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Autore: shana8998    25/08/2022    0 recensioni
Francesca e Lucia sono due ragazze che frequentano l'ultimo anno di liceo. Le differenze fra loro sono moltissime: Francesca è come l'acqua santa, timida, impacciata e introversa. Lucia è ribelle, sfacciata, romana nel sangue. Ma non è solo questo che le rende così diverse. Francesca è della Roma per bene, quella dei Parioli e la sua vita si basa su studio, lezioni di piano e di danza.
Lucia è della borgata, dall'animo sempre in tempesta con il fratello testa calda e i genitori separati.
Francesca non è Lucia e Lucia non è Francesca.
Ma fino a che punto può spingersi un'amicizia fra due persone tanto diverse? Fra drammi, feste e crisi esistenziali le due ragazze si ritroveranno a scoprire loro stesse e un mondo che non è sempre come lo si immagina.
< Delle volte 'e scelte se pagano care >
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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                             3.

 

Mica c’avemo i pensieri solo noi!


                            Lucia e Francesca.

 

Lucia passò nei pressi di casa di Francesca solo verso le otto di sera.

Si erano messe d’accordo perché il loro incontro avvenisse vicino una piccola edicola che ricordava molto un chioschetto, con le travi di legno scuro e un paio di vetrine colme di riviste schierate su entrambi i lati dell’ingresso.

Lucia non poteva sbagliarsi: era impossibile non riconoscerla.

Fermò la Yaris di suo fratello in prossimità del marciapiede ed attese di scorgere la sagoma magrolina della sua migliore amica.

Per ammazzare l’attesa, collegò il cavo aux alla radio e, frugando con il pollice sullo schermo del cellulare, cacciò fuori una vecchia playlist che risaliva presso a poco al periodo in cui Marco la corteggiava.

Mentre le luci arancioni dei lampioni, riflettendosi sul parabrezza, avviluppavano bagliori fugaci sul vetro, si ritrovò persa nelle parole di un brano strappalacrime che narrava più o meno una storia molto simile alla sua.

“Che stupida che so’ ”, si disse a malincuore affondando nel sedile. Una parte di Lucia, quella più sommersa dall’inconsapevolezza, se lo era detto qualche volta che la colpa di tutto quello star male per Marco era solo il frutto delle carenze subite in vita sua. Ma che je poteva fa ‘na ventenne a ‘sti problemi interiori?

Poco e niente.

Perché, a vent’anni, certe cose non le si affronta nel modo giusto. Piuttosto le si sommerge con la presenza degli amici, degli amori - pure se falsi -, con le feste e le cazzate.

Era proprio così che aveva fatto Lucia. “Pe nun pensà”, come diceva ogni volta passando le sue serate al baretto, tracannando birra, raccontando delle cose che succedevano a scuola, baciandosi con Marco nel bagno.

Soffocava la voce urlante dentro di sé al punto da asfissiarla. Lei e pure i suoi problemi a cui avrebbe volentieri stretto ‘no straccio ar collo.

Sospirò. 

Mentre lo sguardo si spostava oltre il finestrino, quello che dava sulla strada brulicante di persone, notò una coppia.

Un uomo e una donna. Mo uno normale si sarebbe chiesto: e quindi?  Che te frega di ‘sti due? E avrebbe guardato altrove, come avrebbe fatto anche Lucia, se non fosse stato il caso a farle riconoscere un paio di occhi.

Lucia si abbassò sotto il limite dello sportello, sbirciando oltre il vetro e sperando che quel paio di occhi cerulei non la notassero.

Non l’avevano fatto, ovviamente.

Così, dopo essersi accertata, continuò a fissare i due che nel frattempo se ne stavano sottobraccio e passeggiavano allegri. 

Quel paio di occhi erano di Giulia. Giulia, da quando Lucia ne aveva ricordo, era sempre stata presente a casa Feriozzi.

Se ne stava per lo più stipata in camera di suo fratello e con lui fumava erba, cantava canzoni a squarciagola, vedeva film, faceva quello che per Lucia era l’amore.

Giulia aveva ventinove anni, un paio in più di suo fratello e in passato, quando lei e suo fratello Michele avevano la stessa l’età di Lucia, ricordava che avevano frequentato la stessa scuola.

