Cap. 17
L’interminabile
serpentone di ospiti che, lentamente,
stava penetrando all’interno del Palazzo Reale di Hindarall
avrebbe potuto
somigliare, senza timore di esser smentiti su tale argomento,
all’infinita coda
di Jörmungandr(1).
Osservandola dall’alto di
una delle torri del palazzo,
re Surtr non si sentiva per nulla tranquillo, né aveva la
presunzione di essere
certo che le pareti gigantesche che lo circondavano, o il suo potente
esercito,
fossero in grado di proteggerli, in caso di problemi.
Se non sapeva da che parte
guardare, come poteva
contare di coprire ogni angolo utile e impedire che lo pugnalassero
alle
spalle?
“Avete pensieri
così profondi, sire, che le vostre
orecchie fumano” dichiarò al suo fianco Yothan,
accigliato al pari del re e
altrettanto preoccupato.
“Hildur sta ancora
studiando le carte riguardanti i
commilitoni di Sthiggar per capire chi sia stato ferito in volto
durante la
battaglia nei Protettorati, dopodiché mostrerà al
mercante un ritratto di
coloro i quali corrispondono alla sua descrizione. Fino ad allora,
però, non ho
idea alcuna della serpe in seno che sto covando da tempo, e senza
saperlo, o di
quante persone sia composto il complotto ai miei danni”
asserì torvo Surtr. “Ho
le mani legate, e detesto ammetterlo. Rivoglio la monarchia assoluta,
amico
mio!”
Yothan sorrise appena, nel sentirlo
lamentarsi a quel
modo e, annuendo affabile, asserì: “Non lo metto
in dubbio, sire. Così come non
metto in dubbio che Hildur riuscirà nel suo
compito.”
“Ammesso e non concesso
che non attacchino prima
dell’ultimazione delle sue indagini. Sai quale
sarà il suo ruolo, se dovessimo trovarci
nei guai, vero?” gli domandò il re.
“Sì. Me
l’ha accennato con aria assai contrariata, ma
io penso che abbiate scelto bene. Saprà portare a termine il
suo compito
egregiamente” dichiarò Yothan, invitando il re a
rientrare. “Dobbiamo dare il
benvenuto agli invitati.”
“Come se me ne importasse
qualcosa, a questo punto.”
Il comandante non poté
replicare in alcun modo, a
quelle parole. Sapeva perfettamente cosa intendesse dire il suo
sovrano, ed era
pienamente partecipe delle sue preoccupazioni. Chi non lo sarebbe
stato,
dopotutto?
***
Il volto sconvolto di Mikell, padre
di Kyddhar e
fratello della regina Ilya, si trasfigurò al punto tale che
il giovane soldato
al suo fianco indietreggiò turbato, forse temendo una
punizione a causa delle
notizie appena giunte da Midghardr.
La spedizione dei due jotun inviati
sul pianeta degli
umani, contrariamente a quanto avevano pensato e sperato, non era
andata affatto
a buon fine.
Sthiggar non era stato condotto in
catene dal liòsalfar
che avrebbe dovuto soggiogarlo con la sua magia e renderlo loro schiavo
e, quel
che era peggio, i resti dei due jotun erano stati trovati nel luogo in
cui
erano stati mandati per rapire il muspell.
Lo jotun che aveva riferito la
notizia, però, non si
fece spaventare dallo sguardo di fiamme del nobile muspell e,
scrollando una
spalla con noncuranza, replicò al suo disappunto con aria
spavalda.
“Manderemo altri uomini,
e stavolta saranno più
numerosi e armati. Pensare che un
soldato suo pari potesse essere messo al tappeto così
facilmente, anche se su
terra umana, è stata una sottovalutazione sciocca delle sue
potenzialità ma,
ora che sarò io a
prendere simili
decisioni, non avremo più problemi.”
Mikell, di fronte a tanta
sfacciataggine, preferì
astenersi dal fare commenti e soffermò i suoi occhi di
fiamma su colui che
tanto aveva denigrato le abilità di Sthiggar. Irato, quindi,
esclamò: “Sbaglio,
o avevi detto che quel ragazzo sarebbe stato una facile preda, una
volta
deprivato della sua Fiamma?! Ci hai quindi raccontato menzogne,
disprezzando
con così tanta veemenza le sue capacità
tattiche?”
Resistendo a stento
all’imperativo desiderio di
rattrappirsi nelle spalle, Thrydann replicò piccato:
“E’ stato sicuramente
aiutato dai carcerati che si trovano a Luleå con lui. Non
può essere che così.
Sthiggar ha il solo vantaggio di avere sangue divino nelle vene, e
perciò è
stato beneficiato della Fiamma Viva, ma non
ne è degno! E’ un incapace, se preso da
solo!”
