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Autore: Enchalott    10/08/2022    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Resilienza
 
“Mahati, secondogenito dei Khai, supremo Kharnot, signore dell’aurora, spada del divino Belker
a Rhenn, primogenito dei Khai, principe della corona, signore delle terre del tramonto, fiamma del divino Belker.
 
Il terzo mese del trecentoventicinquesimo anno dell’eccelso trono di Kaniša, produco questo scritto per affidarti la mia volontà, certo della tua approvazione.
Se gli dèi dell’Irravin richiedessero anzi tempo la mia vita, tuo sarà il pregiato compito di provvedere alla mia promessa sposa come di seguito dispongo.
La principessa Yozora di Seera sarà condotta presso il clan del generale Eskandar, affinché trascorra il suo tempo lontana da Mardan, protetta da chi possiede la forza e il prestigio per salvaguardarla in mia vece.
Concederai la sua mano al reikan, qualora entrambi condividano senza forzature l’intenzione delle nozze. Ma poiché questi è impegnato in una missione rischiosa, in secondo grado lascerai sua altezza alle cure della nobile Zaflisa, sulla cui lealtà non nutro alcun dubbio.
Qualora la proposta non sia gradita a una delle parti, non avverrà matrimonio. Yozora sarà libera di restare presso i Khai come più volte ha espresso.
Ma poiché non possiede l’esperienza e la scaltrezza indispensabili ad affrontare il nostro mondo, ti prego di persuaderla a rivedere la promessa, affrancandola dallo yakuwa e dagli accordi di pace. Imprimo il sigillo quale autorizzazione, a scanso di future ritorsioni nei riguardi del suo popolo.
È mio desiderio che tu la accompagni a Salki, dove verrà restituita alla famiglia d’origine. Ordino che la nisenshi Mirai rimanga al suo fianco, poiché il sangue demoniaco non dimentica e i nemici della corona possiedono lunghe braccia.
Proibisco ogni contatto con il clan reale, per quanto mi dolga intromettermi nella sua sincera amicizia con la principessa Rasalaje. Sono certo che a lei e a te, prossimo sovrano dei Khai, siano chiare le ragioni della mia decisione.
Onore al celeste Belker.”
 
Rhenn gettò il manoscritto nel braciere e lo guardò accartocciarsi in cenere, le fiamme specchiate negli occhi cupi.
Ovvio che sono chiare. Ma ora non c’è nessun testamento da rispettare.
Restavano le emozioni e liberarsene non era altrettanto semplice. Non avrebbe dovuto importargli nulla di Yozora, ma di fatto qualcosa bruciava senza tuttavia consumarsi come quella carta.
Collera, senso del possesso, invidia… è soltanto questo? Se così fosse potrei conviverci, ho appreso come dominarli da quando sono al mondo. Disperazione, gelosia e rancore sarebbero invece la suprema sconfitta di un Khai e del suo modo di esistere.
La via per placarsi era impraticabile. Avere lei. Spegnere l’eros godendo del suo corpo, portarla a contorcersi di piacere avrebbe spento il desiderio, affrancandolo da ogni sensazione fuorviante. Ristabilito la dominanza. Avrebbe ammansito l’impulso carnale, restituendogli la lucidità e il distacco utili a ragionare sulle situazioni che gli erano sfuggite di mano.
Ma così facendo, Yozora avrebbe smesso di fidarsi e di aiutarlo. Era troppo leale, troppo idealista per concedersi alle sue voglie, troppo fedele per scoprirne in sé. Avrebbe dovuto imporsi con la forza e l’avrebbe persa per un capriccio della lussuria.
Perché non arde per me? Perché mostra tanta dedizione a Mahati?
L’idea dell’amicizia era inaccettabile. Ritenerla tale avrebbe espresso una debolezza di temperamento, ritenersi tale una rinuncia all’orgoglio virile. Paura o rassegnazione a seconda del punto di vista. Serrò le zanne e attraversò il campo spazzato dal vento invernale, raggiungendo l’acquartieramento dei guaritori.
