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Autore: elenatmnt    01/09/2022    1 recensioni
Quando si è alla disperata ricerca di un miracolo, si è disposti a credere in tutto... anche nelle favole.
Genere: Drammatico, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Note dell’autrice:
Ciao ragazzuoli!!! <3 eccomi con un nuovo capitolo. Sono un “pelino” in ritardo, ma sapete… l’estate porta vacanze o tanto lavoro in più… In entrambi i casi sono stata trascinata via dalla mia storiellina. Mi mancava, e a voi?? Non ciancio più… voilà! Ecco a voi il terzo cappy!! Buona lettura :*
P.S. Se vi va di lasciarmi un feedback, anche piccolino, ve ne sarei tanto grata; mi aiuta a crescere e a beccare quegli errori (anche scemi a volte) che mi sfuggono di mano. Grazie mille!!!!

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Capitolo 3
ARLECCHINO




 
La tempesta perdurò sotto il cielo nero e tuonante, il vento si fece violento e il gelo avvolse il suo corpo gracile.
Michelangelo non aveva paura.
No, non di quello. Aveva paura di non rivedere mai più il suo migliore amico, che scompariva nel buio della notte tra le grinfie di un mostro assassino.
 
“Fermo!!! Lascia stare mio fratello!” latrò feroce Michelangelo, stupendosi di sé stesso, di come potesse diventare così aggressivo se qualcuno osava minacciare la sua famiglia.
L’uomo si fermò.
La tartaruga mutante non avrebbe immaginato che gli sarebbe andata bene al primo colpo, si mostrò minaccioso, anche se nel suo cuore moriva di terrore. L’unico obiettivo era salvare Donatello che giaceva ferito tra le braccia dell’omone.
“Non essere stolto ragazzino. Seguimi e taci” disse l’uomo voltarsi appena per poi riprendere il suo cammino.
 
Che intenzioni aveva il Trituratore?                    
 
Nella mente di Michelangelo si fecero strada le peggiori immagini horror, ricordava dei racconti del terrore che i ragazzini più grandi gli raccontavano e già immaginava come sarebbe stato fatto a pezzettini insieme a Donatello e nessuno li avrebbe mai più ritrovati.
Né la paura né il costante tremolio alle gambe fermarono Michelangelo dal salvare il suo amico. Fradicio di pioggia e tenendosi a distanza, inseguì l’uomo senza mai togliergli gli occhi di dosso.
Una porta di ferro rossa, in un vicoletto ricco di graffiti e bidoni della spazzatura, fu aperta rumorosamente da Oroku Saki, che scomparve nel buio di qualsiasi luogo fosse quello; il piccolo mutante era consapevole che stava per entrare nella tana del lupo.
 
Per quanto Michelangelo si fosse sforzato di rimanere attento, alla fine, l’aveva perso di vista. I suoi occhi celesti si erano soffermati a fissare qualcosa che di gran lunga richiamò la sua attenzione: la luce lieve che dall’esterno penetrava dalle finestre, con ripugnanza rifletteva sulle lame dei coltelli facendole brillare di argento vivo.
Il fruscio del vento che attraversava gli spifferi, pareva essere grida di spiriti erranti; la porta cigolava prepotente spinta dalla forza del vento e tintinnii di uncini d’acciaio appesi al soffitto contornavano quella litania dissonante infernale.
Il povero ragazzo deglutì sonoramente.
Gocce di sudore freddo si mischiarono a quelle della piaggia che gli rigavano le tempie, mai in vita sua aveva provato così tanta paura, quello era proprio il luogo dei suoi peggiori incubi.
 
Un urlo disperato rimbombò nell’aria spiazzando completamente Mickey.
“Donnie!” sussurrò.
Erano sue le grida.
“Coraggio Mickey, fatti coraggio. Quel mostro sta ammazzando Donatello” ascoltò la propria voce per farsi forza.
I coltelli erano troppo in alto, non ci sarebbe mai arrivato per afferrarne uno ed arrivare come un guerriero in soccorso del suo amico. L’unico strumento che riuscì a vedere nella tetra stanza di facile portata, era una scopa; qualsiasi cosa era meglio di niente.
Afferrato l’oggetto si precipitò verso il suono che portava ad un lungo corridoio, dove dall’ultima porta rimasta socchiusa, proveniva una luce dorata.

Fuoco.
 
