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Autore: BabaYagaIsBack    25/05/2022    0 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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"Was hoping this suspense will kill you
Tell me, how would you begin?
Watching the way you sink your teeth in"

- Bring me the horizon, Why you gotta kick me when I'm down?


 

 

Percepiva il cuore batterle a mille. Ogni palpito le rimbombava nella cassa toracica come un batacchio nella campana. Si sentiva vibrare, ma non avrebbe saputo dire se fosse colpa dell'adrenalina, della paura o degli ultimi rimasugli di ɛvɛn che le stavano ancora circolando in corpo; eppure qualcosa, in lei, fremeva.

Acquattandosi nelle ombre di un vicolo di cui non conosceva né nome né direzione, Alexandria tese le orecchie, in modo da udire qualsiasi rumore insolito, qualsiasi segnale che potesse tradire i loro inseguitori. Ci avevano messo un po' per trovarne uno perfetto, che potesse rispondere alle esigenze di creature sovrannaturali come loro, ma alla fine, sgusciando sempre più verso la periferia urbana, avevano scorto quell'angolino. Era appartato, lontano da occhi indiscreti e, soprattutto, buio. Tutti dettagli fondamentali per far sì che i loro corpi mutassero e gli anni di fughe e scontri dessero i loro frutti.
Si erano quindi posizionati in punti diversi, uno più avanti ed uno un po' più indietro, restando in attesa del Cultus - e Zenas, evidentemente più di lei, sembrava tutt'altro che entusiasta di fronte a quell'imminente incontro. Il modo in cui teneva stretti i pugni, in cui i suoi occhi non si spostavano mai da quella che avevano decretato essere l'entrata del vicolo tradivano la sua compostezza. E forse, se non fosse stata in quello stato alterato, non lo avrebbe affatto biasimato: ora che avevano ritrovato Salomone morire sarebbe stato stupido. 

Si morse il labbro, soffiando dalle narici.
Stavano davvero rischiando moltissimo, ma nulla poteva essere paragonato alla salvezza dell'Hagufah, il loro Re, a parte...

Con la coda dell'occhio Alexandria vide il fratello piegarsi leggermente in avanti, mettendosi in posizione di partenza. Che il suo corpo avesse percepito una nuova vibrazione nell'aria? L'aumento di elettricità? Anche lei fece altrettanto, tornando a concentrarsi sul vicolo. Non era facile sentire i passi nel mormorio di una città come Vienna, men che meno distinguerli da quelli di persone qualunque - perché in fin dei conti cosa erano gli adepti del Cultus, se non semplici uomini e donne? Sì, aspiranti alchimisti, ma nulla più. Non erano né idoli, né dèi, e ancor meno mostri del calibro delle Chimere - quindi distinguerli da persone qualunque era praticamente cosa impossibile.

Strinse i pugni, sentendo il formicolio farsi meno insistente. Era stato dal momento in cui si era resa conto del pericolo che la bramosia aveva avuto la meglio sulla razionalità, risvegliando la parte di sé che Salomone aveva creato. Si rese conto di desiderare il contatto con un corpo, di anelare la sua resistenza, la foga della lotta - ma non poteva negarsi anche di temerla, seppur in piccola parte. Ricordava ancora, con fin troppa chiarezza, il mugolio che aveva trattenuto a casa propria settimane prima, con Levi, e anche tutto il dolore che aveva dovuto tacere mentre, in balìa dell'ansia, erano fuggiti da Venezia. La sua carne era debole, le sue gambe lente, le zanne fragili: come avrebbe potuto affrontare uno scontro? Ma prima che potesse effettivamente soppesare una risposta, qualcosa catturò la sua attenzione, facendola sussultare appena.
Passi misurati, circospetti, si stavano avvicinando sempre più, si trovavano a pochi metri dal vicolo e, a quel punto, quasi avvertendo l'imminente minaccia, Zenas schioccò la lingua nella sua direzione, distraendola. 
Lo vide muovere le mani, ma non riuscì a dare un senso al suo gesticolare frenetico - e così lui ripeté i movimenti, poi lo fece un'altra volta ancora fin quando, nella mente della Contessa, non si sbloccò un ricordo: stava usando la lingua dei segni. E le stava chiedendo quanti fossero i loro inseguitori. 
Alex si rimise velocemente in ascolto. Contò i passi basandosi sugli intervalli con cui le suole toccavano terra e poi, mordendosi il labbro, indicò un numero con le dita; per quello che poteva percepire si trattava di quattro persone, non di più, si augurò serrando i denti.
Malamente quindi provò a comunicare con il fratello nel suo medesimo modo. 