Sogghignando di fronte a quella
replica un tantino
querula, Mikell asserì perfido: “Qui, a parlare,
è la gelosia, caro il mio Thrydann.
Non ti garba essere nato senza i sui speciali e unici occhi chiari, o
sbaglio?
Sia come sia, agiremo come ha stabilito il comandante Lennart e tu, nel
frattempo, andrai a palazzo a presenziare ai festeggiamenti,
così come il tuo
ruolo di figlio primogenito ti impone.”
Impallidendo leggermente, Thrydann
esalò: “Ma… sarò
nel bel mezzo del…”
“Dell’attacco?
Certo. Non vorrai davvero che i membri
del Consiglio – e tuo padre – dicano che uno dei
loro figli è un negletto e un
uomo irrispettoso, ti pare?” ironizzò Mikell prima
di farsi mortalmente serio e
aggiungere: “Tu ti troverai là esattamente
come me, ti siederai alla destra di tuo padre e farai la tua
parte come ti
ho ordinato, o non diverrai mai ciò che desideri
essere.”
“Sì, mio
signore” mormorò a quel punto il giovane,
reclinando rigidamente il capo.
“Inizia a chiamarmi con
il mio nome, ragazzo” ghignò
Mikell.
“Sì… mio re”
assentì Thrydann prima di accomiatarsi.
Sospirando, Mikell tornò
a scrutare il viso pallido
del Gigante di Ghiaccio che gli aveva portato quel triste messaggio e,
scuro in
volto, aggiunse: “Rammenta al tuo sovrano i nostri accordi,
comandante, e tutto
andrà per il meglio.”
“Re Lafhey è
uomo d’onore, nobile muspell, e agogna la
caduta di Surtr esattamente come te” replicò il
comandante jotun con un
sorrisino furbo.
“Molto bene.
Avrà il mio aiuto e appoggio, quando
vorrà attaccare Svartalfheimr ma, per il momento, sfruttiamo
fino all’ultimo i
dokkalfar e il loro odio nei confronti di Surtr. Che almeno il
sacrificio di
mio figlio sia valso a qualcosa” dichiarò con tono
aspro Mikell. “Su di loro mi
prenderò una rivincita dopo
aver
spodestato mio cognato.”
Lo jotun assentì
serafico e, con un leggero inchino,
si allontanò dalle stanze del nobile muspell, pronto a
tornare dai suoi uomini,
oltre le porte di Bifröst.
Ben presto, l’invasione
sarebbe avvenuta e, Fiamma
Viva o meno, avrebbero distrutto Surtr in un modo o
nell’altro.
Da lì a radere al suolo
ogni cosa, il passo sarebbe
stato breve, e re Lafhey avrebbe ottenuto quanto desiderato.
Il Ragnarök avrebbe avuto
inizio, ma non sarebbe stato
Surtr a primeggiare e vincere sui Mondi, né a brandire
l’Arma Definitiva, ma il
grande Lafhey, re di Jötunheimr.
***
Ragnhild stava ormai guidando da un
paio d’ore quando,
dal bagagliaio, Thrym udì giungere dei rumori sospetti.
Nel chiedere perciò alla
ragazza di fermarsi presso la
prima piazzola utile, guardò Sthiggar al suo fianco e scese
dall’auto non
appena questa ebbe interrotto la sua corsa.
Ragnhild e Flyka, armate di
coltello, li seguirono
dappresso e, quando Sthigg aprì a sorpresa il bagagliaio, le
urla dei due
uomini fecero trasalire di paura l’ospite inatteso che, di
nascosto, si era
imbucato in quel viaggio improvvisato.
Mattias sollevò le mani
per proteggersi da un loro
eventuale attacco mentre Ragnhild, sconvolta al pari degli altri,
esalava
irritata e terrorizzata: “Ma che ci fai qui?!”
“Scusa, scusa,
scusa!” esclamò il ragazzino, fissando
spiacente la sorella prima di uscire in tutta fretta dal bagagliaio per
abbracciarla.
Ragnhild rispose
all’abbraccio per poi baciargli il
capo ma, ancora turbata, disse: “Questa è stata la
cosa più idiota che tu abbia
mai fatto, Matt. Che ti diceva la testa?!”
“Dovevo
venire”
sottolineò lui, non fornendo però ulteriori
spiegazioni.
La giovane scrutò
dolente il fratello, si fece dura in
volto e disse: “Sarà meglio che tu mi dica perché
sei voluto venire ma, per ora, dobbiamo allontanarci il
più possibile per nascondere
la nostra auto. Farà giorno a breve e, non appena
papà si accorgerà della tua
mancanza, sguinzaglierà i berserkir per
riprenderti.”
