Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: Chiara PuroLuce    06/08/2022    4 recensioni
Ernesto scopre un segreto sulla sua vita che gli sconvolgerà completamente l'esistenza... e non solo a lui!
(Writober 2020 - pumpNIGHT 2020 - #fanwriter2020)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
«Ma sei sicuro che non dovevamo avvisare?»
 
«Sicurissimo. Papà ama le sorprese e il mio rientro anticipato lo manderà in visibilio.»
 
«Certo, ma ammetterai che questa non è una semplice sorpresa. Andiamo Bruno, gli prenderà un colpo, due volte! E… e se è in dolce compagnia della sua innamorata e li troviamo in una situazione… come dire, piccante? Come l’hai chiamata lei? Ah, sì, Gemma. Un nome prezioso, non c’è che dire.»
 
«Ahahah, è vero, lo è di nome e di fatto. Lei è la salvezza e il riscatto di mio padre e io sono felicissimo che si frequentino. Lui se la merita una così, dopo quella stronza insensibile di mia madre.»
 
«Ehi, rispetto, ricordati che tu sei qui anche grazie a lei. Può avere agito in maniera sconsiderata, ma…»
 
«È pur sempre mia madre» concluse lui sospirando pesantemente. «Dio, Luca, parli come mio padre, ma ricordati che il titolo va meritato e lei non si è mai comportata come tale, mai» gli disse prima di fargli la linguaccia. «Oh, eccoci qua. Pago io il taxi, tu intanto occupati dei bagagli che non sono pochi.»
 
«In teoria sarebbe il suo lavoro» replicò quello indicando il tassista.
 
«Vero, ma non mi risulta che le tue mani siano rotte, in più sei anche riposato dal volo e dall’arrivo fino qui bello comodo, quindi risparmia un lavoro a questo gentile signore che sicuramente starà sgobbando da stamattina presto e datti una mossa che i bagagli non hanno le gambe.»
 
«Agli ordini… mio despota» gli rispose alzando gli occhi al cielo, poi gli fece un sorriso impertinente. «Io li tolgo da lì, ma tu mi aiuti a trascinarli all’appartamento di tuo padre, sappilo. Non sono il tuo facchino io» borbottò prima di fargli l’occhiolino e scendere.
 
Ah, quel ragazzo l’avrebbe mandato dritto al manicomio. No, decisamente Luca non era il suo facchino.
 
«Lo scusi, è tanto buono quanto ingenuo, a volte. Quanto le devo signore?»
 
«Ah, ad averceli di clienti come lei, il mio lavoro sarebbe meno stressante, mi creda. Offro io, per ripagarla della gentilezza gratuita.»
 
«Ma… ma è sicuro? Non stiamo parlando di dieci euro.»
 
«Sicurissimo. E ora scenda e aiuti quel poveretto del suo amico che lo vedo un attimino in difficoltà, è quasi comico» gli consigliò, ridacchiando.
 
Bruno ringraziò l’uomo e si affrettò appresso a un Luca affaticato che a momenti cadeva sull’asfalto con la sua valigia addosso.
 
«Non mi sembrava così ingombrante quando l’hai chiusa a Londra. Ma che ci hai nascosto dentro, un cadavere?» Lo affrontò lui quando gliela tolse di mano senza difficoltà.
 
«Oddio, come hai fatto a scoprirmi» lo rimbeccò fingendosi sorpreso. «In realtà sono solo alcuni regali che ho comprato per la mia nuova famiglia, mio padre, Gemma e non solo. E ritieniti fortunato che l’indiano con tanto di copricapo piumoso, non ho potuto portarlo con me.»
 
«Per fortuna quell’orrore di un metro e mezzo che hai messo all’ingresso, ha smesso di tormentare i miei incubi. Augh» disse e Bruno sbuffò. «Era odioso e sono felice di non rivederlo mai più, tu e i tuoi dubbi gusti sull’arredamento. Allora, dobbiamo rimanere qua nel parcheggio o…»
 
«Ehi, voi due. Questo non è un Motel, cosa sono tutte quelle valige. Ingombrano il passaggio, toglietele subito da lì. Questo è il parcheggio di una palazzina rispettabile.»
 
