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Autore: Yellow Canadair    14/09/2022    2 recensioni
Lucci, Kaku e Jabura si svegliano nudi in un laboratorio sconosciuto. Dove sono? che è successo al resto del gruppo? perché non riescono più a trasformarsi? Tutte domande a cui risolvere dopo essere scappati, visto che sono giustamente accusati di omicidio plurimo.
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Nefertari Bibi è sparita da Alabasta: Shanks il Rosso l'ha portata via per salvarla da morte certa, perché qualcuno vuole il suo sangue per attivare un'Arma Ancestrale leggendaria. Ma i lunghi mesi sulla Red Force suggeriscono a Bibi che forse chiamare i Rivoluzionari potrebbe accelerare i tempi...
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Intanto Caro Vegapunk ha una missione per gli agenti: recuperare suo padre, prigioniero nella Sacra Terra di Marijoa. Ma ormai Marijoa è inaccessibile, le bondole sono ferme, e solo un aereo potrebbe arrivare fin lassù...
I Demoni di Catarina, una long di avventura, suspance e assurde alleanze in 26 capitoli!
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cipher Pool 9, Jabura, Nefertari Bibi, Rob Lucci, Shanks il rosso
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dal CP9 al CP0 - storie da agenti segreti'
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Capitolo 19

Oltre una tendina di perline azzurre 

 

Il sole splendeva alto, scintillando sull’acqua dei canali di Water Seven, mentre il vento del mezzogiorno portava i sapori dell’isola e l’odore dell’acciaio in giro per le calli, su per i pinnacoli delle chiese, sotto le arcate dei ponti e fra le lunghe e fruscianti gonne delle persone mascherate.

Erano passati cinque giorni da quando i portoni del Dock 1 si erano chiusi dietro la magnifica e giallissima coda del Canadair, separandolo dal resto del Cipher e consegnandolo nelle mani esperte dei carpentieri.

“Trattalo bene.” aveva detto Jabura a Paulie, guardando il grande aereo imbracato con delle gomene nel canale e venir trascinato, a mano e con cautela, lungo il corso del canale che finiva dentro il Dock 1, in un’entrata speciale costruita durante la notte dai carpentieri apposta per l’apertura alare del velivolo.

“Ma ti pare?” aveva risposto Paulie, quasi offeso dalla richiesta. “Non so perché il signor Iceburg abbia deciso di collaborare con voi, ma riconosco quando in ballo c’è qualcosa di grosso… avremo cura del vostro mezzo, anche se non ve lo meritereste.”

Erano passati cinque giorni, ed era il momento di alzare il sipario sullo spettacolo prodotto dai cantieri della Galley-La.

Jabura, Fukuro, la dottoressa Kureha e Lilian Yaeger erano fuori all’immenso portone del Dock 1, chiuso come al solito, mentre da oltre la staccionata di intravedevano i carpentieri affaccendati su un grande vascello la cui prua sembrava pronta per prendere il largo, mentre la poppa era uno scheletro di legno da cui si intravedevano, oltre, i pennoni di un’altra nave ancora.

«Non ci posso credere che hanno trasformato un aereo in sommergibile nel giro di cinque giorni.» commentò Kureha avvicinandosi al portone per bussare.

«Non impossibile.» intervenne Iceburg, dietro di loro.

Il gruppo si girò, sorpreso.

«E lei che ci fa qui? credevamo fosse dentro, con i carpentieri.» disse Jabura.

«Oggi mi annoiavo, quindi sono andato in giro.» rispose Iceburg accarezzando il capino di Dinosauro.

«E la segretaria lo sa?» stuzzicò Kureha con un sorriso sornione.

Ad Iceburg si rizzarono i peli sulla schiena. «Shhhh! Non nominarla! La signorina Centocinquantatré è estremamente rigida, le ho detto che ero dal medico!»

«Chapapa, ha preparato il certificato falso da mostrarle?» mormorò Fukuro tra i denti.

«Certo, eccolo!» sfoggiò Iceburg.

«Non ci cascherà mai, è datato due giorni fa!!» lo redarguì Jabura. «Doveva mettere la data di oggi! E poi chi diavolo crederebbe mai a un dottore che si chiama “Dottor Il Dottore”?!»

«Ma il mio dottore si chiama davvero “Il Dottore”! Il è il nome, Dottore è il cognome!»

«Scusi signor Iceburg, vorrei sapere se le mie richieste sono state rispettate.» reclamò con serietà la pilota.

