Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: SilverKiria    20/05/2022    7 recensioni
Scorpius Hyperion Malfoy avrebbe dovuto stare alla larga da Lily Luna Potter.
Era nel corso degli eventi che le loro vite scorressero lontane l'una dall'altra.
Eppure, lui non riusciva a dimenticare la stretta della mano di quella bambina dai capelli rossi, e lei poteva fingere di odiarlo quanto voleva, ma a volte le sfuggiva un sorriso al pensiero delle storie buffe che le raccontava da piccola, in quel corridoio del San Mungo.
Lì, dove la loro storia era iniziata e le loro vite, come spesso accade, si erano unite indissolubilmente.
-
Dal Capitolo 1:
[...] D’un tratto si ritrovò al suo quarto anno, in preda ad emozioni contrastanti mentre la folla di Hogwarts lo guardava in cagnesco, dirigendosi verso un ammutolito Silente.
Le spille “Potter fai schifo” gli balzarono di nuovo in mente, così come gli insulti e la paura di non superare vivo le ardue prove verso le quali lo aveva spinto una persona sconosciuta.
Rispose alla muta domanda di chiarimento di Ron con la gola secca e un orribile presentimento.
«Credo che questo sarà un anno indimenticabile per i nostri figli, anzi ne sono assolutamente sicuro.»
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Malfoy, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, Lily Luna Potter, Scorpius Malfoy | Coppie: Draco/Astoria, Harry/Ginny, James Sirius/Dominique, Lily/Scorpius, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A






CAPITOLO 22

 
Ethan accellerò sempre di più il passo, trovandosi presto quasi a correre, le guance rigate da lacrime rabbiose che gli appannavano la vista, e che odiò con tutto sé stesso.
Iniziò a toglierle furiosamente dal viso, arrivando persino a graffiarsi il volto nella foga, ma ignorando il dolore che ne seguì.
Stava cercando qualsiasi cosa che lo tenesse ancorato al presente, che gli impedisse di farsi trascinare di nuovo a fondo dalle parole della gemella.

 
Non aveva neanche avuto bisogno di chiamarlo.
Si era solo avvicinata a lui quando Selene si era allontanata per salutare delle amiche Corvonero, e gli aveva pizzicato la guancia, come faceva sempre da piccoli.
Come non aveva fatto da anni.
E prima ancora che Ethan potesse riprendersi dalla sorpresa di quel gesto, prima che potesse anche solo ricordarsi che Zoe era fuoco vivo, veleno corrosivo, gas soffocante, lei era sparita.
Inghiottita nei meandri di Hogwarts, senza nemmeno una parola, senza voltarsi indietro.
Perché tanto Ethan l’avrebbe seguita, e lei lo sapeva.
Perché tanto lei lo sapeva, ed Ethan la detestò così profondamente da voler urlare, mentre veniva condotto in una delle aule vuote, illuminata solo dal chiarore della luna.
 
«Che cosa vuoi?» aveva domandato schietto, cercando di far cadere lo sguardo su tutto fuorché sul corpo esile della gemella, fasciato in un abito bianco, adorno di piccoli diamanti lungo la gonna.
Sembrava un abito da sposa, come quello che indossava Selene, ma il contrasto tra le due era talmente netto da squarciargli il cuore.
Selene un giorno avrebbe indossato un vero abito da sposa, sarebbe venuta da lui all’altare e gli avrebbe regalato una casa, per sempre.
Zoe un giorno avrebbe indossato un abito da sposa, ma lui non si sarebbe presentato, non l’avrebbe accompagnata all’altare, come si erano ripromessi tante volte.
Non l’avrebbe baciata sulla fronte, non avrebbe sorriso e pianto, nello splendore del suo amore.
Vedere Selene indossare il magnifico vestito che Astoria le aveva regalato aveva donato ad Ethan un barlume del futuro roseo che finalmente sembrava essere a portata di mano.
Vedere Zoe con quel vestito invece non fece altro che pugnalarlo al cuore, ricordandogli invece un futuro ormai perduto…ormai rubato.
«Parlarti. So che mi odi, lo so. Ma devi sapere una cosa, una cosa che ho taciuto a lungo, ma ora basta, ora non voglio più tenerla nascosta, perché so che potrebbe finalmente ridarci tutto ciò che se n’è andato…tutto ciò che ho portato via con me.»
La voce della Corvonero era flebile, appena un sussurro, ed Ethan si sorprese di quanto avesse davvero paura, di quanto cercasse come sempre di mantenere la calma.
Per la prima volta da tanto tempo, Ethan si accorse che in fondo anche lei aveva solo diciassette anni.
Cercò di non pensarci, cercò di preservare il gelo, di non dare a vedere quanto profondamente fosse stato scosso dalla vulnerabilità inattesa di lei.
«Ah sì? Che balla racconterai questo giro? Come pensi di salvarti la faccia questa volta?» la schernì lui, trasformando il disagio in veleno e sputandolo fuori come il vero Serpeverde che era.
Che aveva dovuto imparare ad essere, per salvare sé stesso, molto tempo fa.
Gli occhi azzurri di lei, identici a quelli di lui, diventarono lucidi, le labbra tremarono appena, ma Zoe fece un respiro profondo, prima di parlare, con voce ora più sicura.
Ed Ethan non era pronto a ciò che sentì.
 
Ethan si lasciò cadere contro un muro.
Non sapeva nemmeno lui dove si trovasse, forse sperava di non trovarsi da nessuna parte.
Non si era mai trovato in vita sua, e in quel momento si sentì più sperduto che mai.
Lasciò andare un urlo lancinante, roco, sofferente.
Le parole di Zoe gli rimbalzarono nella testa, confondendolo, dilaniandolo.
Gli aveva prospettato una via d’uscita, una porta lucente per tornare indietro nel tempo, per perdonarla, per essere di nuovo una famiglia.
Le aveva dato un capro espiatorio, le aveva confessato le sue paure, i suoi rimorsi, le sue colpe.
Ma Ethan non poteva crederle, no, mai.
Credere sarebbe sempre stato troppo pericoloso, così come lo era già stato in passato, e nulla avrebbe cambiato la realtà: Zoe non era più da molto tempo la bambina dolce e gentile che era stata parte di lui.
Zoe era un serpente velenoso, molto più di quanto lui avrebbe mai potuto fingere di essere.
Zoe li aveva distrutti, aveva giocato coi suoi sentimenti come fosse solo una facile preda.
Aveva giocato coi sentimenti di Scorpius, questo Ethan l’aveva sempre sospettato, e non gli era mai servito sapere quanto a fondo fossero andate le cose, per capire chi tra i due avesse vinto.
Chi tra i due avesse perso tutto.
Immagini distorte gli vorticarono in testa, sbattendo rumorosamente come uccelli in una gabbia, graffiandogli l’anima, togliendogli il respiro: un domani diverso, in cui davvero Zoe era buona, in cui lui avrebbe potuto perdonarla, riaverla con sé.
Un giorno lontano in cui avrebbe saputo come sarebbe stato accompagnare all’altare la sua metà.
Un secondo dopo però tutto svaniva, divorato ferocemente dalla realtà, da una tempesta di dolore che si stagliava all’orizzonte e l’avrebbe travolto, sarebbe annegato questa volta, ne era sicuro.
Se Zoe lo avesse di nuovo deluso, se lei si fosse rivelata solo un’avida manipolatrice, se l’avesse usato di nuovo, fino a stancarsi, fino a romperlo, fino ad abbandonarlo, solo, in una stanza, per sempre.
E come un uragano le emozioni sembrarono volerlo scuoiare, in una rapida successione di ottimismo e realismo, speranza e delusione, gioia e paura…amore e dolore.
 