Ed eccolo lì, quasi quasi se lo aspettava prima ancora che scendesse dal taxi. Era in ritardo. Bruno sorrise a quell’ometto che li stava raggiungendo di corsa – più o meno, vista la sua andatura – con l’immancabile tenuta notturna che amava sfoggiare a tutte le ore, nascosta sotto una vestaglia che aveva visto anni migliori, un berretto di lana dell’800 come minimo e un bastone che ticchettava in modo sinistro sull’acciottolato. Fece cenno a Luca di tacere, ma in realtà non ce ne sarebbe stato bisogno, visto che il suo amico era rimasto a bocca aperta incerto tra il ridere e il fuggire.
 
«Signor Brambilla, come sta? Sempre in formissima vedo. Si ricorda di me?»
 
«Dovrei?» Rispose l’anziano dopo averlo guardato da vicino attraverso le lenti sporche degli occhiali. «Ah, sì, il figlio di Ernesto. Sei la sua copia sputata, sai? Ti avrei riconosciuto da un chilometro di distanza senza problemi, ma sai… da vicino faccio fatica e questi occhiali…» disse togliendoseli e agitandoli, poi guardò di fianco a lui e disse puntandogli addosso il bastone «lui invece non so chi sia.»
 
«Luca Cazzaniga, piacere mio» intervenne lui allungandogli una mano che quello non prese, diffidente come al solito fino all’estremo.
 
«Idelfonso Maria Brambilla» si presentò riducendo gli occhi a due fessure. «Tuo padre non c’è, ragazzo, è uscito poco fa con la rossa e formosa Gemma. Ah, avessi avuto qualche anno in meno… Hai la chiave?» Gli chiese guardandolo. «Ehi, quelli sono miei, che fa?» Sbottò poi contro Luca.
 
«Glieli ridò subito, si fidi» rispose Luca con calma mentre estraeva dal borsello a tracolla un set di pulizia per occhiali «questo prodotto è una bomba, parola mia. Vede i miei come sono puliti? Glielo regalo, tanto ne ho la scorta in valigia.»
 
«Il tuo amico sta bene, Bruno? Mi sembra un tipo strano.»
 
Detto da uno che lo era davvero poi… era quasi comico.
 
«È solo un maniaco della pulizia, un po’ invadente a volte. Potevi chiederglielo prima e che cavolo» lo riprese.
 
Ma Luca lo ignorò e sistemò gli occhiali puliti sul naso del signor Brambilla che spalancò gli occhi dallo stupore e poi gli mise in mano il pacchettino che gli aveva promesso.
 
«Ah, però, la ringrazio ora sì che ci vedo benissimo» sentenziò mentre lui gli sorrideva soddisfatto. «Allora, questa chiave, ce l’hai o no?»
 
«Sì, eccola» rispose estraendola dalla tasca. «Ho voluto fare a papà una sorpresa tornando prima e avevo messo in conto che avrei potuto non trovarlo. Mi raccomando non gli dica niente quando lo vede rientrare, vorrei tanto vedere la sua faccia stupita.»
 
«Sarò muto come un pesce» rispose quello. «Da quando gli hai detto che saresti venuto a vivere da lui, Ernesto cammina a un metro da terra. Puoi scommetterci che sarà felicissimo di averti qui. Ma lui si aspettava solo te, dove dormirà l’occhialuto qua, in salotto?» Chiese poi guardando Luca.
 
Già, dove? Lui un’idea ce l’aveva, ma non prevedeva il salotto. Certo, suo padre era un uomo senza pregiudizi e moderno – cosa rara per quelli della sua età – ma preferiva comunque andarci cauto.
 
«Una soluzione la troveremo di sicuro. Bene, noi entriamo che siamo stanchi dal viaggio e abbiamo bisogno di rimetterci in sesto prima che torni papà. A presto signor Brambilla.»
 
