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Autore: Enchalott    08/06/2022    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il volto di Amshula era inondato di lacrime. Aveva cercato di frenarsi e c’era riuscita finché la vista del corpo martoriato di Danyal le aveva inflitto il colpo di grazia.
«Perché non ne ero al corrente!? Pretendo una spiegazione, Saaran!»
Sull’attenti, il capitano della guardia e il secondo generale si scambiarono uno sguardo mesto: erano stati costretti a obbedire. Avevano giurato sull’Engesha e sul sacro nome di Azalee, eppure il cuore gonfio di dolore non accettava argomentazioni.
«Il comandante ha proibito di informarvi, altezza. Vi sareste opposta.»
«Perché lo avete colpito?! Si tratta d’invidia o siete soltanto incapaci!?»
L’alto ufficiale incassò l’offesa originata dalla disperazione.
«Ho dato la mia parola, nulla è stato tanto arduo quanto attenermi alle disposizioni. Il fumo era denso, il comandante l’ha preventivato quando ha organizzato la trappola. Il vento soffiava a sfavore, solo l’innesco luminoso ci ha segnalato la posizione di Mahati. È innocuo sui Minkari, purtroppo il generale era gravemente ferito e non si è sganciato per tempo.»
«Era!? Parlate come se fosse spirato!»
I due abbassarono la fronte, amareggiati. Non volevano illudersi, in guerra tante volte avevano verificato che respirare non significava essere vivi. Staccarsi dall’angoscia per la perdita del loro comandante era onorarne la memoria. Sopprimere le speranze a vantaggio di una mente lucida era ciò che avevano appreso dai suoi insegnamenti.
«Mia regina, solo gli Immortali conoscono le sorti dell’umana esistenza. Ogni combattente sta pregando e offrirebbe destra pur di rivedere il generale in testa all’esercito. Ma non cogliere l’occasione, equivarrebbe a vanificarne il sacrificio.»
«I Khai si rivarranno su Shaeta! Non ci avete pensato?»
«È la nostra prima preoccupazione. Per questo non possiamo procrastinare.»
Amshula si levò in piedi, le labbra tremanti. I volti dei due uomini erano tirati, gli occhi lucidi di pena, ma tenevano fede a doveri e promesse. Non avrebbe dovuto prendersela con loro.
È la guerra! Questa maledetta guerra, che ci porta via ogni cosa cara!
«Tre ore» stabilì meno aspra «Per tentare un’ultima carta e lasciare agli uomini un riposo adeguato. In un intervallo tanto esiguo non ci saranno novità da Mardan, i messaggeri dei demoni sono partiti dopo che al campo è stato esposto il lutto.»
Saaran e il suo secondo si inchinarono con un cenno assenso.
La regina chiuse i battenti e si appoggiò allo stipite, esausta.
Namta è morto, mio figlio prigioniero, la città in fiamme e anche Danyal mi ha lasciata.
 
Quando i Khai si erano ritirati all’improvviso, i soldati lo avevano cercato invano. Poi Saaran aveva fatto aprire il portale sud con un’insolita rassegnazione nella voce.
Il primo generale era dove aveva affermato sarebbe stato. Lo avevano trasportato a peso morto, la mano inerte grondava sangue e disegnava una striscia scarlatta sulla neve, il viso era una maschera cerea. Qualcuno gli premeva contro il fianco un panno intriso di rosso incitando ai barellieri, i guaritori sbraitavano di fare spazio.
In quella scena disperata, ove tutti correvano per salvare la vita a colui che li aveva preservati, Amshula era rimasta pietrificata. Si era sorretta, ansimando e osservando le volute bianche del proprio fiato disperdersi nell’aria.
Danyal…
Avrebbe voluto inseguire il gruppo, sapere se c’era speranza, ma il terrore di conoscere la risposta l’aveva inchiodata lì.
Qual è il mio valore? Nessuno… nessuno! Non ho chiesto di diventare sovrana, di sposare Namta, di vedere questo! Non sono in grado di governare l’Irravin, mi sono lasciata strappare dalle braccia Shaeta, l’unica cosa buona uscita da me! Divinità immortali, perché non sono io ostaggio dei demoni, non sono io a esalare l’ultimo respiro sul tavolo dei guaritori? Sono inutile anche per voi?
