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Autore: _Agrifoglio_    23/08/2022    13 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Magnificat
 
Duomo di Milano, 15 agosto 1811
 
L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio,
mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà
della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni
mi chiameranno beata.
 
La Corte imperiale era schierata nei posti d’onore, in un palco a più livelli innalzato nel Duomo. L’Imperatore e l’Imperatrice sedevano su due troni sormontati da un baldacchino.
Assistevano tutti alla messa solenne dell’Assunzione, festività che coincideva con il genetliaco di Napoleone.
Era desiderio di costui che la quarantaduesima ricorrenza della propria nascita fosse celebrata con sfarzo e solennità sotto il profilo sia civile sia religioso. Malgrado, infatti, egli non fosse mai stato particolarmente osservante e avesse preso innumerevoli provvedimenti contro la Chiesa, i conventi e gli enti ecclesiastici, giungendo al punto di imprigionare il Papa, era fermamente convinto che la religione fosse un fattore d’aggregazione importante per i popoli e che questi non fossero maturi per rinunciarvi. Né la gente avrebbe accettato un culto posticcio, inventato ad hoc, come l’esperienza fallimentare dell’Essere Supremo di Robespierre aveva dimostrato nel periodo in cui questi aveva ricoperto la carica di Ministro di Giustizia. Se voleva regnare, doveva farlo con l’avallo della religione, adattando il culto già esistente alle sue esigenze, come, del resto, tutti i regnanti avevano sempre fatto prima di lui.
In quell’occasione, poi, era di fondamentale importanza dare un’immagine di forza e di maestà trionfante e invitta, perché le cose non stavano affatto così.
Lo Zar Alessandro, incitato dalla corte e dal suo entourage di nobili, era intenzionato a riprendere le armi e a infrangere gli accordi di Tilsit. Già adesso, numerose clausole di quei patti non erano rispettate e il blocco continentale contro l’Inghilterra era rimasto quasi sempre lettera morta. La Prussia, umiliata e schiacciata da sanzioni pesantissime, era pronta a schierarsi contro di lui alla prima occasione e lo stesso suocero Imperatore non lo avrebbe sostenuto a lungo, quando il vento fosse cambiato. Nella penisola iberica, Wellington, di vittoria in vittoria, stava mettendo in difficoltà i Marescialli dell’Impero mentre la Francia meridionale era stata riconquistata dai de Jarjayes e dal giovane Girodel.
Anche all’interno dell’Impero, i nemici non mancavano e con sempre maggiore frequenza la Polizia lo metteva al corrente di nuovi complotti per deporlo. Un territorio così vasto avrebbe avuto bisogno di azioni pronte e mirate in ogni circostanza, ma lui era soltanto uno e non poteva essere ovunque.
L’erede tanto atteso e agognato non era stato sufficiente a mettere al sicuro la dinastia dei Bonaparte e, dopo i primi festeggiamenti, il popolo si era quasi scordato del bambino. Egli, invece, lo amava teneramente, tentava sempre di ritagliarsi dei momenti per stare insieme a lui e aveva stabilito che, sin dalla primissima infanzia, gli fosse impartita un’educazione militare, volta a farne un uomo di comando forte e autorevole.
 
Grandi cose ha fatto in me
l’Onnipotente e santo è il suo nome:
di generazione in generazione
la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono.
 
