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Autore: Violet Sparks    20/06/2022    14 recensioni
Ushijima Wakatoshi pensa di sapere tutto.
Pensa che la sua vita sia una strada dritta, precisa, incontrovertibile. Un percorso duro, forse, ma perfettamente definito, un segmento geometrico con un punto di partenza e un'unica meta, da tenere sempre a mente.
Ma Ushijima Wakatoshi ha dimenticato che, sopra alla strada, esiste il cielo, con un sole bollente che brucia e illumina e non vuole essere ignorato.
La domanda è: lui sarà pronto ad alzare lo sguardo?
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Una notte come tante, dopo la sorprendente sconfitta della Shiratorizawa, Wakatoshi incontra Hinata Shoyo in circostante bizzarre ed è costretto a trascorrere con lui la notte più assurda della sua vita.
Wakatoshi prova una ostilità viscerale nei confronti del piccolo corvo e non vede l'ora di dividere nuovamente le loro strade.
Peccato però, che il mocciosetto non sia del suo stesso avviso.
E stia per stravolgere completamente la sua vita.
[USHIHINA - Ushijima Wakatoshi x Hinata Shoyo]
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Tendo Satori, Wakatoshi Ushijima
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO XV
Con i piedi sulla sabbia calda…
 
I fatti non sempre sono come appaiono.
Spesso ci fanno intuire che,
andando in profondità, ci può essere qualcosa di più grave.
Sintomi, bandiere rosse, segnali di allerta,
fatti a cui dovremmo fare attenzione,
cose che non dovremmo mai ignorare.
Cose brutte, che potrebbero fare davvero male.
Fatti ai quali, forse è troppo tardi per rimediare.
- Grey’s Anatomy
 
 
Quando Shoyo si fermava a riflettere, si rendeva conto che molti dei ricordi più belli che possedeva della sua infanzia avevano come sottofondo il rumore del mare.
Sua madre era cresciuta in una cittadina minuscola, completamente costruita intorno a un porticciolo incastrato in un’insenatura della costa, simile ad un braccio protettivo, dove la gente mangiava pesce freschissimo quasi ogni giorno e i bambini imparavano ad uscire in barca ancor prima di saper camminare. Era così che si erano conosciuti i suoi genitori.
Suo padre - amante assoluto dell’acqua, ma vissuto solo ed esclusivamente in città nel corso dei suoi ventidue anni di vita- un giorno era capitato per caso in quella cittadina che sembrava respirare fuori dal mondo, piena di gente con la pelle perennemente incipriata di salsedine e i sorrisi bianchi di madreperla, e vedendo i bambini avventurarsi senza paura con le loro barchette, si era lanciato dietro di loro, pensando: quanto mai potrà essere difficile? Sarà un gioco da ragazzi!
Il risultato era stato che Benjiro Hinata si era ribaltato dopo meno di dieci minuti di viaggio, a circa cinquanta metri dalla riva, ma per sua fortuna era stato soccorso da una cittadina del posto, la studentessa di letteratura con la risata più dolce che Benjiro avesse mai sentito da che aveva memoria; per cui, una volta tornato sano e salva a terra, non gli era rimasto che portarla fuori a cena ed innamorarsene perdutamente.
I suoi genitori si divertivano un mondo a raccontargli quella storia, la quale si riempiva ogni volta di nuove e rocambolesche peripezie – “Tua madre sta mentendo! Sono caduto perché sono stata attaccato da una piovra gigante!”, “Sai che per venire a salvarti ho dovuto abbandonare la mia ciurma dei pirati? Ero appena diventato capitano!”- e Hinata rideva, rideva… poi, all’improvviso, esprimeva loro il desiderio di vedere il mare, e così Benjiro e Misaki si infilavano in macchina più in fretta possibile per raggiungere una località qualsiasi, l’importante era che fosse provvista di almeno uno specchio d’acqua cristallino, e così nuotavano per ore e ore, tutti insieme, fin a quando il sole tramontava.
Che belli che erano quei ricordi.
Hinata non riusciva a provare tristezza, mentre essi gli attraversano la mente davanti alla distesa di sabbia bianca che era la spiaggia di Shirahama, e le onde sulla sua riva sembravano cantargli il benvenuto.
Si accovacciò sui talloni e piantò le mani a terra, beandosi della morbidezza del manto caldo sotto i palmi, la finezza dei granelli che si incastravano tra le dita. Il sole sopra di loro era forte ma non bollente, fortunatamente non c’era molta gente, dato il giorno feriale e il cielo si confondeva nella distesa di acqua azzurra, allargando all’infinito l’orizzonte, moltiplicando l’ossigeno che fluiva nei polmoni.
Lanciò una breve occhiata alle sue spalle: i ragazzi della Shiratorizawa stavano sistemando gli ombrelloni che avevano preso in affitto, insieme ai teli e alle loro borse, chiacchierando fra di loro.