«Puoi giurarci, caro ragazzo. Domani mattina arriverò puntuale con la lista della spesa» l’informò prima di andarsene, questa volta con più calma, agitando il bastone al loro indirizzo.
 
Il che voleva dire… un’altra levataccia domenicale. Ma cos’aveva quell’ometto contro il poltrire a letto nell’unico giorno libero?
 
«E niente, il solito rompiscatole della domenica mattina. Giuro che – anche se il più delle volte mi fa tenerezza – lo strozzerei volentieri a mani nude al posto di mio padre, che è troppo buono e non ce la fa a mandarlo a quel paese. Alle 7.00 sarà già attaccato al campanello, ma ti rendi conto?» Si lamentò.
 
«Guarda che domani è sabato, siamo in anticipo» gli ricordò Luca. «Sei un pochino sfasato e pure lui a quanto pare o si è semplicemente confuso, dopotutto ha una certa età. Che tipo strano, però ha ragione, sei sicuro su tuo padre? E se non mi volesse tra i piedi e mi cacciasse in malo modo? E se reagisse male quando… l’hai sentito il vecchietto, no? Lui è convinto che tu…»
 
«Ah, quanti “e se…” inutili. Tranquillizzati. E ora dimmi, hai fame? Io sì e penso che ne avrà anche papà al rientro. Ti lascio il bagno, mentre cucino qualcosa. Ho il sospetto che con Gemma in giro, il frigo sia pieno e non abbia più l’eco. Preparerò qualcosa per quattro, non si sa mai.»
 
Prese le valige e fece strada a un Luca dubbioso che lo seguì in silenzio. Poteva capire le sue paure. Nel momento in cui si era aperto con i suoi genitori, quelli l’avevano ripudiato – anche se lui sperava fosse momentanea la cosa, se pur tremenda e anche ingiusta – e ora temeva la stessa sorte anche lì. Ma se c’era una cosa di cui Bruno era sicuro, era l’assoluto amore di suo padre per lui e il fatto che non sapesse neanche cosa fosse il pregiudizio, talmente era ben disposto verso tutti e tutto. Non vedeva l’ora che rientrasse.
 
 
                                                                                         ֎֎֎֎֎  
 
 
«Davvero non volete rimanere a cena con noi? Stasera ci sono le lasagne al pesto e le verdure impanate al forno, ah… e come dimenticare la torta di carote e amaretti per dolce.»
 
«Ed ecco spiegata la mia pancia» intervenne un rassegnato Giuseppe.
 
«Oh, caro, ancora a pensare alle parole del signor Brambilla. Sono passati mesi, è ora di archiviarle e tirarle fuori solo per riderci su con gli amici o tra di noi» gli rispose Elisa picchiettandola con nonchalance.
 
Quei due erano una forza. Erano stati i primi a farlo ricredere sull’amore e proprio per quello, aveva potuto aprirsi con Gemma e dichiararsi.
 
«Elisa, Elisa, tu vuoi proprio farmi salire il diabete che al momento non ho» le disse Ernesto. «Grazie per l’offerta assai tentatrice, ma dobbiamo declinare, vero Gemma?»
 
«Sì, grazie, ma davvero non possiamo. Volevamo andare al cinema e poi a cena fuori» gli diede man forte la sua fidanzata.
 
Fidanzata! Alla sua età non pensava più di dovere usare ancora quella parola e invece… com’era stana la vita. Con la sua ex moglie non aveva mai potuto uscire tutta la giornata a divertirsi come amava fare con Gemma. Ora si stava riscattando.
 
«Infatti. Non sono abituato ad avere un giorno libero in settimana, ma Tony ha detto che per oggi c’erano pochi lavori da finire e che ci avrebbe pensato lui all’officina e così ne ho approfittato. Meno male che Gemma era libera e mi ha tenuto compagnia o mi sarei annoiato a morte» disse e quella arrossì.
 
«Immagino e ne sono felice» disse sua sorella. «Però domenica vi voglio qua con Bruno a pranzo, se non ricordo male rientra in mattinata, vero? Sarà stanco e affamato e tu – anche se sei migliorato ai fornelli – non vorrai certo avvelenarlo, no? Lascia a fare a zia Elisa e vedrai che ti ringrazierà a vita. E poi le ragazze non vedono l’ora di rivederlo.»
 