"Arrivano" gli disse, e Akràv annuì.
"Procediamo come da piano, va bene?" ma anche se non le fosse andato bene non avevano chissà quante altre alternative. 
Il cuore di Alex ebbe un'impennata, iniziando a batterle ancor più forte. Ce la potevano fare. C'erano già riusciti molte volte prima - così la ragazza uscì dal proprio nascondiglio, mettendosi allo scoperto. Nel frangente di pochissime falcate divenne bersaglio mobile per quei folli e mentre loro si facevano sempre più vicini, lei si chiese se le gambe l'avrebbero retta. Doveva solo correre, per il momento, ma scongiurò di essere abbastanza stabile e veloce da evitarli. O quantomeno evitare ogni loro trucchetto.
Molleggiò per un ultimo istante, poi, udendoli rallentare e farsi ancora più sospettosi, iniziò a indietreggiare sotto lo sguardo attento di Zenas. I suoi occhi balzavano senza sosta da lei al fondo del vicolo in un'immaginaria partita a ping-pong, fremendo esattamente come la sorella. Alexandria lo sentiva, lo sapeva. E attese. Conosceva alla perfezione il copione da interpretare, quali muscoli muovere per assumere l'espressione giusta, come far fremere di finta preoccupazione il proprio corpo; aveva già interpretato quel ruolo - così, quando gli adepti si sporsero appena per scorgere ciò che li stava aspettando, la Contessa Varàdi schiuse le labbra, prese a respirare affannosamente e spalancò le palpebre.

Eccoli. Ed eccola, pensarono probabilmente loro.
Mosse un paio di passi titubanti all'indietro, fissandoli con un terrore che non le apparteneva - in realtà era più combattuta che altro: da un lato temeva di non poter sopportare uno scontro mentre, dall'altro, sentiva Z'èv desiderarlo, essere pronta.
Le ci vollero pochi secondi per puntare i talloni sull'asfalto e girarsi, aumentare la lunghezza delle falcate e ritrovarsi d'improvviso a correre. Ogni tanto, giusto per rendere quella sua recita più credibile, voltava il capo per lanciare sguardi timorosi oltre la spalla e, esattamente come topi che si infilavano nella trappola, gli alchimisti le si gettarono dietro, ignorando completamente il fatto che fosse sola. Che pensassero veramente che lei e Zenas si fossero separati, magari per muoversi più velocemente e dare meno nell'occhio? Idioti. Più tempo passava e meno pareva che imparassero dagli errori dei loro predecessori.
Li vide agitarsi lungo i metri che li separavano, arrancare nonostante lei stesse correndo al minimo dello sforzo per essere certa di vedere l'azione del fratello e non farsi perdere di vista da quei quattro mentecatti e poi, come da piano, Akràv emerse dall'ombra esattamente quando l'ultimo di loro ebbe sorpassato il punto in cui si nascondeva, placcandolo con talmente tanto vigore da sbatterlo contro il cassonetto dietro cui si era rifugiata lei, piegandone la latta. Il tonfo sordo del corpo dell'alchimista fece fermare i compagni, mozzandole il fiato.
Dannazione, non dovevano fermarsi; non dovevano concentrarsi solo su suo fratello.
I tre rimasero immobili a fissare la scena, forse colti alla sprovvista, forse pronti alla carica. Avvolti nei loro cappotti scuri e con chissà quali trucchi nelle maniche, puntarono la loro attenzione sulla Seconda Chimera, facendole tremare le gambe.
Li vide valutare la mossa successiva, piegare appena le gambe nella direzione opposta alla sua.

No.
No, no e ancora no, non dovevano puntare a Zenas. Quattro contro uno sarebbe stata una sconfitta quasi certa e restare entrambi lì avrebbe potuto attirare troppa attenzione. Che fare, quindi? Si morse il labbro, indecisa. Se si fosse rimessa a correre probabilmente quei tre si sarebbero fermati lì, avrebbero soccorso il compagno e fatto fronte comune per abbattere almeno una Chimera, per poterne catturare anche una. Sarebbero stati glorificati, ricoperti di lodi e onori, peccato però che non potesse succedere. Piuttosto la morte di entrambi.
Così Alexandria si morse la lingua e, con uno scatto felino, si lanciò verso il gruppo. Nella confusione del momento afferrò il primo braccio che le capitò a tiro, senza badare alla stazza del nemico, fece una mezza piroetta e s'infilò di schiena tra il torace e l'ascella dell'uomo. Facendo leva con buona parte della propria forza, lo issò sopra di sé e puntando bene i piedi a terra lo ribaltò.
Lo sbigottimento fu generale, tanto da permetterle, in un secondo, di voltarsi verso il fratello e ringhiare: «Vai da Lui
A quelle parole, negli occhi di Zenas passò un lampo di terrore, lo vide tremare appena. Di certo si doveva star chiedendo se fosse impazzita; non solo aveva citato un Lui che poteva rappresentare solamente qualcuno di davvero importante, ma lo aveva fatto in una lingua che persino quei fanatici avrebbero potuto comprendere.
Perché?
Alex avrebbe voluto dirglielo, sul serio, ma in quel momento c'erano di mezzo le loro vite e quelle di Levi e Noah, quindi doveva a tutti i costi rimettere il piano per liberarsi del Cultus in carreggiata.