Se ci fosse stato un inferno in terra, Michelangelo era sicuro di aver trovato l’ingresso.
Passo dopo passo si avvicinò, il successivo era più incerto di quello precedente. Man mano che si avvicinava cresceva la paura di quello che avrebbe potuto vedere; con tutta probabilità Donatello era già morto e ora toccava a lui.
 
Un altro urlo.
 
A quel punto non vi furono esitazioni, gettò via la paura ed entrò deciso, puntando la scopa come la lancia di un vero condottiero. Se doveva morire lo avrebbe fatto con onore e suo padre sarebbe stato fiero di lui.
Entrò spavaldo spalancando la porta sonoramente e vociò come un matto.
“Lascia stare mio fratello! Hai capito?”
L’attenzione fu subito su di lui.
“Lascia stare Donatello o io ti…”.
 
Michelangelo ammutolì all’istante; rimase immobile e sconvolto quando mise a fuoco ciò che vide. Donatello era disteso su un divano posto di fronte ad un caminetto col fuoco acceso che illuminava e scaldava l’ambiente; l’omone, ora col viso deturpato in bella vista, era seduto accanto e aveva un paio di forbici in mano.
A Michelangelo fu tutto chiaro, Saki lo stava facendo a pezzi.

La rabbia si tramutò in tristezza e la tristezza in resa, non era così forte come suo padre diceva; sapeva che da solo non avrebbe mai sconfitto Saki e per di più non con Donatello in ostaggio.
Non riuscì a trattenere le lacrime; la scopa gli cadde di mano e le sue gambe cedettero sotto di lui. Forse per il suo amico non c’era più nulla da fare o forse era ancora vivo e aveva ancora una speranza.
Con umiltà e un barlume di speranza si prostrò all’uomo.

“S…signo…re… se ha ancora un po’ di bontà nel suo cuore… lasci andare mio fratello, il mio migliore amico… e prenda me al suo posto. Non lo faccia a pezzi, per favore”
 


***
Pinocchio, alla vista di quello spettacolo straziante, andò a gettarsi ai piedi del burattinaio, e piangendo dirottamente, cominciò a dire con voce supplichevole:
“Pietà signor Mangiafuoco!...”.
Il burattinaio fece subito il bocchino tonto, e diventato tutt’a un tratto più umano e più trattabile, disse a Pinocchio:
“Ebbene, cosa vuoi da me?”.
“Vi domando grazia per il povero Arlecchino”.
“Qui non c’è grazia che tenga”
“In questo caso” gridò fieramente Pinocchio, “in questo caso conosco qual è il mio dovere. Legatemi e gettatemi tra quelle fiamme. No, non è giusta che il povero Arlecchino, il vero amico mio, debba morire per me!”.
***
 

Oroku Saki, detto il Trituratore, scrutò il piccolo mutante. Il ragazzino prostrato a terra con la frontea contatto col pavimento, emetteva un suono simile ad un piagnucolio; era il vano tentativo di trattenere un pianto straziante.
L’uomo posò le forbici sul tavolino accanto, si alzò e con passi lenti si avvicinò alla tartaruga inginocchiandosi di fronte.
La mano possente si posò sulla spalla di Michelangelo che tremò ancor più vistosamente.

“Alzati ragazzo”.
Michelangelo non ebbe il coraggio di muoversi, così, fu l’omone a sollevarlo da terra ma la tartaruga rimase sempre con il volto rivolto al suolo.
“Come ti chiami?”.
“Mi..chelangelo. Mi chiamo Michelangelo, signore”.
“Bene Michelangelo. Sulla cucina che una pentola con dello stufato, serviti se hai fame”, detto ciò si rialzò piano e tornò verso Donatello.

Michelangelo rimase confuso e stupito. Che cosa aveva in mente l’uomo? La risposta arrivò presto, non da Oroku Saki, ma da una terza voce che flebile si levò nell’aria.
 
“M...Mickey?” balbettò debole Donatello mentre riapriva gli occhi. Si stava risvegliando da uno stato di semincoscienza.
“D…Donnie?! Ma allora… sei vivo?” il viso della tartaruga si illuminò di gioia e gli occhi si riempirono di lacrime. Senza pensare ad altro, si buttò a capofitto su Donatello abbracciandolo forte e affondando il viso nel suo petto.
“Ahi!! Certo… che lo… sono”. Con la frenesia di Michelangelo, Don si era svegliato del tutto.
“Ma io credevo… credevo che… ti stessero facendo a pezzi”.
Il ragazzo dalla dentatura irregolare, riuscì a sorridere sghembo. Che fosse per l’ammirazione per Michelangelo o per il dolore o per l’affermazione del suo ingenuo amico, non lo sapeva nemmeno lui. Probabilmente era solo felice che Michelangelo avrebbe volentieri dato la sua vita per salvarlo.
 
