Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: Brume    17/05/2022    6 recensioni
Una distanza separa Oscar e André.Si tratta di una distanza fisica ma soprattutto, emotiva, frutto di una vecchia lite, di gelosie....e tutto procede normalmente, finchè la donna non ha un incidente. A quel punto, ci saranno ritorni, incontri e scontri. Ed un lungo cammino da fare insieme, sfidando la famiglia di lei.
Attenzione: AU. La figura di Oscar potrebbe essere OOC.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Prima di lasciarvi alla lettura, un doveroso ringraziamento.
Ladybug87, Tetide, Demoiselle An_ne, Ifigenia&Clitennestra, Dorabella 27: le  scuse per non avere risposto ormai non le accampo più, credo ormai siate rassegnate =). Sappiate che non è maleducazione la mia, ma solo mancanza di tempo.
A tutt* voi, grazie: per il pensiero, per le idee, per le correzioni, per ogni singola vostra parola e per avermi dedicato del tempo. B.





Dieci giorni erano passati dal momento in cui Oscar aveva lasciato Parigi.
 
Il vento soffiava forte, l’ inverno si stava avvicinando. All’ orizzonte, oltre il promontorio, le onde sembravano infrangere la dura roccia e nuvole scure incombevano. L’ odore salmastro dell’ acqua entrava nelle narici, prepotentemente.

“Che ora è, Victor?” domandò Oscar dal nulla, legandosi i capelli che in quel momento andavano in ogni direzione.

Victor guardò l’ orologio.
“Le quattro…credo sia  meglio rientrare, tra poco. Siamo qui dalle dieci di stamattina… il tempo è proprio volato!” rispose; seduto sulla coperta che Oscar gli aveva fatto recuperare per quel pique nique improvvisato, si strinse nella giacca e osservò la donna in piedi avanti a sè di forse un paio di metri. Lei ricambiò lo  sguardo e sorrise, poi tornò da lui.
“Ti sono grata , Victor. Sei davvero molto gentile, con me…so che stai tralasciando il lavoro, per starmi accanto….” Disse guardandolo con con occhi stanchi e tristi.
“Non dirlo nemmeno per scherzo” le rispose l’ amico “ sai che per te farei questo e altro ma…dimmi…c’è qualcosa che non va? Sei stanca?  ” domandò Girodelle, notando come nel giro di poco tempo l’ umore della donna  fosse cambiato.
Oscar negò. Le sue dita fini tuttavia presero  a giocherellare nervosamente con le frange della sciarpa.

“No, nulla. Andiamo?”  rispose risoluta girando sui tacchi per tornare alla macchina.

Girodelle sospirò chiedendosi cosa altro potesse fare per lei e nel frattempo si alzò, sistemò la coperta ed il cestino con le vettovaglie.
“Si gela, oggi….” disse Oscar sfregandosi le mani, aspettando che lui la raggiungesse.

“Effettivamente, avrei preferito starmene al caldo e con una cioccolata calda da bere tra le mani” rispose lui , arrivato al fianco della donna e ripondendo tutto nel baule della vettura.

La cioccolata… ne bevevo in quantità industriale! Nanny la preparava e poi la versava in una brocca, la portava al piccolo tavolo dove io e Andrè già ci eravamo accomodati, accompagnata da biscotti appena sfornati….
“Mi piaceva molto la cioccolata calda” disse Oscar, dando voce ai suoi ricordi.