Non c’è una linea intermedia che riusciva a scindere il momento del loro incontro a quello della loro storia d’amore. Per lo meno Lucia non l'aveva mai individuata.

Sapeva che Giulia c’era sempre stata e non solo a casa loro, ma per Michele, e viceversa, senza nemmeno un motivo logico delle volte.

C’era lei fuori da casa loro quando le guardie lo avevano scortato prima dell’arresto. C’era lei in tribunale, quando il giudice aveva sganciato la bomba, accusando Michele di spaccio e percosse per poi sentenziare quella condanna con gli arresti domiciliari, e c’era sempre lei, in lacrime, quando Michele sembrava crollare.

Allora, perché ora se ne stava a braccetto con quello sconosciuto? Non sembrava manco essere il tipo suo.

Alto, ben vestito; Lucia immaginò anche il suo odore che sarebbe sicuramente stato lo stesso di un buon profumo costoso. Indossava un paio di braccialetti scintillanti, oro sicuramente, e un grossissimo orologio appariscente stretto attorno al polso che di tanto in tanto, faceva capolino dalla manica stretta di una camicia celeste con le costine bianche.

“No…Mo che sta a fa’ sta rincojonita?!”.  Lucia difficilmente riusciva a dare a Giulia la colpa di qualcosa, anche quando le capitava di sentirla litigare con suo fratello. Probabilmente, perché quest’ultima la considerava come una sorella, e perciò, anche in quella circostanza, le parve di doversi mettere subito a cercare una scusa plausibile.

Sarà n’amico.” , provò a spiegare a se stessa, pure se sapeva che Giulia, di amici ai Parioli, non ne aveva mezzo.

M’parente? N’conoscente?”.

Li osservò ancora. I due sorpassarono la Yaris che Giulia non riconobbe - per fortuna - e a quel punto, Lucia si lanciò verso i sedili posteriori afferrando saldamente le loro estremità.

Quel fiume bizzarro di persone dall’aria sfottente e presuntuosa - agli occhi suoi -, inondò il marciapiede facendo velocemente sparire la coppia avviluppandola nella marea.

“Cazzo!”, Lucia colpì il sedile.

Com’era possibile? Lei che tanto desiderava una storia come quella di suo fratello Michele e di Giulia, adesso si ritrovava a spiare da lontano la stessa che lo tradiva? Perché di questo si stava parlando, e Lucia, a malincuore, fu costretta ad ammetterlo. Possibile che tutti, ma proprio tutti le nascondevano sempre qualcosa? Sua madre, suo padre quando era sparito senza un valido perché, suo fratello quando spacciava e ora anche l’unica persona che le sembrava essere sempre stata sincera. Con il cuore serrato continuò a guardare quell’onda di teste parlanti, domandandosi se anche loro fossero bugiarde.

«Che stai facendo?».

Lucia non aveva sentito il tlac dello sportello, le era arrivata solo la voce di Francesca alle orecchie: così, all’improvviso, tanto da farla sussultare.

Si voltò di scatto e scorse la sua amica che la scrutava perplessa.

«N’cazzo…Stavo a vedè sti quattro scemi passeggià.», mentì la mora.

Francesca abbozzò una smorfia poco convinta ed entrò in auto.

«Allora? Come stai?»

Lucia scivolò nuovamente sul sedile di guida.

«Come sto…de merda, come vojo stà? Però nun pensamoce, me vojo divertì.», le sue dita scivolarono sulla chiave inserita nel cruscotto. La girò e mise in moto.

Francesca le sorrise. In quel esatto momento, speravano entrambe la stessa cosa.

                                            *****

 

 

Il ritmo del brano che stava letteralmente sfondando le casse, alle orecchie di Francesca sembrò ricordare un qualche motivo voodoo. Il suono sembrava penetrare la sua carne, rimbombando nella sua cassa toracica, scuotendole il cervello fino ad atrofizzarlo.

Il cuore le pulsava in gola, ma quello, non per il frastuono o  per quella casa abbastanza grande da contenere tutti i corpi che vedeva scuotersi sotto il ritmo incessante del brano. Francesca aveva paura. Paura di tutti quegli sguardi languidi e intrisi di alcool, per aver mentito ai suoi genitori e perché qualcuno l’aveva appena notata. 