“Gamberetto, che ne dici di darci una mano?” lo apostrofò d’un tratto Tendou, distogliendolo dai suoi pensieri “È vero che sei nostro ospite, ma non pensare di venire servito e riverito!”
A quelle parole, Shoyo si alzò in piedi di scatto, scrollandosi i residui di sabbia dalle mani, quindi corse verso l’altro ragazzo per aiutarlo a sfilarsi la pesante borsa frigo dalla spalla. “Scusami! Mi sono distratto a guardare il mare!” disse subito, desolato, prima di cominciare a scorrazzare di qua e di là da chiunque gli sembrasse in difficoltà con qualche compito.
“Hinata, non devi affannarti tanto, ce la facciamo.” gli fece notare Reon Ohira, col suo solito tono cordiale.
“Ma sì! Tendou stava scherzando!” si aggiunse a lui Hayato Yamagata.
“A me invece non dispiace se lo strapazziamo un po'!”
“Nemmeno a me!” si spalleggiarono invece Eita Semi e Kenjiro Shirabu, passandogli accanto.
“Io devo ancora capire cosa diavolo ci fa qui!” proruppe Tsutomu Goshiki, evidentemente piccato.  
Shoyo rivolse un sorriso raggiante ad ognuno dei ragazzi, compresi coloro che si erano divertiti a punzecchiarlo con le loro frecciatine.
Quando lui, Tendou e Ushijima avevano incontrato gli studenti della Shiratorizawa davanti alla stazione di Miyagi, Hinata si era nascosto istintivamente dietro la schiena del loro capitano, sbirciando i loro volti attraverso lo spazio tra i gomiti, in preda al panico: aveva una fifa tremenda della loro reazione, dell’astio – giustificabilissimo- che essi avrebbero potuto ostentare nei suoi confronti.
Di solito, lui non odiava le persone contro cui perdeva in partita, purtroppo nei tornei ufficiali andava così, c’erano sempre un perdente e un vincitore, non aveva senso provare antipatia nei confronti di giocatori che avevano dato il massimo e si erano battuti lealmente… ma ogni persona era diversa, no?
Magari loro, abituati a vincere e vedendosi già con la vittoria in tasca, lo avrebbero preso a pugni non appena fosse uscito allo scoperto!
In effetti, l’espressione che il gruppetto gli aveva rivolto non appena aveva trovato il coraggio di fare capolino dal suo nascondiglio, era stata tutto fuorché confortante: tra sguardi confusi ed esclamazione sbigottite, Shoyo aveva desiderato soltanto fuggirsene a gambe levate!
Era stato Reon Ohira, un ragazzo dalla carnagione scura e dai modi – avrebbe scoperto di lì a poco- estremamente gentili, a rivolgergli per primo la parola e rompere il ghiaccio.
“Ciao! Hinata Shoyo, dico bene? Io sono Reon Ohira, non abbiamo avuto modo di presentarci l’ultima volta! Come stai? Vi siete battuti benissimo nella nostra partita, immagino che adesso siate in trepidazione per le Nazionali di Tokyo!” gli aveva detto, porgendogli la mano ed un gran sorriso.
Hinata, seppur ancora intimidito, aveva affondato il palmo nel suo, pigolando una sottospecie di risposta, in mezzo a mille imbarazzati balbettii.
Comunque, da quel momento in avanti, l’atmosfera era andata via via ad alleggerirsi, dato che anche la restante parte del gruppo aveva preso coraggio e si era avvicinata al giocatore del Karasuno con sempre maggior confidenza.
Alla fine, le sue preoccupazioni si erano dimostrate completamente infondate.
Certo, alcuni di loro non erano chissà quanto espansivi nei suoi confronti – niente sorrisi, pacche sulle spalle e complimenti di sorta- ma era più una questione caratteriale che di rancore, come aveva temuto al principio. La verità era che, dietro l’aria di superiorità che mostravano in campo, Hinata aveva scoperto che i giocatori della Shiratorizawa altro non erano che dei comunissimi adolescenti, non diversi da tutti quelli che conosceva. Si interessavano ai film, alla musica, ai libri, avevano problemi con questo o quell’altro professore, prendevano in giro il loro coach, lamentandosi degli allenamenti talvolta estenuanti, si scambiavano consigli su qualche videogioco, nominavano locali in cui si ripromettevano di andare presto a passare il pomeriggio, si sfottevano persino a vicenda su un certo interesse amoroso… ragazzi qualsiasi, insomma, con i loro pregi e i loro difetti.
A parte Reon, ad esempio, che parlando, non aveva fatto che avvalorare l’impressione di ragazzo garbato e disponibile che Shoyo si era fatto di lui, anche Hayato Yamagata, il libero della squadra, si era dimostrato sorprendentemente gentile, soprattutto quando cercava di proteggerlo dalle piccole provocazioni di Shirabu e Semi che, al contrario dei compagni, evidenziavano un’indole leggermente più spigolosa.