Ringhiò ancora.
«Vai!» e, a dispetto di quello che si sarebbe potuto pensare, Akràv ubbidì - ma non fu il solo.
Cogliendo al volo quell'istante di finta distrazione, l'alchimista che Z'èv aveva atterrato e di cui ancora stringeva il braccio diede uno strattone facendola inciampare e, poi, in un latino fin troppo fluente, esortò i compagni rimasti inermi a inseguire l'altra Chimera.

Perfetto, pensò la Contessa Varàdi incespicando sui suoi stessi piedi. Il piano si era rimesso in carreggiata - o quantomeno fu ciò che sperò. L'allettante possibilità che Zenas potesse portarli da un altro bersaglio, o che potesse rivelare loro l'esistenza di qualcuno che ancora non conoscevano, era sufficiente a far abbassare la guardia, a spingerli a compiere azioni avventate come quelle: a separarsi e dimezzare le forze. Peccato che, nella distrazione di Alexandria, l'alchimista che l'aveva strattonata si rimise in piedi, rimettendo tra loro una distanza di sicurezza che non le piacque affatto.

«Und wer wärst du? (E tu chi saresti?) Die fünfte oder die sechste Chimäre? (La quinta o la sesta chimera?)» le domandò in un tedesco fluente a cui lei, con un ghigno, rispose sprezzante.

«Oh mein! Weißt du überhaupt, wer ich bin? Ihr Magister muss wirklich verzweifelt darauf bedacht sein, unfähige Leute zu unserem Unterricht zu schicken (Oh cielo! Nemmeno sai chi sono? Il vostro Magister deve essere davvero disperato per mandare al nostro inseguimento degli inetti).» Scrollando la testa, Z'èv si levò dal viso le ciocche che le ostruivano la vista e, puntando lo sguardo dritto in quello dell'omaccione, aggiunse: «Keine Sorge, wir werden es bald beheben (non ti preoccupare, rimedieremo presto)» e, così dicendo, si flesse sulle ginocchia scattando in avanti. Era certa di colpirlo, di riuscire ad atterrarlo ancora e poi ucciderlo, invece, all'ultimo, la schivò.

Merda!, pensò. Quel tizio dava tutto tranne l'idea di essere veloce, doveva ammetterlo, e per questo lo stava sottovalutando - un errore da principianti, ammise - ma ciò non toglieva che lei sarebbe in ogni caso stata più lesta. Così, saltando su una gamba ruotò il busto, sollevando l'altra. Piegò appena il ginocchio puntando alla bocca dello stomaco e, con un unico movimento ben ponderato, colpì il nemico. L'alchimista si piegò in avanti digrignando i denti per non mugolare, per non darle la soddisfazione di saperlo in svantaggio; eppure, nel momento in cui Alex alzò i gomiti per poi calare sul coppino di lui, questi trasformò la smorfia in un ghigno. Lo vide all'ultimo e il cuore le balzò in gola.
In un attimo le mani dell'uomo si strinsero intorno alla gamba ancora sollevata, all'altezza della coscia e il panico fece contrarre lo stomaco della Chimera. Il calore penetrò il jeans tanto che a Z'èv parve che decine di spilli le stessero perforando la carne fino al muscolo. Riuscì a sentirli tutti, uno a uno. Avvertì il dolore con così tanta chiarezza che capì subito di dover interrompere quel contatto, altrimenti sarebbe stata la sua fine - e l'istinto ebbe la meglio.
Le sue dita si infilarono sotto al cappuccio della felpa, nei capelli dell'alchimista. Si premettero contro la nuca e strinsero esattamente quanto stavano facendo i polpastrelli di lui.
Alexandria era conscia di non aver la forza per spaccargli il cranio e nemmeno ci provò; piuttosto spinse la testa di lui di lato, lottando contro la resistenza del collo e, a quel punto, agì. Spalancando le fauci calò sul nemico, infilando i propri denti nella carne viva e pulsante del trapezio. La bocca le si riempì di sangue bollente, viscido. La lingua le pizzicò quasi vi avesse buttato sopra del peperoncino, ma non mollò. Pigiò sempre più, sentendo i muscoli contrarsi per respingerla, il corpo di lui ribellarsi alla sofferenza. Udì i gemiti di dolore, il tentativo di soffocarli in gola. Gli tirò i capelli cercando si aver più spazio d'azione - e finalmente l'alchimista tolse le mani dalla gamba per mettergliele al petto e spingerla via.

 

 
 
   
 
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