«La tua fiducia nella mia cucina mi scalda il cuore, sorella» le disse facendola ridere. «Accetto l’invito e anche la mia pancia. Sono così emozionato, mi è mancato molto e vederlo tornare in pianta stabile in Italia mi fa stare più tranquillo. Mi raccomando Elisa, non cucinare come tuo solito una montagna di roba.»
 
«Promesso» disse, ma lui ormai la conosceva e non ci cascò. «Scusa se te lo chiedo, Ernesto, ma… Gianna? Non si è più fatta viva con le sue assurde richieste? E se si facesse trovare all’aeroporto?»
 
Improbabile, ma possibile. Non ci aveva pensato. Oddio, sarebbe stata una tragedia per lui, ma ancora di più per Bruno. E poi… no, quella era una stronza nata, ma non gli avrebbe mai fatto una carognata del genere. No, vero? Con lei, però, era meglio stare pronti a tutto.
 
«La saluterò, augurandomi non faccia una delle sue scenate. Per fortuna mi è capitato un figlio intelligente e confido nella sua scelta. E comunque, anche se dovesse seguire lei, sta per certa che verrà a casa nel giro di un’ora a volere stare larghi. Purtroppo, le sue azioni – o meglio, le sue non azioni – del passato la penalizzano e Bruno non gliela farà passare liscia. Di certo non dopo l’ultimo trattamento ricevuto con tanto di porta sbattuta in faccia.»
 
«Che persona pessima, meno male sei rinsavito e te ne sei liberato» sentenziò sua sorella con enfasi.
 
«Elisa, smettila di intrometterti dove non devi e salutali che hanno un appuntamento galante e tu glielo stai posticipando» la riprese bonariamente Beppe. «No, niente ma, non sono affari tuoi e un giorno, se vorrà, sarà Ernesto a parlartene, di sua spontanea volontà. Fino ad allora, trattieni la tua morbosa curiosità» aggiunse quando la vide aprire la bocca per replicare.
 
Ernesto ringraziò mentalmente suo cognato e si sentì un po’ in colpa perché non aveva mai approfondito molto il discorso ex moglie con sua sorella Elisa e ora, giustamente, lei era arrivata al limite e chiedeva di sapere tutto. Un giorno non lontano l’avrebbe accontentata.
 
«Se prometti di fare la brava e non chiedermi più nulla, ti assicuro che a breve la tua curiosità verrà ripagata» le sussurrò mentre l’abbracciava per congedarsi. «E ora lasciaci andare che ho in mente una seratina romantica con la dolce Gemma, che non prevede la tua presenza.»
 
Poi, prima che lei potesse replicare con una delle sue battutine a doppio senso, prese per mano la sua innamorata che ridacchiò deliziata da quella fuga e si precipitò nel parcheggio dove li attendeva la sua auto.
Gemma stava ancora ridendo quando arrivarono, ma la risata le morì in gola quando Ernesto l’appoggiò alla portiera e prese possesso delle sue labbra con foga.
 
«Mh, a cosa devo questo assalto hot improvviso?» Gli chiese una volta libera dal bacio che le aveva lasciato le labbra eroticamente gonfie e tentatrici.
 
«Al fatto che ti amo, a che altro» le rispose lui. «Non devono esserci per forza altre ragioni. E ora – prima che perda del tutto il senno e ti faccia mia sul sedile posteriore – sali e andiamo al cinema.»
 
«Dobbiamo proprio? Io passerei direttamente alla cena e al… dopo cena, da me. Sai, vivo da sola, nessun vicino novantenne impiccione… solo noi due e visto che questo fine settimana sono libera, pensavo che anche domani noi…»
 
Dio mio, quella benedetta donna voleva ucciderlo. Ma sarebbe stata una morte dolce e perfetta. Ucciso dalla lussuria. Si sarebbe spianato la strada verso i piani bassi, ma pazienza, se quella era la punizione per avere passato ore facendo l’amore con Gemma ne sarebbe valsa la pena.
 