«Ethan! Ethan ti prego guardami!»
Ethan sbarrò gli occhi di colpo, trovandone un paio di tenebra a pochi centrimenti dai suoi.
Non era però un buio che faceva paura come quello che si distende quando il sole sparisce, intrappola ogni cosa attorno a sé, e sembra che non finisca mai.
Non era il buio degli incubi, delle notti insonni, delle lenzuola zuppe di lacrime e delle urla trattenute a stento.
No, mai.
Quei due occhi scuri erano sempre stati il buio dei sospiri rubati mentre stringi a te il corpo bollente di chi ti ama.
Quei due occhi scuri erano sempre stati la porta ai sogni più belli: il profumo dei suoi capelli, il rumore del suo respiro, il calore della sua pelle, il ritmo del suo cuore.
Quei due occhi scuri avevano sempre conosciuto la timida promessa d’eternità che dimora in ogni notte d’amore, e da sette anni a quella parte avevano silenziosamente continuato a cullarlo, a faro respirare.
A dargli riparo dalle tempeste peggiori, in un porto sicuro, in un’oasi di pace.
Nell’unica casa che avesse mai avuto.
 
Ethan si lanciò tra le braccia di Selene, in un pianto senza lacrime, sussurrandole ciò che era successo tra i capelli scuri, mentre lei singhiozziava piano, tenendolo stretto affinché non volasse via.
Zoe aveva fatto solo la prima mossa, e già Selene si ritrovava a tenere assieme i pezzi appena assestati dell’uomo che amava.
La odiò più di quanto avrebbe creduto possibile odiare qualcuno, ma non lo diede a vedere.
Ora l’importante era Ethan, ora l’importante era che Ethan fosse tornato da lei, che fosse riuscita a strapparlo alle ombre della sua mente.
Ora l’importante era che Ethan fosse tornato da lei, e lei non avrebbe mai più permesso che si perdesse.
 
Quando finì di parlare, Ethan si ricompose, appoggiando la schiena sul muro e invitando Selene a sedersi tra le sue gambe.
Lei si rintanò tra le sue braccia, la testa appoggiata al petto di lui, giocando con la sua cravatta, senza dire nulla.
Non ce n’era bisogno, non in quel momento.
Il silenzio tra di loro valeva molto di più di quanto si potesse dire a parole, pensò Selene.
Ma si sbagliava.
Lo scoprì solo quando lui ruppe la quiete, alcuni secondi, e quella volta a piangere fu lei.
 
Quella volta, a socchiudere le porte della notte, fu lui.
 
 
«Io ti amo come non ho mai amato nessuno Selene. Ci sarà un giorno in cui ti vedrò con un vestito bianco camminare verso l’altare, raggiungendomi col sorriso in volto. Scorpius sarà accanto a me, mi stringerà la spalla e io cercherò di non crollare per il peso della felicità. Perché la felicità a volte sa pesare, soprattutto per chi non è abituato a portarla con sé. Io ti amo come non ho mai amato nessuno Selene, e ti giuro che fino a quel giorno, farò di tutto per ricordarmi quanto leggera possa essere la vita, con te al mio fianco. Così quando mi raggiungerai su quell’altare, io avrò paura di poter volare via con un soffio di vento, da quanto sarò leggero. Da quanto sarò felice. Da quanto sarò amato. E da quanto vorrò amarti per il resto della mia vita».
 
 
 
***
 
 
 