Victor la fissò, curioso.
Non si ricordava di questo particolare…quelle volte che da piccoli si incontravano, con le rispettive famiglie, erano costretti a starsene immobili come statuine nel rinomato ristorante di turno o in qualche club esclusivo dove la cioccolata calda non era contemplata, lasciando spazio a salutari succhi di frutta…
“…Senti, domenica verrai al pranzo che ha organizzato mia madre? La nostra casa…l’ hai vista, è qui vicino…” domandò Victor, cambiando argomento. Era salito in macchina e stava regolando la cintura di sicurezza.
Oscar lo guardò, poi tornò a fissare il cruscotto.  
“Non lo so, Victor. Dipende da come mi sentirò: le sedute con lo psicologo e gli altri medici mi lasciano spossata. Non so veramente dirti, ora, come potrebbe evolversi la cosa. Ma ti aspetterò, se vorrai passare a trovarmi” rispose sincera.
L’ uomo fece finta di nulla anche se, in realtà si trovò molto deluso, ma non voleva forzarla.Accettò le sue parole.
“Va benissimo” rispose allora ; poi, mettendo in moto la macchina aggiunse  “ era solo un’ idea, ci mancherebbe…”
Oscar sembrò tranquillizzarsi e tornarono a chiacchierare.
Tuttavia, i suoi pensieri erano altrove.
Andrè… perché non ci sei tu, qui con me?
Non abbiamo forse condiviso gran parte della nostra vita? Un tempo…eravamo così uniti; un sentimento ci legava, ne sono certa. Cosa ne è stato di quel sentimento? Cosa ne è stata della nostra amicizia?
 Ricordo …ricordo un bacio, tra noi…pensò , fissando il panorama fuori dal finestrino, senza trovare requie. Victor la osservava, immaginava cosa potesse passarle per la testa. Un senso di gelosia, di rabbia , lo prese. Ma fu solo un attimo. Non parlò, non chiese. La osservò, mentre il proprio cuore batteva forte, chiedendosi se fosse davvero mai esistita una speranza per loro. Ed intanto, il viaggio proseguiva.

“Grazie, Victor; è stata una bellissima giornata” disse Oscar quando furono arrivati.
Lui, da buon cavaliere, scese dalla macchina e le apri la portiera. Oscar lo ringraziò con un sorriso ed un bacio sulla guancia.

“…Senti Oscar…domani non passerò, devo rientrare a Parigi. Ti chiamerò in serata…” disse Girodelle. Oscar, a quelle parole, si sentì quasi sollevata ed in colpa.
“Non fa nulla, Victor. Quando potrai…ti aspetterò” ripose tagliando corto. Lui, che aveva sperato almeno in uno sguardo di sorpresa e dispiacere, rimase deluso: i due rimasero a fissarsi senza dire nulla per una frazione di secondo ed infine Oscar afferrò la borsa , camminando verso l’ entrata della clinica.

“Oscar, dove sei stata tutto il giorno?”
Non era ancora entrata che si sentì chiamare. La donna cercò con lo sguardo da dove provenisse quella voce; poi vide Mireille,  in fondo alla stanza, accanto all’ ascensore. La raggiunse.
“Salve, Mireille! Come stai , oggi?” domandò. Questa era una signora minuta, ben curata, di mezza età.
“Molto meglio, grazie. Ho avuto il permesso di uscire a fare due passi, quindi sono molto felice” rispose.
 L’ ascensore arrivò ed entrambe salirono.
“Ne sono lieta. E’ poi passato tuo figlio?” chiese; Mireille si rabbuiò.
“Mi ha telefonato, dicendo che in questo momento è molto impegnato…” rispose l’altra; non appena finì di parlare, la porta dell’ ascensore si aprì; Oscar era arrivata.
“Fammi sapere, mi raccomando” disse allora salutando la donna “ ora io vado, sono un po' stanca.”
Mireille annuì e osservò Oscar allontanarsi; poi, tornò nella propria stanza. Con ogni probabilità l’ avrebbe rivista per cena.