«Ti ho detto di stare tranquilla, ci ho messo anche una parola col vicepresidente.» la rassicurò Jabura, aggiustandosi gli occhiali di Paulie sulla fronte.

Gli aveva fatto firmare una dichiarazione due giorni prima in preda ai fumi dell’alcol nel peggior bar di Water Seven.

«Abbiamo fatto il possibile.» disse Iceburg. «Era in condizioni disastrose, sono francamente stupito che siate riusciti ad arrivare fin qui con l'aereo. Complimenti…»

«O facevo volare quell’aereo, o Lucci mi avrebbe lasciata a terra.» sospirò la pilota.

«Volevo dire "complimenti per l'idiozia". Ad ogni modo, immagino che a ognuno servano le proprie motivazioni.» disse conciliante Iceburg. Poi riprese a elencare i lavori svolti sul velivolo, una lista infinita di riparazioni tecniche che solo Lilian comprese appieno; poi passò alle richieste della ragazza: «Il giallo ovviamente è rimasto, abbiamo sostituito il sedile del pilota con uno a seduta ergonomica, mix di cotone e fibra di carbonio traspirante, ed è completamente reclinabile… questa cosa ha fatto letteralmente impazzire Peepley Lulu, serviva un progetto che lo rendesse sia comodo sia come sedile che come letto, ma alla fine ci siamo riusciti. Poi abbiamo aggiunto il porta-bicchiere estraibile, sostituito tutte le lampadine fulminate, messo due fanali anteriori esterni per aiutare la navigazione notturna a bassa quota… e infine abbiamo lasciato, cito tassativamente, il gancio per appendere la giacca, la cloche originale, e la bambolina con il gonnellino di paglia che dondola a ogni movimento.» concluse avvicinandosi al portone e spingendo i battenti per entrare.

 

~

 

«Ecco il vostro aereo.» li introdusse Paulie, guidandoli a un grande hangar che non era visibile dall’esterno del cantiere.

«Sembra identico.» osservò Jabura.

«Non lo è.» notò immediatamente Lilian. «È stato sostituito il rivestimento inferiore della carlinga. E i galleggianti alla fine delle ali sono diversi. E anche il carrello anteriore. Anche i motori hanno qualcosa di diverso, prima erano montati solo sul davanti delle ali, adesso sembra che… che…» disse cercando le parole.

«Che, volendo, possano ruotare fino alla parte posteriore delle ali, a 180°, e spingere l’aereo da dietro, come fanno le eliche dei sottomarini.» finì di spiegare Iceburg. 

«Quindi come funziona adesso?» chiese la pilota.

«È molto facile.» le anticipò Paulie, precedendola a bordo.

L’uomo salì sulla scaletta e si diresse in cockpit, sul nuovo mega sediolino ultracomodo che sembrava brillare agli occhi della ragazza. 

«Alle Sabaody questo aereo verrà rivestito con la resina delle mangrovie Yarukiman, che permettono a una nave di affondare e di procedere con una navigazione sottomarina, fino a dieci chilometri circa; voi dovete arrivare solo fino a sette, quindi da quel punto di vista non avevate bisogno di noi.» cominciò a parlare il vicepresidente.

«Però la resina agisce sulle navi, la cui struttura è prevalentemente di legno, mentre qui siamo davanti a un aereo che non solo è fatto di acciaio, ma ha anche una struttura che rende impossibile l’affondamento, a meno di non schiantarsi in mare.

«Già dato, grazie.» commentò la ragazza.

«Quindi abbiamo prima di tutto creato un rivestimento che simulasse il legno di una nave: la resina sarà “ingannata”, e coprirà del tutto la struttura del velivolo. Poi, per farlo affondare più facilmente, abbiamo sostituito i galleggianti con delle zavorre speciali che manterranno il loro peso finché sarete in aria, ma il contatto con l’acqua farà aumentare vertiginosamente la loro massa…»

«E porteranno l’aereo in fondo al mare.» concluse la pilota.

«Esatto. Quando sarà del tutto sommerso, potrai ruotare i motori con questa leva e proseguire la navigazione con la cloche e i pedali, come se fossi in aria. Anche la ruota del carrello anteriore è un’elica, e aiuterà a direzionare l’aereo.»

«E per andare via da Marijoa?» domandò Lilian Yaeger. «I galleggianti, una volta in acqua, peseranno molto di più e avrò anche la copertura in resina; come farò a decollare da Marijoa, una volta finito il lavoro?»