Eita Semi doveva essere un tipo alquanto competitivo; il tono con cui si rivolgeva a Hinata, invero, aveva sempre una leggera nota sprezzante al suo interno, anche se in fondo non era mai inopportuno o maleducato. Kenjiro Shirabu, invece, era composto, silenzioso, eppure assolutamente glaciale nei commenti che di tanto in tanto elargiva non soltanto a lui, ma anche ai suoi stessi compagni di squadra. Insieme a Tsutomu Goshiki, erano gli unici due giocatori non del terzo anno lì presenti, dato che il resto della Shiratorizawa – opportunamente invitato- non aveva aderito per impegni vari.
Per quanto riguardava Goshiki poi, forse era proprio lui la persona che aveva sorpreso Shoyo più di tutte quante: dato che era l’unico di loro a partecipare al famoso ritiro estivo della Shiratorizawa a cui stava presenziando come raccattapalle, Hinata aveva già avuto occasione di rivolgergli la parola, ma ben presto si era reso conto che il Goshiki che era solito stare in campo era molto diverso dal Goshiki che vi era al di fuori, perché sì,  Tsutomu Goshiki era un tipetto decisamente agguerrito e piuttosto orgoglioso, ma era anche intelligentissimo, rispettoso, pieno di interessi diversi oltre la pallavolo; conosceva un mucchio di cose su un mucchio di argomenti, ed era evidente che nutrisse una stima infinita nei confronti dei suoi senpai, in particolare per il suo capitano.
Hinata, in effetti, aveva intuito quasi subito che le battutine al vetriolo che il coetaneo gli lanciava di tanto in tanto, non erano affatto legate ad una vera antipatia o al loro match di primavera.
Era pura e semplice invidia per il fatto che lui stesse abitando sotto lo stesso tetto di Ushijima.
“Sapete, l’uccellino aveva il terrore che lo avremmo spennato ben benino non appena fossimo saliti sul treno, per vendicarci della sconfitta!” lo punzecchiò Tendou, intanto che si spalmava la crema solare, prendendolo alla sprovvista.
Hinata non poté fare a meno di notare che, nonostante le linee flessuose, il ragazzo aveva una muscolatura molto ben definita, non avendo nulla da invidiare ai suoi compagni di squadra giusto un po' più massicci. Ad ogni modo, “Ecco, io… temevo che potesse essere arrabbiati… era una partita importante, dopotutto…” mormorò, a testa china, facendo finta di affaccendarsi per stendere il proprio telo sulla sabbia calda, sotto l’ombrellone.
Dietro le sue spalle, il gruppetto ridacchiò.
“Potremmo sempre decidere di affogarti qui a Shirahama, la giornata è lunga!” gli urlò Semi.
“Non ricordavo di essere un criminale! Ho la faccia da criminale, per caso?” chiese, ironico, Yamagata.
“Non rischierei mai la prigione per una cosa così stupida.” sentenziò Shirabu, lanciandogli un’occhiata in tralice dall’ombrellone lì di fianco.
“La Shiratorizawa è una squadra di persone oneste e ragionevoli, nessuno di noi avrebbe mai avuto il comportamento che paventavi.”
Calò il silenzio.
L’inaspettato intervento di Ushijima nella conversazione aveva ammutolito tutto il gruppo, anzi la spiaggia intera.
“Avete giocato lealmente e avete vinto. Solo uomini senza onore farebbero del male fisico a qualcuno per una sconfitta.”
A quel punto, successe una cosa davvero singolare. Shoyo vide che, dopo l’attimo di stordimento dovuto alle parole del proprio capitano – che fino a quell’istante, non aveva pronunciato una sola sillaba- uno ad uno i ragazzi della Shiratorizawa sorrisero, alzando le spalle e raddrizzando la schiena, come dei soldati chiamati all’ordine dal proprio generale.
In quelle poche ore che aveva trascorso con il gruppo, durante il viaggio in treno, Shoyo aveva capito che il rapporto che Ushijima condivideva con la sua squadra era molto particolare, forse un po' distaccato, un po' tiepido, ma non per questo meno potente.
A differenza di Daichi, Ushijima non si prendeva cura di quei ragazzi con la calda affidabilità di un genitore, non sentiva il bisogno di accudirli, spronarli o rimbrottarli per riportarli all’ordine. Ushijima interagiva poco e niente nelle loro conversazioni, completamente avulso – Hinata ormai lo sapeva- da quegli argomenti e quelle preoccupazioni tipicamente adolescenziali che invece riempivano la loro esistenza da comuni liceali, eppure bastava una sola frase, una sola parola, e quelli lo seguivano senza il minimo tentennamento, in nome di un rispetto, di una fiducia e di una ammirazione che Ushijima si era guadagnato non attraverso affetto o belle parole, ma sul campo di pallavolo.
Mentre il giovane asso osservava rapito la distesa del mare, Hinata posò gli occhi sulla sua schiena ampia, possente, la sua postura fiera.