Mattias assentì
spiacente, ma replicò: “A tempo debito
ti dirò tutto, solo non ora.”
Accigliandosi leggermente nel
tornare al posto di
guida, mentre il resto del gruppo faceva spazio a Mattias sui sedili
posteriori
e Sthiggar si sistemava al fianco della giovane, Ragnhild
domandò al fratello:
“C’è di mezzo Urd?”
Matt si murò la bocca,
fissandola poi spiacente e la
giovane, sospirando, borbottò: “Voi possessori di
anime senzienti siete delle
rotture di scatole uniche.”
“Sc…”
“Non dirlo” lo
minacciò Ragnhild, fissandolo bieca.
Mattias si morse il labbro
inferiore prima di guardare
spiacente anche Sthiggar e aggiungere: “Non volevo peggiorare
ancora di più la
situazione, ma dovevo venire
anch’io.”
“Va tutto bene. Ti
porterò sulle spalle, se sarai
stanco, così non avremo problemi. Potendo usare
l’aura, non ne risentirò
affatto” scrollò le spalle Sthiggar.
“Ma ti renderai visibile
alla magia degli jotun, così”
gli ricordò Thrym, accigliandosi.
“E’ un rischio
che dobbiamo correre, ma prometto che
la userò solo quando sarà strettamente
necessario” assentì lui, lanciando poi
uno sguardo a Ragnhild, che lo stava scrutando turbata.
Lui si limitò a
sorriderle e la giovane, a sorpresa,
rispose al sorriso prima di accelerare e dire: “Preparatevi.
Prenderò delle
strade secondarie e molte non saranno esattamente piacevoli.”
“Fai quello che puoi,
ragazza. Qui, siamo tutti dalla
tua parte” dichiarò Thrym, allungandosi per darle
una pacca sulla spalla.
Ragnhild accentuò il
proprio sorriso, a quel tocco e,
consapevole di cosa stesse rischiando, cercò di non crollare
proprio sul più
bello.
Aveva deciso consapevolmente di
aiutarli, di scappare
da ogni certezza lei avesse mai avuto fino a quel momento, ma non aveva
tenuto
in conto che Mattias avrebbe potuto imbucarsi. Ora, doveva pensare
anche a lui,
ma non poteva lasciarsi andare al panico solo per questo.
Sthiggar l’avrebbe
aiutata. Di questo era certa.
***
Le libagioni erano state servite
con abbondanza ai
mille e più dignitari muspell, oltre agli ospiti provenienti
da Elfheimr,
Svartalfheimr, Jötunheimr e Niflheimr presentatisi per i
festeggiamenti
dell’anniversario di matrimonio dei Reali.
Mentre musici e saltimbanchi
intrattenevano gli
ospiti, Surtr chiacchierava con apparente leggerezza con sovrani e
nobili,
semplici conoscenti o vecchi amici.
Ilya, a poca distanza da lui, era
fedelmente
accompagnata da Hildur, per l’occasione abbigliata con la
divisa ufficiale
delle Fiamme Nere, una lunga tunica dorata e corvina che le raggiungeva
le
caviglie.
La tunica, elegantemente ricamata e
decorata con
fiamme dai colori scarlatti su maniche e colletto rigido, nascondeva
sotto di
essa una cotta di maglie di provenienza elfica.
Legato alla coscia destra, e
nascosto dalle coltri
della tunica, un sottile stiletto avvelenato era l’unica
– quanto preziosa –
arma in dotazione alla Fiamma, per quella sera.
Surtr non aveva potuto darle il
permesso di entrare in
armatura, visto che il banchetto doveva apparire normale
a tutti i costi, e anche Yothan si era dovuto adeguare,
indossando
per l’occasione la Divisa Ufficiale delle Fiamme Purpuree.
Naturalmente, aveva fatto sistemare
armi in abbondanza
sotto ai tavoli delle libagioni, ben protette alla vista dalle lunghe
tovaglie,
e i soldati in borghese che si nascondevano tra gli invitati erano gli
unici a
conoscere quel particolare.
Neppure i membri del Consiglio ne
erano stati messi al
corrente. Surtr sperava che tutto ciò bastasse a scongiurare
il peggio e,
soprattutto, che le persone da loro scelte per mantenere quel segreto
fossero
anche degne di fiducia.
Essendo il traditore un membro
della compagnia di
Sthiggar, Surtr aveva dovuto diffidare di ognuno dei membri del
Consiglio della
Corona. Quasi tutti loro, infatti, avevano un figlio che era stato al
comando
di Yothan ed era stato compagno del ragazzo.
