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Autore: Zobeyde    31/08/2022    3 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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LA TORRE


 


 

Jim strinse l’impugnatura del coltello e cercò di ignorare la nausea, mentre guardava la carneficina che aveva appena provocato.
«Scusa, amico» disse, rivolto all’ennesimo corpo esanime che gli giaceva davanti. «Meglio a te che a me.»
Poi, spinse la lama nella pancia della trota, dalla coda fino alla testa, ne afferrò le interiora viscide e sanguinolente e le gettò nella spazzatura. Il corpo ripulito finì invece in un recipiente assieme a tutti gli altri, pronti per essere impanati e immersi nell’olio bollente.
“Arnaud’s” era uno dei ristoranti storici di Shreveport, specializzato in torte di granchio e zuppe di pesce gatto; era piccolo e di poche pretese, ma affacciava direttamente sui moli del Red River e monsieur Arnaud si vantava di servire in tavola pesce fresco ogni giorno. Jim ci lavorava da appena un paio di settimane e già si era convinto che non avrebbe più mangiato nulla dotato di lische in vita sua: per quanto li lavasse i suoi vestiti puzzavano sempre in modo disgustoso e gli faceva male la schiena a stare in piedi davanti al lavandino della cucina anche per dodici ore di fila.
Ma si era dovuto accontentare. Non c’erano molti impieghi disponibili da quelle parti, soprattutto per chi come lui non aveva uno straccio di referenza e la cui unica esperienza lavorativa si riduceva al realizzare animali coi palloncini. In compenso, con la scusa di essere una frana a maneggiare il coltello, gli era stato concesso l’uso dei guanti, così poteva nascondere i segni che la Magia Vuota aveva lasciato sulle sue mani.
Andato via da Pineville, aveva deciso di darsi alla macchia per un po’, nel caso ci fossero altri nemici nei dintorni; la prima notte aveva dormito in un’acciaieria abbandonata a poca distanza dalla ferrovia, ma alle prime luci dell’alba si era già messo in viaggio attraverso i boschi. A piedi procedeva lentamente, ma meno tracce di magia lasciava sul suo cammino e meno rischi c’erano di imbattersi in altri stregoni, poco importava che stessero dalla parte di Arcanta o di Lucindra. Si era lavato in torrenti e cisterne, raccolto bacche e funghi selvatici (Alycia gli aveva insegnato a individuare subito quelli velenosi) e quando i morsi della fame diventavano aggressivi, si era azzardato a rubare dagli allevamenti lungo la strada.
Nonostante campasse di stenti, c’era un problema ben più grosso che lo tormentava: da quando aveva utilizzato le Arti Proibite contro i due Zeloti, non più in maniera inconscia ma del tutto consapevole, il suo legame con il Vuoto sembrava essersi rafforzato.
Ormai ne percepiva costantemente il richiamo, a volte lieve come un sussurro, tanto da confondersi col fruscio del vento tra i pini, altre roboante come il fragore di una cascata. Di giorno era più facile tollerarlo, perché poteva concentrarsi sulla direzione da seguire, sulla sete e sulla fame. Ma al calare del sole, quando le ombre prendevano il sopravvento, diventava impossibile ignorarlo; le ferite sulla spalla sinistra si risvegliavano nel cuore della notte e con esse anche le voci, il suo sonno era agitato da incubi terrificanti, in cui rivedeva i corpi dei due stregoni disintegrati dalla Magia Vuota, e Jim aveva l’orribile impressione di annegare, di essere trascinato via dalla corrente impetuosa di un fiume nero e ghiacciato. Aveva provato a meditare, ma i risultati non erano stati soddisfacenti: il Tutto continuava a scorrergli accanto placidamente ma senza sfiorarlo e questo lo faceva sentire sporco, sbagliato. Gli mancava la connessione che aveva provato i primi mesi, quando si sentiva potente e sicuro di sé e la sua magia cresceva in armonia con tutto il resto; quando, assieme a Solomon Blake e ad Alycia, si era sentito finalmente nel posto giusto.
Era riuscito a tirare avanti così per tre giorni prima di arrivare a Shreveport e si era subito messo in cerca di un lavoro: l’unico a non avergli sbattuto la porta in faccia era stato Arnaud, anche se aveva dovuto supplicarlo in ginocchio per ottenere quel posto da sguattero:
«D’accordo, inizi oggi!» aveva sbottato alla fine, pur di toglierselo dai piedi. «Sempre meglio tu che uno di quei topi di fogna italiani, polacchi e chi più ne ha più ne metta! Hai diritto a un pasto al giorno, ma sulla paga non si discute, chiaro? Se non ti sta bene te ne torni da dove sei venuto.»