L’inquietudine che provava era crescente. Doveva ammettere, con riluttanza, che non era più lo stesso uomo di Marengo o di Austerlitz. Non era lo stesso giovane ufficiale che aveva invaso l’Egitto e la Siria. Ora, il fisico era imbolsito, il capo era stempiato e la propria risposta al sovraccarico di impegni e di fatica non era quella di prima. Avrebbe avuto bisogno di rigenerarsi come l’araba fenice, ma quelle erano soltanto leggende.
Doveva continuare a credere in se stesso e nel mito della sua invincibilità e, soprattutto, doveva fare in modo che gli altri ne fossero convinti. In fin dei conti, il suo genio era intatto e, se degli errori erano stati commessi, questi erano tutti ascrivibili ai Marescialli e ai Generali che non sempre si erano attenuti meticolosamente agli ordini di lui o che, per eccesso di zelo o di prudenza, tendevano a strafare o, all’opposto, a indugiare. Suo cognato Murat, per esempio, era un soldato eroico e coraggioso, ma avventato e irriflessivo e, come stratega, spesso lasciava molto a desiderare. Altri ufficiali si perdevano nei loro dubbi mentre della lealtà di Marescialli come Bernadotte o Ney, a volte, dubitava.
Era forte e invincibile, certo che lo era e l’Europa avrebbe presto avuto un’altra Austerlitz e un’altra Wagram. Se lo Zar gli si fosse perversamente rivoltato contro, avrebbe avuto un saggio della collera dell’Aquila Imperiale e della potenza tonante della Grande Armata e sarebbe strisciato a Canossa col cilicio, il capo cosparso di cenere e la coda fra le gambe.
 
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri
del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
 
Nell’udire questi versi, un tempo pronunciati dalla Madonna in risposta al saluto di Sant’Elisabetta, Napoleone si sentì gelare il sangue. Aveva sempre temuto il Magnificat la cui lettura, che avveniva il quindici di ogni agosto, gli aveva rovinato tutti i genetliaci, ma, ora, nella situazione in cui si trovava, esso rappresentava un sinistro presagio e lo destabilizzava. Aveva paura di essere disperso nei pensieri del suo cuore, rovesciato dal trono, rimandato indietro a mani vuote.
La moglie lo vide impallidire e anche il Generale Berthier, che sedeva lì vicino, si accorse che qualcosa non andava.
Napoleone non si riteneva superstizioso, ma combatteva soltanto contro ciò che conosceva e la Beata Vergine Maria trascendeva la potenza militare di tutti gli imperi e delle più valenti armate.
 