Non faceva alcuna fatica ad immaginare come dovesse essere giocare al fianco di un campione del genere, essere pervaso dalla sua luce iridescente e inviolabile, ed avere la assoluta certezza che niente avrebbe mai potuto scalfirti, niente di brutto sarebbe mai riuscito a toccarti o ferirti, fin quando lui sarebbe stato lì, a combattere al tuo fianco.
All’improvviso, Ushijima ruotò il capo nella sua direzione.
I suoi occhi, sotto i raggi diretti del sole di agosto, erano di un verde prezioso.
“Metti la crema, la tua pelle è molto chiara, potresti scottarti.” gli disse, o meglio, gli ordinò.
“Va-va bene!” rispose Hinata e prese subito a togliersi le scarpe per rimanere in costume – un pantaloncino celeste con una banda gialla che aveva acquistato in una bancarella vicino alla spiaggia.
“Sai, Wakatoshi, sei un po' diverso quando ti rivolgi al piccolino.” fece Tendou, affiancandosi al capitano.
Hinata finse di non dare peso al discorso e continuò a spogliarsi, nonostante il cuore fermo in gola.
“Diverso come?” ribatté allora Wakatoshi, increspando un poco la fronte.
“Diverso e basta.”  soffiò l’altro ragazzo, mentre sollevava appena un angolo della bocca.
“Ehi, Hinata, ma che hai fatto dietro la schiena?”
Il commento inaspettato di Eita ebbe il potere di cristallizzare il sangue di Shoyo nelle vene.
Nel giro di un istante, si sentì lo sguardo di tutti quanti addosso, perfino Tendou gli girò intorno per aggiungersi all’esame certosino che stava avvenendo sulla profonda cicatrice che deturpava lo spazio tra le sue scapole.
Se ne dimenticava spesso, Hinata, del suo marchio, del simbolo frastagliato e un po' sbiadito che avrebbe attestato per sempre la sua perdita.
Lo specchio lo risparmiava dalla ferocia dei ricordi, complice anche la posizione nascosta sulla schiena, ma la curiosità della gente no, nella sua innocenza, quella finiva impietosamente per scuotere le acque della memoria, e allora lui che ancora non aveva imparato a placare il dolore - lui che forse non lo avrebbe imparato mai- non sapeva fare altro che rimanere immobile, come in quel momento, non sapendo che cosa dire per proteggere la propria sofferenza dal resto del mondo.
“Niente di che, ho subìto una operazione quando ero molto piccolo.” sussurrò incerto, stringendo le labbra.
“La cicatrice è bella grande…” commentò Tendou, con una certa tensione nella voce.
“Cavolo, sì! Hai avuto un incidente o qualcosa di simile? Devi essertela vista brutta, mi dispiace!” disse invece Reon, in apprensione.
“No, tranquilli! Era per un… difetto congenito, niente di serio…”
“Che difetto? Vorrei studiare medicina dopo il liceo, mi interessa.” gli domandò ancora Shirabu, mentre avvicinava un poco il viso.
“Io… non ricordo… non ricordo con esattezza… ha un nome complicato…”
“Tutte queste domande non sono necessarie.” tagliò corto Ushijima, all’improvviso.
Il giovane asso afferrò Shoyo per un gomito, quindi lo spostò malamente in avanti per piegare il busto e iniziare a rovistare nella sua sacca firmata, abbandonata sull’asciugamano ai loro piedi.
Hinata, tra sé e sé, si chiese ingenuamente se l’altro fosse consapevole che, in quella maniera, si era andato a frapporre tra il suo segreto e le congetture del gruppo, come a volergli fare scudo, comunque, non ebbe tempo di soffermarsi oltre su quello stupido pensiero, dato che l’asso gli ficcò tra le mani la sua confezione di crema solare. “Ti ho detto di mettere la crema.” gli intimò, senza guardarlo “Se siete tutti pronti, vorrei fare una partita a beach volley.”
“Cavolo, sì!”
“Vi farò mangiare la polvere!”
“Io voglio stare in squadra con te, Ushiwaka!”
“Non se ne parla, ci voglio stare io!”
“Io pure!”
“Ce la giochiamo a morra cinese!”
“Ma prima ci facciamo un bagno?”
Come se niente fosse accaduto, i cinque giocatori della Shiratorizawa presero a spintonarsi e a ridere, finché Eita e Tendou afferrarono Shirabu per le gambe e per le ascelle con l’intento di buttarlo in acqua.
Shoyo e Ushijima rimasero fermi, sotto l’ombrellone, a scrutarli da lontano.
“Grazie…” mormorò allora Hinata, la voce ancora provata dalla situazione. 
“Non ho fatto niente.” fu la breve risposta di Ushijima, prima di avviarsi verso la banchina.
 
*** 
 
La mattinata passò in fratta, con una facilità che Shoyo non avrebbe mai davvero sospettato.