«Mamma, papà, vi presento Dimitri, un amico di Durmstrang».
Dimitri baciò prima la mano di Hermione e strinse poi quella di Ron, con un sorriso stampato in volto che non si incrinò nemmeno di fronte all’affettata smorfia esibita dal padre di Rose.
Ron in effetti continuava a pensare a come il bulgaro stesse poco prima dolcemente accarezzando la guancia della sua piccola, ma mentre questo pensiero provocò un sorriso carico di dolcezza in Hermione, nell’uomo ebbe un effetto più o meno piacevole quanto quello di una gastrite fulminante.
«E’ davvero un piacere conoscervi, Rose mi ha parlato molto di voi, ma devo ammettere che non ha reso giustizia alla sua bellezza, signora Weasley» disse Dimitri mentre, con orrore di Ron, appoggiò delicatamente la mano sul fianco di Rose, coperto da un vestito azzurro cielo.
«Oh ti prego, chiamami Hermione. Anche noi siamo felici di conoscerti, vero, Ron?» rispose la donna, mentre con nonchalance prendeva la mano del marito nella sua, e gliela stringeva leggermente, come implicito avvertimento di quanto non avrebbe permesso a nessuno di rovinare quella serata magica per la figlia, nemmeno a lui.
Specialmente a lui.
Ron si schiarì la voce, cercando dentro di sé l’energia per dire qualcosa di diverso da “Togli subito le mani dal corpo di mia figlia, prima che ti appenda all’albero di Natale più alto per le caviglie”; ma non appena incrociò lo sguardo esitante di Rose, sentì qualcosa dentro di sé sciogliersi.
Rose non l’aveva mai guardato così, o almeno non da tanto, tantissimo tempo.
Gli occhi chiari della rossa sembravano trasmettere una vulnerabilità commovente, unita ad una richiesta di fiducia e a qualcosa che, ne fu certo, lo sconvolse per la sua purezza: l’ebrezza del primo innamoramento.
Ron sentì di non aver mai visto sua figlia così fragile e forte allo stesso tempo, e gli ricordò come quando da piccola gli veniva a chiedere di controllare l’armadio in cerca di gnomi, temendo che l’avessero seguita dalla Tana.
Rose aveva da sempre avuto paura, se non apertamente disgusto, di quei mostriciattoli che continuavano da generazioni a vivere rumorosamente accanto alla Tana, cercando il modo per rubare loro le uova, le verdure nell’orto, i dolci messi a raffreddare sul davanzale, o semplicemente pretesti per far confusione.
Ron aveva da tempo addotto questa repulsione al bisogno di tenere tutto sotto controllo che la figlia aveva indubbiamente ereditato da Hermione, e guardarla mentre veniva a patti con la necessità di chiedere aiuto, pur cercando di mantenere un fiero senso di indipendenza, l’aveva immancabilmente commosso e gli aveva saputo scaldare il cuore più volte, nel corso della sua infanzia.
La memoria lo riportò indietro a quando Rose aveva sette anni.
Camminava piano per il corridioio verso la loro camera, e Ron sogghignava di nascosto, perché anche solo il rumore intermittente dei piccoli passi gli permetteva di immaginarsi quanto la figlia si stesse lambiccando per trovare il modo per far controllare il sopra citato armadio, senza passare per una fifona.
«Hugo sente dei rumori dal mio armadio. Io gli ho detto che è vuoto, ma non mi crede. Vieni a controllare papà? Ma non dirgli che te l’ho detto, sennò si arrabbia con me, perché era un segreto. Vieni a dirlo solo a me se è vuoto, poi ci parlo io».
Eppure.
Eppure in quel momento, Ron sentì che non era una bugia, che non stava cercando di proteggere il suo orgoglio, o la sua immagine.
Ron sentì che Rose stava proteggendo lui.
Teneva a lui, molto più di quanto Ron, e forse persino Hermione, avevano ipotizzato leggendo le missive di Hugo, e d’un tratto la rabbia svanì.
Rosie non voleva perdere Dimitri, come Ron a suo tempo non avrebbe mai voluto perdere Hermione.
Certo, si sarebbe potuta essere rivelare anche una cosa passeggera, ma Ron percepì chiaramente la limpida sicurezza e affetto che emanava Rosie in ogni suo gesto, in come accostava il corpo con naturalezza a quello di Dimitri e, forse ancora più difficile da ammettere, come anche Dimitri provasse lo stesso per lei.
L’ex-Grifondoro rivide in effetti il senso di protezione che a suo tempo aveva sempre avuto nei confronti di Hermione, dacché aveva capito che sarebbe sempre stata l’unica per lui, e forse anche prima.
Mentre guardava velocemente la moglie poi, una punta di senso di colpa gli fece comprendere a fondo come proprio in ragione degli eventi appena trascorsi, di tutto ciò che aveva rischiato di perdere, avesse ora il dovere di non essere lui la causa del dispiacere di Rosie.
Forse Rosie avrebbe prima o poi avuto il cuore spezzato, ma Ron non ne sarebbe mai stato il colpevole, nemmeno lontanamente.
Ron si era ripromesso diciassette anni prima che sarebbe sempre e solo stato colui che, se necessario, avrebbe rimesso assieme i pezzi.
 
«Assolutamente, molto contenti di conoscerti. Sappiamo che anche tu sei il primo della classe a quanto pare, devo ammettere che un po’ mi sento circondato da geni ora! Hai già qualche idea per cosa fare quando ti diplomerai a Durmstrang?»
 
Il sorriso che si aprì sul volto di Hermione e Dimitri fu enorme.
Il bulgaro cominciò subito ad esporre entusiasta le opportunità di stage nel mondo scientifico magico in Europa, provocando un sincero interesse da parte di Ron, e dando il via ad una conversazione così naturale da far impallidire anche i sogni più temerari di Hermione.
Ciononostante, il sorriso più grande di tutti fu quello di Rose, nel vedere quello che ormai era quasi il suo ragazzo ridere e scherzare con suo padre,  e gli occhi le si illuminarono di una gioia pura e incontenibile.
 
Hermione fu certa di non averla mai vista sorridere così.
E Ron fu certo di non averla mai vista così bella in tutta la sua vita.
 
 
***
 
 


«Molly cara, è pronta la cena!»
Arthur Weasley rimirò estasiato lo stufato ai cinque sapori che sobbolliva placido sul fuoco.
Sotto gli occhi vigili e preoccupati di tutta la famiglia, quasi fin troppo preoccupati secondo lui, Arthur Weasley aveva deciso di imparare a cucinare.
La decisione era stata presa tre anni prima, al compimento dei settant’anni, quando, ormai in pensione ma non privo di energie, Arthur aveva scioccato sia la moglie che figli e nipoti, con la sorprendente richiesta di insegnargli l’arte dei fornelli.
Molly all’inizio si era solidamente opposta, dando per scontato che la cucina non fosse luogo per un maldestro combinaguai, tenero certo, ma pur sempre combinaguai, come lui.
Gli occhiali da vista del signor Weasley avevano dovuto subire potenziamenti negli anni, ormai aveva un orecchio sempre più vicino alla sordità, ma per il resto Arthur protestava che nulla fosse cambiato, e che anzi la pensione gli avesse riacceso lo spirito di curiosità che l’aveva sempre contraddistinto.
Molly aveva capitolato solo quando il marito aveva minacciato di chiedere aiuto ad Hermione ed Harry e imparare a cucinare “alla babbana”, temendo già l’amputamento di un dito nel maneggiare da sé i coltelli affilati della sua cucina.
E così, con (poca) pazienza e molta attenzione, Molly aveva accolto il marito nel suo regno.
Partendo dalle basi fino ad arrivare ad incantesimi e ricette più complesse, Molly gli aveva insegnato molto di ciò che sapeva e di certo non erano mancate le occasioni per creare aneddoti divertenti da condividere con il resto della famiglia.
Alla Tana in effetti ancora si narrava del fallimento dell’uovo bollito del 2020, quando l’uovo sparì misteriosamente dal pentolino, per poi riapparire malauguratamente sotto il cuscino della sedia dove Arthur si era seduto poco dopo.
Di tanto in tanto Molly era stata aiutata nel ruolo di insegnante da Roxanne, specialmente dopo il suo ingresso nell’Accademia di Cucina Magica, permettendo così all’uomo di avere una scusa per ritagliarsi un po’ di tempo nella vita dei nipoti ormai adulti, sempre più indaffarati.
 