********
 
Lille, agosto 1811
 
Camminavano per un sentiero serpeggiante nei boschi che si estendevano a due miglia dal castello di Lille, sulla terra ricoperta di foglie secche e ogni tanto spezzata dalle radici degli alberi che sporgevano in superficie, formando piccoli dossi ondeggianti e insidiosi. Accanto a loro, si protendevano i rami bassi delle querce mentre dall’erba, ai bordi della via sterrata, spuntavano felci, sassi e le più svariate specie vegetali del sottobosco.
Conversavano del più e del meno, come due amici di vecchia data. Su alcune cose andavano d’accordo, su altre meno, ma, nel complesso, erano piuttosto affiatati. L’idealismo preromantico di lui era compensato dal saggio e razionale pragmatismo di lei mentre la curiosità animava entrambi, ma in ambiti diversi. Lui era attento alle varie specie di piante e di animali e ai fenomeni della natura mentre lei, la cui conoscenza della campagna era limitata alla tenuta circostante Palazzo Jarjayes, era più attratta dalle scienze naturali e meccaniche e dall’arte, perché mostre e musei a Parigi non mancavano. A entrambi piacevano l’equitazione e la pallacorda, ma, mentre lui aveva una vera e propria passione per gli sport all’aria aperta e sapeva persino nuotare, lei era più versata nel canto e nella musica. Là dove lui, come tutti gli aristocratici, aveva ricevuto soltanto alcune lezioni di clavicembalo, lei, oltre al clavicembalo, suonava bene la spinetta e il pianoforte e se la cavava discretamente con l’arpa e il violino. Tutti e due amavano disegnare e dipingere a olio e con l’acquerello e gradivano i componimenti poetici e i più moderni romanzi.
Le caratteristiche che più di tutte li accomunavano, però, erano il garbo, la discrezione, l’attaccamento agli antichi e solidi valori e la tendenza a starsene un passo indietro piuttosto che cedere alla competizione urlata. Poi, la vita aveva riservato loro dei percorsi più tortuosi dei sentieri di montagna e lei aveva commesso un unico passo falso che le sarebbe costato caro mentre lui aveva intrapreso la via del libertinaggio, dopo che una splendida dea si era rivelata una baccante lussuriosa.
Si era accorto dello stato di lei, ma non gliene aveva mai parlato. In compenso, però, da che si vedevano, aveva smesso di frequentare le amicizie del café chantant. Neppure lei aveva fatto cenno ai trascorsi di lui e, da quando ci era entrata in confidenza, non si tormentava più quotidianamente con ansie, paure e sensi di colpa. I nomi di Robert Gabriel de Ligne e di Paolina Borghese non erano mai stati pronunciati e, quando erano insieme, le loro immagini si allontanavano fino a sparire, come quelle di fantasmi evanescenti.
Lei, per la verità, si sarebbe sentita più onesta a parlare con lui della sua unica notte di follia e di ciò che ne era derivato, ma, poi, si tratteneva sempre. Avrebbe dovuto rivangare ricordi troppo dolorosi e addentrarsi in anfratti della sua mente dai quali preferiva tenersi alla larga e per che cosa? Lui non era né sarebbe mai stato promesso a lei.
Anche lui avrebbe voluto aprirsi e parlarle di Paolina, angelo e demone, bambina capricciosa e cortigiana sfrontata, amore del passato e croce del presente, ma non lo faceva mai, perché, ripensando a quel periodo della sua vita, si sentiva stolto, deluso, calpestato e ancora ne soffriva. Non sapeva se soffriva per lei, per il ricordo o l’idea astratta che si era fatto di lei o per la propria anima ferita. Sapeva soltanto che, dopo tanto tempo, gli erano rimasti delusione, disincanto e un grande senso di vuoto. Si domandava se non fosse giunto il momento di troncare con il passato, di mettere da parte una volta per tutte i ricordi spiacevoli, una vita disordinata e sconclusionata e di ricominciare tutto da capo con una donna più solida e concreta, ma c’erano diversi problemi: la differenza di età, di rango e di censo, il passato di lei e quel bambino in arrivo. Cosa aveva provato lei per l’altro uomo, se era arrivata al punto di concederglisi? Come avrebbe potuto presentarla alla sorella e al cognato? Pensava sempre più spesso e con intensità crescente a lei, ma non sapeva progredire dal limbo dell’amicizia e, dentro di sé, pensava che non si sarebbe mai liberato completamente del ricordo soave e maledetto della splendida Paolina.
– Quello è un pioppo nero, quello è un faggio e quello è un olmo – disse il Marchese, indicando alla ragazza la pianta cui, di volta in volta, si riferiva e descrivendone le caratteristiche principali.
– La Vostra conoscenza dei boschi è stupefacente! – esclamò Bernadette – Io, a parte i ciliegi e alcune querce che crescono nella tenuta di Palazzo Jarjayes, non so distinguere una specie dall’altra. Al posto Vostro, avrei detto semplicemente: “Albero, albero e albero”!
– Posso impartirVi lezioni di botanica, se lo desiderate – rispose lui, con la spensieratezza e la giovialità di un ragazzo – e anche farVi da Cicerone per le chiese e i monumenti di rilievo di Lille, tanto per dimostrare a una parigina raffinata che anche noi campagnoli sappiamo stare al mondo e siamo persino in grado di leggere e scrivere!
Nel dirlo, aveva fatto delle espressioni così spassose, ma mai sguaiate, che lei era scoppiata a ridere.
Si avvicinarono, infine, a un ruscelletto profondo una spanna e decisero di attraversarlo, passando sopra i sassi. Lui le porse la mano per aiutarla a non scivolare e quel breve e lieve contatto fece piacere a tutti e due.
 