Non appena messo piede nel piccolo monolocale posto al secondo piano, Oscar si buttò sul letto senza nemmeno levarsi il cappotto.  Prona, la faccia nel cuscino girata giusto un poco per poter respirare, si sentì quasi senza forze; eppure aveva passato una giornata tutto sommato piacevole, priva di particolari pensieri…che si fosse strapazzata un po' troppo?  Li, adagiata mollemente, ripensò ai giorni appena passati fino a quel preciso istante; dieci, dieci giorni, alcuni leggeri ed altri pesanti come piombo, dove aveva ricevuto cure ed iniziato da subito un percorso a base di farmaci , sedute, momenti di terapia insieme ad altri ospiti.Le avevano persino dato dei compiti, tenere una sorta di diario…ma lei su quel diario ancora non era riuscita a scrivere nulla: ogni volta che sentiva il bisogno afferrava il quadernetto dalla copertina scura  perennemente adagiato sulla piccola scrivania ma, nel momento in cui ,afferrata la penna , vedeva la pagina bianca…qualcosa la bloccava.
Sempre.
Anche ora, distesa, colma di pensieri e di emozioni, sentiva l’ esigenza di scrivere; tuttavia visti i precedenti risultati nemmeno si mosse, per recuperare il quaderno.
Voleva spingersi al limite, capire dove poteva arrivare. Anche questo, pensò, potrebbe servirmi.

***
 
“Nanny, per favore, vorrei sapere dove hanno portato Oscar.”
La donna si voltò con un movimento repentino verso il nipote, lo sguardo severo ed il viso teso.
“Non credo di potertelo dire: Madame non desidera che tu la veda.Teme…teme che tu la faccia stare male” rispose Marie. Andrè, seduto di fronte a lei al tavolo di un bistrot in pieno centro, cercò di tenere a bada la rabbia e strinse forte le dita attorno ai braccioli della sedia.

“Ti prego… Ho assoluto bisogno di vederla. Nonna…” buttò li, gli occhi imploranti.
 
Nanny cercò di resistere alle sue richieste, appigliandosi al buon senso ed a ragioni che cercava di farsi andare bene reputandole ottime soluzioni. Accampò alcune scuse, chiese al nipote di essere comprensivo. Andrè continuò a fissarla, ad insistere, senza mai cedere. Il suo sguardo era quello di un uomo disperato.
 
“…Ti prego, André; è una cosa seria, questa. Perché non riesci a capirlo?” sbottò la nonna, poi, ad un certo punto.
Lo sguardo e la voce di Andre si fecero più dolci. L’ uomo chinò il capo.
“Perché amo ancora Oscar, nonna..e questo tu lo sai e…e  qualsiasi cosa possa essere accaduta tra noi non ha cambiato i miei sentimenti. Credimi, so benissimo quanto sia seria questa cosa: ma non trovo giusto l’ essere tagliato fuori da tutto. Madame avrà anche le sue mire ma non credo sia crudele a tal punto da imporre alla figlia una vita diversa da quella che vorrebbe…”
Nanny allungò il braccio e sollevò il viso del nipote. Andrè aveva le lacrime agli occhi.
“Come puoi dire, tu, cosa sia giusto o sbagliato? “ gli domandò, calma e pacata.
“Perché conosco Oscar… e so che lei in questo momento si sente in trappola. La sua famiglia le ha sempre imposto molte cose che lei ha accettato di buon grado e per il quieto vivere.  Ora, più fragile che mai,  non credo abbia la forza di reagire…da sola.” Rispose.

“Sai bene che non è sola…” precisò Nanny. Sapeva di fare male, ma non voleva che il nipote soffrisse oltre.
“Si,purtroppo. So che con lei c’è Victor… “ disse Andrè.

Il locale si stava riempiendo di gente, il vociare ormai sovrastava anche i pensieri.
Andrè capì che sua nonna non gli avrebbe mai detto nulla di più di quanto già aveva fatto e decise che, se proprio le cose stavano così, si sarebbe arrangiato da solo. Arrendersi non era affatto contemplato.
Nanny, dal canto suo, osservava silenziosa il nipote; il pranzo quindi proseguì e l’ argomento non fu più sfiorato e solo una volta alzati ed usciti, Andrè rivolse la parola alla nonna., mentre si avvicinavano alla macchina.