La memoria aveva annaspato senza controllo nel passato, dove nulla di lei appariva deciso in prima persona, dove ogni minuto della sua esistenza era un informe legno in balìa di una burrasca, un nodo di miseria e paura che non si era mai sciolto.
«Non piangete, vi prego»
La voce di Danyal si era insinuata tra i ricordi e l’aveva fatta trasalire come se fosse stato presente. Ma era una memoria lontana, una luce fioca e quasi estinta.
Perché adesso? Perché la mente rievoca quel giorno?
«Perché vi siete ribellata per la prima volta.»
Non è accaduto! Sapete che nulla è cambiato!
«Non è vero. Talvolta compiere un’imposizione con pensieri nuovi e puliti equivale a insorgere contro un’ingiustizia.»
Ho pianto e basta.
«L’ho fatto anch’io. Ma erano lacrime di trasporto, non di sottomissione.»
Di vergogna.
«Non vostra, non mia.»
Di una donna senza valore.
«Di una donna piena di sogni.»
Inutile.
«Della regina che ho scelto di servire.»
 
«Altezza!»
Uno degli ufficiali della guardia l’aveva risvegliata dalla catatonia. L’aveva ricondotta al palazzo, tremante di freddo, le aveva appoggiato il mantello sulle spalle, sostenendola lungo la via. L’esercito minkari era composto da uomini come lui, come Danyal, disposti a mettersi in secondo piano pur di proteggere lei e il regno.
«Il… il generale?»
L’uomo aveva scosso la testa al culmine dello sconforto.
«Ha perso molto sangue, la ferita è critica. È nelle mani degli dei.»
«Ha ripreso conoscenza?»
«No, mia signora.»
Amshula aveva congedato il giovane con gentilezza, domandandogli il nome per ricordarlo nelle preghiere. Si era gettata a terra e aveva invocato la divina Valarde, accogliente madre terra, e la somma Azalee, signora di quel mondo. Per ogni vita, per ogni anima, per la sopravvivenza.
Per il coraggio.
 
Le galere avevano retto l’urto dei reikan e del ladi.
Nel riconoscere la regina, i carcerieri si scambiarono uno sguardo inquieto: visitava il prigioniero con ostinazione, tuttavia non ne ricavava nulla e Danyal aveva espresso contrarietà. Schiusero il catenaccio riluttanti.
Il demone non si degnò di sollevare il capo, seduto sul pagliericcio con la coperta drappeggiata sul corpo. Il volto e le mani mostravano i segni delle torture, la catena che gli ancorava la caviglia al muro era integra.
«Mangia a dovere?»
«Sì, mia signora.»
«Ha tentato la fuga?»
«Il narcotico mischiato al cibo lo priva di ogni velleità.»
Amshula ordinò di essere lasciata sola con lui. Si avvicinò come nelle occasioni precedenti e gli esaminò le ferite: non era guarito, la pelle era un intrico di lividi e tagli, le unghie non erano ricresciute, ma il fisico invidiabile non aveva perso tono.
«È l’ultima occasione per trattare, demone» mormorò.
Eskandar non reagì, assuefatto alle attenzioni indesiderate e seccato dall’ennesimo tentativo d’interrogatorio.
Anche un mentecatto avrebbe capito che non parlerò!
Aveva compreso tuttavia l’urgenza di lei: l’attacco era stato devastante, tanto che aveva auspicato la caduta della capitale, invece si era interrotto da giorni. La regina temeva il riaccendersi dello scontro da un momento all’altro.
Mahati intende concedermi una morte onorevole, ha la mia gratitudine. Forse però si è interrotto per permettermi la fuga, poiché ritiene abbia informazioni sul veleno.
Rinvigorito da quei pensieri, aveva centellinato le forze dosando il riposo e la veglia, optando per bere l’acqua che si infiltrava tra le crepe per non farsi rimbambire dal sonnifero. Quello nel cibo lo intontiva in misura minore rispetto al trattamento completo.
Quando uscirò da qui, i Minkari pagheranno ogni goccia del mio sangue.