Il settantatrenne dai capelli bianchi e radi si sistemò meglio gli occhiali in volto, versando del vino rosso in entrambi i bicchieri nell’attesa, ma vedendo che la moglie continuava a non scendere, decise di andare ad indagare.
Arthur salì le tre rampe storte di scale della Tana, saltando senza pensare i gradini inclinati che, nonostante i molteplici tentativi di Weasley molto abili con la magia, persistevano testardamente nel rimanere tali, tornando alla loro precedente stortezza durante la notte.
Un enorme gattone rosso scuro, soprannominato da tutti Grattastinchi II, lo accolse al secondo piano facendo le fusa, ed Arthur gli accarezzò la testa.
Il felino si stiracchiò placidamente e incuriosito decise di seguire l’uomo su per le scale.
Arrivato finalmente alla porta della stanza più grande della casa, Arthur bussò piano alla porta.
«Molly cara, è pronta la cena. Scusa il ritardo, ho dovuto ritagliare le cipolle e le carote per il soffritto, perché le ho inavvertitamente ridotte in polvere, invece che a dadini».
Molly era sdraiata sul letto, con gli occhi umidi e Arthur accorse immediatamente, temendo che la moglie si sentisse male.
«Molly! Tutto bene?» le chiese agitato, mentre Grattastinchi II balzava sul letto matrimoniale e si accocolava diligentemente sulle gambe della donna, facendo le fusa.
«Oh sì, caro, scusa…è che…guarda…» balbettò lei, mostrandogli ciò che aveva tra le mani e di cui il marito si accorse solo in quel momento.
Presto anche i suoi occhi divennero lucidi, mentre un sorriso enorme gli si stampò sul volto.
«Sono arrivate le foto di Teddy e Vic eh?»
Molly annuì, mostrandogli le fotografie che aveva in mano, accarezzando con particolare affetto quella dei due sposini all’altare, di fronte all’amato patriarca della famiglia Weasley, sorridente e intento a celebrare la cerimonia.
Arthur prese in mano l’album di famiglia che Molly stava sfogliando cercando dove mettere le nuove foto, e si accorse che la rossa stava guardando le altre foto dei matrimoni, celebrati nel corso degli anni.
In quelle pagine in particolare si stagliavano le foto dei figli Weasley minori.
Ron ed Hermione si muovevano al ritmo di un lento in modo molto imbarazzante, date le maldestre capacità da ballerino di Ron, ma Arthur pensò che fossero bellissimi, mentre ridevano stringendosi l’uno all’altra, Hermione nel suo abito aderente e romantico, cercando di non perdere i fiori “velo da sposa” che le erano stati intrecciati tra i capelli.
Ron la guardava ridere, profondamente innamorato, incommensurabilmente felice.
Molly sospirò, sussurrando con voce rotta «Sono così sollevata che abbiano fatto pace. Arthur, non so se ce l’avrei fatta a vederli separati. Sono sempre stati insieme, si sono sempre presi cura l’uno dell’altra».
Arthur la baciò delicatamente sulla testa, felice anche lui dell’enigmatico “Stanno bene, è tutto risolto” che Bill aveva detto con un sorriso discreto in volto, ma sereno, qualche giorno prima.
E nonostante le insistenze e rimostranze di Molly, il loro primogenito era stato fermo nel non voler condividere con loro altri dettagli, arrivando anzi a redarguire la madre dal chiedere loro qualsiasi cosa così da lasciare loro la libertà di scegliere a tempo debito se e cosa condividere.
«Lo so, lo so. Vedrai che staranno bene. Staranno tutti bene.» mormorò Arthur, girando il velo della pagina successiva e unendosi alla risata leggera di Molly.
Nella foto Ginny camminava nervosamente avanti e indietro, visibilmente infuriata, lasciando svolazzare il vestito da sposa sotto di lei, mentre un’energica Hermione tentava di farla calmare.
«George fece questa foto prima che Ginny lo cacciasse a suon di fatture dalla stanza. Se non ricordo male, qualcuno si era dimenticato di farle recapitare il bouquet, ed eravamo già in ritardo di mezz’ora».
«Temo che quel qualcuno fosse Ron. Se non sbaglio, Harry era invece molto divertito nel vederlo cercare di togliersi le enorme orecchie da coniglio e la, ehm, coda, che Ginny gli aveva fatto crescere quando lo aveva saputo» spiegò Arthur, facendo ridere ancora più forte Molly.
Arthur ricordò poi come fosse stato proprio Harry a trovare la soluzione: si era presentato in camera di Ginny, con iniziale disappunto di Hermione e Fleur per aver visto la sposa prima della cerimonia, con in mano una semplice ghirlanda di margherite colte dal campo della Tana.
Erano così riusciti a smaterializzarsi tutti verso il parco di ciliegi in fiore dove si sarebbe svolto il matrimonio, e la foto successiva ritraeva proprio Harry che prendeva in braccio Ginny, entrambi ebbri e pieni di amore, come solo due ventenni sanno essere.
E sperava sarebbero rimasti quei due ventenni per sempre.
 
«Su Ginny ed Harry non ho proprio alcun dubbio, sai Arthur? Ginny è sempre stata una forza della natura, e ha bisogno di Harry, della sua quiete, della sua temperanza, della sua dolcezza. Ed Harry ha altrettanto bisogno della vitalità di Ginny, della sua energia. No, no, posso giurarlo anche qui ed ora. Loro non avranno mai problemi gravi, ne sono sicura».
Arthur baciò la moglie sulle labbra, annuendo, per poi scendere assieme a godersi la cenetta fatta in casa.
Mentre scendeva le scale, Arthur si sentì di concordare con la moglie, nel pensare a Ginny ed Harry.
 
Sì, senza dubbio. Nonostante tutto, sarebbero rimasti sempre quei due ventenni innamorati.
 