«Ce sta pure ‘a cocca di mamma!», aveva sghignazzato Luigi, un ragazzo della sua età, suo compagno di scuola, che da qualche tempo l’aveva presa di mira.

Insieme al suo gruppetto di amici, nell’ultimo periodo, sembrava aver trovato in Francesca - o meglio, nel prenderla in giro - una specie di divertente passatempo.

Lei lo scrutò per un solo istante prima di sopprimere lo sguardo lanciandolo alla punta delle sue scarpe scure.

«Stasera t’ha fatto venire, mammina?», la sbeffeggiò ancora. Francesca era atterrita. Pensò a qualche risposta ma nessuna, in quel momento, le pareva efficace. Non era di certo il tipo di ragazza a cui le risposte venivano facili.

Non era mica Lucia.

«Ao! Luì perché n’te ficchi in bagno co una invece di rompe le palle?», Lucia gli andò a sbattere di proposito contro la spalla per poi voltarsi e rifilargli un’occhiataccia.

«’A solita rompi palle…», aveva commentato lui sbuffando, ma ringraziando Dio, e Francesca lo stava facendo faccia a terra, il leggero battibecco era finito lì.

Finalmente potevano godersi la festa, o quanto meno, Francesca sperava che accadesse.

Attraversarono quello che doveva essere un salotto e dalla porta successiva, Francesca poteva sentire la musica aumentare di volume e le voci amplificate in un crescendo di eccitazione come se dietro la parete ci fosse uno sciame di grilli. Ebbe l’impressione persino che le pareti stessero tremando.

Scansò l’anta di vetro della porta e in un sol battito di ciglia, si ritrovò catapultata al centro della festa.

Le luci erano spente, ad illuminare la stanza qualche apparecchio elettronico ed alcuni led agganciati alle pareti la cui luminescenza era esclusivamente blu elettrica.

Mentre avanzava, seguita da Lucia, veniva urtata da tutti quei corpi danzanti e più si guardava attorno, con il cuore a mille, più le sembrava di aver preso posto in una sorta di festa pagana dove, a braccia alzate, tutti stavano invocando un qualche Dio.

Il ritmo del brano aumentò. Adesso accanto a lei qualcuno stava saltando e scuotendo la testa in modo convulso.

Una parte di Francesca sembrava rapita da tutto ciò che le vorticava attorno. Dai passi, dalle risate, dalla calca. Stava sorridendo ad un certo punto, ammaliata dal contorno. 

«Siete arrivate!». A distrarla, Riccardo.

Era sgusciato fuori da un muro di ragazzi, tre quattro che stretti stretti se ne stavano lì, a ballare spalla a spalla; aveva raggiunto Lucia e la sua amica e ora stava sorridendo loro calorosamente.

Riccardo strinse Lucia in un abbraccio quasi fraterno e subito dopo sorrise a Francesca.

«N’ce potevamo perde ‘sta festa!», Lucia sembrava euforica.

Il brutto broncio che aveva accennato durante il tragitto in auto era sparito, lasciando posto ad un sorriso furbo, euforico, pronto a qualsiasi idea le fosse saltata in testa.

La festa si intratteneva nel quartiere di Francesca.

Da quanto ne sapevano le due ragazze, si erano imbucate ad un diciottesimo di un amico del suddetto Riccardo. Un tipo che giocava con lui a pallone, che né Lucia, né Francesca avevano mai incontrato.

Anche in quel momento, non avevano idea di chi fosse.

 

Lucia e Francesca erano al centro della pista, mani nelle mani e ballavano, saltavano, scuotendo la testa proprio come Francesca aveva visto fare da tutti quei ragazzi non appena era arrivata.

Le sembrò il momento più felice e normale della sua vita. Stretta nelle mani della persona di cui si fidava di più, anche Lucia provava la stessa sensazione.

Cantando a squarciagola, le due mimarono le parole di un brano che sentivano spesso in auto di Lucia e che ora, stava rimbombando per tutto il pian terreno.

E’ così che le persone si sentono libere? Si domandò Francesca fissando gli occhi profondi della sua amica.

In quel momento si rispose di sì.

Per la prima volta, era già passata un’ora e nessuno l’aveva reclamata bruscamente. Le parve un miracolo.

Poteva, finalmente, sentirsi come le sue compagne, come tutti i corpi anonimi dentro quella stanza.