Sui documenti di Jim c’era scritto che si chiamava Lyonel Smith, che aveva ventun anni e che veniva da Jefferson, in Texas. Aveva perfino fatto in modo di avercelo un aspetto da “Lyonel Smith”biondino, tarchiato, col mento sfuggente e un paio di occhi stretti e acquosi.
Quella era stata l’ultima volta che Jim si era concesso il lusso di usare la magia, anche a costo di dover sudare sette camicie praticamente per qualunque cosa nei giorni a venire: dalle otto del mattino fino alle dieci della sera, Lyonel Smith infatti puliva i pavimenti, sgusciava molluschi, pelava patate, sgrassava padelle, portava fuori la spazzatura. Dopo l’orario di chiusura, consumava una cena a base di avanzi con il resto del personale e smezzava con loro una sigaretta e qualche chiacchiera. Cercava di mantenere il profilo basso e di non dare loro troppa confidenza, ma Etienne Cazenave, un ragazzo creolo che faceva l’aiuto cuoco, l’aveva preso così in simpatia da proporgli di dividere l’affitto di un monolocale minuscolo nei pressi del porto. Inizialmente, tanta spontanea gentilezza aveva lasciato Jim perplesso, ma in seguito aveva scoperto che Etienne era sì un tipo a posto, ma con un debole per le scommesse, perciò faticava a trovare un coinquilino per più di un mese o due. La misera paga di Jim finiva tutta nel mantenimento di un tetto sopra le loro teste, ma il divano di Etienne era sempre meglio di un container giù al molo. E soprattutto, era lontano dagli orrori che si era lasciato alle spalle a New Orleans e, se lo augurava, dagli Zeloti. Al momento, andava bene così.
«È la paprika il segreto, mon ami» gli stava spiegando Etienne con fare da esperto, mentre tagliava le zucchine. «Prendi il pesce gatto: puoi farlo grigliato, al pomodoro, bollito con patate, cipolle e mais. Ma non riuscirai mai a togliergli quel répugnant sapore di fango, a meno che non lo intingi per bene nella paprika! Lo diceva sempre la mia mamie
Accanto a lui, Jim non fece commenti e si concentrò sulle trote da pulire; aveva capito che la paprika era uno dei cavalli di battaglia di Etienne, dipendesse da lui l’avrebbe messa dappertutto, perfino nel caffè.
«Etienne, dacci un taglio!» esalò Georgina, entrando con le prime comande. «Di pesci gatto ne vedo così tanti che prima o poi chiederò a uno di loro di uscire!»
Era quasi ora di pranzo e i primi clienti si erano già accomodati in sala: le due cameriere, Georgina e Dolores, avevano cominciato a fare avanti e indietro e nelle cucine si iniziava a respirare aria di frenesia, ma c’era ancora spazio per qualche battuta e per ascoltare un po’ di musica alla radio.
«Ah, non dirlo a Lyonel!» lo derise bonariamente chef Dominic. «Dì la verità, iniziano a mancarti le vacche del Texas, eh?»
Jim si limitò a fare spallucce per non incoraggiare la conversazione: non era la prima volta che cercavano di carpirgli informazioni, per esempio sul perché indossasse i guanti anche fuori dall’orario di lavoro (aveva solo accennato di essersi procurato delle brutte scottature col barbecue) o su cosa lo avesse portato a Shreveport, ma Jim se ne usciva sempre con risposte vaghe sul fatto che in Texas non ci fosse lavoro, che guardare il bestiame tutto il santo giorno non faceva per lui e che non andava d’accordo coi suoi. Per fortuna, Etienne di solito veniva in suo aiuto, riducendo il fatto che fosse di poche parole alla sua indole da cowboy solitario.
La verità era che, dopo quanto accaduto alla fattoria dei Foley, Jim era ossessionato che dietro ogni persona potesse nascondersi un nemico pronto a trarlo in una trappola; di essere ancora una volta costretto a usare i suoi nuovi, terrificanti poteri, di venire guardato come un mostro, di dover scappare e ricominciare tutto da capo...