«Mi auguro abbiate il risultato» asserì, arginando la profusione d’inchini.
«A vostra disposizione, altezza. A un esame sommario le erbe risultano comuni antifecondativi femminili, ma a uno studio accorto una delle componenti è apparsa anomala.»
«Vale a dire?»
«Inibisce la fertilità maschile.»
Rhenn ingoiò l’esclamazione fuori luogo.
«Sussiste una possibilità del genere?»
«Sì, ma… non ne cogliamo l’utilità. Se la miscela impedisce alla donna di concepire, non si vede la necessità di duplicare l’effetto.»
Io la vedo benissimo, invece! Quella lurida sgualdrina!
«Come funziona?»
Lo domandò con retorica certezza. Non aveva dimenticato l’entusiastica spiegazione di Rasalaje sul preparato atto a favorire la fecondità di entrambi.
«Agisce tramite il rapporto. È molto potente, si trasmette attraverso le mucose e viene assorbito dal corpo dell’uomo, provocandone la sterilità.»
«È reversibile?»
I guaritori si scambiarono sguardi incerti.
«Di norma un contraccettivo viene espulso in pochi giorni e la capacità riproduttiva non subisce alterazioni. Ma chi ha studiato la formula è abile, non siamo sicuri che ciò si verifichi senza un procedimento inverso.»
Dannazione!
«Scopritelo! Il re non ha autorizzato la produzione di una sostanza del genere! Abusarne piloterebbe le nascite. È un abominio, i Khai mettono al mondo i figli con cognizione di causa!»
«Condividiamo la vostra collera, altezza. Se i Minkari distribuissero tali erbe, le shitai causerebbero un’inconsapevole infecondità nei nostri maschi. Non riuscirebbero a procreare per un tempo imprecisato, sarebbe un danno incommensurabile.»
I Minkari, eh?
«All’orgoglio personale e alla prosecuzione della stirpe!» ribadì, avallando la falsa pista «Indagate sull’identità dell’alchimista, non ne esistono molti di simile levatura.»
Infilò all’indice l’anello cavo: sul vassoio si notavano lievi tracce ematiche.
«L’altro raffronto?»
«Il primo è sangue salki, altezza.»
«Ne siete certi? Qual è il suo grado di purezza?»
«Cento per cento, mio signore. È integro da contaminazioni. Il secondo è Khai.»
«Connessioni?»
«Beh… no. Sospettate la presenza di un ibrido?»
«Così vorrebbero farmi credere. Lo escludete?»
«L’esperienza ci porta a scartare la possibilità. In vent’anni non si è mai verificato, sebbene la teoria...»
Il principe batté il pugno sul tavolo.
«Finitela con le dissertazioni scientifiche! È la pratica che mi interessa! »
«Esiste compatibilità, un accoppiamento potrebbe generare un discendente ma sarebbe un evento più unico che raro.»
«Quindi? Se esistesse un mezzosangue, riuscireste a riconoscerlo?»
«S-sì, mio signore, a eccezione del caso limite. Se avesse ereditato l’intero retaggio da un solo genitore, sarebbe impossibile provare la sua appartenenza a entrambe le progenie.»
Rhenn avvertì un brivido lungo la schiena.
«Quante possibilità ci sono?»
«Infinitesimi. È solo dottrina» l’uomo sbiancò all’occhiata furibonda dell’Ojikumaar «Nessuna» si corresse «Non è il caso presente.»
«Le vostre conclusioni lasciano molto a desiderare! C’è altro?»
«Una reazione insolita del campione khai, altezza.»
L’erede al trono inalò l’aria, sforzandosi di non perdere le staffe con l’interlocutore, che gli somministrava le informazioni col contagocce.
«Il sangue che ci avete fornito mostra gli effetti avanzati e distruttivi dell’arma minkari. Per analizzarlo siamo stati costretti a diluirlo.»
«Mh, a questo proposito la principessa Yozora ha avuto un’intuizione.»
«Questo spiegherebbe tutto!» esclamò lo studioso dopo aver ascoltato la sintesi di Rhenn «Stemperato in acqua calda, il sangue ha riacquisito le sue caratteristiche!»