Paulie si aspettava la domanda. Annuì e disse: «C’è una leva che permette di abbandonare le zavorre: tolte quelle, l’aereo salirà autonomamente verso la superficie. Arrivata lì, qualcuno dovrà squarciare la bolla di resina, e una volta rimossa sarete pronti al decollo.»

«Come avete fatto a trasformare dei motori di aereo in motori adatti sia all’aria sia all’acqua in così poco tempo?» domandò la dottoressa Kureha.

«I motori Pratt&Whitney che monta questo Canadair vengono prodotti qui a Water Seven, e sono gli stessi che abbiamo usato nell’ultima versione del Treno Marino, il Puffing Tom! Li conosciamo bene, quindi modificarli è stato facile!» rispose orgoglioso Iceburg.

«Siamo abituati a soddisfare i nostri clienti. Per quanto governativi.»

«Tecnicamente non lo siamo più.» lo corresse Jabura.

«Non ti arrampicare su questo specchio, bastardo che non sei altro.» concluse il carpentiere, abbassandosi sugli occhi le lenti viola di Jabura per ripararsi dal sole che si rifletteva sui tetti lucidi della città.

 

~

 

“Soldi in tasca e lingua in bocca, e si arriva dappertutto”, diceva il nostromo Rodd, sulla nave di Smoker. Tashigi stringeva in pugno le ultime banconote donatele da Kumadori e guardava, timorosa ma decisa, il palazzo che aveva davanti.

Aveva ormai finito i soldi, e varcare quella porta significava accendere l’ultimo fiammifero della scatola: o riusciva ad accendere il fuoco, o sarebbe rimasta al freddo.

Il Viceammiraglio Gion, detta Momousagi, era stata una delle donne più influenti della Marina: colta, intelligente, forte. E, come non mancava mai di ricordare Tashigi, insopportabilmente furba e civetta: non dimenticava come si rivolgeva al Viceammiraglio Smoker, sfacciata e diretta, e come lui, infastidito, cercasse sempre di ritrarsi alle moine.

Tashigi non avrebbe mai e poi mai chiesto aiuto a quella donna.

Ma Smoker era sempre stato di parere diverso: si fidava di Momousagi, e quando anche Hina falliva (altro bell’elemento, pensava Tashigi, ricordandosi di quando l’aveva fatta ubriacare a Enies Lobby con quella carceriera e l’aveva portata a Impel Down per baciare… ma lasciamo perdere, caliamo un velo pietoso) era a lei che Smoker si rivolgeva.

Una volta Tashigi aveva azzardato la domanda: “Smoker, signore, perché dobbiamo proprio chiedere un favore al Viceammiraglio Gion? Ci saranno pur altri, a cui domandare!”

Smoker scuoteva la testa: “Certo che ci sono. E sono delle teste di cazzo. Ho bisogno di qualcuno con un minimo di cervello.”

Un minimo di cervello, si ripeteva Tashigi. Sapeva anche che non era solo una questione di cervello: lei aveva molta diplomazia, sapeva coltivare amici e relazioni che poi, al momento giusto, la salvavano da qualsiasi situazione. Quella che lei reputava una facciata di falsità, per Smoker era un saper nuotare nella vasca degli squali, rimanendo sempre fedele a se stessa.

Momousagi, degna della sua fama, era atterrata in piedi anche in questa situazione: dai giornali Tashigi aveva scoperto che, dalla Marina, era entrata nella Grande Armata, arrivando al rango di General Maggiore, una delle cariche più alte in assoluto. Qualcosa di simile a quello che era stato Sengoku prima, e Akainu poi. 

Chiedere un appuntamento ufficiale era fuori discussione: ci sarebbero volute settimane per ottenerlo, mentre Tashigi doveva agire in fretta. Infine, bisognava usare cautela: e se Smoker si fosse sbagliato, sul suo conto? O se, in quegli anni, Momousagi si fosse convertita alla causa della Grande Armata e non avesse nessun interesse nell’aiutarla a salvare Smoker?

O se, peggio ancora, l’avesse denunciata?

Per fortuna conosceva di persona il Viceammiraglio… anzi, avrebbe dovuto abituarsi a chiamarla General Maggiore: sarebbe letteralmente bastato che la riconoscesse, per fermarsi e chiederle come stesse. Era sempre prodiga di moine per tutti, Momousagi, e sembrava sempre che la gerarchia militare non era cosa che la riguardasse.