E rideva, felice.

Lucia avvolse al collo della sua amica entrambe le braccia.

«So’ felice che ce stai pure tu.», disse alzando la voce abbastanza perché Francesca la potesse sentire.

La bionda si scansò appena dalla guancia della sua amica e le sorrise raggiante.

«Anche io.»

                                             ******

 

«Che ce stamo a fa ar monno, Francè?».

«Ma che dici, Lucia?»

«Si, che ce stamo a fa? Pe condivide ‘a vita nostra co i bugiardi e gli ipocriti? Pe soffrì? Perché?»

La situazione, quasi all’alba, era precipitata. Francesca non sapeva come fosse successo. Lei e Lucia erano state, per lo più, sempre insieme, poi quest’ultima si era allontanata per fumare una sigaretta e Francesca aveva ingannato l’attesa ballando con Riccardo. Quando Lucia aveva fatto ritorno in pista già stava conciata per le feste.

Ora farfugliava frasi che, alle orecchie della sua amica, sembravano assurde e si reggeva a malapena dritta.

«Lascia sta’. Nun me capisco manco io.»

«Quanto ha bevuto?», domandò Riccardo a Francesca mentre Lucia gli si accasciava sulla spalla.

«Non lo so, poco.», rispose agitata Francesca. Anche se non era colpa sua, in quel momento si sentiva responsabile per lo stato della sua amica. “La dovevo controllare di più”, si castigò mentalmente. Francesca conosceva bene Lucia. L’aveva notato lo sguardo elettrico non appena avevano messo piede a casa del festeggiato. Come aveva potuto ignorarlo?

«Lucì, lascia perde ‘ste domande. C’hai ventuno anni e na vita pe pensà alla risposta. Stamo a ‘na festa…Balla co me.», le disse Riccardo, guardando la mora con una punta di preoccupazione.

«Scusa Riccà, ma sto pe sbrattà.»

Lucia si sentiva un po’ così. Mezzo relitto nel mare dei cazzi amari. Con le persone della vita sua che le mentivano in continuazione e lei che si sentiva svuotata ogni volta. Non stava proprio bene Lucia. E sbrattare ad una festa, insieme a Riccardo e Francesca, litri di alcool, un tiro d’erba e ‘na pomiciata - se capitava -, non è che la facesse sentire meglio.

Francesca e Riccardo non fecero nemmeno in tempo a trascinarla fuori dal salone. 

«Ao! Mi sa che me so sbrattata fuori pure i sentimenti stavolta.»

«Cazzo Lucì, m’hai vomitato su ‘e scarpe! Se nun te stai zitta i sentimenti te li faccio smette di provà pe sempre!»

Riccardo non diceva sul serio. Lucia gli vomitava sulle sneaker almeno tre volte al mese. Anche quattro. E le minacce poi passavano.

«Fallo Riccà, ammazzame i sensi, tanto è come che stanno congelati.»

«Non dire cazzate, Lucì.»

Lucia se ne rideva di quel riso amaro che ti viene fuori quando stai a soffrire ma t’importa poco.

Barcollava tutta storta, schiena china, gambe tese e strascinate, si poggiava alla ringhiera, ora al muro, ora all’amica Francesca, ora al collo di Riccardo.

«Riccà che c’ha ‘a amica tua?», gridò un ragazzo, probabilmente il festeggiato, tra la folla.

«Fammela portà sopra! Pare che sta a morì e me sta a spacca i bracci a forza de tenella come ‘n manichino de legno.»

Lucia non se lo ammetteva, ma stava male. Male davvero. Mandava giù cocktail per annegarlo a quel sentimento così fastidioso che le opprimeva il petto, e quando non bastava, quando quest’ultimo tornava a galla ondeggiando sull’acido del suo stomaco, si faceva un paio di tiri di canna.

“Almeno me s’addormono i sentimenti”, si diceva prima che le labbra le sfiorassero il filtro bucato. E in parte era proprio così. Necrotici, marci, dolorosi come una ferita non abbastanza profonda sembravano sopirsi sotto il fumo incensato dell’erba. 

Salirono a fatica le scale. Francesca che la teneva per un braccio, Riccardo per l’altro.

«Daje…Manca poco…», mormorò lui mentre si sentiva trascinare da una parte all’altra dal peso di Lucia.