«L’antidoto sarebbe l’acqua calda!? Siete dei ciarlatani!»
«La base, mio principe. Certo l’effetto su una quantità esigua si differenzia da quello sull’intera circolazione, inoltre non sappiamo come reagirebbe il nostro fisico.»
«Non abbiamo tempo! Cosa vi occorre per ottenere un rimedio accettabile?»
«Ehm, altro materiale organico, ma non oseremmo mai…»
«Vi serve il sangue di Mahati, piantatela di biascicare!»
«Il sommo Kharnot trattato come una cavia, non possiamo!»
«Volete che ordini alle mie armate di fare da bersaglio in attesa che la mira minkari migliori!? Meglio che mio fratello si svegli indebolito dal prelievo piuttosto che non si svegli affatto! Muovetevi!»
I guaritori osservarono il primogenito uscire dalla tenda a lunghe falcate e trassero un sospiro di sollievo.
«Pare davvero preoccupato per il Šarkumaar
«E non si è preso il merito della scoperta.»
«Non ci ha massacrati, per giunta.»
«Forse c’è speranza.»
 
Rhenn imprecò contro la teoria dei millesimi e contro la propria dabbenaggine.
Yozora non è una di noi! Caso limite dei miei stivali! E Ishwin ha corteggiato la morte troppo a lungo per non essere accontentata!
Il trono vacillava a causa del piano perverso di quella maledetta cagna, che gli stava impedendo di mettere al mondo un figlio. Pensare che bramasse diventare regina lo confortò: gli effetti deleteri delle erbe dovevano essere reversibili o si sarebbe giocata il privilegio della successione alla pari di Rasalaje.
Certo, se fosse la sola a conoscere il procedimento opposto, non potrei ammazzarla.
 
L’uomo che aveva convocato non lo fece attendere. Andò immediatamente al punto.
«Un’indagine delicata, Kalika.»
«La mia vita è vostra, principe della corona» ribatté deferente il reikan.
Rhenn gli allungò uno scritto fregiato con il sigillo reale.
«La somma sacerdotessa di Belker è implicata con gli hanran, ma per accusarla occorrono prove schiaccianti. Indaga sulla sua famiglia, in particolare sul fratello, scommetto che scoperchierai un covo di kasfi. Agisci a tua discrezione e ricompensa con munificenza gli informatori.»
«Sì, mio signore.»
Il principe passò ad altro.
«Novità sul figlio di Amshula?»
«Sua altezza Mahati gli ha concesso i privilegi al fine di seminare zizzania. Inizia a essere guardato dai suoi sudditi come uno sporco traditore.»
L’Ojikumaar si rilassò sul seggio imbottito di pellicce.
«Una pensata degna dello stratega supremo. Dividere è l’espressione indiretta del comandare. Saranno gli stessi Minkari a tagliargli l’ossigeno e noi avremo vinto.»
 
Il cuore di Mahati batteva contro il suo, trasmettendo la resilienza di un corpo stremato. L’epidermide era bianca e fredda, il thyr appariva smorzato sul petto che si sollevava in respiri brevi e affannati.
Gli inoltrò le dita tra i capelli, gli prese il viso tra le mani, gli baciò le labbra esangui.
Non reagì. Non era lì, perso in un vortice di atroce supplizio, la coscienza scaraventata nella nebbia dalle dosi massicce di calmante.
«Quante volte ho immaginato che moriste, Mahati. Speravo vi colpissero, desideravo vedervi precipitare con il vostro vradak, umiliato e sconfitto, volevo che lasciaste il mio mondo e i miei incubi.»
Una lacrima le rigò il viso e gli cadde sulla spalla. La asciugò, il tocco seguì la linea della clavicola e scese al vertice della fiamma.
«Ora invoco gli dèi per la vostra vita. Siete colui che può salvare la mia e questo pensiero mi fa sentire egoista. La verità è che voglio rimanere al vostro fianco con la stessa forza che prima mi spronava a sfuggirvi, a detestarvi. Lasciate che scopra di voi, dell’uomo sceso dal quel vradak
Le labbra si impressero alla base del suo collo, la mano incontrò la solidità dei suoi pettorali. Le dita di lui ebbero una contrazione involontaria.