Il mercante, forse troppo turbato
dal suo
inconsapevole ruolo, o forse realmente incapace di dare una risposta,
non era
stato in grado di riconoscere il soldato che lo aveva tratto in
inganno.
Hindur non aveva dunque potuto
agire per bloccare il
commilitone di Sthiggar, reo di averlo cacciato in quel guaio e ora,
suo
malgrado, anche la donna doveva comportarsi al pari del re, educata
ospite nei
confronti dei potenziali nemici che si trovavano in quella sala.
“Complimenti per la
magnifica festa, Surtr” esordì
Lafhey, avvicinandosi al re muspell e tenendo in mano un calice di buon
vino
elfico.
Imperturbabile, Surtr
salutò il sovrano jotun e disse:
“Grazie. Sempre il meglio per i miei stimati
ospiti.”
“Hai davvero superato te
stesso, stavolta” chiosò lo
jotun, guardandosi attorno con espressione sorridente. “Mi
chiedo, però, se
tanta opulenza non nasconda un po’ di stanchezza e
noia.”
“Potrei divorare i miei
nemici con un solo boccone,
non temere” ghignò Surtr, spingendo lo jotun a
brindare a lui.
Lafhey accettò la sfida
e, dopo aver fatto tintinnare
il proprio bicchiere con quello del muspell, replicò:
“Oh, non lo metto in
dubbio. Tu sei sempre stato un grande guerriero… ma i tuoi
giovani soldati, che
mai hanno combattuto una vera guerra, sarebbero in grado di sostenerne
una? E’
così difficile capire se i nostri eserciti sono
all’altezza dei loro
altisonanti nomi!”
Nel dirlo, sospirò
afflitto, come se Lafhey stesso
pensasse di non avere schiere di soldati all’altezza del loro
nome e Surtr,
laconico, asserì: “Avere comandanti come il mio
fidato Yothan mi fa credere che
nulla al mondo possa sconfiggere le mie Fiamme.”
Il re jotun sorrise mellifluo al
vecchio soldato –
solido come una roccia al fianco del proprio re – e,
annuendo, convenne
dicendo: “Oh, di persone come il rinomato comandante Yothan
si può sempre fare
affidamento. Pagherei qualunque cifra per avere un simile guerriero tra
le mie
schiere. Nessuna possibilità che io possa
rubartelo?”
Surtr sorrise appena, a
quell’accenno e Yothan, con un
grazioso inchino rivolto allo jotun, disse: “Vi ringrazio
sentitamente per il
complimento, sire, ma ho un problema con le basse temperature. Sono
sensibile
ai geloni.”
Lafhey scoppiò in
un’allegra risata, a quel commento
e, annuendo, esalò: “Cielo! Avere anche una simile
simpatia tra le mie fila! I
miei generali sono così… freddi
e rigidi!”
Persino Surtr si lasciò
andare a un mezzo sorriso, di
fronte a quel tentativo di fare dell’ironia e Lafhey,
ritenendosi soddisfatto,
terminò di dire: “Non voglio monopolizzarvi oltre.
La festa è ancora agli
inizi, e voi dovete parlare con un sacco di persone.”
“Il tuo punto di vista
è sempre gradito, Lafhey,
perciò il tempo passato con te è sempre speso
bene” dichiarò Surtr,
stringendogli la mano.
Lo jotun sorrise appena nel
replicare alla stretta e,
misterioso, replicò: “E’ un peccato
quando il tempo non sembra mai bastare.”
Surtr lo fissò confuso
per un istante prima di
sobbalzare quando, all’improvviso, una terribile esplosione
fece vibrare i
vetri del salone delle feste e un’alta colonna di fuoco si
sprigionò dalla
città di Hindarall.
“Ma
cosa…” borbottò il re prima di tornare
a cercare Lafhey
con lo sguardo.
Quest’ultimo,
però, si era già dileguato in mezzo alla
folla, folla che si stava assiepando sgomenta nei pressi delle alte
vetrate, in
trepidante osservazione del fuoco divampato nei pressi del Portale di
Bifröst.
La distanza era troppa per
comprendere cosa stesse
succedendo ma, quando le esplosioni si susseguirono e, dalle vie della
città,
cominciarono a levarsi grida talmente forti da raggiungere il palazzo,
Surtr
urlò: “Siamo sotto attacco! Alle armi,
presto!”
L’istante successivo, il
re cercò con lo sguardo
Hildur e Ilya e, addolorato quanto deciso, assentì
all’indirizzo della
guerriera.
Alla Fiamma Nera non
servì altro. Afferrò a un braccio
la regina e, senza attendere oltre, la portò con
sé ignorando le proteste
veementi della sua sovrana.