Il piano era semplice: aspettare che uscisse dai palazzi del potere e parlare con lei. Non c’era altra opzione.

 

~

 

Il Canadair sorvolava un mare freddo e agitato, con le creste delle onde che biancheggiavano tra gli ululati del vento, e la carlinga gialla rollava sospinta dalle raffiche, mentre spiccava assorta tra il pallore delle nubi grigie. 

San Faldo e Water Seven erano sogni lontani. 

In poche ore sarebbero ammarati alle Sabaody, le isole dei divertimenti, dei pirati e della tratta degli schiavi, nonché il luogo dove avrebbero dovuto incontrare Rayleigh, l’uomo che avrebbero dovuto portare fino a Marijoa.

Lilian conosceva Rayleigh, perché era lui che, negli anni, aveva rifornito i Canadair di carburante, usando gli scarti della lavorazione dei rivestimenti per le navi. Nonostante questo, però, non aveva detto una parola da quando erano decollati, nemmeno per chiedere che Lucci, seduto al posto del co-pilota, le passasse la sua borraccia o che controllasse il percorso come faceva di solito.

«Quante fiale rimangono?» chiese la Dottoressa Kureha a Kaku.

Il ragazzo le contò, prendendole dallo scatolino nello zaino di Lucci. «Quattordici.» rispose. «Basteranno?»

«Dovranno bastare.» disse la dottoressa. «Non siamo riusciti a fabbricarne di più. Come te la sei cavata con la somministrazione?» domandò a Lucci.

Rob Lucci non rispose subito, e Kaku prese la parola: «Sono stato io.» ammise.

Kureha annuì. Poteva immaginare come mai: Lucci era lontano dalle fiale e la situazione era precipitata prima che potesse usare l’antidoto. 

«Vieni qui, devo controllarti i valori.» chiese Kureha, rivolta verso Lucci. «E voi fate spazio qui, lo voglio disteso.»

Jabura, Califa e Kumadori si alzarono dalla brandina del cargo come tre colombi che volano via dal tozzo di pane, e ognuno si andò a sedere altrove, per lasciare campo libero a Lucci e alla dottoressa.

«Alle Sabaody troverò il modo per portarmi le fiale addosso.» assicurò Lucci. «L’inconveniente non si ripeterà.» disse sdraiandosi.

«Lo spero bene!» ridacchiò Kureha. «Altrimenti è la volta buona che ci rimani secco. Sfilati la camicia, voglio controllare pressione e auscultarti. Poi passiamo alla spirometria.»

Califa si diresse pudica verso la coda dell’aereo e si immerse nella lettura delle istruzioni scritte sulla cassettina rossa del primo soccorso: anche se negli anni aveva visto spesso i colleghi combattere e allenarsi a torso nudo, preferiva distogliere l’attenzione. Capiva il non voler perdere tempo una volta a terra, ma era proprio il caso di visitare Lucci sull’aereo, senza un minimo di privacy? A lui però non sembrava fare né caldo né freddo, se ne stava mezzo nudo a farsi controllare con lo stetoscopio e a fare ampi respiri, con Hattori appollaiato sul suo cilindro, in cima a una pila di zaini nell’angolo, che osservava con attenzione la scena.

Kumadori si accucciò per terra, vicino ai piedi di Lucci, dove non dava fastidio alla dottoressa e dove poteva continuare a meditare con gli occhi chiusi, senza perdere però il controllo della situazione: ogni tanto un occhio si apriva per sincerarsi che tutti fossero ancora lì, nel ventre di metallo dell’aereo, con il rumore familiare dei motori e del russare di Fukuro.

Jabura si andò a piazzare al posto di Lucci, sul sedile del co-pilota. «Qui è molto meglio!» disse alla pilota, indicando il panorama blu e grigio che si spalancava oltre il parabrezza. 

Lili gli sorrise, ma il sorriso non contagiò il resto del volto. 

«Puoi rivestirti!» risuonò la voce di Kureha: la visita a Lucci era finita.

«Come sta?» chiese Kaku, alzandosi senza fretta.

«Sto benissimo. Precauzioni inutili.» tuonò Lucci.

«Sta benissimo fino alla prossima ricaduta.» ammonì Kureha. «Per proteggere i tuoi compagni ti sei distrutto i polmoni…» mormorò infine, come un rimprovero misto a un elogio.

«Non stavo proteggendo nessuno.» la corresse Lucci. «Era solo necessario un diversivo durante la fuga. Tutto qui.»