 
***
 

 
 

Harry porse a Ginny un flut di idromele, di ritorno dalla zona bar, dove aveva appena finito di salutare alcuni colleghi e Capo Dipartimento inglesi e stranieri.
Ginny aveva preferito restare seduta ad aspettarlo, con la scusa di godersi meglio la vista delle danze, ma entrambi sapevano il reale motivo fosse rimanere il più possibile distanti.
«Tutto bene?» domandò distrattamente la rossa, ringraziandolo per il drink e di fatto guardandolo a malapena.
Harry rispose di sì, accenando a raccontarle ciò che avevano detto, ma rinunciando quasi subito, vedendo il palese disinteresse della moglie.
Ginny stava guardando con attenzione lo scambio di battute tra Ron, Hermione, Rose e Dimitri, e si lasciò andare ad un timido sorriso, notando come Ron stesse di fatto mostrando la parte migliore di sé, con molta sincerità e piacere.
«Sono felice che abbiano fatto pace, nonostante il mio intervento…» sospirò Ginny, ma prima che Harry potesse controbattere, la moglie si voltò di scatto, appoggiò il bicchiere sul tavolo e gli prese le mani nelle sue.
Stava tremando, notò Harry, col cuore spezzato.
Gli occhi nocciola di lei però sembrarono d’un tratto riscaldarsi, come un fuoco sopito che rinasce dalle ceneri.
«No, fai parlare me. Questi giorni di silenzio sono stati una tortura, all’inizio ero solo fuoriosa con te, per quello che hai detto, per come…per come mi hai guardata. Per la prima volta da che io mi ricordi ho iniziato a temere che ti saresti stancato di me, e francamente non capivo cosa pretendessi, cosa ci fosse di così sbagliato nel cercare di aiutare mio fratello e la mia migliore amica. Mi sono sentita ferita a morte e sono arrivata a pensare che presto mi avresti…ne avresti avuto abbastanza».
«Ginny, ti prego-» iniziò Harry, il cuore colmo di dolore nel sentirla così sofferente, ma lei lo fermò di nuovo con un cenno del capo.
«Lasciami finire Harry, è importante. Pensavo fosse tutta un’ingiustizia, ma coi giorni ho cominciato a riflettere e…e hai ragione. Ho sempre pensato che il miglior modo di agire fosse l’agire stesso, ma non è vero. A volte è necessario prendersi tempo, aspettare, lasciare che le cose si sistemino da sole. Non so, forse crescendo con sei fratelli il tempo mi è sempre sembrato solo un miraggio-» continuò la rossa, accennando un sorriso «-ma ho capito che adesso di tempo ne abbiamo. Ho capito che alla nostra età, per quanto suoni disgustosamente da vecchi dire “alla nostra età”-» e allora a sorridere divertito fu Harry «- è importante meditare sulle cose. Insomma, se un mese fa fossi subito corsa ad Hogwarts in aiuto di Lily ed Albus, forse non avrebbero avuto modo di chiarirsi da soli, e anzi, come hai giustamente fatto notare, avrei addirittura potuto peggiorare le cose. Quello che voglio dire è…»
Ginny si avvicinò ad Harry, lasciando solo pochi centimetri di distanza tra i loro volti, e guardando dritto nei suoi occhi verdi, la sua casa, il suo posto preferito al mondo.
«Mi dispiace Harry, mi dispiace davvero, io spero che tu-».
Harry non le permise nemmeno di concludere la frase, stringendola tra le sue braccia e baciandole dolcemente la fronte.
Lasciando che si nascondesse dal mondo e scoppiasse in un pianto silenzioso ricco di emozioni contrastanti, pregno dell’ansia finalmente libera dei giorni passati, ma soprattutto colmo d’amore.
«Scusami tu Ginny. Sebbene io continui a pensare tutto ciò che ho detto, e sia immensamente fiero del grande passo avanti che hai fatto, che abbiamo fatto oggi, ammetto che devo smetterla di pensare a me, Ron ed Hermione come ad un trio intoccabile. Voglio dire, forse un po’ rimarremo sempre il trio che siamo stati, ma siamo diventati ormai molto altro. Siamo una famiglia, tutti. Ci prendiamo cura l’uno dell’altro, ed è proprio per questo che abbiamo lottato, per questo futuro, per questa famiglia. Tu non eri con noi durante la ricerca degli Horcrux, ma ciò non significa che tu non sia con noi ora, ogni giorno, di ogni minuto. Ciò non significa che tu non sia con me, sempre».
Le sussurrò piano ogni parola, e dall’esterno nessuno avrebbe potuto sospettare di cosa stesse succedendo, ma dentro quell’abbraccio si schiuse un nuovo mondo.
Quando Ginny riemerse, il trucco leggermente colato che Harry si affrettò a pulire con la manica, i due si misero entrambi a ridere, di quanto fossero sciocchi, di quanto fossero cresciuti e allo stesso tempo di quanto fossero ancora solo due ragazzi in cerca l’uno dell’altro.
 
«Ti amo, Ginny Weasley. Ogni giorno di più. Non dimenticarlo mai.»
«Pensi davvero che potrei mai dimenticarlo? Ti amo anche io Harry Potter, e ora portami subito a ballare».
 
Tra le risate che li circondarono, gli applausi di Ron ed Hermione, le urla di Albus e tutto il resto della famiglia, perfino il sorriso della McGranitt e Hagrid, qualcuno avrebbe ricordato in futuro come  Harry Potter e Ginevra Weasley quella sera sembrassero proprio una coppia di ventenni innamorati.
 
 
***
 
 



Era seduta in mezzo alla stanza, i capelli sciolti attorno al volto coperto di lacrime, il vestito bianco che la faceva sembrare una sposa lasciata all’altare.
Scorpius si avvicinò senza nemmeno riflettere, con la sensazione di star per cadere in un buco nero, ma di essere ormai andato oltre il punto di non ritorno.
Zoe alzò lo sguardo, gli occhi per un secondo illuminati dalla sorpresa nel vederlo lì, dopo tutti quegli anni.
Nel vederlo preoccuparsi per lei, dopo ciò che gli aveva fatto.
Il Serpeverde immaginò che l’avrebbe chiamato a sé, che si sarebbe gettata tra le sue braccia, ma con sua immenso stupore, quando fece per avvicinarsi a lei, la Corvonero si ritrasse verso il muro, lontano da lui, incapace di guardarlo negli occhi.
Il volto nascosto tra le ginocchia impedì alle parole di uscire con molta foga, ma Scorpius si sentì pugnalato peggio che se fossero state grida.
«Va’ via Scorpius. Subito».
E lui avrebbe dovuto farlo, avrebbe dovuto cogliere al volo l’occasione che Zoe gli porgeva su un piatto d’argento.
Sarebbe dovuto correre da Lily, porre fine a quella follia, a quel mondo distorto in cui si trovava e che sembrava ormai anni luce lontano dal pomeriggio nella radura ad Hogsmeade.
Avrebbe dovuto porre fine a quella follia, tornando a ricordare che sapore avevano le labbra di fuoco vivo di Lily e lasciarsi ardere di felicità.
Quel giorno però era lontano, perduto, forse per sempre.
Quello Scorpius non era più lì, e le sue braccia circondavano ora il corpo esile e singhiozzante di una ragazza vestita da sposa e con una chioma color della notte.
 