Intanto, il programma radiofonico smise di trasmettere musica e diede invece la parola al notiziario:
«Interrompiamo la trasmissione per lanciare un allarme in diretta nazionale.»
«Ehi, avete sentito?» disse Georgina, affacciandosi nuovamente in cucina «Dom, alza un po’ il volume.»
Lo chef annuì e girò subito la manopola.
«Continua a seminare distruzione lo strano fenomeno atmosferico che ha colpito in questi giorni il Midwest. Decine le città e le fattorie evacuate, incerto il numero delle vittime...»
«Un altro di quei maledetti tornado» esclamò Etienne. «E non è nemmeno stagione!»
«Il professor Humfrey, della Hurricane Research Division di Miami, informa che l’uragano si sposta a una velocità di circa 200 miglia orarie e che si è formato non lontano dalla cittadina di Wamego, Kansas, meno di una settimana fa.
Una testimone, la signora Jacqueline Young, scampata per miracolo al disastro, ha raccontato che la giornata era soleggiata e con poco vento e che con la sua famiglia si stava recando a Wamego in auto per visitare la fiera annuale. Verso le quattro del pomeriggio, il cielo si è riempito di nuvole nere che hanno oscurato il sole. Altri superstiti descrivono il ciclone come una colonna del diametro che varia di ora in ora. Molti già la chiamano “La Torre Nera”.
Tra le vittime accertate, la polizia conta una compagnia circense di direzione irlandese che si stava esibendo proprio in quei giorni durante la fiera.
I vigili del fuoco raccomandano di non sostare vicino ad alberi e cavi dell’alta tensione e di prendere tutte le misure necessarie per mettere in sicurezza la propria abitazione. Restate sintonizzati per ulteriori aggiornamenti.»
Seguì un jingle musicale e una voce femminile che annunciava l’imminente inizio di un episodio di “One Man’s Family”.
In cucina era calato un silenzio carico di preoccupazione.
«Pensate che ci sia il rischio che arrivi anche da noi?» domandò Georgina in tono apprensivo.
«Hai sentito, no?» rispose Dominic. «Nemmeno quei cervelloni riescono a prevedere che direzione prenderà.»
«Ehi, Nel» disse Etienne, rivolto a Jim. «Dovremmo rinforzare gli infissi prima che inizi a cambiare il vento, n’est-ce-pas?»
Ma Jim non lo ascoltava. La mano con cui reggeva il coltello tremava e stava guardando fisso un grumo di budella incastrato nello scolo del lavello. L’unico rumore che riusciva a sentire era il battito forsennato del proprio cuore nelle tempie.
Una compagnia circense di direzione irlandese...poteva essere una mera coincidenza? Il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley aveva sostato in Kansas alla fine di ottobre, ma non era detto che vi fosse rimasto così a lungo. Magari, nel frattempo era già ripartito...forse si trattava di un altro circo, non per forza quello di Maurice...
Non possono essere loro, non possono...
Un terribile presentimento gli aveva artigliato il cuore, raggelandolo fino al midollo...
«Lyonel» disse la voce di Etienne e Jim fece un salto quando lui gli toccò la spalla. «Non hai una bella cera, mon ami. Sicuro di stare bene?»
Jim si allontanò da lui come se scottasse. «Sì, io...devo andare.»
«Oh, ça va bien! Ma che gli dico a monsieur Arnaud..?»
Jim si sfilò il grembiule imbrattato di sangue e lo mollò sul tavolo da lavoro. «Che mi sono rotto il cazzo.»
E lasciò la cucina di corsa, senza preoccuparsi di dare altre spiegazioni.
Conosceva un solo modo per accertarsi che i suoi amici stessero bene, viaggiare attraverso il Piano Astrale. Era una pratica rischiosa per un mago alle prime armi, perché si trattava di un campo di forze in continua mutazione, dove non esistevano distanze fisse, perciò era estremamente facile smarrirsi. Blake non aveva avuto modo di farlo esercitare adeguatamente, ma non c’era tempo per mettersi a consultare i pochi libri di magia che aveva preso in fretta e furia dalla sua biblioteca, ridotti in formato tascabile per farli entrare nello zaino.
Jim raggiunse l’appartamento, si chiuse a chiave e sedette a gambe incrociate sul letto di Etienne, gli occhi chiusi e le mani aperte sulle ginocchia. Iniziò a contare i propri respiri, da dieci fino a zero, sforzandosi di tenere sotto controllo l’ansia e l’impazienza...