«Questa proposta mi piace molto di più» le disse «ma ora togliamoci da qui. Credo che mia sorella abbia un radar interno impostato su di me e se si attiva e scopre che siamo ancora qua…»
 
«Ehi, ti ricordo che sei tu che mi hai bloccata mentre stavo per salire in auto. A quest’ora potevamo essere già a metà strada, sai?»
 
«Dannazione, hai ragione. Rimediamo subito, sali che…» le aprì la portiera, infilò una mano in tasca per prendere le chiavi e sbiancò «oh, no. Non è possibile» disse mentre ripercorreva mentalmente gli ultimi gesti fatti prima di uscire di casa.
 
«Cosa? Caro, stai bene?» Gli chiese una Gemma preoccupata.
 
«Em, non proprio. Mio amore, dobbiamo cambiare sede per il nostro incontro, anche se questo significa incorrere nel signor Brambilla. Ma… noi scapperemo da lui prima che possa raggiungerci, te lo posso assicurare.»
 
Poi le spiegò cos’era successo e lei, per tutta risposta, gli scoppiò a ridere in faccia. Non era divertente. Per una sera che stava andando tutto nel verso giusto… ecco che si dimenticava le chiavi di casa sul mobiletto all’ingresso.
 
«Bene, allora non ci resta che andare da te. È consolante sapere di non essere l’unica svampita nella nostra coppia» gli confessò, poi gli diede un bacio a fior di labbra e salì in auto.
 
Sì, quella Gemma era veramente speciale e lui non se la sarebbe fatta scappare per nulla al mondo. Così la raggiunse, l’attirò a sé e le fece capire quanto l’amasse.
 
«Sei sicura che non vuoi collaudare il sedile posteriore?» Le propose «Possiamo sempre appartarci da qualche parte e poi…»
 
«Come dei ragazzini in preda agli ormoni dici?» Gli rispose ridacchiando. «Mh, sarebbe interessante, ma per le mie ossa credo sia meglio un bel materasso sai… ho una certa età io.»
 
«Solo anagrafica, perché ti assicuro che in quanto al resto non hai nulla da invidiare alle trentenni. Dimentichi che ti ho già visto nuda e da allora non ti tolgo più dalla mente mentre ti slacci quello spolverino rosso e lo lasci cadere per terra davanti a me. Il solo pensiero mi eccita da morire e credo sia ora di concludere quello che avevamo iniziato.»
 
L’aveva lasciata senza parole. Gemma era arrossita vistosamente e gli aveva fatto un timido sorriso, poi gli aveva chiesto di mettere in moto e di non perdere altro tempo prezioso a chiacchierare di sciocchezze. Ordine che lui aveva eseguito molto volentieri.
 
 
                                                                                          ֎֎֎֎֎
 
Fu un miracolo se arrivarono vivi e vegeti a casa di Ernesto che aveva guidato come se fosse inseguito da un branco di dinosauri. Gemma tirò un sospiro di sollievo. Le aveva fatto perdere dieci anni di vita.
 
«Ricordami di andare ad accendere un mega cero in chiesa, domenica. Devo ringraziarlo per non averci fatto fare incidenti.»
 
«Ahahah, ehi, ringrazia la mia bravura al volante, piuttosto. E ora… dove eravamo rimasti?» Le disse attirandola a sé.
 
«Prima non dovevamo scappare dal signor Brambilla?» Gli ricordò, divincolandosi e scendendo dall’auto.
 
Ernesto la raggiunse in un baleno, ridacchiando le prese la mano e la trascinò verso la palazzina. Ma che cos…?
E adesso cos’era quella luce che proveniva da casa di Ernesto? Ladri? No, non si era mai sentito di ladri che “lavoravano” con le luci accese. E allora che diamine stava succedendo lì dentro. Doveva avvisarlo subito, prima che fosse troppo tardi.
 