«Dimmi ciò che hai detto ad Ethan. Dimmi la verità Zoe, per una volta nella tua vita, dimmi la verità».
E lei lo fece, rispose alla sua richiesta calma con parole appena udibili, quasi fossero portare sulle ali di una brezza invisibile.
Scorpius sentì gli occhi diventare lucidi, ma non versò nemmeno una lacrima.
Forse, pensò anni dopo quella sera, in quel momento fu semplicemente stanco di sentirsi vittima del passato.
Forse, pensò molto tempo dopo quella notte, decise che non avrebbe più sofferto immerso nei ricordi.
Forse, pensò quando le prese il viso tra le mani e unì con dolcezza le labbra alle sue, interrompendo il suo discorso, si disse che in fondo, le lacrime di Zoe avevano pagato il prezzo per entrambi.
Si disse che il tempo delle lacrime era finito, perché quel bacio sapeva solo di un agognato perdono e della pace per cui aveva a lungo pregato.
In quell’istante, sembrò abbastanza.
In quell’istante, sembrò tutto.
 
 
«Quando mia madre morì, caddi in depressione. Smisi di mangiare, ma né Ethan né voi vi accorgeste di nulla, e in fondo come avreste potuto? Eravamo distrutti dal dolore e…e avevamo solo dodici anni. Finché un giorno, mentre Ethan era a casa tua durante le vacanze estive io…io tentai il suicidio. Non so se all’epoca volessi davvero morire, se mi rendessi conto di cosa volesse dire smettere di vivere…forse volevo solo smettere di soffrire»
 
«Presi in un colpo solo tutti i farmaci che erano rimasti nel comodino di mia madre: morfina, antindolorifici, antispastici, antidepressivi, non so nemmeno io cos’altro. Mio padre mi trovò per pura fortuna, rientrando a casa mezz’ora prima del previsto. Disse che sentiva che qualcosa non andava. Mi portò urgentemente al San Mungo, mi salvarano per un pelo. Fu allora che decise che sarei dovuta andare via, che casa nostra era piena di troppi ricordi dolorosi, ma non volle che Ethan sapesse le mie reali condizioni di salute, temeva che avrebbe finito col…col perderci entrambi.»
 
«Prese i contatti con la migliore clinica di supporto per traumi infantili in Germania, e nel giro di una notte sparii. Sinceramente, non ricordo granché di quel periodo, non credo di aver protestato, di aver chiesto di Ethan o di te. A dirla tutta, non credo di aver parlato per mesi, a nessuno. Ci è voluto un anno di psicoterapia quotidiana per farmi tornare presente a me stessa, ma ogni tanto capitavano ricadute, e per questo mio padre non si fidò mai a farmi tornare, né a far venire Ethan da me. Voleva proteggerci. Quando io e te riprendemmo a scriverci Scorp…fu allora che ripresi a respirare davvero. All’epoca ero già tornata a frequentare con regolarità la scuola, ma fu solo quando decisi di scriverti che mi sentii di nuovo me stessa…sentii di poter essere di nuovo completa. Poi venisti a trovarmi, ci baciammo, e continuammo col nostro piccolo segreto. Pensavo che presto si sarebbe tutto sistemato, che sarei tornata a tutti gli effetti me stessa, avrei avuto la forza di rivedere anche Ethan, e saremmo stati di nuovo la famiglia che avremmo dovuto essere. Ma quella notte a Berlino…la nostra notte a Berlino…cambiò tutto. Fu il momento più bello della mia vita, e ne fui terrorizzata. Scoprii che non riuscivo ancora a lasciarmi andare, ad amare così profondamente perché avevo già perso il più grande amore che ognuno ha nella vita, non avrei…non sarei mai riuscita a sopravvivere, se avessi perso anche te. Tu pensi che sia scappata, pensi che ti abbia abbandonato, e hai tutte le ragioni per pensarlo. Ma ti sbagli. In questo ultimo anno non ho fatto che prepararmi al ritorno ad Hogwarts, a pensare a come farmi perdonare da Ethan…a pensare a come farti capire quanto io sia perdutamente innamorata di te».
 
«Non ti ho mai detto la verità perché sapevo che l’avresti detto ad Ethan, ma lui non l’avrebbe accettata, non subito. E forse perché credevo che nemmeno tu fossi ancora pronto per comprenderla. Temevo che avreste litigato per me, che si sarebbe creata una frattura, perché dio solo sa quanto Ethan ami gli ultimatum. O lei o me. O il tuo migliore amico o la ragazza che ami. Ma non entrambi, mai entrambi. E non potevo sopportare l’idea che tu scegliessi me, che lasciassi Ethan per me. Non…»
 
«Non avrei mai lasciato che Ethan rimanesse solo, come lo sono stata io in tutti questi anni. Non avrei mai rischiato che Ethan perdesse te o Selene, perché so cosa vuol dire, e nonostante tutto, io ho sempre e solo voluto proteggerlo…lui è e rimarrà per sempre la parte migliore di me, anche se non vorrà mai più vedermi, se non mi perdonerà, se…se lasciarmi andare dovesse renderlo felice, sarò felice di soffrire per entrambi. Non è stata solo colpa mia, Scorpius, non ho mai voluto ferirvi. Io…io volevo solo-».
 
 
Scorpius pensò di aver aspettato tutta la vita quel bacio.
E forse per un po’, riuscì persino a convincersi che ne fosse valsa la pena.
 
 
***
 
 



Il ticchettio dei tacchi sul pavimento sembrò inondarle la mente così incredibilmente vuota, in quel momento.
Anzi, quasi vuota.
Di fatto, come in un cinema con il proiettore rotto, nella sua testa continuava a balenare ininterrottamente una sola immagine, e più questa le invadeva il cuore, più le sembrava difficile respirare.
Più il ricordo di Scorpius che si chinava dolcemente su Zoe e la baciava con amore le annebbiava la mente, più desiderò di poter affogare nelle lacrime sileziose che le stavano scorrendo sulle guance.
Lily si ritrovò a vagare senza meta, desiderosa di sparire, perché non osava nemmeno pensare che prima o poi avrebbe dovuto rivedere qualcuno e spiegare cosa fosse successo.
Cosa avesse visto.
Si sentì persa, incapace di comprendere come i mesi precedenti, ogni piccolo passo verso Scorpius, ogni secondo in cui si erano avvicinati, fino addirittura a baciarsi, fosse stato alla fine completamente vano.
E con incredibile razionalità, nonostante le emozioni che si affannavano dolorosamente dentro di lei in quel momento, riuscì comunque ad ammettere senza riserve con sé stessa che lui non avesse scelto Zoe perché era più bella di lei, più intelligente di lei, o chissà cos’altro.
Scorpius aveva scelto Zoe perché in fondo si erano già scelti molto tempo prima, in un passato doloroso di cui lei non faceva parte e del quale non avrebbe mai saputo nulla.
Scorpius si era innamorato di Zoe prima ancora che Lily fosse in grado di capire il segreto che covava nel cuore.
Persa nei suoi pensieri, le lacrime ormai finite, Lily si riscosse sopresa quando sentì una mano afferarle la spalla, e cercò di nascondere la delusione, perfino a sé stessa, quando capì dalla voce chi l’avesse trovata.
Quando capì che non era stato lui a cercarla.
 