La ferita alla spalla mandò una scossa di dolore e di nuovo il coro di sussurri del Vuoto cercò di insinuarsi nei suoi pensieri, stavolta in maniera così forte e nitida che Jim riuscì addirittura a percepirne le parole:
È troppo tardi e lo sai.
Strinse la stoffa dei pantaloni tra le dita e alzò un muro di ostinata Volontà nella propria mente. Lasciami in pace.
Da solo non sei abbastanza forte. Insieme a Noi avrai una possibilità di trovare i tuoi amici...
«Ho detto che devi lasciarmi in pace!» gridò Jim nel silenzio. Gli ritornò solo un lieve riverbero, insieme ai rumori della strada.
Prese un altro paio di respiri profondi e richiuse gli occhi. Doveva riuscire a trovarli. Doveva. Pensò ad Arthur, a Vanja, a Wilhelm, Dot, Rodrigo, Frank, Antonio, Margot e Maurice. Voleva rivederli, tutti loro, e voleva rivederli sani e salvi.
Quando quella motivazione arse più forte di qualsiasi altro pensiero, percepì la realtà sollevarsi attorno a lui come un velo. La sua coscienza fu spinta fuori dal corpo e si ritrovò a fissare il goffo involucro vuoto di Lyonel Smith, seduto sul letto in una squallida camera vista dall’alto. Si spinse ancora più in alto, oltre le travi di legno marcio del soffitto mangiate dai topi, oltre le tegole sconnesse e consumate del tetto. Poi volò ancora più lontano, superando il centro abitato, le colline e le valli boscose. Era una sensazione vertiginosa, ma non fu quello a spaventarlo a morte.
Fu la vista della Torre.
Si stagliava alta fino alle nuvole, una lama di oscurità fittissima che turbinava piano su se stessa e non lasciava trapelare nemmeno una stilla di luce. Era uno spettacolo surreale, da togliere il respiro: il cielo completamente terso, la campagna gialla e verde che si estendeva per chilometri e proprio nel mezzo, quella colonna vorticante in cui ogni cosa si annullava.
Sono laggiù.
Riusciva a percepire le loro aure, flebili guizzi che baluginavano in quella landa fredda, desolata e incolore, il che significava che erano vivi. Ma percepì qualcos’altro: un’aura spaventosa, che pulsava come un cuore al centro del ciclone. Era lì che tutto si era generato, da un pozzo senza fine scavato da anni di dolore, rabbia, fame di vendetta...
Era un potere che superava ogni immaginazione, contro cui sapeva di non avere speranze. Ma in quel momento non gli importava. Doveva assicurarsi che i suoi amici fossero illesi. Solo questo contava.
Prese coraggio e si spinse incontro alla Torre...
Qualcosa però lo afferrò con forza e Jim fu risucchiato all’indietro. Il mondo si mise a ruotare a una velocità da capogiro, mentre la Torre si allontanava fino a diventare sottile come un taglio nel blu e Jim piombava di nuovo nel suo corpo, seduto sul letto, col fiatone e le vertigini.
«Sei impazzito?!» esclamò una voce molto vicina e arrabbiata. Una voce dannatamente familiare.
Jim sollevò di scatto la testa e si ritrovò a fissare due occhi scuri e luminosi su un volto incorniciato da ricci corvini.
«Alycia?!» 
Sbatté le palpebre più volte per accertarsi di non avere le traveggole: era davvero l’ultima faccia che si sarebbe aspettato di vedere.
La ragazza si avvicinò senza una parola alla finestra e abbassò l’avvolgibile, facendo piombare la stanza in una strana penombra giallognola.
«Sei stato un incosciente ad avventurarti da solo nel Piano Astrale!» gli disse poi in tono di rimprovero. «Ogni Zelota nascosto in America sta aspettando una tua mossa e quando hai provato a connetterti con la Torre hai praticamente lanciato un segnale luminoso visibile da chilometri! Mi auguro solo di aver interrotto il contatto in tempo…»
Ma Jim era ancora troppo scosso per elaborare tutte quelle informazioni insieme. Decise di concentrarsi su una questione per volta: «Sei...sei davvero tu?»
«No, la Fata Turchina! Che razza di domande...!»
«Dimostralo» ribatté Jim con voce più risoluta. «Non è la prima volta che mi giocano questo scherzetto. Dimostrami che non sei un’impostora o ti spedisco all’istante fuori di qui.»