L’acqua del mare, contro la calura estiva, era una carezza fresca sulla pelle. Shoyo amò immergersi nelle sue profondità per osservare il fondale di sabbia compatta e morbida, amò leccare le goccioline salate che si incastravano tra le proprie labbra dischiuse a recuperare fiato dopo l’apnea, amò le capriole, gli scherzi, le battaglie combattute sulle spalle di Tendou contro Semi e Goshiki, amò tagliare le onde del mare col dorso delle mani e dei piedi per darsi la spinta e nuotare fino alle boe, oltre le quali si aggiravano pedalò e barche. Ma, sopra ogni cosa, amò la sensazione di leggerezza che derivava dal lasciarsi cullare sulla superficie - gli occhi pieni soltanto di cielo, il mare che lo teneva a galla senza fatica.
La amò perché era una sensazione che non provava da tempo, di cui capì di provare una profonda nostalgia.  
Da quando era che non entrava in acqua?
La risposta doveva essere troppo, troppo davvero, dato che non ne aveva memoria.
Il lutto, misto alla difficoltà di dover badare da sola a due figli piccoli, aveva costretto Misaki Hinata a non concedersi più lunghe giornate sulla spiaggia, ma anche Shoyo, per un motivo o per un altro, non aveva più trovato occasione di avvicinarsi a delle località marittime, per questo promise a se stesso di impegnarsi, in futuro, a ricongiungersi più spesso con quell’elemento naturale che gli regalava un tale grado di benessere, che sembrava accoglierlo dentro di sé come l’abbraccio di un vecchio amico.
Di comune accordo, il gruppetto decise di lasciarsi asciugare al sole direttamente sul campetto di beach volley dello stabilimento, tornando a bisticciarsi la presenza di Ushijima nella propria squadra con una foga che si guadagnò l’indignazione dei proprietari e di ben più di qualche avventore del lido.
Alla fine, Hinata giocò con Eita, Tendou e Yamagata, mentre Ushijima rimase insieme a Shirabu, Goshiki e Reon.
Era la prima volta che si cimentava nel beach volley, ma fu un’esperienza divertente, essenzialmente per due motivi: il primo fu che, così come su un normale campo da pallavolo, i ragazzi della Shiratorizawa si rivelarono dei giocatori eccellenti, dotati di un talento e di un senso del gioco davvero fuori dall’ordinario; in secondo luogo, perché – Shoyo scoprì- il beach volley era anche più complicato della pallavolo e, per questo, ugualmente entusiasmante.
Se già in condizioni normali, Shoyo doveva fare i conti con una corporatura tutt’altro che robusta e la maledetta forza di gravità che tentava di ancorarlo al pavimento, nel beach volley era il terreno il suo più acerrimo nemico, la sabbia che con le sue coltri soffici e cedevoli pare ingoiare ogni slancio e imprigionare le caviglie, impedendogli di spiccare il volo. Oltretutto, stando alle regole ufficiali, una squadra di beach volley si componeva di soli due elementi, il che significava che non c’erano compagni a cui appoggiarsi in una vera partita, nessuno avrebbe potuto sopperire alle tue mancanze: c’eri soltanto tu, a coprire dove occorreva, che fosse palleggio, attacco, difesa!
Per fortuna, potendo contare su Yamagata e Tendou in quel match alla buona, Shoyo era riuscito a dissimulare un poco la sua scarsa propensione per… beh, qualsiasi cosa che non fosse schiacciare!
“È piuttosto divertente vederti sfrecciare da una parte all’altra del campo, quando non giochi da avversario!” gli disse Eita, ridendo, appena dopo aver terminato un’azione in cui erano riusciti ad eludere il muro di Goshiki proprio grazie alla rapidità di Hinata.
Ormai stavano giocando per mero intrattenimento: dopo aver tenuto i punti per un paio di set – che avevano visto la vittoria schiacciante della squadra di Ushijima- il caldo e la fatica avevano cominciato a farsi sentire, per cui i ragazzi avevano deciso di limitarsi a fare qualche passaggio, giusto per tenersi impegnati fino all’ora di pranzo.
“Già, perché quando sei dall’altra parte della rete, è molto fastidioso!” gli fece eco Tendou con un sorrisetto sardonico, intanto che si asciugava il sudore dalla fronte.  
“In verità, non riesco a muovermi come vorrei sulla sabbia! È faticosissimo!” precisò allora Hinata, gettandosi a terra a peso morto, per riprendere fiato. Con il passare delle ore, il caldo stava diventando asfissiante; il campetto quantomeno era coperto da un grosso telone scuro, ma anche senza i raggi diretti del sole sulla pelle, la sensazione era quella di trovarsi all’interno di un forno a microonde.
“È perché non hai le gambe sufficientemente allenate.” intervenne Ushijima all’improvviso, dal lato estremo del campo. Il giovane asso raccolse la sua borraccia da terra e ingollò un generoso sorso d’acqua, prima di continuare, “Su un campo normale, la tua elevazione deriva dallo slancio, ma qui il fondo semi-morbido ti rallenta. Se seguissi un allenamento fisico adeguato, riusciresti a muoverti con molta più facilità.”