«Lily».
Lo sguardo di Emmett era carico di preoccupazione, e Lily si sentì mortalmente in colpa per averlo lasciato solo.
Non sarebbe mai dovuta correre dietro a Scorpius, non avrebbe mai dovuto abbandonare Emmett e la Sala Grande.
Non avrebbe mai dovuto permettersi di sperare che le cose alla fine sarebbero andate come voleva.
A quindici anni Lily Luna Potter smise di credere nei lieto fine.
O almeno, smise di credere che ce ne fosse uno destinato anche a lei.
Non tutti potevano essere innamorati e perennemente felici come i suoi genitori, come i suoi zii, come Rose e Dimitri, Selene ed Ethan, Sophie ed Albus.
Non tutti potevano sapere cosa si provasse a trovare la persona che vuol dire casa, e non sapere cosa significhi vederla scivolare via come sabbia tra le dita.
Sentirsi scivolare via, come sabbia tra le dita.
Si asciugò velocemente il viso, cercando inutilmente di nascondere i segni del pianto, e abbozzando un sorriso.
«Hey, scusa…io non sarei dovuta andare via, è…praticamente è successo che…»
«Basta.»
Lily si zittì, sorpresa dalla severità che ora traspariva dal bulgaro, e forse un po’ spaventata dallo sguardo duro che le rivolgeva.
«Emmett, io…» iniziò lei, ma lui la fermò ancora una volta, prendendole le mani nelle sue, e sospirò profondamente, prima di parlare.
La Grifondoro capì che la dolcezza che l’aveva sempre contraddistinto si era ora caricata di una determinazione nuova, di una forza che riconobbe e le fece battere il cuore più veloce, perché d’un tratto seppe già cosa Emmett le avrebbe detto.
Dopotutto, da quindici anni a quella parte aveva sempre visto quello sguardo deciso e carico d’affetto negli occhi di suo padre e dei suoi fratelli, quando era stato tempo di essere spietati nel dire la verità, pur di proteggerla.
Quando era stato il momento di attaccare, per difenderla.
Quando James l’aveva affrontata prima della Prima Prova, mettendola di fronte ai suoi sbagli, alla sua delusione, pur di salvare il suo rapporto con Al.
Quando durante la loro intervista Albus aveva voluto farle sapere che si era reso conto che qualcosa nella vita della sua sorellina non andasse, che Lily stava soffrendo, e lui sarebbe sempre stato pronto a prenderla, se fosse mai caduta.
 
«Non devi chiedermi scusa e non devi inventare bugie. Sono due mesi che ci vediamo quasi quotidianamente, e ogni giorno mi soprendi sempre di più. Sei una delle persone più forti che io conosca, Lily. Ma anche le persone forti hanno bisogno di qualcuno che si prenda cura di loro. Io…io so che forse non sono chi vorresti al tuo fianco, ma so che potrei sorprenderti anche io».
 
Emmett le accarezzò la guancia con un dito e Lily chiuse gli occhi, col fiato sospeso.
 
 
«Potrei renderti felice…dammi la possibilità di renderti felice».
 
 
***
 
 


Quando la professoressa McGranitt salì sul palco, la Sala Grande esplose in un applauso diffuso, complice forse il Vino Elfico che era stato distribuito in quel momento per fare un ultimo brindisi.
Ovviamente, la Preside era stata chiara sul fatto che solo agli studenti maggiorenni fosse concesso tale onore, mentre gli altri dovettero accontentarsi di un ultimo boccale di Burrobirra.
Una volta che l’applauso si concluse, la donna ringraziò con un ampio sorriso, alzando il flut che aveva tra le mani e preparandosi per i saluti.
«Sono molto felice del successo che il Ballo del Ceppo ha riscosso stasera, sia tra gli studenti di Hogwarts-» e qui si fermò per dare il tempo ad un divertito coro inneggiante Hogwarts e un tripudio di fischi di placarsi «-che dei nostri ospiti, le Scuole di Durmstrang e Beauxbatons» e fu allora il momento per tutti di applaudire calorosamente, in saluto alle Scuole straniere.
«Vorrei anche ringraziare le autorità del Ministero della Magia inglese, nonché dei Ministeri esteri, per essere giunti qui numerose, su mio invito. Altrettanto vale per lo staff esterno, che ci ha aiutato per far sì che la Prima Prova potesse essere un successo, e continuerà ad aiutarci nel progettare le prossime Prove. Un saluto particolare al Dr. Malfoy, Primago dell’Ospedale San Mungo,-» e qui un ondata di clamore giunse in particolare dai ranghi Serpeverde, anche se con sorpresa della professoressa McGrannit, Draco Malfoy sembrò essere sparito senza avvertire nessuno.
« Porgo un sentito ringraziamento anche ad Hermione Granger, capo del Dipartimento per il Controllo delle Creature Magiche» e stavolta fu il turno della rappresentanza Grifondoro a suggellare con urla di clamore il viso rosso e il sorriso imbarazzato di Hermione, mentre Albus faceva di tutto per aizzare ancor più l’applauso, e Rose e Hugo cercavano di non morire dalle risate, alla vista di come Ron tentasse con tutte le sue forze di far alzare Hermione dal tavolo per ricevere le lodi e il giubilo che si meritava.
«Vorrei infine ringraziare il Capo Auror del Ministero della Magia, Harry Potter.»
A questo punto, l’intera Sala Grande eruppe in un applauso sincero, carico di gratitudine per molto più di quanto le parole avrebbero mai potuto esprimere, nonché di un rispetto che poche altre persone avrebbero saputo meritare in maniera così sincera.
Harry si alzò e fece un rapido sorriso di ringraziamento, mentre Ginny, Hermione e Ron al suo fianco iniziarono a fischiare, divertendosi come non facevano da tempo, tornando forse i diciassettenni spensierati che non avevano potuto essere.
La professoressa McGranitt porse gli ultimi saluti alle delegazioni estere, e poco dopo la band fu invitata a suonare l’ultimo canzone della serata, di modo da dare il tempo alle coppie di godersi la dolce conclusione di quella serata magica.
Le note di All I want stavano ancora risuonando nella Sala Grande, quando un paio di occhi grigi temporale si posarono sul sorriso di una ragazza dai capelli color rubino che teneva timidamente il tempo, appoggiata al muro vicino all’uscita.
All I want accompagnò Scorpius Malfoy mentre si avviò verso Lily Luna Potter, e il tempo parve fermarsi attorno a lui quando lei si voltò, e il suo cuore perse un colpo.
 