Le sopracciglia scure di lei formarono due archi perfetti, ma poi vide le sue mani sollevate in posizione di attacco e realizzò che non stava affatto scherzando. «D’accordo, cosa devo fare?»
«Dimmi qualcosa su di me che solo la vera Alycia può sapere.»
«Che cosa stupida...»
«Conto fino a tre» la avvertì Jim, i palmi puntati contro di lei. «Uno, due...»
«Va bene, va bene! Fammi pensare...» Le sue guance divennero di colpo rosse come papaveri. «Hai...ehm, hai una voglia, appena sopra la natica destra. A forma di melanzana.»
Lui abbassò le mani. «Sarebbe una falce di luna» puntualizzò, non sapendo se sentirsi più sollevato o imbarazzato.
«A me sembrava proprio una melanzana.»
«Significa che non hai immaginazione. Sei decisamente Alycia.»
«Be’, grazie al cielo!» replicò lei sarcastica e le labbra di Jim si tirarono automaticamente in un sorriso: gli era mancato il suo caratteraccio. «Ora però è il mio turno: scusa ma non ce la faccio a guardarti con questa faccia.»
Lui si accigliò per un momento e lentamente cambiò aspetto: i tratti del volto si fecero più affilati e volpeschi, la fronte si abbassò, gli occhi tornarono a occupare la giusta distanza e i capelli color paglia recuperarono la calda tonalità rossiccia.
«Meglio?» chiese, sentendosi anche lui molto più a suo agio. «Come hai fatto a trovarmi?»
«Ho seguito la tua traccia astrale finché ho potuto, ma visto che hai smesso di usare la magia da diversi giorni mi sono fatta aiutare da Valdar: gli orchi possono fiutare un odore anche a miglia di distanza.»
«Hai portato Valdar qui!?»
«Col suo aspetto umano» lo rassicurò lei. «In questo momento è giù in strada, in caso arrivi quel tuo coinquilino, mentre Wiglaf sorvola il quartiere: ti teniamo d’occhio già da qualche giorno.»
Il sorriso di lui deviò in una smorfia: chissà perché quell’espressione non gli era nuova. «Come mai sei qui?» domandò, recuperando in parte l’atteggiamento sospettoso. «Ti credevo ad Arcanta assieme ai tuoi brillanti amici alchimisti...»
«Ho lasciato il Cerchio d’Oro.»
Lui si interruppe, sinceramente sorpreso. «Cosa? Perché?»
«Perché non era ciò che pensavo» rispose lei, con voce atona. «Non lo erano molte cose ad Arcanta. Così me ne sono andata.»
Lui tacque per un momento. In verità aveva un’infinità di cose da chiederle, ma ce n’era una che aveva la priorità su tutte: «Che cosa sai della Torre Nera? I Mancanti pensano si tratti di un tornado come gli altri.»
«Non so di preciso cosa sia, ma di certo non ha cause naturali» La ragazza trattenne un brivido. «C’è una frattura nel Tutto, chiunque dotato di poteri magici se ne è accorto. L’unica spiegazione è che Lucindra in qualche modo sia riuscita a liberarsi.»
Jim impietrì e un gelo profondo gli scivolò dentro. Le voci nella sua testa, la facilità con cui aveva attinto potere dal Vuoto, il suo ascendente su di lui che si intensificava di giorno in giorno. Dipendeva tutto da Lucindra?
«Come può averlo fatto? Senza me a farle da amplificatore...?»
Alycia scosse tristemente la testa. «Non ne ho idea, ma qualunque cosa abbia in mente sta facendo tutto per attirarti da lei: ha bisogno di un altro Plasmavuoto per estendere il Vuoto a tutto il mondo e distruggere Arcanta. Così metterà in atto la Profezia.»
«Ha preso i miei amici» disse Jim, in preda all’angoscia. «Sono dentro la Torre, ma sento che sono ancora vivi...»
«Non penserai di andare là?»
«Cos’altro posso fare? Starmene nascosto mentre Lucindra li tiene prigionieri o li tortura o che so io? Mentre il Vuoto inghiotte intere città?»
«Jim, ascoltami.» Alycia gli sedette vicino. «Lo so che è terribile, ma non posso permetterti di andare. Per questo sono qui: devi venire con me ad Arcanta.»
«Non è un buon momento per scherzare.»