********
 
Versailles, Palazzo Jarjayes, agosto 1811
 
André guardava tristemente suo figlio Honoré che, con aria abbattuta, aveva riferito a tutti la brutta notizia. Nessuno come lui, in quella stanza, era esperto di pene d’amore e, poiché certe cose non si dimenticano, ricordava bene che, in una circostanza come quella, non c’erano parole in grado di alleviare il dolore.
– Hai chiesto spiegazioni almeno? – gli domandò la più battagliera madre – Andavate d’amore e d’accordo sin dall’infanzia! Questa scelta di prendere il velo non sta in piedi!
– L’unica giustificazione che ho ottenuto è questa – rispose il giovane, scuro in volto – Di più non mi ha riferito e, del resto, è ben difficile dialogare con un muro…
– Ma deve pure averti detto qualcosa di specifico! – esclamò il Generale de Jarjayes – I Girodel sono sempre stati persone solide e razionali oltre che gente d’onore. Tutto ciò è assurdo!
– Hai fatto qualcosa che può avere ferito la sensibilità di Mademoiselle de Girodel? – gli chiese, più pragmaticamente, la Contessa de Jarjayes – L’hai addolorata in qualche maniera?
– No, Signora Nonna, nel modo più assoluto! – si schermì il ragazzo, con aria sempre più afflitta.
– Ne sei sicuro, Honoré? – gli chiese il Generale, scrutandolo con cipiglio severo e inquisitorio.
Il giovane guardò, per un attimo, spaesato, suo nonno e, poi, comprendendo il sottinteso, esclamò, ferito e scandalizzato:
– No! Assolutamente no!
– Qui, c’è poco da scervellarsi e da discuterne tra noi – tagliò corto Antigone – Durante il servizio nelle stanze della Regina Madre, tenterò di osservare Élisabeth Clotilde e di rivolgerle qualche domanda. Poi, visto che è tanto pallida e stanca, le proporrò di andare insieme alle terme di Vichy, per un soggiorno rigenerante. Lì, la metterò sotto torchio finché non mi dirà la verità!
– Mi sembra un’ottima idea! – esclamarono, all’unisono, Oscar e il Generale mentre gli altri annuivano e il viso di Honoré si rischiarava un poco.
– E io pago! – chiosò André, nell’ilarità generale.
 
********
 
Milano, Palazzo Serbelloni, fine agosto 1811
 
Il Cardinale Giovanni Battista Caprara Montecuccoli, Arcivesvovo di Milano, entrò nello studio di Napoleone il quale lo accolse con sbrigativa cortesia.
– Avete trovato qualcosa, Eminenza? – domandò l’Imperatore, con aria di attesa.
– Ho consultato il Martirologio Romano, Maestà Imperiale – rispose, con espressione e tono serenamente imperscrutabili, il Cardinale – e ho trovato un San Neopolo che subì il martirio il 2 maggio 304, a Roma, insieme ai Santi Saturnino, Germano e Celestino.
– Ve ne sono grato, Eminenza. Immagino che quella sia la documentazione – disse Napoleone, accennando al fascicolo che l’alto prelato recava con sé.
– Esattamente, Maestà Imperiale.
Il Cardinale Caprara Montecuccoli illustrò all’Imperatore il poco che si sapeva sulle circostanze del martirio e della morte, avvenuta mentre il prigioniero era ricondotto in carcere, dopo avere subito atroci torture.
Appena ebbe terminato il resoconto, il Cardinale si congedò, uscì dallo studio e fece ritorno al suo palazzo.
– Che ne dite, Berthier? – chiese Napoleone, con aria interrogativa – Non è tanto, ma ci si può lavorare.
– Immagino che, con l’ausilio della filologia, si possa ricondurre questo San Neopolo al Vostro nome di battesimo, Maestà Imperiale – rispose il Generale Berthier.
– Eccellente, Berthier. Mettete, quindi, al lavoro i filologi, in modo che San Neopolo divenga San Napoleone. Dopo di che, ne sposterò la ricorrenza dal due maggio al quindici agosto, data della mia nascita. Nel corso dell’Ufficio, sarà pronunciata, oltre al Te Deum, un’omelia in mia lode, dinanzi alle personalità ufficiali civili, militari e giudiziarie. E’ tutto, per ora.
 