“Se tu non vuoi aiutarmi, nonna, mi arrangerò da solo. Un po' di inventiva è rimasta anche a me” disse dal nulla. Marie, che lo seguiva a distanza di pochi passì, si immobilizzò. Le mani strette forti intorno al manico della borsetta posta davanti al ventre iniziarono a tremare. Andrè si affrettò a raggiungerla.
“Nonna, perché tremi? Cosa succede?” domandò, sorreggendola. Marie però non si stava sentendo male; era tesa, stava combattendo una sorta di personale battaglia.
“Andrè… non preoccuparti. Sto bene” rispose, tranquillizzando l’ uomo.
Ma il nipote continuava a fissarla.
“Andiamo, ti accompagno a casa! ” disse infine Andrè, prendendola sottobraccio.
Marie scosse il capo.
 
“…Trègastel” .

“No..Nonna….cosa hai detto?” disse André, la voce smorzata in gola. Le braccia ricaddero lungo i fianchi, il cuore cominciò a saltare nel petto.

“Trègastel…Si trova li. Fai conto che queste parole le abbia sussurrate il ventorispose Nanny. La sua voce era bassa, tremolante. Andrè, incapace di reagire, fissò la nonna; poi, senza dire nulla, l’ abbracciò.
“Grazie” le sussurrò in un orecchio. Lei lo allontanò.
“Va, ora. Tornerò a casa in taxi” gli disse poi, accarezzando il viso di quel ragazzo cresciuto troppo in fretta.
Una lacrima scese dal suo viso.
Andrè abbracciò ancora la nonna, stavolta senza aggiungere una parola poi, dopo averla fatta salire su un taxi la guardò  andare via dopo di chè raggiunse la macchina, vi  salì. Voleva raggiungere quel posto prima di sera: poco più di cinquecento chilometri che in quell’ attimo gli apparvero dieci volte tanto.


***
Il giorno seguente, Oscar si alzò presto.
Victor quel giorno non sarebbe passato ; al pensiero, ne fu quasi sollevata.

Dopo essersi fatta una doccia rimase per un po' sdraiata sul letto senza pensare a  nulla poi, intorno alle nove e mezzo, si era vestita e recata all’ appuntamento con la dottoressa Linneaux, che l’ aveva accolta con il consueto sorriso. Li, nello studio colmo di piante in vaso,  Oscar si era seduta comodamente sulla poltrona in pelle ocra ed avevano  iniziato a parlare, del più e del meno, come facevano di solito; nulla di  chè, all’ apparenza, tuttavia momenti preziosi per il medico, che non esitava qui e la ad inserire parole per così dire chiave nei discorsi, quasi volesse sbloccare una serratura ancora chiusa con numerose mandate. Subito dopo la seduta, una Oscar spossata aveva lasciato lo studio ma invece che recarsi nella sala comune per un po' di relax  decise di uscire; tornò in camera, prese la giacca  e dopo aver firmato il solito modulo prese a camminare, testa bassa, senza nemmeno sapere dove andare.

Continuava  a pensare a quella seduta, dove a lungo aveva dapprima parlato dei suoi genitori per, poi, arrivare ad Andrè; al senso di pesantezza che aveva provato, parlando di come sentisse lontana sua madre in quel momento e di come sentisse di aver qualcosa in sospeso, con chi non lo aveva ancora capito…
Non sono una bambola, non ho perso tutti i miei ricordi…sono ancora io, so come svolgere il mio lavoro, come gestire il mio denaro… perché, perché hanno voluto questo? Per il mio bene? Non era forse meglio restarsene a casa? Victoire ed Hortense mi avrebbero aiutata, credo. La mente di Oscar era una vera e propria macchina, in quell’ istante. Stava soffrendo, tutto ciò che la psicoterapia tirava fuori dal suo inconscio la rendeva quasi inerme. In ogni caso, dopo una mezz’ ora buona di cammino e quando ormai era giunta nelle vicinanze del paesino sulle scogliere di granito rosa, finalmente riuscì a trovare un po' di quiete: uno dopo l’ altro i pensieri, eviscerati ed elaborati con fatica, avevano lasciato il posto ad uno stato di relativa, apparente calma. Decise, allora, di sedersi su di una panchina. Anche se il tempo non era dei migliori, non sentiva freddo; sopra i jeans che fasciavano le gambe, un maglione candido ed una giacca imbottita la tenevano al caldo.


