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Autore: drisinil    10/08/2022    3 recensioni
[kurotsuki] [nospoiler] [canonverse] [long: 2 capitoli/settimana]
«Signor è-solo-un-club sei senza parole?» lo provoca Kuroo. «Vuoi che brindi io per te? Però poi bevi tu!»
«Okay, ma solo se il brindisi mi piace» risponde Kei con arroganza, spingendosi gli occhiali sul naso.
Kuroo storce le labbra e si riprende la bottiglia, strappandola a Kei. «E' una sfida?»
«Se vuoi...»
Kuroo distende lentamente il braccio verso Kei, con la bottiglia in mano. Si schiarisce la voce e tenta di scostarsi dalla fronte il ciuffo di capelli, che però ricade subito al suo posto. «Al muro perfetto, che ferma la palla, la devia, la smorza o la costringe. Obbliga le traiettorie, crea pressione e controlla il gioco.»
Kei sorride, gli strappa la bottiglia e beve d'impeto.
E' il vino più buono che abbia mai bevuto, forse il più buono che berrà mai.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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3 - Non te lo dirò mai



6 Ottobre 2012
 

«Dove stiamo andando?» chiede Tetsurou, svagato. Cammina con le mani in tasca e la testa alta, guardandosi intorno con curiosità.

«Hai detto che volevi una cosa calda» risponde Kei. La sua voce arriva filtrata da una grossa sciarpa verde, girata più volte intorno al collo.

E' inizio ottobre, ma il freddo è già sceso dalle montagne e da un paio di giorni l'autunno assomiglia all'inverno, con il fiato che si condensa in nuvole spesse.

Alla fine, hanno deciso di uscire. La stanza di Kei faticava a contenerli.

Kuroo, entrando, l'ha esplorata con lo sguardo, prestando attenzione ai dettagli. I suoi occhi si sono posati ovunque, sornioni ma attenti. Sempre con noncuranza, come se entrasse lì ogni giorno e tutti quegli oggetti gli fossero già familiari.

A Kei ha fatto uno strano effetto vederlo lì, in mezzo alle sue cose.

Kuroo ha preso in mano una foto di una decina di anni prima, in cui Akiteru e Kei si stringono su un'altalena rossa. E poi un'altra in cui Kei tredicenne fa il segno di vittoria con le dita, abbracciato a una ragazzina bruna, forse un anno più grande, decisamente carina.

«Tua sorella? Cugina?»

«Vicina di casa.»

«Ti piaceva?»

E' morta in un deragliamento. Ma Kei non lo dice. E no, non gli piaceva. Lui piaceva a lei. «Sono affari tuoi?»

Kuroo alza le spalle. «No, in effetti. Comunque hai risposto.»

«Prego?»

«No. Non ti piaceva. Se ti fosse piaciuta avresti detto subito di no. Se ti piacesse ancora adesso, avresti tolto la foto dalla mensola.»

Maledetto. La stanza inizia a sembrare a Kei molto stretta, molto claustrofobica.

«Pensi di conoscermi?»

«Non abbastanza. Altrimenti non avrei guidato quattro ore per venire qui.» Di nuovo, quel tono ordinario, come se parlasse di compiti di scuola e le sue parole fossero prive di importanza.

Kuroo scorre le dita sulle coste di una fila di libri. Si sofferma sui titoli, inclinando la testa. A Kei sembra un qualche tipo di esame e odia sentirsi ansioso per il voto finale.

«Tua madre è occidentale?»

«La tua lo è?»

Kuroo si volta di scatto, allarga gli occhi e ride, inquadrando con le dita la propria faccia, in cui si concentra il meglio dei lineamenti tipicamente giapponesi. Compresi quegli occhi magnifici, allungati e felini, pieni di ironia. «Che domanda idiota, Tsukki!»

Non chiamarmi Tsukki. Questa volta, la reazione mentale è ritardata. Si sta abituando alla sua voce, a come batte quelle due sillabe fra i denti e le labbra.

Si sta anche abituando a rispondergli. «Occidentale per un quarto mia madre, per metà mio padre.»

«E due figli così. Un jackpot alla lotteria genetica.»

«Così come?»

Kuroo sporge in avanti la testa, come se dovesse analizzare da vicino ciascuno dei tratti del viso di Kei. Alza gli occhi, cercando un aggettivo in particolare. «Esotici» scandisce. Per un attimo è sembrato che stesse per dire qualcos'altro.

«Comunque, non è affatto una lotteria. Non c'è molto di casuale.» osserva Kei con saccenza. Si è seduto e ha incrociato le gambe; sta assistendo a quella perlustrazione con la svagatezza di uno spettatore annoiato. La noia è l'ultima delle emozioni che prova.

