allora? Come ti senti?»

«Straordinariamente bene», mi ritrovai a dirle, guardandola dritta negli occhi. Vedere il riflesso della luna su quel lago mi infuse una straordinaria felicità. Mi sentivo in pace col mondo. E trovarmi insieme a Benedetta mi sembrò tanto giusto quanto intimo al tempo stesso. Di Megan non c'era più traccia, era come se per un momento fosse comparsa per poi dissolversi come polvere nell'aria. «Grazie davvero per aver creduto in me.»

«Non potevo non farlo. Hai un grande talento, Malcom. Ma questo lo sai.»

«Tu e la donna misteriosa mi avete ridato la forza di crederci.» Le sorrisi e lei fece lo stesso. D'un tratto, però, il suo volto si oscurò. «Ehi... cosa ti succede?»

«Pensi... pensi che la donna misteriosa si paleserà a breve?» domandò lei, sovrappensiero.

«Dovrebbe mandarmi un messaggio. Qualche sera fa le ho dato il mio numero di cellulare.»

«Allora sarà meglio che vada. Prima, però... dovrei confessarti una cosa.»

La guardai con attenzione e altrettanta curiosità. «Spara, avanti.»

Benedetta sospirò. «Non è così semplice. Ma c'entra la donna misteriosa.»

Sgranai gli occhi. «Dai, ti ho già detto prima che non devi preoccuparti. Andrà tutto a meraviglia! Non capisco perché ne stai facendo un dramma, insomma—»

«Non voglio che tu ci resti male, tutto qui. E quindi, io non posso più—»

«Perché ti preoccupi così tanto per me?» le chiesi, pronto a giocare a carte scoperte.

Benedetta fece un bel respiro e scostò lo sguardo dal mio. «Il fatto che tu mi piaccia tanto, che ti ammiri e che tenga a te... può bastarti come risposta?»*

Ebbi un tuffo al cuore a quelle parole e scossi la testa, incredulo e non meno confuso. Solo in quel momento compresi cosa intendesse dirmi. No, non poteva essere vero. Lei tornò a guardarmi, in un misto di imbarazzo e paura. Continuai a scuotere la testa, non riuscivo a crederci. «Non mi dire che... sei... sei tu?! La donna misteriosa sei tu?» Per un momento, quasi mi sentii mancare. La sua voce era identica a quella che per tante serate mi aveva allietato per telefono, ma non solo. Quella frase da lei pronunciata, per giunta con quella voce, mi rimandò di colpo alla prima volta che c'eravamo sentiti. Quando, prima di riagganciare, mi aveva riservato le stesse identiche parole. La donna misteriosa era lei, e io non lo avevo minimamente sospettato.

Sostenne il mio sguardo penetrante con tutta la forza di cui era capace. «Sì, Malcom. La donna misteriosa sono io. Sono sempre stata io. Per me non esiste nessun Nathan», aggiunse, in preda a un'emozione che potevo quasi toccare con mano. «Lui è stato soltanto una copertura. Per me esisti solo tu. Mi sono innamorata di te e... non ho potuto fare niente per impedirlo. Sono pazzamente innamorata di te.»

«Ascolta, io non—»

«Fin dal primo momento», continuò lei, imperterrita. «Da quando ho incrociato i tuoi occhi, la mia vita è spaventosamente cambiata. Io sono cambiata, come i miei sentimenti. Ho cominciato a desiderare la tua compagnia, la compagnia di qualcuno che potesse amarmi e apprezzarmi come donna. So di aver sbagliato, di non essermi comportata onestamente e di averti illuso, però... in cuor mio speravo tanto che tu potessi provare quel desiderio di conoscermi davvero, proprio come io desidero conoscere te. Stare con te.» Mi si avvicinò e io rimasi impietrito. «Ti prego, lascia che ti ami», soffiò, a pochi centimetri dalle mie labbra. «Lascia che ti renda felice come meriti.»