“Mickey… sei così ingenuo…” rise. “Su, basta piangere”.
Michelangelo tirò su col naso, tante cose non gli erano chiare.
“Allora perché ti sentivo gridare?” chiese la tartaruga.
 
“A questo posso risponderti io!” affermò l’uomo. “Il tuo amico è un frignone, un po’ d’alcol su qualche graffio e urla come se lo stessi facendo a pezzi” disse ghignando con tono di chi prendeva in giro qualcuno.
“Ehm… bruciava molto, signore. Insomma faceva male…” Donatello rise nervoso ed imbarazzato. Si era mostrato fifone davanti agli occhi del suo migliore amico.
Michelangelo non ci fece nemmeno caso, era solo il bambino più felice del mondo per aver ritrovato suo fratello adottivo.
“Ora ragazzi miei si è fatto tardi. Resterete qui per la notte, domattina tornerete all’orfanotrofio. Intanto vi rifocillerete e vi farete un bagno caldo”.
 
L’uomo dal viso sfregiato che metteva paura con un solo sguardo; l’uomo preso di mira dalle malelingue della gente; l’uomo che appariva macabro e misterioso… si rivelò essere un puro di cuore.
“Signore, la ringraziamo, ma non possiamo accettare” dichiarò Donatello. “Ha già fatto tanto per me e le sarò eternamente grato, però dobbiamo tornare all’orfanotrofio. Anzi, siamo già in ritardo”.
“Fuori c’è un violento temporale. È pericoloso uscire e pertanto mi ubbidirete”.
Michelangelo e Donatello si guardarono preoccupati; in un modo o nell’altro sarebbero finiti nei guai. Tornare l’indomani dalla signora Null significava cinghiate assicurate.
“So cosa vi preoccupa ragazzi miei. In orfanotrofio non deve essere facile, basta guardarvi per capire quanto sia dura”, l’uomo sapeva bene cosa subivano i ragazzini, conosceva per fama la signora Null. “Prendete queste”, dalla tasca tirò fuori un sacchettino con delle monete. “Sono cinque soldi. Una per il vostro lavoro, due per la signora Null come ‘rimborso’ per la vostra permanenza qui di stanotte e le altre due sono per voi; una ciascuno”.
 
***
Pinocchio, come è facile immaginarselo, ringraziò mille volte il burattinaio: abbracciò, a uno a uno, tutti i burattini della Compagnia: e fuori di sé dalla contentezza, si mise in viaggio per tornarsene a casa sua.

***

 
“Perché lo fa signore?” chiese Michelangelo con innocenza.
“Perché è ciò che vorrebbe mia figlia Karai”.
“E dov’è ora?” chiese sfrontato Michelangelo, non avendo colto l’antifona. Donatello lo guardò sbigottito perché, al contrario, aveva capito ogni cosa; ma all’uomo non importava, anzi gli piaceva parlare di sua figlia, era un modo per ricordarla.
“È in un posto migliore” l’uomo sorrise triste. “Sapete, lei credeva che ognuno potesse scegliere il proprio paradiso, credeva che lo si potesse plasmare a proprio piacere. Se così fosse, ora sono certo sarà nel suo teatro dei burattini a dirigere il più grande spettacolo di marionette mai visto”.
“Burattini?”.
“Si, Michelangelo. Lei adorava quei pupazzi di legno e fili”. L’uomo indicò le mensole di una parete della stanza alla quale nessuno aveva posto attenzione fino a quel momento. Era piena di burattini di ogni genere. “Erano di mia figlia”.

I due ragazzini guardarono meravigliati e anche commossi, le parole dell’uomo arrivarono fino in fondo ai loro cuori.
Oroku Saki era un vero padre che amava sua figlia.

“A proposito, ragazzi miei. Avete un pacco per me?”.
“Oh si! Quasi dimenticavo!” affermò Michelangelo. Si sfilò via la tracolla, prese il pacco e lo porse all’uomo.
Saki decise di aprirlo in quel preciso momento.
“Ecco qui, l’ho trovato finalmente, il pezzo più raro e bello di tutti. Ora mia figlia sarà contenta, sono riuscito a completare la sua collezione”.

Tra le mani stringeva un burattino: Arlecchino.
   
 
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