Kuroo è tornato a guardare la libreria e risponde senza voltarsi. «E' un calcolo di probabilità, quindi una lotteria.»

«Ci sono delle regole precise.»

«Sì, ma ci sono anche molte variabili complesse. Mi riferivo a quelle. Ai fenomeni di codominanza nelle mescolanze etniche. All'allelia multipla di alcuni fenotipi, per esempio quegli occhi impressionanti che hai lì, e che infatti tuo fratello non ha. Non siamo piselli di Mendel, non è un calcolo aritmetico banale. E tu, più ancora di tuo fratello, sei il risultato eugenico di una probabilità molto ridotta.»

Risultato eugenico. Kei registra l'espressione, il cui significato è piuttosto chiaro e somiglia abbastanza a un complimento.

«Ti interessi di genetica?» la voce di Kei suona molto più stupita di quanto non vorrebbe.

«Mi piace.»

«Perché?»

«Perché mi piacciono i cani. E prima o poi, più poi che prima, vorrei provare ad allevarli, come hobby. E a farlo con cognizione di causa.»

Kei è perplesso, ma anche incuriosito. Avrebbe altre domande. Un sacco di domande. Ripetere a se stesso che non dovrebbe fregargliene niente è inutile e anche un po' ridicolo.

Kuroo si sposta, dedica un'occhiata distratta al piano della scrivania e poi solleva lo sguardo. Prende in mano un modellino di dinosauro dalla mensola in alto. Uno in particolare fra la quarantina esposti.

«Che ha di speciale?» chiede a Kei, mostrandoglielo.

«Niente. Mi piace la paleontologia.»

«Perché?»

«Perché penso che senza umani questo pianeta fosse un gran bel posto.»

Kuroo ride, ma non è uno che si distragga facilmente. Fa oscillare fra due dita il giocattolo. «Questo qui. Che ha di speciale?»

Non te lo dirò mai, pensa Kei. E intanto si chiede se invece un giorno lo farà. Se gli racconterà tutta la storia. Sente un desiderio strisciante di farlo, e di farlo subito; la cosa lo spaventa e lo innervosisce.

«Perché pensi sia speciale?»

«Mi prendi in giro? E' ammaccato sulla coda e consumato, qui, e anche qui, si vede benissimo. E poi è posizionato sulla mensola esattamente davanti a dove tieni la sedia. E' uno dei pochi che puoi afferrare da seduto, solo allungando il braccio.»

Continua a essere spiazzante. Sarebbe più facile farsi scivolare tutto addosso, se fosse molto più stupido.

«Hai guidato quattro ore per giocare a Sherlock Holmes, Kuroo-senpai? Perché io non mi sto divertendo. E la mia voglia di buttarti fuori casa aumenta ogni minuto.»

«Davvero?»

«Sì» risponde Kei. Ma è vero solo per metà. L'altra metà boccheggia in cerca d'aria.

«Mi piace molto questa stanza» dice Kuroo, sorridendo mentre rimette a posto il modellino.

«A me piace quando ci sto dentro da solo» bofonchia Kei.

Kuroo lo guarda negli occhi. Sembra sia sul punto di dire qualcosa. Invece sfodera l'ennesimo sorrisetto. «Allora usciamo. Tenerti sulle spine mi diverte, metterti in tensione per niente.»

«Cosa ti fa pensare che io sia teso?»

«Vuoi saperlo davvero, Watson?»

«Stupiscimi.»

«Tamburelli con le dita. Poco, ma si vede» risponde Kuroo, accennando alle mani di Kei seminascoste dalle maniche della felpa. «Lo fai anche in campo. Prima di servire, per esempio. Fai un po' schifo a servire, in effetti. Oppure quando sei in panchina e vuoi che nessuno si accorga della voglia che hai di giocare, oppure...»

«Mi guardi parecchio.»

Kuroo solleva un angolo delle labbra. «E' il mio lavoro studiare gli avversari. E mi diverte farlo. Comunque sì, è vero, ti guardo parecchio. Quindi? Usciamo?»

Kei si alza, guardando per terra. Toglie la felpa rossa sotto, chiude fino alla gola quella grigia e si butta addosso un giaccone e una sciarpa.

La scritta bianca NEKOMA trionfa sullo sfondo rosso, giusto in mezzo al letto. L'immagine ha qualcosa di lascivo, e Kuroo ne scatta un'istantanea mentale.

Due minuti dopo sono in strada. Resta, fra loro, come una barriera invisibile, che impedisce di avvicinarsi oltre una certa distanza; un solco dalle spalle ai piedi, pieno d'aria che spinge sui lati, per separarli.

 

 

   
 
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