«È la punizione per aver giudicato le apparenze, per aver permesso alla guerra di governare la ragione. Non dovreste essere voi a pagare, ma io. Valeva la pena conoscervi, intravedere un frammento della vostra anima e scoprirla agli antipodi di come vi mostrate. Incontrare la vostra umanità, oltrepassare l’immagine del demone spietato che il credo che la stirpe v’impone. Non ho permesso che faceste altrettanto, vi ho costretto ad attendere e ora… vorrei solo essere vostra, senza dubbi e paure.»
Gli accarezzò il contorno del thyr e sostò nel punto in cui il fuoco scaturiva per ornargli il torace. Lo baciò con timidezza: aveva l’odore del coraggio. I colori, filtrati dalle lacrime, sfumavano in arancio delicato. Sfiorò ogni singolo centimetro del disegno, le guance roventi per l’audacia e il turbamento.
Mahati esalò un ansito che nulla aveva a che vedere con il dolore.
Yozora sollevò il viso, il cuore palpitava fuori controllo. Le parole di Rhenn saettarono nella mente, facendola bruciare.
“Lambite le fiamme, se volete mandarmi fuori di testa”.
«Se avessi affrontato la terza asheat, avrei la certezza di esservi gradita. Siete un’altra persona, ascoltando la voce altrui vi sminuirei. Ma ciò di cui ero convinta è rimasto a Seera, relegato all’infanzia e ai pudori. Non sono sicura di niente, tranne che non mi arrenderò. Non siete un mostro, siete l’uomo che voglio sposare. Pensatemi come una donna e perdonate l’imperizia, se vi offendo senza saperlo.»
Si piegò su di lui. Il suo sapore era speziato, inebriante, il sollevarsi del diaframma scandiva il ritmo della vita pulsante, il ripudio del gelo che bramava arrestarne il corso.
Mahati gemette. Sul volto cereo affluì una traccia rosata, le labbra iniziarono a perdere la gradazione livida, le mani prive di artigli annasparono sulle lenzuola.
Si arrampicò lungo il suo corpo, scostandogli le ciocche che gli erano ricadute sulla fronte, incredula davanti a una reazione che prima appariva vana aspettativa.
«Esistono il dovere e il rispetto dello yakuwa, ma non siete solo questo. Siete sangue caldo, avete il potere di rasserenarmi. Senza di voi mi sento perduta.»
Aderì a lui, si intrecciò alle sue membra e lo chiamò, lo baciò, gli strinse le dita fino a farsi male, percependo sul seno le callosità prodotte dalla spada quando vi premette la mano inerte. Desiderò scoprire di quale passione era capace, come fosse nell’intimità non ancora condivisa, cosa bramasse ricevere tra le coltri del talamo. Vagheggiò che la toccasse, immaginò lo scorrere della carezza ruvida lungo i fianchi e fu invasa da un’onda rovente.
Il corpo del principe rispose. Effuse un debole tepore, inconsistente rispetto al calore che gli apparteneva per natura: ma era l’innesco, la speranza che si accendeva insieme ai suoi sensi acuti di demone.
Posò la bocca sulla sua, il gusto salato del pianto mischiato alla pienezza delle sue labbra, all’approccio morbido con la sua lingua.
Le braccia del Šarkumaar si chiusero su di lei: forse un riflesso incondizionato, teso a catturare il piacere che avvertiva nell’incoscienza. Non così quando ricambiò il bacio, inalando l’aria con viva coscienza.
Finalmente schiuse le palpebre. Il nocciola struggente delle iridi scardinò il dominio dell’obnubilamento che lo aveva inchiodato sul confine di Reshkigal.
«Yozora… sono… a shambala?»
Perse di nuovo i sensi.
