Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Glenda    06/06/2022    2 recensioni
La storia si ambienta in una nazione immaginaria di un paese immaginario, in un tempo non definito, ma in realtà non così diverso da una qualunque luogo in Europa oggi.
Noam Dolbruk, giovane attivista politico, da poco eletto in parlamento, pieno di carisma e buone intenzioni ma originario di una terra piena di conflitti, ha ricevuto una serie di minacce che lo hanno costretto a essere messo sotto protezione. Adrian Vesna, l'uomo che gli fa da guardia del corpo, ha un passato che gli pesa sulle spalle e nessun desiderio di inciampare in rapporti complicati. Ma con un uomo come Noam i rapporti non possono non complicarsi, e non solo per via del suo carattere bizzarro, quanto per gli scheletri dentro il suo armadio.
Questa non è una storia di eventi ma di relazioni: è la storia dell'incontro e dello scontro tra due diversi dolori, ed anche la storia di un'amicizia profonda, con qualche tono bromance. Ci sono tematiche politiche anche impegnative ma trattate in modo non scientifico, servono solo come sfondo alle dinamiche interpersonali.
(Storia interamente originale, ma già circolata in rete, che ripubblico qui per amore dei personaggi e piacere di condividerla con altri lettori)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Partirono il mattino presto, con la prospettiva di arrivare in serata. Il tragitto da Noravàl a Mìmat era veloce grazie all’autostrada, la quale procedeva ancora un po’ oltre, costeggiando il fiume, fino ad interrompersi per lasciare posto ad una viabilità decisamente più scomoda. L’alta valle del Norav era percorsa solo da strade strette e nodose, che da lì si inerpicavano sui Mor-Darèuk fino al valico che permetteva l’accesso alla regione del Dàrbrand. Da lì la strada scendeva verso Mòrask.

Noam apprezzava molto il fatto di dover viaggiare così a lungo, e non solo perché questo gli avrebbe evitato il passaggio attraverso il traforo, ma anche perché la durata dello spostamento avrebbe fatto da ponte tra le due diverse realtà a cui sentiva di appartenere.

Durante le prime ore fu colloquiale e allegro: cambiava le frequenze sull'autoradio e cercava musica che gli piaceva, raccontando aneddoti di vita legati a questo o quel pezzo, commentando i testi, o chiedendo ad Adrian informazioni sui suoi gusti. Ma in realtà si sentiva arido, persino falso: dava fiato alla bocca per tenere impegnati i pensieri e non permettere alla tensione che gli stirava ogni muscolo del corpo di emergere in modo evidente: di divenire visibile a lui, ad Adrian Vesna, al quale aveva assicurato di essere sereno, di non avere alcuna paura.

Non aveva paura.

Aveva paura.

Quando arrivarono in vista della catena montuosa, la voglia di parlare si era esaurita, così come quella di raccontarsi che sarebbe andato tutto bene. Nell’abitacolo solo le canzoni e le voci degli speaker coprivano il silenzio di un paesaggio che si faceva sempre più selvaggio, abbandonato.

La strada saliva, saliva. L’angoscia saliva, saliva.

Non aveva paura.

Aveva paura.

Accidenti.

Loro non possono capire.” disse, ad un tratto.

Posò la tempia sul finestrino, fissando le montagne che incombevano su di loro.

“A chi si riferisce, esattamente?”

“A Zjam. A Segùr. Al partito. A tutti coloro che raccontano la storia degli altri senza saperla raccontare bene. E che mi hanno messo in una situazione scomoda. Non era questa la veste in cui, un giorno, avrei voluto tornare qui.”

“Ma lei ci è voluto tornare. Poteva dire no, e, visti i precedenti, nessuno si sarebbe scomposto per questo. Dunque: perché non ha detto no?”

Amava la franchezza di Adrian, quel suo non girare intorno alle cose, quel suo non essere mai equivoco. E prima o poi a quella domanda doveva pur rispondere. Ma una risposta non equivoca, diretta come la ferrovia che non aveva voluto percorrere, lui ce l’aveva? Forse no. Forse le sue risposte somigliavano più alle strade che si inerpicavano sui Mor-Darèuk. E non andava bene, non sarebbe andato tutto bene: se non si sentiva saldo neppure sui propri piedi, come poteva illudersi di essere il supporto di un altro?

Adesso avrebbe potuto raccontare che la colpa era nella maledizione di Mòrask.

Tornava a Mòrask perché ci doveva tornare, punto.

Non aveva detto di no, perché non poteva.

Una bella spiegazione spiritosa ed imbecille. Una spiegazione romantica. Un’altra bugia.

“Ho accettato perché sono folla-dipendente” buttò là.

“Cosa?”

“Quando mi viene chiesto di espormi, di metterci la faccia, io… non riesco a dire di no. Ho bisogno, un bisogno quasi carnale, di stare nei pensieri della gente, nell’immaginario della gente. Ho bisogno di sentire che la gente mi apprezza, che si fida di me, colleghi di partito compresi” (e non riesco a sopportare – non gli disse – di essere odiato nella mia terra natale). “Desidero essere cercato, essere un punto di riferimento, rispondere a richieste d’aiuto: desidero sentirmi indispensabile. A volte cerco di ripetermi che il mondo va avanti anche senza di me, e cerco di convincermi che questo sia un pensiero sano, che mi aiuterebbe a vivere con meno frenesia, ad avere più potere su me stesso. E a dire qualche no in più. Qualche no giusto, come sarebbe stato questo. Ma la verità è che l’idea mi spaventa, perché io… non voglio essere sostituibile.”