A quel punto, Hinata si issò a sedere con un piccolo slancio e “C-certo, deve essere così…” si affrettò a rispondere, scrollandosi un po' di sabbia dai capelli in modo da dissimulare il rossore che avvertiva sulle guance. Dannazione! Avrebbe desiderato tanto dire qualcosa di più intelligente, peccato che Ushijima avesse scelto quell’esatto momento per svuotarsi il contenuto della propria borraccia sopra la testa, togliendo a Shoyo ogni singola facoltà intellettiva.
Fissò i rivoli trasparenti scivolare lungo il torace scolpito, le dita lunghe e spesse del ragazzo sparire in mezzo ai fili scurissimi dei suoi capelli per tirarli all’indietro, a scoprirgli i tratti severi del viso.
Stare a stretto contatto con Ushijima in quelle condizioni – il fisico statuario coperto soltanto da un costume verde scuro, la pelle nuda scintillante di sudore e salsedine- si era rivelato molto più complicato di quanto Shoyo avesse previsto, quando aveva accettato di unirsi alla comitiva della Shiratorizawa.
Si era illuso che sarebbe stato facile accantonare il sogno assurdo di quella mattina nel dimenticatoio, screditarlo come la stupida e innocua fantasia di un adolescente in preda agli ormoni, invece i suoi sprazzi si divertivano a invadergli la mente a tradimento, mettendo a dura prova il suo autocontrollo.
Non si fidava di se stesso, Shoyo.
Era come se quel sogno avesse spezzato una diga immaginaria posta nel suo essere più profondo, e adesso il desiderio fosse libero di correre a briglia sciolta, rompendo gli argini del buon senso, invadendogli la pancia, il basso ventre, le mani, gli occhi, le gambe, la bocca.
Shoyo non aveva mai provato il bisogno di toccare un’altra persona con quella ferocia, con quella frenesia: gli faceva prudere i palmi l’urgenza di stringerlo, gli seccava la gola la necessità di scoprire la consistenza della sua pelle, e la cosa peggiore era che, più tentava di darsi un contegno, più quelle sensazioni sembravano sovrastarlo, come a volergli dimostrare tutta la loro potenza.
Il fatto di non essere l’unico a subire il fascino di Ushijima Wakatoshi, lo confortava e lo irritava alla stessa maniera.
“Grazie.” snocciolò infatti l’asso, educato ma sbrigativo, mentre con un piccolo inchino congedava l’ennesima ragazza che gli si era avvicinata per lasciargli un bigliettino con il proprio numero di telefono.
Era la quattordicesima? La ventiduesima?
Shoyo aveva perso il conto circa un’ora fa.
Da quanto avevano messo piede sulla spiaggia, c’era stata una sottospecie di processione al cospetto di Ushijima, processione che aveva visto coinvolte per lo più ragazze tra i quindici e i vent’anni, ma anche – e Shoyo ne era rimasto a dir poco scioccato- una donna sulla quarantina, un’altra poco più giovane con la fede al dito e ben tre uomini, di cui uno che non poteva avere meno di trent’anni.
A Shoyo ormai era abbastanza chiaro quale presa, un ragazzo come Ushijima, avesse sulla gente; d’altronde, non aveva dimenticato il modo in cui, quando erano andati a vedere la partita d’argento a Tokyo, gli occhi delle persone sembrassero venir calamitati dalla sua aura splendente quasi si trattasse di un gesto assolutamente imprescindibile. E sì, non c’era poi da stupirsi che tale fenomeno si fosse addirittura quadruplicato in un contesto come la spiaggia, dove la perfezione dell’asso della Shiratorizawa faceva bella mostra di sé in maniera anche più plateale del solito. Eppure, Shoyo non poteva fare a meno di chiedersi se fosse più da compatire o da invidiare una risonanza del genere: a Ushijima faceva piacere avere tutta quella attenzione addosso? Dietro la sua educazione, c’era imbarazzo? Fastidio? Oppure era bello venire apprezzati così apertamente? Sapere di poter schioccare le dita in qualsiasi momento e veder cadere ai propri piedi uno stuolo infinito di ammiratori pronti a mandare all’aria famiglia e onore, pur di ricevere un briciolo di attenzione?
Shoyo, al momento, sapeva soltanto che lui, dal basso della sua presenza banale e fiacca, assolutamente dimenticabile, non avrebbe mai dovuto porsi alcuna di quelle questioni.
E che, per disgrazia o per fortuna, per quegli stessi motivi, i suoi sogni inopportuni su Ushijima sarebbero rimasti solo e soltanto quello, dei sogni, confusi in mezzo agli altri che accerchiavano la sua persona.
“Cosa possa portarvi, ragazzi?”