Senza concedermi diritto di replica, mi afferrò con dolcezza la nuca e mi attirò verso di lei. Si fiondò timidamente sulle mie labbra e, per qualche istante, le assaporò. Per qualche secondo mi ritrovai ad assecondarla e le morsi appena il labbro inferiore, più tramortito e spaesato che mai. Riaprii gli occhi, colto da un guizzo di lucidità, quindi mi scostai da lei e balzai in piedi, la coppa tra le mani, il cuore che batteva forte. Dovevo ammettere che le sue parole erano state come un potente balsamo per il mio cuore, a lungo ferito e, soprattutto, incline al giudizio di tante persone che lo reputavano marcio e cattivo. Quello che era successo, però, era tremendamente sbagliato. «Benedetta, tra noi due non può funzionare.»

«Perché no? Perché non provarci?» insisté lei, senza muovere neppure un muscolo. «E non tirare in ballo la scusa che sono troppo giovane, perché non ti credo. C'è forse un'altra donna?»

«Non è questo», mi affrettai a chiarire. «E no, l'età non c'entra, anche se nel mio caso è un po' un discrimine, devo dire la verità.»

«Non ti piaccio, non è vero?»

Rimasi in silenzio e alternai il mio sguardo tra lei e l'infinita distesa lacustre, spettatrice silenziosa di quella situazione assurda e, al tempo stesso, chiaramente scomoda. Come potevo risponderle che non ero attratto da lei quando, invece, era stata proprio lei a risvegliare i miei impulsi sessuali e non? A risvegliare quel Malcom che per ben tre anni aveva anestetizzato qualunque sentimento, la qualsivoglia emozione? Via telefono, per giunta? Dentro di me si fece spazio una consapevolezza pericolosa. Pur non sapendo che si trattasse di Benedetta, io avevo provato forti sensazioni per lei. Avevo sperimentato quasi una morbosa attrazione per quella voce, immaginando persino di passare notte intere a farci l'amore, di lasciarmi trascinare da un vortice di passione che quella stessa donna mi aveva suscitato. Quella donna che adesso aveva un nome, un cognome, un volto e... un corpo tanto giovane, tanto slanciato quanto affascinante. Un corpo che apparteneva a Benedetta Carisi. Mi riscossi da quell'assurdo pensiero, deciso a porre un freno definitivo a quella storia.

Feci un passo verso di lei, le mani in tasca. Non mi fidavo dei miei impulsi, non dopo quello che avevo appena pensato. «Benedetta, ascoltami. Tu sei una persona meravigliosa. Sono contento di averti incontrata, non devi dubitare di questo. Ma io non sono l'uomo per te. E non si tratta soltanto della differenza d'età. Tu e io siamo troppo diversi, e io non voglio farti soffrire. Non te lo meriti.»

«Io ti amo, Malcom. Ti amo davvero», replicò lei, gli occhi imploranti e lucidi per l'emozione, o più probabilmente per la risposta che le avevo appena dato.

Poco prima che potesse di nuovo avvicinarsi, indietreggiai di qualche passo. Dovevo rifugiarmi seduta stante nella camera d'albergo, o non avrei risposto più di me. Mi sentivo come un cucciolo indifeso (Benedetta, al mio confronto, mi sembrava una leonessa), desiderato come mai prima d'ora, e la cosa mi spaventava e intrigava allo stesso tempo. Dovevo ragionare sul da farsi, o magari dormirci su. Dovevo tirarmi indietro.

«Ti prego, non andartene.»

«Non me la sento di restare, Benedetta. Scusami tanto, ma questa sera non mi sento del tutto padrone di me stesso e... e potrei benissimo fare qualche altra stupidaggine.» Per un istante, ripensai a quel bacio che ci eravamo scambiati e percepii una leggera scarica di adrenalina. Lo scacciai seduta stante dalla testa. «Ne parleremo domani, d'accordo?» 

Senza aggiungere altro, le voltai le spalle e raggiunsi in fretta e furia la mia camera d'albergo.

   
 
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