E’ bello stare qui pensò,  osservando la gente del posto impegnata nelle faccende di tutti i giorni; madri con i figlioletti, una coppia di anziani mano nella mano, un furgoncino per le consegne.Respirò a pieni polmoni e sorrise, quasi appagata. Pensò che non aveva alcuna intenzione di rientrare tanto presto, così controllò di avere denaro nel portafoglio: dopo aver avvisato la reception della clinica indicando il luogo esatto in cui si trovava – clausola ben sottolineata e precisata nei moduli che aveva compilato – si sarebbe fermata a mangiare qualcosa e magari avrebbe comprato dei biscotti. Fatto ciò, rimase ancora un po' ferma ad osservare il via vai di Trégastel poi si avviò alla ricerca di un posto, accogliente e caldo, dove stare: la sua ricerca non durò molto.
Dopo alcuni passi, proprio oltre il parco cittadino, trovò un grazioso locale.
Senza nemmeno controllare l’orario vi si infilò dentro; venne accolta da una cameriera, gentilissima, la quale l’ avviso che il servizio per il pranzo sarebbe iniziato di li ad una mezz’ ora.  Non fa nulla aveva risposto Oscar, domandando  se per caso potessero servirle almeno una cioccolata calda senza zucchero né panna , ma forte e amara. La cameriera, una ragazza dui venti, forse venticinque anni al massimo annuì.
“Di solito nessuno la chiede prima delle tre del pomeriggio…stamattina siete già in due. Avete chiesto lo stesso tipo di cioccolata…” aggiunse poi.
Li per li Oscar non ci fece caso e ringraziò la donna; poi, nell’ attesa, tornò a guardare fuori dalla piccola finestra con le tende color verde bosco. Nel giro di cinque minuti la cioccolata fu servita.
“Ecco, per lei” disse la ragazza mettendo davanti agli occhi di Oscar una tazza finemente decorata con motivi floreali dalle sfumature blu cobalto.
“Grazie” rispose Oscar,  afferrando quella tazza e aspirandone forte il profumo quasi fosse ossigeno.

“André….”  mormorò tra sé.
Il profumo le aveva portato, all’ improvviso, alcuni ricordi.
Lei e Andrè , cresciuti, davanti al camino della casa di Arras, discutendo a  proposito di una versione di Cicerone…il loro primo bacio e poi, ancora, corse nella neve. Ancora Nanny. Ancora loro.

Mancava, Andrè.

Mancava molto. Troppo.

Oscar prese a bere la cioccolata,  assaporando con le labbra arse dal vento lacrime il cui gusto salato scendeva, in gola, andandosi a mischiare con il cacao amaro; quanto avrebbe voluto vederlo, sentirlo, averlo vicino.

Perché…perché era sparito anche lui? Perché si sentiva così sola, abbandonata a sé ?