La voce squillante della cameriera distolse bruscamente Hinata dai suoi pensieri.
Era così assorto da non essersi nemmeno accorto di aver seguito il gruppo della Shiratorizawa fino al chioschetto e aver preso posto insieme a loro, intorno al bancone, per prendere il pranzo, comunque ordinò al volo un panino e una bibita fresca, i primi che gli capitarono a tiro dal menu di carta plastificata che gli era stato passato da Tendou.
Lanciò una rapida occhiata verso Ushijima, seduto dal lato opposto, intento ad ascoltare qualcosa che gli stava raccontando Reon, al suo fianco, tuttavia, d’un tratto anche il giovane asso sollevò il capo nella sua direzione, facendolo sussultare.
Ci fu un istante – infinito, pesantissimo- in cui Ushijima infilò gli occhi nei suoi e li tenne lì, immobili, stringendo appena le sopracciglia come se stesse inseguendo un flusso di idee complesso, che a tratti lo innervosiva.
“Hinata...” scandì solo con le labbra, poi protese appena il busto, come per continuare, e…
“Basket o pallavolo?”
Tutti i ragazzi si bloccarono al suono di quella domanda, anche se essa era stata porta, inequivocabilmente, solo ad Ushijima.
Proveniva da una ragazza che aveva appena preso posto sullo sgabello libero vicino al capitano e adesso lo stavo fissando, col viso poggiato sul palmo di una mano e un sorrisetto furbo, un po' imbronciato, sulle labbra laccate di lipgloss.
La prima cosa che pensò Hinata, vedendola, fu che doveva essere straniera, probabilmente europea, a giudicare dai tratti del viso decisamente lontani da quelli tipici orientali.
La seconda fu che doveva essere un tipetto molto sicuro di sé, visto il modo diretto e spavaldo con cui si era approcciata ad uno sconosciuto.
La terza fu che, in ogni caso, quella ragazza aveva tutto il diritto di essere spavalda, diretta o sicura di sé, visto che era senza alcun dubbio la creatura più bella che Shoyo avesse mai visto sulla faccia della Terra.
Aveva i capelli lisci, di un biondo dorato lucente, pieno di sfumature, la carnagione bronzea di chi aveva passato in spiaggia almeno una decina di giorni e due occhi verdi, contornati da una fitta corolla di ciglia nere. Era snella, flessuosa, i suoi lineamenti erano fini ma marcati. Portava indosso un bikini sui toni del marrone e una camicia di lino bianca, aperta, che esaltava oltremodo i suoi colori naturali, e ogni suo movimento sembrava avere una certa grazia, anche il più insignificante, che fosse un cenno del capo, un gesto breve delle braccia colme di braccialetti, un guizzo delle labbra morbide, perfette.
Shoyo non avrebbe saputo spiegarlo a parole, ma quella ragazza aveva qualcosa di affascinante, un’aura magnetica capace di catalizzare su di sé l’interesse delle persone senza fare un bel niente.
In quel momento, ad esempio, tutti la stavano guardando con la bava alla bocca e lei – fiera, sprezzante – non sembrava avere occhi che per Ushijima.
“Come scusa?” chiese a quel punto l’asso, dopo qualche secondo di stordimento.
Il fatto che perfino lui, di solito così apatico e disinteressato, fosse rimasto colpito dalla bellezza della sconosciuta causò a Hinata una fitta al petto talmente forte che gli spezzò il fiato.
“Io e le mie amiche abbiamo fatto una scommessa,” cominciò la ragazza, la voce morbida, voluttuosa “secondo loro sei un giocatore di basket, io invece dico che fai pallavolo!”
“Faccio pallavolo, infatti.”
“Benissimo, allora ho vinto io!”
“Va bene, buon per te.”
“Oh, in realtà è buono anche per te, perché il mio premio è prendere un drink qui in tua compagnia, sai?” spiegò, ridendo sbarazzina della sua stessa battuta “Un mojito, per favore!”
Quando la signora del bancone servì alla nuova arrivata la bevanda richiesta, ufficializzando definitivamente la sua intenzione di parcheggiarsi lì al chioschetto, la situazione cominciò a prendere delle pieghe alquanto surreali: la ragazza pareva davvero intenzionata a rivolgersi soltanto a Ushijima e infatti prese a chiacchierare con lui, ignorando bellamente il resto del gruppo, senza lasciarsi intimidire dalle risposte alquanto laconiche dell’asso, ma anzi sembrando quasi infervorata dalla sua mancanza di interesse, come se flirtare con lui fosse una specie di gioco che sapeva di vincere.
Appresero che il suo nome era Layla, aveva ventitré anni, era nata e cresciuta a Valencia, in Spagna e di lavoro faceva la influencer, infatti era a Shirahama beach per uno shooting di costumi da bagno, su ingaggio di una nota casa di moda giapponese.
O almeno, così pensava di aver capito Hinata.  