Con occhi che bruciavano di
indignazione, Hildur raggiunse
quindi la porta di un vicino disimpegno e lì, lapidaria,
ordinò alla regina:
“Non una parola. Tornerò subito da voi e voglio
ritrovarvi qui, è chiaro?!”
Ilya assentì torva, non
certo abituata a ricevere
ordini quando, per millenni, era stata lei
a darne agli altri.
Ben sapendo di essere apparsa
aspra, nel suo agire,
aprì la tunica con una mano, afferrò lo stiletto
avvelenato per passarlo alla
sovrana e, più gentilmente, aggiunse: “Uccidete
chiunque non sia io, o mio zio
Snorri. Non possiamo fidarci di nessun altro.”
“Va bene”
mormorò secca la regina, trattenendo tra le
mani la letale arma.
Hildur assentì veloce,
chiuse dietro di sé la porta –
che nascondeva un piccolo andito conosciuto solo dalla
servitù – e, con occhi
attenti, cercò in fretta la figura dello zio.
Snorri sarebbe divenuto in breve
tempo una delle prede
più ambite dai loro nemici, essendo il possessore delle
chiavi del più grande
tesoro contenuto nel tempio di Sól. Era perciò
vitale che nessuno lo trovasse
prima di lei.
Sperando perciò che lo
zio si fosse posizionato nel
luogo in cui lei lo aveva pregato di trovarsi, qualora si fossero
scatenati
disordini, Hildur corse verso il tavolo delle bevande mentre, sul fondo
del
salone, i primi armigeri dokkalfar facevano irruzione in armi.
L’istinto di muovere in
direzione del nemico fu forte,
ma la visione di Snorri che procedeva verso di lei con passo spedito le
rammentò il suo compito e, con esso, il suo dovere.
Afferrando gentilmente lo zio al
gomito, lo condusse
in fretta dove aveva lasciato la regina, ignorando volutamente le grida
disperate degli ospiti, quelle iraconde degli armigeri del re e quelle
rabbiose
dei nemici.
Se fosse rimasta un solo attimo di
più, le sue gambe
si sarebbero mosse verso la battaglia, ignorando ogni altra cosa, ogni
altra
imposizione, pur sapendo che non avrebbe dovuto farlo.
Non ascoltare quanto stava
accadendo dietro di lei, la
distruzione, la morte e la devastazione, era vitale per compiere quella missione. Diversa da quella che
stavano combattendo i suoi compagni, ma non meno importante.
Aperta perciò la porta
del disimpegno dove aveva
nascosto Ilya, gridò subito: “Sono io, mia
regina!”
Ciò detto, spinse dentro
Snorri, sbarrò la porta spezzandone
la maniglia dopodiché, rapida, picchiettò con le
nocche il muro dinanzi a sé,
mormorando: “Dobbiamo recarci quanto prima al Portale di
Bifröst, sperando che
non abbiano abbattuto le porte per raggiungere i ponti.”
“Ma… dovremo
attraversare tutta la città, per
raggiungerlo!” esclamò turbato Snorri, guardando
preoccupato la sua regina.
“Non in questo caso,
zio” dichiarò la guerriera, trovando
finalmente il punto in cui far scattare la sicura del passaggio
segreto.
Sorridendo poi a entrambi, aggiunse: “Questo palazzo non
è solo bello e
maestoso, ma anche pratico, e offre una gamma infinita di vie
d’uscita.”
Nell’invitarli a scendere
lungo l’oscura scalinata
nascosta dietro la porta segreta, Hildur azionò il campo
magico che correva
lungo le pareti di roccia e, immediatamente, reti infinite di muschi
bioluminescenti presero vita.
Sotto i loro occhi, la via venne
illuminata per
intero, lasciando intravedere un’interminabile scalinata che
sembrava giungere
fino al centro del pianeta.
Mentre i gradini si dipanavano
dinanzi a loro
portandoli sempre più in basso, sempre più
lontani dalla battaglia che si stava
svolgendo nel salone delle feste, Ilya sollevò un poco le
gonne per correre più
agevolmente e domandò piccata: “Tu e mio marito
eravate d’accordo, vero? Perché
non ne ero stata informata?!”
“Non eravamo sicuri di
nulla, maestà, perciò era
inutile tediarvi con teorie cospirative che non avevano alcuna base
certa”
replicò cauta Hildur, non sapendo quanto esporsi.
Ilya non era la fragile donna che
molti pensavano lei
fosse e, se la sua rabbia raggiungeva il culmine, poteva essere
temibile al
pari di quella di Surtr. Era perciò imperativo non farsela
nemica, per poter
compiere agevolmente quella missione.