D’ un tratto il telefono che teneva in borsa squillò.
Era sua madre.
“…buongiorno, Maman” rispose prontamente  Oscar dopo appena un paio di squilli.
“…Buongiorno, mia cara…come stai? Ho chiamato in clinica, mi hanno riferito che sei uscita…. Stai bene? “ domandò.
Oscar la tranquillizzò subito.
“Si, Maman. Tutto bene. Ho fatto la mia seduta e poi sono uscita a cercare un po' d’ aria….” rispose.
Con l’ indice della mano destra, quella libera, iniziò a percorrere la circonferenza della tazza, posata davanti a lei.
“Ne sono lieta. La dottoressa cosa dice? Ci sono novità?” domandò.
Oscar guardò fuori dalla finestra.
“… abbiamo approfondito alcune cose e… per quanto riguarda la mia memoria, lei dice che con un mix di farmaci antidepressivi e non… una buona terapia psicologica ed esercizi per allenare la memoria…potrei stare meglio presto. “ rispose, riportando le parole esatte. Madame Georgette sospirò e sorrise dall’ altro capo del telefono.
“Ne sono lieta. Senti, ci sarai domenica, dai Girodelle? Victor ti ha detto qualcosa?” chiese.
“Si, Victor me ne ha parlato e, al riguardo…ancora non saprei. Dipende da come andrà la settimana…” rispose: in realtà non aveva alcuna voglia di andarci.
Madame rimase a parlare con lei ancora un po', riferendole alcune notizie legate a conoscenti comuni, dicendo che la domenica successiva lei e il padre sarebbero passati a trovarla e si sarebbero poi fermati dai Girodelle; Oscar la ringraziò e, con una scusa, chiuse la telefonata, traendone quasi un sollievo.

Dopo aver appoggiato il telefono sul tavolo, infine, fissò l’ orologio da muro poco distante da lei.
Le dodici e trenta, quasi; il locale iniziava a riempirsi tanto di turisti quanto da persone del posto  e ,ben presto, tre camerieri iniziarono a girare tra i tavoli. Nel giro di dieci minuti  Oscar poté ordinare ciò che aveva adocchiato qualche attimo prima, ovvero un piatto di carne e patate accompagnato da semplice acqua , visto che i farmaci non le permettevano di bere alcolici; fu un buon pasto, un momento suo,  soprattutto un momento in cui tutti i pensieri scomparvero, lasciando posto ad una mente sgombra che le permise  di gustare, nel vero significato della parola, ogni istante.
Si fermò un’ ora ancora, dopo aver finito di mangiare.
Le piaceva oziare così, ascoltare voci , suoni, immaginarsi vite altrui: anche da piccola, quando con i genitori le capitava di fare lunghi viaggi in macchina, osservava le finestre delle case e  immaginava la vita delle persone che vi abitavano: un vizio mai perso, una piccola curiosità…ciò, in qualche modo,  la lasciava serena.
In seguito, dopo aver controllato l’ orologio, si alzò a pagare. Non vi era fila, quindi fece alla svelta; poi, ancora un poco con la testa tra le nuvole dei suoi pensieri si girò di scatto per uscire. Nel mentre, tuttavia, non si accorse di una persona: ci andò a sbattere contro, rovesciando per terra borsa, il portafoglio che teneva tra le mani. Con il capo chino si affrettò a raccogliere gli oggetti.
“Mi scusi, sono mortificata…” sia affrettò a dire senza nemmeno guardare in viso l’ interlocutore, allungando la mano per raccogliere i suoi averi ai quali si erano uniti una cartina geografica turistica ed un telefono cellulare.
“….Non fa niente, non si preoccupi ” si sentì rispondere.


Non può essere vero….
Oscar alzò lo sguardo.
“…Oscar!” esclamò Andrè, una faccia stravolta dalla mancanza di sonno, gli occhi lucidi, il fiato mozzato in gola.
La donna lo fissò, incredula, lasciando ricadere a terra quanto aveva raccolto.
“Andrè…sei davvero tu?” chiese.
L’ altro non rispose.
Allargò le braccia, la prese , la tirò a sé.
“Non pensavo di trovarti così presto” le borbottò in un orecchio, accarezzandole i capelli. Lei, incapace di dire qualsiasi parola, appoggiò il viso contro le spalle dell’ uomo: le emozioni la stavano sovrastando, pensieri e ricordi arrivarono, veloci come un treno in corsa.
“Vieni, andiamo via “ si sentì dire; poi, senza nemmeno rendersi conto , si trovò seduta in macchina, con Andrè accanto che le teneva la mano, sorridente.

Fuori, dal cielo iniziarono a scendere fiocchi di neve. 
   
 
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