Fukuro aprì un occhio. «Chapapa, esatto. E come diversivo tu li hai rallentati, permettendoci di scappare!»

Lucci soffiò stizzito. «Faceva solo parte del piano.»

 

~

 

«Oh, eccoti.» disse Benn entrando nella cabina del capitano. «Che diavolo ti prende? non è da te chiuderti qua dentro. E detto tra noi… ci andrebbe lavato. O lo fai tu, o alla prossima isola pago qualcuno per farlo.» minacciò chiudendo la porta.

Shanks era seduto cogitabondo alla tavola. Si alzò e si andò a sedere sulla vecchia brandina, proprio sul cuscino di Roccia, la scimmia di Vanja, che non sarebbe stata affatto felice dell'invasione di campo. «Temo proprio che con la storia dei rivoluzionari stiamo pestando un merdone.» 

Benn si mosse pensoso verso gli oblò, e ne aprì uno per poter fumare la sua santa sigaretta. Entrò una dolce folata, che fece sollevare gli angoli delle mappe posate sul tavolo e tremolare le candele. 

Il Rosso proseguì: «E che questa situazione ci porti più svantaggi che altro. Troppa gente in giro che sa cosa stiamo facendo» disse serio «e che non possiamo controllare.»

«Invece secondo me non stai pensando a una cosa fondamentale.» lo corresse Benn. «Cioè su chi ricadrà la colpa di tutto.»

Shanks fece un gesto con la mano. «Lascia perdere, con Drakul ho avuto una discussione che…»

«Esatto.» colse la palla al balzo il pistolero. «Il suo problema è che dovrà assumersi la responsabilità di quanto state per fare. Una cosa che lo fa imbestialire, perché non gli permetterebbe più di "vivere in santa pace", come dice lui.»

«Una responsabilità condivisa tra me e lui.» lo corresse Shanks. «E che porta a entrambi degli svantaggi… ma meglio dell'impatto con la Luna, di questo siamo abbastanza convinti.»

«Immagina invece» disse Benn, prendendo una bottiglia da uno stipo «Di disegnare un enorme bersaglio sulla schiena di qualcun altro.» prese anche due bicchierini. «Anzi: immagina che qualcun altro si disegnasse da solo un grande bersaglio sulla schiena.»

Lo sguardo di Shanks era attento. Il discorso era interessante.

Benn riprese, versando il saké nei bicchieri: «I Rivoluzionari si mettono in mezzo, ci facciamo da diversivo a vicenda, fanno un colpo di stato, la morte di Im e dei Draghi Celesti viene attribuita a loro.» offrì uno dei due bicchieri al capitano.

Il Rosso sorrise: «E noi e Mikki ce la filiamo in silenzio senza dire niente a nessuno. Ah, grazie.» prese il bicchiere.

«Non ti sembra una buona idea? quella ragazza ha la vista più lunga di quanto creda.» disse Benn sollevando il suo cicchetto.

Shanks era pronto a brindare, quando il lumacofono nella stanza si risvegliò e cominciò a trillare. Anche il lumacofonino bianco contro le intercettazioni si mise al lavoro.

Il capitano prese la chiamata: «Pronto?»

«Buonasera, fustacchione. Ti disturbo?»

Shanks sorrise galante. «Momousagi, tu non disturbi mai.»

 

~

 

Shakuyaku fumava pensosa, mentre faceva scivolare con grazia le sedie a terra, dopo che tutta la notte erano state issate sui tavoli del suo locale per far asciugare il pavimento, ultima azione di ogni sera al Tispenno prima di abbassare la saracinesca. Erano passate ormai quattro settimane da quando Caro Vegapunk aveva lumacofonato: preparatevi. Stiamo venendo a prendervi. 

Ovviamente non aveva specificato chi, con cosa, quando. I modi di quella donna erano tremendi, ma conveniva tenersela buona: era un’alleata troppo potente.

Ma non si era ancora visto nessuno. 

La geniale scienziata aveva procurato un mezzo per arrivare a Marijoa, ma lì alle Sabaody non si era presentato nessuno. Rayleigh era pronto da un mese, e gli altri della banda erano tutti in giro per le isole, in attesa di partire. Ogni giorno che passava diventava sempre più pericolosa la loro presenza sull'arcipelago: quanto tempo ci avrebbe messo la Grande Armata a intervenire, con un imperatore e un ex flottaro che avevano messo lì le tende? Per non parlare della presenza di Ray, ma lui almeno alle Sabaody era un habitué. Ma se qualcuno avesse messo in collegamento le due cose? No, scosse la testa Shakky. Le Sabaody erano un covo di furfanti, nessuno si sorprendeva per la presenza di pirati, seppur così blasonati. 