 
«Lily…»
Non lo stava guardando in volto e lui forse ne fu un po’ grato, ma si sentì anche profondamente vigliacco, perché aveva visto come gli occhi di lei avevano tentennato nel riconoscerlo, e non aveva mancato di notare quanto stesse stringendo convulsamente il bicchiere di Burrobirra, quasi fosse una naufraga di fronte ad uno scoglio.
Quasi sapesse che a momenti sarebbe arrivata un’onda troppo grossa, e fosse sicura che l’avrebbe portata via con sé.
E fosse sicura che non sarebbe riuscita a nuotare, se solo avesse guardato dritto di fronte a sé, in quegli occhi grigi che un tempo aveva amato, e che ora portavano solo tempesta.
«Non devi dirmi niente Malfoy. E’ tutto perfettamente chiaro, non ti preoccupare. Non sono stupida, spero che almeno su questo tu non abbia dubbi».
Stava cercando di darsi un tono, di non crollare, Scorpius lo sapeva, ma la serietà e il distacco con cui impresse ogni parola lo ferirono comunque come una stillettata al cuore.
L’aveva chiamato Malfoy, e lui pensò di non aver mai odiato così tanto il suo cognome.
Di non aver mai odiato così tanto sé stesso, per essersi permesso di aver rovinato tutto.
«No, non lo sei. Ma devo comunque spiegarti che…»
«Non serve, te l’ho detto. Io…io ho capito.»
Scorpius vide che Lily aveva spostato lo sguardo verso un punto lontano, e lo seguì, constantando con orrore come si fosse fermato sulla figura di Zoe, intenta a chiacchierare con delle amiche di Corvonero.
Gli occhi di lei diventatarono lucidi e le labbra screpolate che aveva tanto sognato iniziarono a tremare impercettibilmente, quasi non volessero farsi scappare un segreto troppo doloroso per essere detto ad alta voce.
Quasi non volessero urlare di dolore, perché sebbene lui non sapesse come, lei aveva davvero capito.
Lei aveva capito di averlo perso e lui si accorse di aver perso lei.
 
Scorpius si voltò, incapace di guardarla oltre, quasi fosse diventata davvero una stella incandescente, e la sua luce lo stesse spingendo verso la follia.
Lily l’aveva bruciato dentro, ma era stato lui ad accendere la miccia, lui a spingerla sul rogo.
Era stato lui ad averla ferita scegliendo il passato al posto del futuro, senza nemmeno comprendere fino in fondo cosa lo avesse spinto a farlo o perché sentisse che fosse ormai troppo tardi per tornare indietro.
Perché sentisse che sarebbe stato troppo pericoloso lasciare spazio ai ripensamenti, arrivati a quel punto.
 
Scorpius aveva scelto, ma non riuscì a non chiedersi cosa sarebbe successo, se prima di entrare in Sala Grande avesse fatto quel passo verso di lei.
Se il mondo avesse concesso loro un altro istante di lucidità per trovare il coraggio di andarsi incontro, di smettere di fingere che il resto fosse importante, di smettere di mentire a sé stessi pensando che qualcosa sarebbe stato mai davvero importante, fintanto che non avessero avuto l’uno la mano dell’altra da stringere, durante l’ultimo ritornello di All I want.
E stava per chiederlo a Lily, stava per domandarle se anche per lei sembrasse tutto andare troppo veloce; se anche lei pensava che prima di entrare in Sala Grande si sarebbero dovuti stringere e non lasciarsi più andare, prima che il mondo cambiasse le carte in tavola e ogni cosa perdesse di significato.
Voleva urlarle di dirgli che c’era ancora possibilità di tornare indietro, di andare avanti, avanti con lei che non lo odiava, e con lui, che forse doveva imparare a smettere di odiare sé stesso, e lasciare che fosse lei a fargli vedere davvero cosa volesse dire avere qualcuno da amare.
E capire che sarebbe stata lei a renderlo felice, come nessun’altra avrebbe mai potuto fare ormai.
 
Stava per chiederle tutto questo, ma sentì la sua voce dire qualcos’altro, e seppe di aver perso anche quell’ultima occasione per tornare indietro, se mai fosse stato possibile.
All I want giunse alle note finali, quando lei rispose.
Le persone in Sala Grande si alzarono e si diressero verso l’uscita, verso di loro.
E nessuno in quel momento avrebbe mai anche solo sospettato che Scorpius Malfoy e Lily Potter avessero appena finito di parlare.
 
Nessuno avrebbe mai potuto sospettare che Scorpius Malfoy e Lily Potter avessero appena finito di dirsi addio.
 
 
 
«Quindi è finita?»
«Forse non è nemmeno cominciata»
 








Angolo Autrice:

Sono passati due anni dall'ultimo aggiornamento. Il mondo è cambiato, il mio completamente.
Non pensavo avrei mai aggiornato, eppure eccomi qui.
Non mi dilungherò in scuse o promesse, non avrebbe senso dirvi nulla che non sia un sincero grazie, se siete ancora su EFP, se qualcuno mai avrà voglia di leggere questo capitolo e quelli che, speriamo, arriveranno dopo questo.
Quindi grazie, grazie di cuore, per amare i miei personaggi tanto quanto li amo io.
E vi giuro, nonostante tutto, li amo sempre un po' di più.
Il prossimo capitolo sarà Natale (ugh, anche se qui sta arrivando l'estate, scusate il tempismo :)), quindi aspettatevi tanti piccoli momenti di speciale quotidianità.
Spero di sentirvi presto, se voleste lasciarmi un commento, un segno sulla sabbia del vostro passaggio, ne sarei immensamente felice.
Grazie a tutti,

SilverKiria



 
  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: SilverKiria