“Sicuri di nulla, eh? Per
questo eri armata, sotto la
tunica? Per questo, sotto i tavoli,
era pieno zeppo di spade?” ribatté aspramente la
regina, imboccando l’ennesima
scala.
“Non sapevamo contro chi
avremmo dovuto eventualmente
combattere, ma eravamo praticamente certi che qualcosa stava muovendosi
nell’ombra, e aveva a che fare con il bando di Sthiggar da
Muspellheimr” le
spiegò a quel punto Hildur, sorprendendola.
“Che c’entra
quel benedetto ragazzo?” esalò sorpresa
la regina mentre Snorri scrutava interrogativo la nipote.
“Ve lo
spiegherò dopo, lo giuro solennemente. Ora,
però, dovete seguire strettamente i miei ordini. Me ne scuso
in anticipo”
replicò sbrigativa Hildur, sopravanzando la regina per
essere la prima a
oltrepassare la porta di ferro che li separava dalle gallerie
sotterranee,
un’intricata serie di passaggi che correvano al di sotto
dello strato roccioso
della baia.
Ilya storse il naso contrariata,
pur accettando le
parole della guerriera e Snorri, nell’annuire a sua volta,
disse: “Non saremo
d’impiccio, cara… ma dicci; cosa faremo, una volta
raggiunto il Portale di
Bifröst?”
“Dovremo andare su
Midghardr e cercare Sthiggar per
riportarlo indietro… ammesso e non concesso che non sia
successo nulla nel
frattempo” sospirò lei, aprendo la porta per poi
scrutare guardinga le
gallerie. “Il fatto che non ce lo siamo ritrovati addosso,
comunque, è già un
buon segno, o credo che l’avrebbero usato per abbattere il re
in un colpo
solo.”
I due muspell sospirarono sgomenti,
di fronte a
quell’ipotesi e Hildur, nell’aprire la porta,
controllò la situazione oltre
essa.
Nulla e nessuno sembrava aver
utilizzato quelle
gallerie da tempo immemore e, quando Hildur azionò la stessa
magia
bioluminescente usata in precedenza, le arcate scavate a mano
rifletterono onde
di luce che crearono ombre lunghe e minacciose.
Non di meno, Hildur
avanzò sprezzante e pronta a
menare fendenti al primo che si fosse messo contro di lei. Alle sue
spalle,
Ilya e Snorri la seguirono molto meno baldanzosi, tenendosi fianco a
fianco per
sostenersi a vicenda.
“Cosa intendi dire,
Hildur? Cosa mai può essergli
successo?” domandò quindi turbato Snorri,
avanzando quasi di corsa al pari
della regina.
“Temiamo che le stesse
persone che ci hanno attaccati
stanotte, possano aver cospirato per indebolire Sthiggar,
così da poterlo
soggiogare e usare contro re Surtr la sua Fiamma Viva,
l’unica in grado di
uccidere il sovrano” mormorò pensierosa Hildur,
muovendosi lesta lungo la
galleria sgombra e che rifletteva in un’eco infinita solo il
suono dei loro
passi.
Snorri inspirò con
forza, turbato da quella notizia e
Ilya, nello stringere la mano che teneva poggiata sul braccio
dell’uomo, disse
incoraggiante: “Se c’è una cosa che ho
imparato, di quel ragazzo, è che trova
sempre il modo di saltare fuori dai guai. Abbi fede, Snorri.
E’ pur sempre il
nipote di Sól.”
L’uomo assentì
con un mezzo sorriso, pur non
sentendosi affatto tranquillo e Hildur, nell’indirizzarli
verso l’ennesima
scalinata, disse: “Da qui, raggiungeremo il salone centrale
del Portale di
Bifröst. Io entrerò per prima e
controllerò che non ci siano pericoli ma, se
dovessero esserci dei problemi, voi andrete comunque a Midghardr,
preleverete
una CercaFiamma per trovare Sthiggar e il pennino di un Guardiano per
liberarlo
dal veleno, dopodiché gli direte ciò che sta
accadendo. Io vi coprirò le spalle
durante la fuga.”
“Hildur, no!”
sbottò Snorri, bloccandola a un braccio
perché non compisse un solo passo in più.
La donna scrutò con
profondo affetto il gentile e
pacifico zio, l’uomo che aveva tentato con tutto se stesso di
offrire amore e
protezione all’animo tormentato del figlio e, sorridendo,
replicò: “Sono una
Fiamma Nera, zio, e il mio compito è proteggervi. Se non
potrò condurvi io
stessa a Midghardr, dovrai promettermi che proteggerai tu stesso la
regina e
che troverete Sthiggar a ogni costo.”