Non era mai riuscito a mettere in parole quella sensazione così lucidamente: le frasi gli si erano formate in testa chiare, perfettamente corrispondenti a quello che sentiva. Per un attimo pensò di doverlo ad Adrian, alla sua dote silenziosa di mettere ordine nei pensieri degli altri.

Nello sguardo di lui passò un'espressione che per un attimo gli parve di tristezza, poi, nello stesso battito di ciglia, scomparve.

“La celebrità non ci rende indispensabili, Noam” disse “Lei cerca la celebrità perché le piace pensare che la gente abbia bisogno di lei, pensa di essere importante nelle loro vite, pensa di poter fare la differenza. Ma non c'è nulla di più illusorio.” scalò la marcia su un’ampia curva, che la macchina affrontò delicatamente così come delicata era la sua voce “A volte, in questi giorni, osservandola, ho pensato a mio padre. Era professore di matematica, e quando andò in pensione non riusciva a sopportare di non avere più alcun peso nelle vite di tutti quegli studenti per cui era stato una guida, un punto di riferimento. Così si riempì la casa di allievi a cui dava ripetizioni, spesso gratuitamente, solo per sentirsi dire bravo, per godere dell'idea di essere ancora indispensabile a qualcuno. E lo sembrava davvero: i suoi studenti, le loro famiglie, lo adoravano, gli facevano regali, lo celebravano. Poi si ammalò. I primi giorni i suoi allievi vennero a trovarlo spesso. Il secondo mese molti si limitavano ad una telefonata di cortesia. Il terzo mese la casa era tornata vuota. Il professore non poteva più insegnare, dunque non era più utile a nessuno. Mio padre è stato malato per tre anni. È stato sempre solo. Gli unici che gli sono rimasti accanto fino in fondo siamo stati io e mia madre. Celebrità e affetto sono due cose ben diverse: l'affetto non chiede nulla, non c'è bisogno di essere bravi per averlo. Ma la celebrità appaga di più, perché alla fine nessuno di noi vuole davvero essere amato per ciò che è: vogliamo tutti essere amati per ciò che vorremmo essere. La celebrità è un bel vestito messo addosso all’insoddisfazione.”

Le parole di Adrian, pure nella crudeltà di ciò che stavano esprimendo, suonavano di una dolcezza quasi ammaliante e lui si rese conto di trovarsi, forse per la prima volta nella vita, senza parole. Senza nulla da ribattere per difendere il suo pensiero. No: senza nessun desiderio di farlo.

La confidenza di Adrian – la prima che gli avesse mai fatto - non chiedeva replica: galleggiava nell’abitacolo con una spiazzante, meravigliosa assolutezza.

Noam desiderò che si voltasse e gli ripetesse le stesse cose guardandolo negli occhi, ma lo sguardo del guidatore era rivolto alla strada che si snodava come un grosso serpente, le mani sicure sul volante che muoveva con un’attenzione calma: di cura.

Sul viso di Adrian non c’era il minimo segno dell'emozione che invece aveva travolto così potentemente lui.

Apnea.

Ecco cosa gli veniva in mente guardandolo.

Adrian Vesna era come una persona rimasta per qualche ragione senza respirare.

Come se avesse perso il ritmo del respiro del mondo.

Per troppi anni.

Ma in quell’apnea aveva imparato ad ascoltare il respiro degli altri.

Noam pensò che avrebbe voluto allungare una mano e comprendere, che avrebbe voluto essere lasciato entrare in quel mondo senza aria, per capire come si potesse sopravviverci, come lui facesse, ma in quel momento si rendeva conto che ogni tentativo del genere sarebbe stato visto come una violazione.

Come la maggior parte di coloro che vivevano in disarmonia, Adrian aveva bisogno di “ruoli”: nel suo ruolo riusciva a condurre una vita che funzionava, ad essere persino eccellente in ciò che faceva, a ritagliarsi uno status che gli permetteva, per star dietro alla metafora che si era costruito nella mente, di tenere la testa dentro una boccia per i pesci.

Noam sentiva che non avrebbe mai permesso a nessuno di romperla: sarebbe stato come cercare di ucciderlo.

Ma si poteva vivere dentro una bolla afona, tagliando tutto fuori, aggrappato alla ripetitività dei propri compiti, reiterando ogni volta quella tragica pantomima del proteggere questo o quello, quando questo o quello erano niente altro che nomi di carta assegnatigli dal caso?

Per Adrian le persone di cui doveva difendere la vita – la vita! – a volte mettendo a rischio persino la propria, erano davvero semplicemente incarichi, che si sarebbero susseguiti caso dopo caso, fino alla vecchiaia?

Come faceva?

Il pensiero lo turbava.

E lo turbava ancora di più l’essere lui un incarico tra gli incarichi, in un momento in cui sentiva solo un disperato bisogno di essere altro.

Aveva paura.

Aveva paura.

“Questa è l’alta valle del Norav.”

Paura di smettere di respirare.

“Da qui inizia la strada panoramica.”

Il sole stava scomparendo dietro le montagne. Tramonto, ma sembrava già sera.

 

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Glenda