«Caro, senti… forse è meglio se…»
 
Ma lui non le diede modo di continuare la frase che l’appoggiò al portone e la baciò con foga. Dio, quell’uomo era una forza della natura quando desiderava qualcosa. E in quel preciso momento voleva… lei. Sentimento decisamente ricambiato, ma… ci ritentò.
 
«Ernesto, è decisamente meglio se…»
 
«Continuiamo in casa? Sì, hai ragione. Quello che ho intenzione di farti non prevede spettatori.»
 
«O… Ok, ma vedi… questo non credo sia poss…»
 
Un nuovo bacio la zittì e le fece perdere la ragione per un momento. Ci mancava solo di entrare in ascensore e… smarrirla del tutto. Cazzo se ci sapeva fare. Mentre le porte si chiudevano, l’assalto di Ernesto alla sua virtù continuò e… cavoli, si era ricordato del punto sensibile sulla spalla.
Calma, Gemma, ragiona se ancora ci riesci. Devi avvisare Ernesto che qualcosa non torna in casa sua e devi farlo… ades… oh, cazzo, sono fregata. Dio mio, gli piace giocare sporco.
Sì, perché ormai quell’uomo conosceva tutti i suoi punti deboli e sapeva usarli a suo vantaggio, sempre. Mentre la sua bocca scendeva a baciarle la cavità tra i seni, Gemma cercò di fare funzionare il suo cervello quel poco che bastava per… oh… per che cosa? Non lo ricordava più.
Bloccò l’ascensore con sommo sconcerto di Ernesto che la fissò con occhi appannati dal desiderio.
Gemma riportò quelle labbra sulle sue e gli fece capire che lo desiderava anche lei, intrecciando la lingua alla sua ed emettendo suoni inarticolati, mentre gli si strusciava addosso e… assumeva il controllo della situazione. Per poco.
 
«Se non la smetti subito, credo che ti prenderò qui dentro e addio letto» le sussurrò.
 
«Dobbiamo fermarci, Ernesto.»
 
Ecco, l’aveva detto. Dannazione. Succedeva sempre qualcosa che li bloccava sul più bello. Forse sarebbe stato meglio accettare la proposta di appartarsi in auto da qualche parte. Già, ma con la fortuna che si ritrovava, sicuramente sarebbero stati sorpresi da qualche poliziotto e trascinati in cella per atti osceni in luogo pubblico.
Sospirando rassegnata, allungò la mano e rimise in funzione l’ascensore che presto arrivò a destinazione, dopotutto erano solo due piani.
 
«Gemma, mio amore, che diamine hai fatto?» Le chiese il suo esterrefatto fidanzato che sperava tanto, dopo questa carognata, non diventasse ex.
 
«Bè, io…» iniziò, ma subito un profumino le venne in aiuto «ho fame.»
 
«Sì, anch’io, ma di te» ribatté lui sempre più confuso e poi aggiunse. «Oh, wow, che delizia, non so cos’è, ma è venuta fame anche a me. Chi starà cucinando a quest’ora?» Chiese annusando l’aria e poi si bloccò colpito da una rivelazione improvvisa. «E che mi cada un fulmine in testa se questo profumo paradisiaco non proviene da… casa mia? Ma che…»
 
E fu così che Gemma venne mollata in ascensore da un Ernesto affamato e curioso che solo in quel momento si ricordò di non avere chiuso la porta a chiave.
Ehi, un momento, un ladro cecato che era aveva doti culinarie? Impossibile. Spinta dalla curiosità, corse in casa e finì addosso alla sua schiena. Ahia.
 
«Cavoli, ho visto le stelle» disse massaggiandosi il naso «ma perché ti sei…»
 
Ma non concluse la frase, perché la risposta era davanti ai suoi occhi sotto forma di due ragazzi che ballavano abbracciati stretti sulle note della bellissima musica jazz di Louis Amstrong, mentre la tavola dietro di loro era stata apparecchiata per quattro persone. Eh?
 
«Papà!» Esordì, il più alto dei due, Bruno, accorgendosi di lui e lasciando l’amico per correre ad abbracciare Ernesto. «Sorpresaaaaa!»
 
E lo era per davvero.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Chiara PuroLuce