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Versailles, Palazzo Jarjayes, settembre 1811
 
André leggeva il giornale sulla terrazza di Palazzo Jarjayes, godendosi la tranquillità di quella mattinata e la brezza settembrina. Dopo un’estate torrida, il refrigerio di settembre era stato avvertito da tutti come una benedizione.
Mentre scorreva gli articoli e sorseggiava una limonata, Oscar gli si avvicinò con fare trionfante.
– Ho finalmente ottenuto un colloquio con Suor Leonilde, nel Monastero del Carmelo a Compiègne, per il diciotto ottobre!
– Splendido! Ma per il diciotto ottobre di quale anno? – scherzò André, ripiegando il giornale, poggiandolo sul tavolo e offrendo della limonata alla moglie – Come hai fatto? La questione sembrava essersi arenata.
– Si era arenata, infatti. Non potendone più, ho scritto al Cardinal Brancadoro, lo stesso che mi fece da tramite col Papa ed egli, a nome della Curia Romana, ha ingiunto alle autorità ecclesiastiche francesi di fare passare la questione avanti a tutte le altre. Anche il Cardinale de Rohan ha rivolto un sollecito al Vescovo di Compiègne e il risultato congiunto è stato questo colloquio!
– Era ora! E, malgrado i solleciti, dobbiamo ancora attendere circa un mese e mezzo! E’ stato più facile ottenere udienza dal Papa!
– Che vuoi, André, il Papa non stava in clausura mentre Suor Leonilde sì…
– E’ vero, non lagniamoci troppo, se no sembriamo degli ingrati. In fondo, sono soltanto sei anni che corriamo dietro a questo tesoro…
 
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Savona, Palazzo Vescovile, settembre 1811
 
Grande era stata la disapprovazione di Papa Pio VII quando, nel luogo della sua reclusione, era venuto a sapere che la festa dell’Assunzione sarebbe stata spodestata da quella di San Napoleone.
– E’ assolutamente inammissibile che il potere civile sostituisca al culto della Madonna Assunta in Cielo quello di un santo introvabile, con un’ingerenza intollerabile del temporale nello spirituale – disse il Pontefice, la cui mite fermezza non era stata scalfita dai patimenti di una seppur dorata prigionia.
Sebbene vivesse in appartamenti sontuosi, così da apparire agli occhi del mondo come un ospite illustre, era isolato e indifeso. Era, infatti, costantemente sorvegliato, gli era concesso di assistere alla messa in Cattedrale soltanto da dietro una grata, la corrispondenza gli veniva controllata e i visitatori che chiedevano di incontrarlo erano prima perquisiti. In tal modo, Napoleone intendeva piegarlo ai suoi voleri, ma con scarso successo, perché l’anziano Papa non si era mai arreso.
– E’ inammissibile, Santità – gli rispose il segretario.
– Fate in modo che al Cardinale Michele Di Pietro sia trasmesso il nostro pensiero, così che rediga un’opera in cui esso è approfondito e spiegato Urbi et Orbi. In ogni angolo della cristianità, deve giungere la nostra protesta per la sostituzione di una festa mariana tanto importante per le sue implicazioni dogmatiche.
 