Snorri assentì suo
malgrado alla nipote e Hildur, nel
liberarsi gentilmente dalla stretta dello zio, tastò un muro
nei pressi della
porta che li divideva dal Portale di Bifröst quindi aggiunse:
“Ora, dovrete
indossare abiti più consoni al regno degli umani. Questi,
attirerebbero troppo
l’attenzione e, obiettivamente, rendono scomodo qualsiasi
movimento.”
Prelevando da una nicchia del muro
gli abiti che,
giorni prima, aveva preparato per tutti loro, Hildur
consegnò il necessario a
Snorri e Ilya dopodiché, sfilandosi in fretta la tunica, la
sostituì con un
maglione e dei comodi stivaletti di cuoio.
Ai pantaloni non badò
– erano di pelle scamosciata e
rientravano tra l’abbigliamento che avrebbe potuto benissimo
passare per moda
umana – e, subito, si concentrò
nell’aiutare la regina, alle prese con un paio
di jeans.
“Mi scuso con voi, Ilya
ma, per fuggire, i pantaloni
sono decisamente più comodi” le disse Hildur,
aiutandola poi con le scarpe da
ginnastica.
“Oh, dopo questa
scampagnata forzata, mi farò arrivare
da Midghardr un carico intero di questi abiti”
cercò di ironizzare lei,
tastando coi piedi la morbidezza delle scarpe.
“Tu come sei messo,
zio?” chiese a quel punto Hildur.
“Direi che sono a
posto” le disse lui, guardandosi con
aria curiosa.
Dopo averlo controllato
velocemente, la donna assentì,
aprì guardinga la porta dopo aver creato un elaborato
ologramma magico dinanzi
alla serratura e, sgomenta, vide i primi, terrificanti effetti
dell’esplosione
che avevano udito da palazzo.
La cupola del Portale di
Bifröst era completamente
distrutta e i suoi residui di vetro, legno e ferro si trovavano
sparpagliati un
po’ ovunque, creando un vero e proprio cimitero
architettonico.
Oltre a quello, Hildur scorse
diversi muspell morti
sotto le macerie, altri dilaniati da ferite esplosive –
forse, dovute alle armi
dei dokkalfar – e, altri ancora, squarciati dalle armi di
ghiaccio degli jotun.
L’odore acre del fuoco
artificiale creato dai nani
oscuri ammorbava l’aria ma, almeno a una prima occhiata, i
nemici erano passati
senza lasciare nessuno a controllare le porte di Bifröst.
Da quella posizione privilegiata,
Hildur poté udire
anche i suoni di lotta provenire dal porto e, più in
là, dalla città in fiamme
ma, non potendo far altro che continuare nella sua missione,
proseguì oltre,
concedendo ai suoi protetti di passare.
Ilya gorgogliò irata nel
vedere il totale sfacelo di
quei luoghi e i corpi esamini stesi a terra ma Snorri, al suo fianco,
la trattenne
dall’avvicinarsi ai morti, così da non rischiare
eventuali agguati imprevisti.
Non v’era tempo per la
pietà, né per gli scatti d’ira.
Il loro imperativo principale era raggiungere Midghardr e riunirsi con
Sthiggar. Per tutto il resto, anche per l’umano struggimento,
avrebbero dovuto
attendere.
Muovendosi perciò tra le
macerie fumanti, i corpi dei
valorosi Guardiani che avevano difeso le Porte e ciò che era
rimasto del
passaggio distruttivo dei loro nemici, Hildur raggiunse finalmente il
Portale
di Midghardr.
Lì, sotto il suo sguardo
sgomento e contrito, vide infine
il Guardiano di Porta che aveva tatuato Sthiggar il giorno del suo
esilio. Poggiato
contro il portale chiuso e con una evidente ferita al torace, sembrava
sul
punto di cedere e il suo respiro affannato era un chiaro indice di
quanto fosse
vicino alla fine.
Non avrebbe vissuto ancora per
molto; i rivoli di
sangue e schiuma che uscivano dalla sua bocca glielo confermavano senza
ombra
di dubbio.
Bloccata l’avanzata dei
suoi protetti, la guerriera si
avvicinò quindi all’uomo morente e, con sguardo
tenero, sfiorò quel viso
pallido e stanco e mormorò: “Dimmi, buon
guardiano, qualcuno si è recato a Midghardr?”
“H-hanno r-rubato una
C-CercaFiamma” gorgogliò l’uomo,
indicando poi con un cenno del capo il suo pennino spezzato e le altre
CercaFiamme – distrutte – sparse sul pavimento.
Accigliandosi nel vedere il pennino
ridotto a
brandelli – l’unico oggetto in grado di liberare
Sthiggar dal giogo della magia
che lo teneva bloccato su Midghardr – Hildur strinse i denti
ma disse ancora:
“Hai fatto ciò che hai potuto, con quello che ci
era concesso sapere. Nessun
guerriero avrebbe potuto essere più coraggioso di te, e il
re lo saprà per
bocca mia.”