Guardò Francesca. Aveva proprio il viso sgomento «Nun te preoccupà, Franci. Je passa.» 

Francesca scrutò Riccardo e le parve che a lui fossero note quel genere di cose. Come se fosse un film trito e ritrito dove, alla fine, il ragazzo si ritrovava sempre a scortare l’amica sua da qualche parte.

Francesca annuì poco convinta e continuò a trascinarsi, anch’essa, il peso dell’amica su per le scale.

 

«Nun ce voglio sta’ su sto letto, vojo sta a casa mia!»

Protestò Lucia sollevandosi dal materasso.

«Lucì n’se po’. Devi da sta’ ferma.»

«Ti devi riprendere.», mormorò Francesca. Il cuore che era tornato a batterle in gola.

«Mollame! Devo andà in bagno!»

Ricardo sospirò esausto: «E' occupato.»

«Che faccio? Piscio qua?»

«Nun ce puoi andà ar bagno, oh!»

 

Non contenta Lucia incominciò a strillare.

 

«Perché non può andare in bagno?», domandò avvilita Francesca.

Solo allora, Riccardo la prese per un braccio e allontanandosi un momento dal materasso, le spiegò che chiuso nel bagno c’era Marco con Maddalena, che lo aveva visto salire mentre Lucia stava vomitando e che lo stesso gli aveva fatto un gesto eloquente con l’indice, chiedendogli praticamente di stasse zitto.

Dentro il petto di Francesca montò la rabbia.

Guardò la sua amica che s’era ridotta ‘na pezza e pensò a quanto fosse bastardo Marco, poiché, secondo lei, era proprio colpa del ragazzo se ora la sua amica stava così.

Mentre continuava a lamentarsi, Lucia, ancora poco lucida, si rotolava sul letto.  Francesca e Riccardo cercavano di convincerla a stare ferma. A rilassarsi, magari a dormire per smaltire la sbornia, ma non c’era verso.

«E vattene!», protestò lei scansando le mani di Riccardo dai suoi piedi. 

«Nun lo vedi che stai zozza di vomito? Te vuoi toglie’ almeno ‘e scarpe?»

«Non puoi stare con le scarpe sul letto, Lucia.», Francesca mantenne un tono di voce pacato, sperando che bastasse la calma per farla tranquillizzare.

«Sai che me frega!»

Sembrava una causa persa, però, adesso, almeno Lucia se ne restava stesa e non aveva più provato a sollevarsi.

Riccardo a quel punto decise di riprovarci: si sentiva in colpa per le lenzuola sporche. Era a casa di un ragazzo della Roma bene che lo aveva invitato come se fosse uno dei suoi migliori amici da sempre, aveva imbucato due ragazze e una delle due ora gli stava devastando la camera.

«Te fermi?»

Allungò le mani sulla cerniera degli stivaletti tacco dieci di Lucia e ne abbassò una.

La ragazza sollevò appena la testa nella sua direzione. Uno sguardo sornione e un sorriso leggermente storto le si disegnarono in viso.

«Ce stai a provà, Riccà?»

Lui fece una smorfia e continuò a sfilargli le scarpe.

«’O so che ce stai a provà. L’ho capito dal primo giorno che m’hai rivolto la parola che te piaccio ‘na cifra.», sghignazzò rigettando la testa indietro «Ma er core mio è di Marco.»

Riccardo non disse una parola, ma si era fatto terribilmente serio e Francesca lo aveva notato.

Serio, e forse pure ferito nell’orgoglio perché a Riccardo, Lucia, piaceva veramente.

Le aveva rivolto parola durante l’ora di Italiano di almeno 3 anni prima. Passandosi una penna, ecco come si erano conosciuti. E grazie a quella biro dal cappuccio mangiucchiato ora erano inseparabili. Ma non come voleva lui.

Con il passare del tempo, Lucia si era fatta sempre più bella con il suo sorriso perfetto e gli occhi che raccontavano di pensieri profondi. Riccardo, lentamente, notò che Lucia per lui sarebbe potuta essere anche altro.

Peccato Marco.

«Perché non prendi un po’ d’acqua?», chiese a Francesca.

La ragazza stava annuendo, già pronta a gettarsi lungo le scale per trovare quanto chiesto, quando, un paio di ragazze si infilarono lungo il corridoio e passarono davanti alla porta aperta della stanza.