I tatuaggi medici lo avevano sostenuto finché l’effetto a lungo termine non si era esaurito: era dolorante, contava su scarse energie.
Potrei chiedere alla regina un cambio di menù, è uno strazio non ingerire carne.
Al di là delle battute, tacque e accettò come extrema ratio l’unguento nauseabondo che lei gli stava applicando sulle spalle. Aprì e chiuse le dita per saggiare le capacità offensive, inappagato dal risultato.
«I tuoi amici si sono accaniti» Amshula continuò il monologo «Però non è andata come si aspettavano.»
Ma non mi dire.
«Metà del palazzo resiste e le mura verranno riparate. Non così le vite.»
Che filosofia del ca…
«Compresa quella del tuo principe.»
Eskandar avvertì un tuffo al cuore, ma nulla trapelò all’esterno.
Un raggiro collaudato, altezza. Non aspettarti che ci caschi.
Riscontrando la sua apatia, Amshula perse la pazienza. Gli prese il viso tra le mani.
«Mi capisci!? Mahati sta morendo, l’abbiamo colpito con il kori
Lui si svincolò con uno strattone. Gli occhi ciclamino luccicarono indomiti nei suoi.
«Perché altrimenti i Khai si sarebbero ritirati?!»
Esistono innumerevoli spiegazioni tattiche!
«Non hai tempo di pretendere prove, puoi solo credermi sulla parola. Il lutto non è stato esposto, per ora è vivo. Ho l’antidoto per salvarlo! Se vuoi risparmiargli una fine atroce, devi fare in modo che mi restituisca Shaeta!»
Se questo cumulo di bugie fosse vero, dovrei fidarmi delle tue vane promesse?
«Non mi credi o non mi capisci?»
La regina disegnò sul pavimento il Sole Trigemino di Mardan, coronato dall’insegna del Šarkumaar e affiancato dal simbolo del sommo Reshkigal.
Eskandar seguì le evoluzioni grafiche senza mutare l’atteggiamento esteriore, ma nel profondo iniziò ad avvertire una punta d’angoscia.
Mahati non si è certo fatto beccare da una lurida bugiarda e dal suo cane rognoso!
«Hai provato il kori! Non concede scampo, sei vivo perché Danyal ha fermato Zobel! Liberate mio figlio, giuro sul sacro Engesha che manterrò l’accordo!»
Il demone avvertì in lei una reazione profonda al nome del comandante minkari. La supplica suonava sentita, le eventuali doti attoriali non erano connesse alle sue emanazioni inconsce. Si convinse che qualcosa era accaduto
È il tuo generale che sta morendo, vero? Non sai quanto mi dispiace.
Amshula fissò sconvolta l’espressione glaciale del prigioniero. Com’era possibile che non reagisse, che non si sforzasse di raccapezzarsi, che non disegnasse qualcosa per farsi a sua volta comprendere?
«Danyal lo ha sfidato a duello» lo incalzò stringendogli la mano «Fuori dalle cinte, spada contro spada. Mahati ha accettato.»
Per l’Arco infallibile! Quello sì che è da lui!
«I nostri arcieri hanno tirato su entrambi, il veleno non ci uccide.»
Le dita del reikan si contrassero impercettibilmente.
Non sta mentendo, Mahati è per certo sceso dal vradak. Gli avrò detto migliaia di volte di non lasciarsi provocare, accidenti alla sua testa calda!
«Mi comprendi!?» ripeté la regina, intuendo un’incertezza «Rivoglio mio figlio! La vita del tuo principe vale così poco?»
Eskandar mise a fuoco il da farsi in un battito di ciglia.
Se non fosse intenzionata a fornire la cura, essa resterebbe nel mio sangue. Non posso marcire qui un istante di più! La vita del Kharnot è nelle mie mani!
La destra, abbandonata in quella di lei, si spostò sul suo polso e lo torse con la rapidità della folgore, mentre con la sinistra l’afferrò per il collo serrandole la gola.
Amshula sussultò, ma il rantolo non bastò a richiamare l’attenzione dei carcerieri.
«Ssh» sibilò lui con un verso di universale comprensione.