“E mia”
soggiunse la regina, accucciandosi accanto
all’uomo, che boccheggiò nel vederla.
“M-mia
r-regina” annaspò il guardiano, cercando di
alzarsi.
La regina, però, gli
carezzò gentilmente il viso,
scosse il capo e replicò: “Riposa, mio buon
guardiano, e sappi che il tuo
sacrificio non sarà stato fatto invano. Libereremo
Muspellheimr dagli invasori,
in un modo o nell’altro.”
L’uomo mosse appena il
capo per annuire e, nel muovere
febbrilmente una mano in direzione di una delle tasche della tunica,
mormorò
stanco: “Una C-CercaFiamma. L’ho s-salvata p-prima
che le distruggessero
t-tutte.”
Hildur prese la sua mano nelle
proprie, chinò il capo
per sfiorare con la fronte quelle dita lorde di sangue e, benedicente,
disse:
“Sól ti guiderà nel cammino verso il
Valhalla, il luogo più puro e limpido di
Helheimr. Di questo sono sicura.”
A questo punto, Snorri si
inginocchiò accanto a loro,
sfiorò con indice e medio la fronte dell’uomo e,
salmodiando una preghiera
mentre Hildur prendeva per sé la CercaFiamma,
mormorò roco ma con voce
controllata: “Sii benedetto, figlio di Muspellheimr. La tua
anima immortale
assurgerà al regno degli eroi e la tua vita sarà
cantata nei secoli a venire.”
Con un ultimo gorgoglio, il
guardiano mormorò un inno
al re e Hildur, nello stringere tra le dita la CercaFiamma, un semplice
oggetto
tondeggiante e ricoperto di perle opalescenti, dichiarò:
“Ammazzerò fino
all’ultimo jotun che mi capiterà a tiro. Ma ora
dobbiamo andare. Non sappiamo
quanto tempo abbia ancora a
disposizione
Sthiggar. Se gli jotun sono andati su Midghardr, vuol dire che
è ancora vivo,
perciò abbiamo speranza di trovarlo prima di loro.”
I suoi due protetti assentirono nel
rialzarsi e, dopo
un’ultima occhiata al guardiano ormai morto, si avviarono con
la guerriera
attraverso la porta che conduceva a Midghardr.
“Cosa pensi faranno, se
raggiungeranno Sthiggar prima
di noi?” domandò preoccupato Snorri, oltrepassando
il ponte di Bifröst a occhi
socchiusi, quasi accecato dal lampo giallo che li investì al
loro arrivo.
“Sicuramente, avranno un
mago liòsalfar in grado di
annullare il blocco sul braccio di Sthiggar e imbrigliare la sua anima
per
soggiogarlo ai loro voleri” gli spiegò Hildur,
indicando loro un’intricata
scalinata che conduceva verso l’alto. “Era uno dei
nostri timori e, visto ciò
che hanno fatto, diventa più reale a ogni minuto che
passa.”
“E la CercaFiamma, come
funziona? Non li condurrà agli
altri detenuti?” domandò Ilya, in ansia.
“Sono pur sempre figli di Muspell.”
“No, mia regina. Ogni
firma è peculiare e, se hanno
preso con loro le CercaFiamma, non solo sapevano della loro esistenza,
ma
sapranno anche come usarle e regolarle sul tratto energetico di
Sthiggar”
borbottò Hildur. “Se solo sapessi chi è
il delatore, lo avrei già sgozzato.”
“Io, invece,
farò installare qualcosa di più comodo di
queste interminabili scale. Non ne posso davvero
più” sbuffò la regina,
accennando poi un sorrisino teso a Hildur.
“Vi capisco, regina Ilya.
Sono davvero noiose” assentì
la guerriera, accelerando il passo al pari dei suoi protetti.
Non avevano idea di quando si
fossero mossi gli jotun
che erano partiti alla volta di Midghardr ma, di sicuro, non potevano
perdere
tempo alcuno.
Sthiggar era solo e senza poteri,
nel mondo degli
uomini e, contro un contingente jotun, sarebbe sicuramente stato
catturato, se
non fossero arrivati in tempo.
1:
Jormungandr: fratello di Fenrir. E’ il demone-serpente che,
nel mito, circonda
la Terra e che, alla fine dei tempi, divorerà tutti.
I liòsalfar, invece, sono in generale gli elfi – sia chiari che scuri – che hanno peculiari doti magiche e possono, all’occorrenza, irretire anche guerrieri del calibro di Sthiggar, se presi nel loro momento di maggiore debolezza.