«Nun ce potete annà ar bagno!», gridò sguaiata Lucia.

Un momento rideva. L’altro mugolava di dispiacere, l’altro ancora voleva rompere tutto.

In quel momento rise.

Una delle due ragazze, tale Carlotta, si affacciò con la testa dentro la stanza e mimò un sorriso che, agli occhi di Francesca, sembrò spietato: «Guarda che ‘o so chi ce sta’ dentro.»

Lei si, non Lucia. No di certo.

«E sentimo, chi ce sta’?», schiacciò il viso sul cuscino in direzione dello sguardo della ragazza.

«Non importa.», Riccardo, che si era seduto sulla poltrona girevole accanto alla scrivania, era balzato in piedi pronto a chiudere la porta in faccia a quelle due.

Ma Carlotta, lo anticipò. 

«Ce sta’ l’ex tuo.»

Fu una frustata dietro la schiena di tutti.

Francesca deglutì. Quella frase aveva solo anticipato ciò che sarebbe successo un attimo dopo.

Lucia, come una furia, si sollevò dal letto. Tanta la rabbia che, nonostante non si tenesse proprio dritta, nonostante avesse urtato con il fianco lo spigolo della scrivania, sembrava non sentire niente e procedeva spedita come un proiettile verso la porta.

«Lucì. Lucì!» Strappò via da sé le mani di Riccardo e spintonò Carlotta che, nel frattempo, sembrava ridersela di gusto.

«Apri, pezzo di merda!»

Il bagno era solo una porta più in là sul fondo del corridoio. Non si sentivano rumori all’interno e per un momento, tutti sperarono di trovarlo vuoto. 

«Lucia lascia perde!», cercò disperatamente di fermarla Francesca, beccandosi uno spintone.

«Apri ho detto!»

Riccardo, fissando la scena, si passò le mani sul viso.

«Nun ve potete mai fa i cazzi vostri, ve’?», guardò con astio le due.

«Perché lei è sempre carina e gentile co noi?»

«Marco, esci da quel cazzo de bagno!»

I pugni ripetuti sulla porta, le grida: qualcuno li avrebbe potuti sentire. Magari qualche vicino e avrebbe chiamato la polizia, specie ora che, al piano di sotto, qualcuno aveva abbassato notevolmente il volume della musica.

«Così chiamano ‘i sbirri! Te vuoi calmà?», gridò Riccardo.

«Non sarebbe tanto male.», rispose Francesca accennando un sorriso timido «Almeno la smette.»

«A Francè nun lo dì manco pe scherzo! ‘O sai che giro d’erba che ci sta qua dentro?»

Francesca a quell’affermazione si sentì esattamente come molte altre volte, ingenua.

Come aveva fatto a non pensarci?

 

Ad un tratto la porta si spalancò.

Marco aveva la felpa sgualcita, le labbra rosse, lo sguardo annebbiato.

Quando apparve dietro l’anta, il cuore di Francesca e forse pure quello di Riccardo, persero un battito.

Maddalena gli stava dietro. Inespressiva, almeno all’inizio.

Quando vide Lucia scagliarsi contro Marco, la sua espressione mutò.

Soddisfazione. Timore. Altra soddisfazione. Nervi per essere stata interrotta.

«Ma che cazzo vuoi, Lucì?!»

Marco le teneva i polsi, rifilandole sguardi carichi di fastidio.

«Sei ‘na merda! Come hai potuto?», pianse la ragazza.

Francesca sapeva bene che Marco non sarebbe stato la vittima delle sue percosse. Lucia aveva già sfiorato con lo sguardo la sagoma spettinata di Maddalena che, come lei, si stava preparando allo scontro.

«Puttana!», gridò Lucia rievocando agli occhi di Francesca una scena già vista.

Nonostante Marco, prontamente, l’avesse afferrata per il busto, Lucia riuscì ugualmente a sferrare qualche calcio alla ragazza colpendole un dito e tutta la mano successivamente.

«Nun te vuole più, oh! Mettitelo in testa, nessuno ti vuole!».

Maddalena aveva ricacciato il peggio dalla sua rabbia.

«Te, co ‘a madre tua che batte! ‘O sanno tutti!»