«Lo so che sembra una pazzia» replicò lei precipitosamente. «Ma è l’unico luogo dove sarai al sicuro. Da sola Lucindra non può attaccare la Cittadella e se ti costituirai di tua volontà il Decanato potrebbe garantirti un giusto processo: ad Arcanta non sono tutti senza cuore come Blackthorn, di sicuro Macon e molti altri maghi saranno dalla nostra parte.»
Il ragazzo la fissò in silenzio, inespressivo. Poi balzò in piedi.
«Jim...» lo chiamò Alycia.
«Ti ha mandata lui, vero? È un’altra delle macchinazioni di tuo padre!»
«No! Cioè sì, è una sua idea...ma non si tratta di una macchinazione! Sono qui perché voglio aiutarti.»
Lui però continuò a tenersi a debita distanza. «Scusa tanto, ma ho vissuto abbastanza con voi Blake da potermi aspettare una coltellata alle spalle da un momento all’altro.»
Alycia assunse un’espressione mortificata. «Hai ragione. Mi dispiace per ciò che ha fatto, anche lui ne è profondamente pentito. Non intendeva farti del male...»
«Ha cercato di rapirmi quando avevo sei anni!» scattò Jim. «E si sarebbe sbarazzato di mio padre senza remore! Se c’è una cosa che ho imparato su voi maghi è che siete tutti uguali: Lucindra, Solomon Blake, ognuno ha i propri scopi ed è pronto a tutto pur di raggiungerli.»
«Se non puoi fidarti di loro allora fidati di me» ribatté Alycia, accorata. «Non ti lascerò affrontare il Decanato da solo...»
«Che pensiero amorevole» soffiò Jim, con voce aspra. «Continui a recitare la tua parte anche adesso.»
«Quale parte, di che stai…?»
«Hai finto di essere interessata a me solo perché tuo padre potesse tenermi al guinzaglio!» esplose Jim, ormai del tutto fuori controllo. «Fammi capire, stavolta in che modo voleva che mi convincessi...?»
Alycia avvampò e l’aria attorno a lei sfrigolò di indignazione; il lampadario si mise a ruotare come impazzito sulle loro teste e persino i pochi mobili dell’appartamento tremarono impauriti. Jim scorse ramificazioni verdi strisciare da sotto le assi del pavimento e sentì l’impulso di arretrare: quando aveva quel tipo di reazioni c’era di che stare attenti.
«Non posso credere che pensi una cosa del genere!» esclamò Alycia, con voce stentorea. «Mio padre non mi ha chiesto di fare proprio niente, imbecille! Quando ci siamo conosciuti non avevo idea di chi fossi, tutto quello che è successo tra noi era reale! Poi, quella notte a New Orleans, quando abbiamo…quando le nostre auree sono entrate in contatto, ho visto i tuoi ricordi, ho visto cosa è accaduto alla fattoria. Sono corsa da mio padre a chiedere spiegazioni e lui mi ha raccontato ogni cosa...»
«E hai pensato bene di tenermi all’oscuro di tutto!» rispose Jim a tono. «Mi hai ignorato, insultato e poi cacciato da Arcanta!»
«Non avevo scelta! Non potevo compromettere la vostra copertura...»
«Potevi rimanere dalla mia parte!» gridò Jim. «Essere mia amica! E invece hai preferito comportarti da egoista come tuo padre...!»
«Credi che sia stato facile per me?» strillò Aycia. «Avevo appena avuto la conferma che mio padre fosse un criminale e che stesse proteggendo una persona potenzialmente pericolosa! Ma ho scelto di fidarmi. Ho continuato a far finta di indagare per conto di Volkov, gli ho mentito, mi sono esposta a un rischio che tu nemmeno puoi immaginare! Ho dovuto affrontare da sola il mio maestro, mi sono esposta davanti a tutta Arcanta! Ho persino aizzato l’Anthea Ingannatrice contro la Corte delle Lame e rubato un velodrago! Perciò, non dare a me dell’egoista, perché l’unica cosa che ti è stato chiesto di fare era di non comportarti da sciocco impulsivo per una volta!»
Jim si chiuse in un lungo silenzio caparbio. Malgrado la rabbia che gli ribolliva dentro, malgrado avesse ancora così tanto da dire, così tanta sofferenza da riversarle addosso, il pensiero di essere stato il centro nevralgico e la causa di tutto quel caos lo turbò nel profondo. «Mi dispiace» borbottò alla fine.