Il fatto era che le sue orecchie avevano preso a fischiare forte e il cuore gli stava martellando in maniera talmente violenta nella cassa toracica da rendergli difficile persino respirare.
Perché stava avendo quella reazione?
Davvero non lo capiva…
Ushijima era già stato oggetto di attenzioni in sua presenza – come quella mattina- eppure c’era qualcosa di diverso quella volta, qualcosa che feriva Shoyo come un pugno nello stomaco.
Forse era che, per la prima volta da quando lo conosceva, dietro i monosillabi e i vaghi cenni del capo, Ushijima sembrava diverso dal solito, ad esempio guardava Layla dritta negli occhi, non si irrigidiva se lei casualmente gli accarezzava un braccio o poggiava le dita affusolata sulla sua coscia mentre parlava di se stessa e, più in generale, non mostrava il proverbiale distacco che usava con chiunque, piuttosto sembrava vagamente intontito dal vortice di energia della ragazza.
“E dimmi, Ushijima Wakatoshi, sei bravo nella pallavolo?”
“Sì, molto, sono l’asso della mia squadra, nonché capitano.”
“Non mi riesce difficile crederlo, hai il fisico dei vincenti!”
“Non so che fisico abbiano i vincenti, ma io mi alleno molto.”
“Sei sicuro di te, mi piace! Ho una cosa da chiederti…”
Shoyo sentì le viscere come cadere giù, sul pavimento, quando Layla si avvicinò all’orecchio di Wakatoshi per sussurrargli qualcosa e lui la ascoltò, attento, prima di risponderle, trovandosi a un centimetro dalle sue labbra.
Sarebbero stati una così bella coppia loro due.
Entrambi attraenti, affascinanti, perfetti.
Ushijima era un essere umano dopotutto, no?
Doveva avere anche lui degli istinti sessuali sepolti sotto l’austerità che lo contraddistingueva e chi meglio di una divinità come Layla sarebbe stata in grado di portarli a galla?
Maledizione, il cuore gli stava per sfondare la cassa toracica.
“Ragazzi, vado con Layla al bagno. Ci vediamo tra poco.”
Silenzio di tomba.
Il sorriso vittorioso e malizioso della ragazza.
La sua mano ferma, possessiva, alla base della schiena di Ushijima.
 
Hinata riuscì a stento a trattenere le lacrime.
 
 
NOTE AUTORE
 
Ragazzi, la violenza non è mai un bene, suvvia!
Mettete da parte quei forconi, smettetela di affilare i coltelli! Vi vedo che state lì a scartare la confezione nuova di proiettili per il vostro fucile! Lo so che vorreste prendere la manina di Layla e spezzarla in nome dell’affetto che provate per Shoyo, ma vi ricordo che le lesioni e l’omicidio sono penalmente perseguiti!
CON CALMA E PER PIACERE!
 
La giornata al mare di Shoyo con i ragazzi della Shiratorizawa sembra scorrere tranquilla, almeno all’inizio, complice soprattutto il superamento dell’imbarazzo e delle ritrosie che il corvetto covava nei confronti dei componenti della squadra avversaria, eppure l’arrivo di Layla sconvolge gli equilibri, mettendo Shoyo di fronte a una questione che non ha mai affrontato prima: la concreta possibilità che Ushijima possa interessarsi ad uno dei mille e mille spasimanti che gli gravitano intorno.
Insicurezza, senso di inferiorità, gelosia… sono sentimenti di chi ha solo una forte e indomabile ammirazione nei confronti di un campione? E Ushijima, da parte sua, cosa sta facendo con Layla?
Sono davvero curiosa di leggere le vostre opinioni al riguardo!
 
ATTENZIONE!! Purtroppo, devo informarvi che il prossimo capitolo della long potrebbe arrivare con un po' di ritardo rispetto al normale! Sto avendo qualche incombenza in più al lavoro, a cui si stanno aggiungendo – giusto per avvicinarmi di più all’esaurimento nervoso- impegni personali vari ed eventuali, per cui mai come in questo periodo sto trovando poco tempo per mettermi al PC e scrivere due righe!
Forse – e dico forse! – potreste assistere alla comparsa di qualche OS sparsa, che tengo in cantiere già mezza abbozzata!
FARÒ PRIMA CHE POSSO PER NON LASCIARVI APPESI, PROMETTO!
 
Piccole precisazioni random:
  1. A me, Reon Ohira sta un sacco simpatico. Lo trovo uno dei personaggi più dolci e gentili di Haikyuu e mi scoccia che non gli venga mai data la giusta importanza! :P
  2. Se volete un riferimento per l’aspetto di Layla, mentre scrivevo avevo in mente l’immagine di Ester Exposito (sì, la marchesina di Elite) che io trovo bona a livelli atomici!
  3. Ricordo che la storia famigliare di Hinata è totalmente farina del mio sacco, compresi i nomi della mamma e del papà
 
Alla prossima
Violet Sparks
   
 
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