«Mo ha rotto il cazzo!», Riccardo non voleva più sentire le schifezze che stavano uscendo dalla bocca di Maddalena e così, si fiondò su Lucia, strappandola dalle braccia di Marco e trascinandosela lungo il corridoio.

Francesca li seguì velocemente ma non prima di aver lanciato uno sguardo torvo a Marco.

 

«L’ammazzo! L’ammazzo a quei due stronzi!»

Fecero sedere Lucia in giardino. Francesca si chiese persino come avevano fatto ad arrivarci con lei che scalciava come una furia, che gridava in lacrime. Ma ce l’avevano fatta ed ora Lucia era seduta sul dondolo e stava singhiozzando.

«E’ un coglione, Lucì.», Riccardo si lasciò scivolare seduto accanto a lei.

«Concordo.», mormorò Francesca.

«Valle a prendere l’acqua, così le pulisco il viso.»

Lucia aveva tutto il mascara colato. Una linea nera e profonda che tagliava le sue occhiaie in due, disegnandoci una maschera di dolore sopra.

«Vado.»

Francesca si affrettò a superare la veranda e tornò nel cuore della festa.

Come detto, era quasi l’alba e molta della gente che aveva visto all’inizio sembrava essersi ritirata.

Il pavimento era cosparso di bicchieri vuoti, cartacce e liquidi di cui Francesca desiderava non sapere la provenienza. Non desiderava nemmeno essere nei panni della governante che il giorno dopo sarebbe andata a pulire quella casa!

Scavalcò un mucchio di sporcizia e le gambe di qualcuno che se ne stava con la schiena premuta contro il bordo del divano, la testa penzoloni e una bottiglia mezza vuota fra le dita, mentre sonnecchiava in preda alla sbornia. Ignorò le facce sfatte dei ragazzi che continuavano a ballare molli sulle loro gambe e raggiunse un grosso tavolo ormai non più colmo di vivande.

Intonse c’erano una decina di bottiglie d’acqua.

Ne prese una e soddisfatta fece per tornare fuori, quando, ai suoi occhi apparve la borsetta della sua amica. L’aveva lasciata proprio su quel tavolo, abbandonata come un vecchio ricordo e sembrò un miracolo che fosse ancora lì.

Francesca la raccolse, l’aprì e frugò dentro per esser certa che fosse di Lucia. Era sua.

Mentre le sue dita stavano cercando di chiudere la bocca della borsetta, gesto non facile con la bottiglia stretta sotto il braccio, sentì il cellulare vibrare.

Lo cercò e quando sbloccò lo schermo notò che c’era un messaggio.

 

“So le cinque, do cazzo sei finita?”

 

Il mittente era un certo Michele. Francesca lo aveva sentito nominare diverse volte e aveva, suo malgrado, visto pure il notiziario in tv quando era stato arrestato.

In quel momento, però, non le importò del notiziario, dell’arresto, dell’attimo in cui di sfuggita aveva visto il viso furente del ragazzo dentro lo schermo del suo plasma: aprì il messaggio.

 

“Sono Francesca, un’amica di tua sorella. Lucia sta poco bene, anzi non sta bene per niente. Puoi venire?”

 

Parlò con estrema confidenza, digitando il messaggio come se fosse la cosa più normale di ‘sto mondo.

La risposta non si fece attendere. Michele chiedeva l’indirizzo della festa e spiegò dove farsi trovare.

 

«Hai scritto a mio fratello?!»

Quando Francesca tornò dall’amica, non si aspettava una reazione del genere. Credeva di aver fatto la cosa giusta in fondo.

«Come cazzo t'è venuto in mente!?»

«Come ci torniamo a casa? Non lo vedi come stai?»

Francesca le passò la bottiglia e la borsa che Lucia lanciò nell’erba un secondo dopo.

«Te dovevi fa’ li cazzi tua!», gridò.

«Oh! Te voleva da ‘na mano, eh!»

Riccardo aveva ragione, Francesca voleva solo aiutare l’amica sua, mezzo relitto, che si era massacrata di erba ed alcool per addormentare i sensi.

Perché la vedeva così disperata, triste, sofferente che le si spezzava il cuore.

In quell’istante, Francesca decise che il dolore era la causa dei gesti più stupidi e poco sensati che le persone potevano commettere.

   
 
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