 
Shaeta si svegliò con la spalla in fiamme. La fasciatura non arginava le pulsazioni, che si diramavano lungo il braccio e per il collo. Mosse il polso e fu appoggiarsi a un ferro rovente.
«Ah!»
Il lamento sfuggì nonostante i denti stretti e l’idea di non attirare l’attenzione.
Dasmi sollevò il capo dalla lettura e lo raggiunse con disappunto. Gli tastò la ferita, provocandogli un ulteriore sobbalzo.
«Una scusa per dormire, shitai?» pronunciò sprezzante.
Nonostante le istruzioni del Kharnot, quando erano a tu per tu si ostinava a trattarlo come un sottomesso. Accusarlo di essersi fatto colpire da Fyratesh per starsene in panciolle era il colmo.
«No» brontolò offeso.
«Bene, perché la lezione di spada non è rimandata.»
Shaeta sbarrò gli occhi: non sarebbe rimasto in piedi un minuto. Le tempie battevano come tamburi ed era impossibile usare le lame khai con un solo braccio.
Lei estrasse il coltello e tagliò le bende che Valka aveva fissato.
«È infetta. Hai la resistenza di un insetto.»
Il principe aveva sentito parlare di setticemia come di un pericolo infido. La paura gli occupò la mente e Dasmi se ne avvide.
«Fosse per me, ti lascerei crepare. Ti farò male, rassegnati.»
Passò la lama sul braciere, ignorandolo. Poi lo immobilizzò e praticò un taglio orizzontale, parallelo alla lesione precedente.
Il ragazzo gridò e si afflosciò semincosciente tra le sue braccia.
Aspirò il sangue e lo sputò, finché il sapore sgradevole della sepsi non si dissolse. Infine cauterizzò, optando per il metodo più sbrigativo e brutale.
«Rimarrà il segno» sentenziò torva «Se Valka non si fosse preoccupato di trattarti con i guanti, saresti immacolato come tutti i vigliacchi.»
«Ho già una ferita» ansimò stordito Shaeta.
Dasmi lo misurò, ma non vide cicatrici nella parte superiore del corpo.
«Ti sei sbucciato un ginocchio cadendo dal trono?»
Le dita di lui si posarono sul cuore.
«Lì non c’è nulla. Nemmeno i pettorali che dovresti avere.»
«Allora perché fa così male?»
La giovane lo allontanò con un sibilo di commiserazione, ma l’immagine risultò efficace. In quel punto avvertiva una spina quando pensava a Nusakan o al fidanzamento coatto con Kayran.
«Perché sei debole» tranciò senza pietà.
Il principe minkari rimase supino, le lunghe ciglia a ombreggiare gli intensi occhi bruni. Il respiro accelerato dal supplizio si regolarizzò per gradi.
«Non amare rende risoluti?» le domandò.
«Come faccio a saperlo!? Un Khai è esente dal problema! E ora alzati! Hai battuto la fiacca a sufficienza!»
Gli scagliò addosso la spada.
Shaeta infilò la casacca serrando i lacci alla meno peggio e si trascinò sullo spiazzo. Il freddo lo riscosse ma non bastò a evitargli la consueta figura dell’incapace.
Dasmi lo disarmò a ripetizione, sbraitando insulti e correggendogli la posizione a colpi di fodero. Due ore dopo era ridotto ai minimi termini, una sensazione molto diversa da quella delle lezioni di Danyal. Però la lesione non si era riaperta e la stanchezza aveva una strana nota corroborante.
Mangiò con appetito, la testa ficcata nel piatto per non cedere alla tentazione di sbirciare la guerriera che si spogliava. Lo sguardo cadde sul libro che aveva lasciato sul tavolo: non comprendeva ancora bene la lingua, ma le illustrazioni lo aiutarono a capire che verteva sui vradak. Ripensò alle parole pesanti di Taygeta e ammirò la determinazione della giovane nemica. A fronte di ciò, l’atteggiamento indifferente di suo padre gli apparve il male minore.
Al suo posto mi sarei perso d’animo e avrei passato le giornate a piagnucolare. Non ha tutti i torti quando mi accusa di irresolutezza.