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Lille, inizi di settembre 1811
 
Bernadette si stava inerpicando su una salita rocciosa con una bisaccia appesa alla spalla sinistra e un cavalletto e una risma di fogli sotto il braccio destro. Aveva un appuntamento col Marchese de Saint Quentin, presso un lago lì vicino, per una battuta di pesca. Per la precisione, lui avrebbe pescato mentre lei avrebbe immortalato i luoghi.
Iniziò ad allungare il passo per non fare tardi, quando udì degli zoccoli scalpicciare in lontananza. Non vi diede peso anche perché, oltre l’altura, dall’altra parte, c’era il lago che rifletteva la luce di settembre. Proseguì il suo cammino, finché non udì il galoppare farsi più nitido e gli sbuffi di fatica della bestia avvicinarsi. Fu allora che, colta dalla curiosità, si voltò e vide il Tenente de Ligne cavalcare in velocità verso di lei.
D’istinto, si girò dall’altra parte e prese a camminare velocemente nell’opposta direzione. Era incredula e costernata, perché quell’uomo era riuscito a trovarla e a spingere la sua persecuzione fino a quei luoghi lontani. Ora, neppure la piacevole e appartata Lille era per lei un luogo sicuro!
Proseguì a camminare ancora più velocemente fino a intraprendere una piccola corsa, per quanto il luogo scosceso, lo stato in cui si trovava e la presenza della bisaccia e del cavalletto glielo consentissero, ma lui non desisteva dall’inseguirla e la chiamava.
– Bernadette! Bernadette! Fermatevi!
L’aveva cercata senza successo ad Arras, in Normandia e negli altri possedimenti dei de Jarjayes, finché non si era ricordato delle terre di André a Lille. In città, alcuni bottegai gli avevano parlato di una giovane parigina che abitava al castello. Giunto al maniero, si era spacciato per un parente che doveva recare alla ragazza un messaggio della madre e i servitori gli avevano riferito dell’escursione al lago oltre le colline a nord.
– Bernadette, fermatevi, siete mia! Non potete evitarmi in eterno!
La sorpassò e tentò di afferrarla, ma lei cambiò direzione e scappò dall’altra parte, abbandonando a terra bisaccia e cavalletto. Serrando le redini nelle mani, anche lui girò la cavalcatura e proseguì l’inseguimento, continuando a chiamarla a squarciagola. Lei mise male il piede e barcollò per un istante, poi recuperò l’equilibrio e proseguì la sua fuga, ma il sopraggiungere di lui la costringeva a continui cambi di direzione.
All’ennesimo raggiungimento, lei si voltò di scatto e gli urlò:
– Lasciatemi in pace! E’ finita, capito! E’ finita!
Per la sorpresa, il cavallo nitrì e si impennò e fu allora che Bernadette, nel tentativo di voltarsi e fuggire, cadde riversa col ventre su una roccia.
Si udirono i richiami del Marchese de Saint Quentin che, in lontananza, aveva assistito alla scena e si era precipitato di corsa col suo cavallo. Per un po’, l’uomo inseguì il Tenente de Ligne che, vedendo la mala parata, aveva fatto dietrofront senza neanche pensare a scendere da cavallo e a soccorrere la ragazza.
Gli andò dietro per un poco, ma, poi, vide con la coda dell’occhio che Bernadette era ancora a terra e, abbandonato l’inseguimento, si precipitò ad aiutarla.







Robespierre, nella realtà storica, non ricoprì mai la carica di Ministro di Giustizia che, invece, gli fu affidata nella mia storia, al fine di separarlo dagli altri rivoluzionari, con André come vice che aveva l’incarico di controllarlo.
E’ vero, invece, che Napoleone temeva il Magnificat e che istituì la festa di San Napoleone, ricavandolo da San Neopolo e soppiantando la festa dell’Assunzione, soltanto che ciò avvenne nel 1806 e non nel 1811. E’ vera anche la reazione del Papa che, nel 1806, non era ancora stato imprigionato ed è vero che il Cardinale Michele Di Pietro scrisse un’opera di protesta.
La frase di André: “E io pago!” è un po’ anacronistica, perché è stata resa celebre da Totò, ma non ho resistito e l’ho inserita lo stesso anche perché mi sembrava adatta a chiudere il paragrafo, stemperando la tensione.
Come al solito, grazie a chi vorrà leggere e recensire! Nel prossimo capitolo, finalmente, conosceremo la verità sul tesoro dei giacobini.
   
 
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