E poi, ragionò la proprietaria del locale, con la fusione tra Marina e Cipher in un unico corpo militare, il controllo alle Sabaody era paradossalmente diminuito: era aumentata la tratta degli schiavi e delle armi, ma era raro che i militari facessero qualcosa per arginare i traffici. In genere si limitavano a catturare qualche pirata imprudente e punire i rubagalline, ma non se la prendevano mai con i pezzi grossi, cosa che metteva al riparo tutta la sua compagnia. E poi... e poi avevano alleati anche lì dentro, sorrise furba la piratessa.

Si concentrò su quella prospettiva con un sospiro, godendosi la momentanea pace del suo locale al mattino, quando il sole era alto ma non così tanto, e filtrava una luce gialla e rosata dalle finestre socchiuse, che illuminava il mobilio scuro e i cimeli appesi alle pareti tipici di una taverna marinara.

La campanella dell'ingresso (che una volta era appesa in una cambusa e ne aveva girati, di porti)  trillò argentina.

«Siamo chiusi.» disse meccanicamente Shakky. «Tornate tra un paio d'ore.» 

«Non ho tempo da perdere.» rispose la voce altera di Rob Lucci. «Dov'è Silvers Rayleigh? So che è qui.» 

Shakky alzò la testa e posò una mano sul fianco, squadrando l’ingresso spalancato. Un drappello di uomini dall’aria aggressiva bloccava l’uscio. Troppo curati per essere pirati. Troppo in borghese per essere della Grande Armata.

«E chi lo cerca?» domandò provocatoria Shakuyaku, alzando il mento e ciccando in uno dei posacenere destinati ai clienti. 

«Risponda. È qui o no?» intervenne Kaku. 

«Qui non c'è, mi dispiace e non sapete quanto.» sorrise ironica Shakky. «Avete provato nella camera da letto di qualche giovane e bella ragazza?» 

«Basta con questa commedia.» disse Califa, apparendo da dietro ai colleghi, lisciandosi i capelli biondi. «Sappiamo benissimo che vive qui.»

«Oh certo.» rispose con naturalezza la proprietaria del Tispenno. «Ma Ray ogni tanto deve fare le sue… scorrerie, diciamo così. E quindi ora non c'è. Volete lasciare un biglietto da visita?» propose abbandonando la sigaretta nel posacenere.

«Non abbiamo tutto questo tempo.» tuonò Blueno avvicinandosi minaccioso. «Chiamalo.»

Shakky prese la ramazza e la fece roteare tenendola tra le dita. «Forse non avete capito.» scandì. «Questo è il mio locale e non permetto a chicchessia di comandare.» la ramazza si fermò di colpo, stretta nella morsa della mano dell’ex piratessa.

«E noi non possiamo lasciare che un’ostessa ci intralci. Abbiamo degli ordini.» minacciò il colossale agente.

«Blueno…» lo richiamò Lucci. Jabura aveva ragione, era un imbecille quando si buttava avanti senza aspettare gli altri.

«Ordini di chi?» incalzò Shakky puntando il manico della scopa contro la pancia di Blueno.

«Queste sono informazioni riservate.» disse Blueno afferrando il manico a due mani per spezzarlo.

Shakky sorrise, e il manico non si spezzò, diventando all’improvviso troppo resistente per la presa dell’uomo.

Poi Shakuyaku avanzò di un passo, e Blueno retrocesse.

Hattori spiccò il volo e si posò su una trave.

Kaku estrasse la katana. «Ehi. Niente scherz-»

Clang

Anche Shakky estrasse un coltello da carne, che incrociò con decisione con quella del ragazzo. «Questo dovrei dirlo io, ragazzino.»

Poi spiccò un salto altissimo e roteò all’indietro, atterrando ritta sul bancone.

Gli agenti del Cipher si posizionarono in attacco.

«Non siamo venuti per litigare.» ringhiò Lucci, tirando bruscamente indietro Blueno. «Vogliamo solo Rayleigh.»

«Aspettatelo fuori di q-»

Le pareti di legno tremarono all’improvviso, l’aria si fece gelida, una sciabolata come di vento attraversò la stanza crepando le gambe dei tavoli e i bicchieri troppo sottili.