Alycia acquietò il suo potere e rimasero per un lungo momento a fissarsi, ma l’intero appartamento continuò a scricchiolare, come in allerta.
«Mi dispiace» ripeté lui, un po’ più forte. «Non avrei mai voluto tutto questo.»
«Lo so.»
«Tuo padre» fece Jim con voce incerta. «L’ho colpito piuttosto forte. Sta...sta bene?»
«Sta bene. Tra voi due non so chi abbia la testa più dura. Boris lo ha consegnato ad Arcanta, in questo momento starà ricorrendo alle sue doti oratorie per accattivarsi i Decani: non mi meraviglierei se fosse già riuscito a farsi assegnare la più lussuosa delle prigioni.»
La notizia offrì a Jim un po’ di sollievo.
«Volevo solo appartenere a qualcosa» mormorò poi. «Non sentirmi più un errore...»
«Tu non sei mai stato un errore, Jim.»
«Guarda.»
Sfilò i guanti e le mostrò le mani, le falangi nere, come se fossero in cancrena. Lei non si mosse, ma Jim riconobbe una scintilla di inquietudine nel suo sguardo, come in quello di tutti coloro che lo vedevano per quello che era veramente.
«Ho fatto delle cose terribili, Alycia, e non perché Lucindra mi ha costretto. Le ho fatte perché lo desideravo. Arcanta ha ragione, io... sono un mostro.»
«No che non lo sei!» disse Alycia con forza, gli occhi che iniziavano a velarsi di lacrime. «Tu sei Jim Doherty, questo è tutto ciò che conta. E non ho intenzione di perdere anche te senza lottare.»
Un altro silenzio. Jim rimise i guanti e Alycia asciugò le guance col dorso della mano.
«Allora» chiese lei dopo un momento. «Che hai intenzione di fare adesso?»
«Andrò alla Torre Nera.»
Alycia sembrava aver esaurito le energie. «Non hai sentito una sola parola..?»
«Sì, ho sentito. Ma non mi interessa.»
«Farai il suo gioco se vai là!»
«E se non ci vado avrò comunque sulla coscienza migliaia di morti» disse Jim, in tono calmo ma categorico. «Ho trascorso tutta la vita a scappare, non voglio più farlo. Forse Arcanta è disposta a lasciare che Mancanti e Dimenticati scompaiano dalla faccia della terra, forse agli stregoni non è mai importato niente di loro, ma a me sì!»
Alycia ricambiò il suo sguardo, incredula e spaventata.
«Sentiti libera di fare quello che ritieni opportuno» concluse Jim. «Torna ad Arcanta, aspetta che la tempesta sia passata. Io vado a salvare la mia famiglia.»
La superò a grandi passi diretto alla porta, ma si sentì afferrare per il braccio.
Mentre si voltava, era pronto a vedersi scagliare addosso un incantesimo che gli avrebbe impedito di lasciare l’appartamento, persino che lei lo tramortisse per portarlo via con sé. Ma non era pronto al bacio.
Nell’istante in cui le labbra di lei chiusero le sue, la testa di Jim si svuotò e tutto quello che era accaduto e che sarebbe potuto accadere di colpo non esistette più. Esisteva solo Alycia, il suo sapore, la morbidezza setosa dei suoi ricci che gli scorrevano tra le dita, il calore del suo corpo che gli ricordava che erano ancora vivi.
Quando si separarono, Alycia lo fissò negli occhi, con quel suo sguardo torvo e battagliero che lo aveva sempre fatto impazzire. «Vengo con te.»
«Se avessi saputo che bastava così poco per convincerti ti avrei baciata prima...»
«Non puoi andare laggiù da solo» lo zittì lei, ritornando pragmatica. «E senza un piano ti farai di sicuro catturare. Ti aiuterò a trovare i tuoi amici e a liberarli, ok? Ma avremo bisogno di rinforzi; farò sapere al Decanato dove trovarci, in questo modo sguinzaglieranno il loro esercito al completo e una volta condotti da Lucindra, lasceremo che si affrontino: se siamo fortunati, si terranno impegnati abbastanza a lungo da non badare a noi che ce la squagliamo.»
«È un piano terribile.»
«È l’unico che mi viene in mente. Ma almeno abbiamo ancora dalla nostra l’effetto sorpresa. Perciò dobbiamo sbrigarci, prima che il Vuoto venga a prenderci.»

 
  
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