«Non ne hai avuto abbastanza di uccelli da guerra?» lo apostrofò Dasmi.
«Sarebbe intelligente approfondire, visto il risultato sconfortante.»
«Quelle bestiacce sono incontrollabili, è carta sprecata.»
«Non ti piacciono i vradak?» si stupì lui.
«Non devono piacermi, devono obbedire.»
Shaeta aggrottò la fronte, manifestando la convinzione opposta.
«Se così fosse, Fyratesh non ti avrebbe quasi staccato il braccio» sferzò la ragazza.
«Avrà avuto i suoi motivi.»
«Che idiozia! Un animale che sostiene le proprie ragioni! Speri di trovarle lì?»
«Mi piacerebbe, in verità non leggo tutti i vostri segni.»
Dasmi scosse la testa con il solito biasimo. Poi parve cambiare idea.
«Credo che la tua giornata si sia appena allungata» sogghignò.
 
Il principe minkari lottò contro la spossatezza, sforzandosi di tenere gli occhi aperti. La guerriera lo scrollò, costringendolo a prestare attenzione, ma le parole iniziarono a confondersi, la mente a rallentare, piegata dalla notte in bianco e dalla giornata massacrante. Si addormentò senza accorgersene, cullato dalla voce di lei e dallo scorrere del pennino sulla pagina.
Dasmi gli rifilò un ulteriore spintone, ma non ottenne riscontro. A giudicare dalla profondità del sonno, non lo avrebbe svegliato neppure l’apocalisse. Rimuginò contro la scadente fibra minkari e decise di lasciarlo lì.
Domattina se ne accorgerà.
Chiuse l’inchiostro, ritirò le penne e fece per alzarsi, ma Shaeta oscillò sulla sedia e si abbandonò contro di lei.
«Mi hai preso per il tuo materasso!?»
Nessuna risposta. Abbassò gli occhi sul suo viso, ove i tratti infantili avevano ceduto il posto a quelli di giovane adulto. Non aveva i lobi forati come i maschi khai e l’aspetto era delicato, addirittura fragile. Su di lui l’uniforme scarlatta faceva un effetto singolare, forse perché era troppo magro o non portava i fermagli tra le chiome castane. Forse perché dalle labbra socchiuse non spuntavano le zanne e le mani non avevano artigli. Nonostante l’aspetto patetico, non le sembrò affatto remissivo.
Un trattamento come quello odierno avrebbe fiaccato uno di noi. Il moccioso ha resistito, non dovrei eccepire.
«Interrompo qualcosa?»
Valka parve alquanto svagato. La casacca aperta sul torace lasciava intravedere la muscolatura perfetta e il tatuaggio bruno sulla sinistra. La capigliatura rosso scuro era intrecciata sulla spalla, la linea nera sugli occhi rubino gli induriva lo sguardo, gli orecchini sfioravano il collo in un barbagliare sensuale.
Ecco un maschio interessante.
«Quest’idiota non è in grado di imparare due nozioni!»
«Non è male considerando la difficoltà della nostra lingua, la strapazzata di oggi e l’ora tarda. Gli stavi facendo coraggio?»
Dasmi imprecò e scostò l’ostaggio, che continuò a dormire.
Valka la raggiunse e la cinse da tergo, baciandole la nuca con voluttà.
«Non è che il ragazzino ti solletica l’istinto materno?» la stuzzicò «Se fosse, lascia che ti aiuti a soddisfarlo. Nella mia famiglia facciamo centro al primo colpo.»
«Sto mirando ai gradi, ti pare che voglia dei figli?!»
«Kayran pretenderà subito un erede. Sarebbe divertente raggirarlo, perché non lo fai con me?»
«Perché non lo voglio stupido come te!»
Il reikan sogghignò, sapendo di aver toccato un tasto dolente.
«Sei rassegnata alle nozze? Almeno trova una scusa per allontanarlo, l’idea di non portarti a letto mi disturba.»
«Rassegnata? Mi farò detestare al punto che non vorrà vedermi. E tu mi darai una mano.»
   
 
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