Gli agenti svennero di botto, senza nemmeno rendersi conto di cosa stesse succedendo.

Shakky lasciò cadere la ramazza a terra e gettò il coltello in un cassetto aperto dietro al bancone, che poi chiuse sbattendo con una manata.

«Potevo gestirli!» protestò con rabbia.

Oltre una tendina di perline azzurre, Silvers Rayleigh chinò la testa per passare sotto l’architrave del retrobottega, con due mani scisse le perline appese all’uscio ed entrò nella sala principale del Tispenno.

«Lo so benissimo! Infatti dovevo fermarli io prima che ci pensassi tu!»

«Chi pensi che siano?» fece Shakky, colpendo con la punta del piede la suola di Blueno, stramazzato fra due sedie con la bava alla bocca.

«Non sono pirati.» disse il pirata, rovistando tra le tasche di Kaku e spingendo lontano la sua katana.

Rob Lucci si issò a fatica sui gomiti e guardò iroso verso Rayleigh. 

«Oh, tu devi essere il capo.» sorrise Ray accovacciandosi davanti a lui. «Bene, eccomi. Sono io la persona che cerchi.»

L’agente boccheggiò senza riuscire a parlare. Cercava di prendere fiato, ma qualcosa non funzionava…

«E poi ero io, quella che faceva troppo forte.» puntualizzò Shakky.

«Io qui non c’entro.» si difese Rayleigh, osservando l’uomo che diventava sempre più pallido. Aveva resistito all’ondata di Ambizione senza svenire del tutto, ma era cianotico.

Hattori atterrò terrorizzato e cercò disperatamente di aprire una cerniera dello zaino di Lucci, caduto a terra tra le gambe di Fukuro. Singhiozzando tirò fuori una siringa e la portò con il becco verso il suo amico.

Lucci strinse convulsamente la mano sul vetro della siringa e con un gesto disperato se la iniettò nel collo, sotto gli occhi di Silvers Rayleigh e di Shakuyaku. 

Nel giro di mezzo e interminabile minuto ritornò a respirare, strinse i denti, guardò Rayleigh negli occhi e sibilò: «Mi manda Caro Vegapunk.»

E poi svenne del tutto.

 

~

 

L’acciottolato era fatiscente, la strada solitaria.

Solo poche persone si affacciavano alle finestre, e ancora meno entravano o uscivano dalle botteghe polverose: sembrava di essere in un paese fantasma, un’atmosfera ben diversa da quartiere turistico, anzi ben diverso dalle Isole Sabaody in generale, che pullulavano di persone e di vita. La stradina era buia stretta tra un muraglione altissimo, che chiudeva un cantiere di carpenteria, e case abbandonate dalle finestre aperte sul buio dell’interno. In alto si vedeva una striscia azzurra di cielo e, ogni tanto, delle bolle perlescenti di passaggio.

L’Arcipelago Sabaody era composto da poco meno di un centinaio di mangrovie Yarukiman: le radici di ognuna di esse erano così lussureggianti e così ampie da ospitare interi quartieri. Ogni gruppo di mangrovie formava un distretto, e ogni distretto aveva una precisa vocazione: turistica, portuale, militare, c’erano persino centri commerciali, un luna park, e ben tre quartieri malfamati dove si concentravano i pirati e i malviventi di passaggio.

Ma non al Groove 53.

Jabura, Kumadori, Kureha e Lili lo stavano attraversando per arrivare al Tispenno; erano partiti una mezz'ora dopo Lucci e gli altri dall'aereo, per dare meno nell'occhio con due gruppi meno numerosi e per evitare di passare nelle strade più affollate. 

«Non un gran posto, questo Grove 53.» bofonchiò la dottoressa Kureha.

«Che ti aspettavi? Siamo sul retro di un cantiere.» le rispose Jabura.

«Yooyoiii, qualche passo in più, qualche viottolo oltre, ma nooon rischiaaamo di far bruuutti incontriii!!» consolò tutti Kumadori.

E in effetti, chi diavolo doveva passarci in un posto del genere? Forse solo chi doveva entrare o uscire dal cantiere: siccome Kumadori e Lilian erano degli ex prigionieri, avevano deciso di percorrere il distretto dei cantieri, quello dove, a rigor di logica, non avrebbero rischiato di incontrare troppi militari della Grande Armata.