Non aveva intenzione di rivelare la conoscenza del minkari, le sorprese andavano dosate con intelligenza. Fingersi un bruto messo alle strette faceva parte delle poche risorse fruibili.
La morsa d’acciaio e la minaccia furono sufficienti a persuadere la donna, che annuì terrorizzata e lo assecondò. Trattenendola con una pressione in grado di spezzarla, il reikan avvolse la catena al braccio e tirò. I muscoli si gonfiarono, le ferite ripresero a sanguinare. Al secondo tentativo i chiodi arrugginiti saltarono via e i vincoli si svelsero dal muro, depositandosi con un tintinnio simile a quello che produceva ogni giorno al fine di assuefare le guardie. Dall’esterno non intuì allarme. Raccolse la catena e la rigirò alla gola della regina.
Amshula non osò reagire, convinta che alla minima opposizione l’avrebbe impiccata. Procedette sulle punte dei piedi, costretta dal breve gioco della costrizione e dalla sproporzionata differenza d’altezza. Sentì il metallo ossidato degli anelli grattarle la pelle e annaspò in cerca d’aria.
Il demone la squadrò con compatimento, accostandosi all’uscio. Batté tre colpi, imitandola e dimostrando come l’avesse osservata con lucidità nonostante le droghe.
Aveva ragione Danyal, sono una sciocca.
Gli inconsapevoli secondini aprirono la porta.
Con una poderosa spallata Eskandar schiantò il primo contro la parete. Gli sottrasse la spada e gliel’affondò nel cuore nel tempo in cui l’altro comprese quale arma fuori norma li avesse attaccati. Prima che allertasse i rinforzi, gli spiccò la testa con un tondo micidiale. Lo spruzzo di sangue gli lordò la pelle e travolse la regina, che mugolò atterrita. La sentì afflosciarsi per lo choc e la scrollò senza pietà, obbligandola a piegarsi per raccogliere le chiavi dal cadavere decapitato.
Amshula dovette fermarsi. Le girava la testa, l’odore del sangue era più forte di quello che percepiva dai camminamenti, tutto sembrava un incubo spaventoso a partire da colui che la teneva in pugno.
Udì il demone schioccare la lingua per l’impazienza e si sforzò di frugare tra gli abiti insozzati del morto senza dare di stomaco. Gli mostrò l’oggetto, che le scivolò tra le dita tremanti. La catena si strinse, il respiro si smorzò.
«A-aspe… aspetta…»
Lo convinse a non soffocarla e strisciò verso l’uscita, stringendo il mazzo come un’àncora di salvezza. La serratura scattò e il battente si scostò con un cigolio. Furono investiti dall’aria gelida e dall’odore di cenere.
Con il freddo Eskandar percepì la pesante debolezza fisica. Infilò le scale, ma fu costretto a sostare a metà rampa. La Minkari gli si aggrappava addosso e il suo peso, insignificante in altre circostanze, lo rallentava.
Non posso mollarla, è la mia assicurazione.
Riprese a salire con la spada tra le zanne, sostenendosi alla parete e riscontrando la scarsa sorveglianza.
Forse l’attacco ha giocato a mio favore e i difensori sono impegnati a controllare i postumi dell’incendio.
Amshula lo favorì: quel demone dalle mille risorse era l’unica opportunità per Shaeta, se fosse stato necessario l’avrebbe seguito nel fondo degli inferi da cui era sorto. Non le sembrò così inumano: ansimava, la pelle dorata era lucida di sudore e la perdita di sangue gli stava risucchiando le capacità offensive.
È senza forze, le mie guardie avranno facile ragione di lui. Devo fare in modo che non lo uccidano o tutto sarà vano!
Forse era casuale che si fosse liberato proprio in quell’occasione, ma c’era la possibilità che avesse intuito la sorte di Mahati o compreso il suo schizzo. Era sicura che l’avrebbe condotta all’accampamento, lì avrebbe trovato qualcuno meno caparbio di lui, magari l’erede al trono in persona e… una fitta al petto tranciò l’ottimismo.
Che la celeste Azalee mi protegga, gli ho mentito!