E poi Jabura aveva pur sempre ucciso un numero indefinito di persone ad Under City, anche se per quella strage erano stati ben attenti a non lasciare testimoni scomodi.

«La cameriera sirena del Mermaid Café ci ha detto che è un orario tranquillo, qui sono aperti solo i cantieri navali, non dovremmo avere rogne.» ricordò a tutti Jabura.

«Sembra di essere tornati a Water Seven...» mormorò la pilota, dalla voce resa ovattata dalla maschera nera e oro che le nascondeva il volto.

All’improvviso, a poche decine di metri davanti a loro, il portone di legno di uno dei cantieri che stavano costeggiando si aprì.

“Grazie signore, grazie! Tornate presto!”, si sentiva vociare dall’interno.

Due figure gigantesche e torreggianti si profilarono davanti a loro, poi una altissima e allampanata, e un’altra più piccola.

Lili si piantò in mezzo alla strada, come incapace di proseguire.

La testa prese a girarle, sensazioni ritornarono a galla dalla memoria: stracci nella bocca, un pavimento di cemento, uno schiocco che le portava via pezzi di pelle… le salì un conato di vomito, barcollò all'indietro.

Jabura se ne accorse. «Ehi? Tutto ok?»

Lili non riuscì a rispondere, scosse la testa per dire di no; aveva la maschera, Jabura non vedeva l'espressione di terrore sul volto bianco.

«Kumadori! Kureha! Tornate indietro!» vociò il Lupo verso gli altri due, che avevano fatto qualche passo in più.

«Andiamo via...»

Jabura guardò davanti a loro, verso i quattro che si avvicinavano. «Dai, dobbiamo muoverci…»

«Ehi.» la apostrofò la dottoressa. «Che succede? calo di pressione?» quella ragazzina era strana, troppo magra e troppo silenziosa. A Drum le aveva fatto delle analisi, ma non era emerso niente salvo una brutta denutrizione a cui tutto sommato il suo compare, Blueno, stava già cercando di porre rimedio. Ma lei mangiava sempre troppo poco.

«Yoyoi, dolce Lilian, ma che gelida maninaaa!» mormorò Kumadori prendendo tra le sue grandi mani quelle magre della ragazza. «Se me la lasci riscaldaaar...»

«FEEERRRRRRRRMI TUTTIIIII!» si sentì esclamare in lontananza. 

Lilian arretrò ancora, le sue dita si strinsero attorno alla mano di Kumadori e alla giacca di Jabura, tirandolo verso di sé. 

«Ehi, che cazzo ti prende?»

Da sotto la maschera uscì una voce che Jabura non aveva mai sentito, tanto pregna di pianto e di terrore: «È lui...»

 

 

Dietro le quinte...

eccomi quiiii!! proprio sul gong! Benritrovati a tutti! come stanno i lettori? spero abbiate passato una bella estate.
Riprende la pubblicazione regolare de "I demoni di Catarina"! 
Che dire su questo capitolo? beh, amen, finalmente le cose si stanno mettendo in moto! I Rivoluzionari, Shanks e Bibi, la storia di Tashigi che torna e si intreccia con Momousagi, Momousagi stessa che lumacofona a Shanks e lo chiama FUSTACCHIONE (ero a un passo dal farlo chiamare FRATACCHIONE, ma volevo che Momo lisciasse un po' il pelo al nostro Rosso).

A proposito, vi ricordate del Viceammiraglio Gion, detta Momousagi? Oda la tirò fuori nelle sbs molto tempo fa, e poi è comparsa anche nel film Gold, e poi in una vignetta nella saga del Reverie. Di lei non si sa quasi niente. Il suo soprannome vuol dire "coniglio rosa". Ci tenevo a inserirla perché mi è dispiaciuto che Oda, nel nominare i nuovi Ammiragli, le abbia preferito Fujitora e Ryokugyu. E poi serviva qualcuno di potente (e senza Frutto del Diavolo!) da mettere a capo della Grande Armata, e che potesse plausibilmente far parte del piano di Shanks, Rayleigh e Caro Vegapunk. Ecco dunque perché Grande Armata non ha mai scoperto questo complotto ai danni di Im nonostante siano coinvolti dei personaggi importantissimi.
Spero vi piaccia come interpretazione! ♥ 

 

 

Grazie a tutti per la pazienza di avermi aspettata fin qui! Si torna la prossima settimana con il capitolo 20: "Il colpo di pistola"!

Un abbraccione,

Yellow Canadair

 

 

 

 

 

 

  
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