Se avesse raggiunto l’esterno, il nemico avrebbe visto il lutto esposto dai Khai e dedotto che il secondogenito di Kaniša era spirato. Shaeta avrebbe pagato lo scotto per primo. Sollevò lo sguardo al cielo, devastata dalla consapevolezza di averlo condannato a morte.
Nebbia?
Il circostante era velato da una coltre che riduceva la visibilità a una cinquantina di metri. Rifiatò sollevata, ringraziando gli Immortali per il dono insperato.
Eskandar emerse dall’atrio della torre e si celò nell’ombra. La zona gli era sconosciuta: lo avevano condotto alle prigioni privo di coscienza e l’incendio aveva distrutto gli scarsi punti di riferimento. Per arrivare alle merlature avrebbe dovuto procedere allo scoperto. L’alternativa era farsi scudo con la donna: se l’avesse tenuta a portata di lama, gli arcieri non avrebbero tirato il kori, considerando che avrebbe l’avrebbe ammazzata prima di rendere l’anima al Custode.
Non posso morire. Salverò Mahati, fosse l’ultima azione concessami dai Superiori!
S’inoltrò nella bruma verso il cortiletto interno, trascinando il suo lasciapassare in gonnella. Percorse metà della distanza prevista.
«Intrusi!»
«Hanno massacrato i secondini, il prigioniero è fuggito!»
«Trovatelo, svelti!»
Si affrettò verso la scaletta ma i soldati gli si pararono dinnanzi.
«Getta la spada, bastardo!»
Eskandar accostò la lama alla gola della regina e l’ufficiale sollevò il braccio.
«Non una mossa! Ha un ostaggio!»
Le imprecazioni dei soldati si affievolirono quando riconobbero Amshula.
«Lasciala andare, maledetto»
Lui mostrò l’intenzione opposta. L’arma incise l’epidermide della prigioniera, che esalò un gemito di terrore.
«Useremo il veleno, non abusare della nostra pazienza!»
«No…»
Amshula esalò il monosillabo e l’ufficiale la fissò impotente.
Eskandar allentò la presa per darle fiato, curioso di ascoltare le ragioni di un ordine tanto stupido. Sapeva che gli avrebbero permesso di raggiungere gli spalti prima di ucciderlo: l’avrebbe liberata lassù, fornendo un diversivo e invocando la misericordia di Belker per non essere colpito.
La nebbia è un’arma a doppio taglio. Mi coprirà, però Sheratan non capirà che sto piantando in asso l’albergo e non invierà appoggi.
«Non toccatelo! Per la vita del vostro principe!»
Il capitano minkari la guardò rassegnato.
Dalle cinte le punte delle frecce balenavano nella foschia, rischiarate dalle torce. Il reikan procedette lungo la rampa pedinato a distanza dai soldati.
«Portami con te» bisbigliò Amshula «Non rischieranno la mia incolumità, ricorda che ho l’antidoto.»
Puoi scordartelo, femmina insensata, e dire addio al tuo patetico erede al trono! Non avresti dovuto toccare il mio principe! Gli serve il mio sangue, non la tua pietà!
Gli occhi ciclamino arsero spietati mentre la vista si adattava all’ovatta. Raggiunse le merlature e balzò sul parapetto. L’aria gelida lo intirizziva, il narcotico assunto con l’ultimo pasto gli ottundeva i sensi.
Mi devo sbrigare.
Amshula lo sentì vacillare e si strinse a lui, fissando il vuoto bianco sotto di loro.
Non vorrà buttarsi giù?!
«C-che fai!?»
Il grido atterrito e la posizione precaria ruppero gli indugi dei soldati.
«Reggetevi al bastione, altezza! Non può farcela! Sta cedendo!»
«Non tirate!» strillò lei.
Le frecce si conficcarono a pochi centimetri dai loro piedi con l’intento di separarli.
«Fermi! Abbassate gli archi!»
«Mia signora, spostatevi!»
Eskandar si portò le dita alle labbra e modulò un fischio.
Il segnale, destinato a un misterioso soccorso, dilagò nell’oceano fluttuante di bruma. Amshula sollevò gli occhi nei suoi. Ricevette in cambio un sogghigno feroce.
«No… no!»
Il demone saltò. La catena si tese, trascinandola nel baratro.
   
 
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