Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: coldcatepf98    24/09/2022    1 recensioni
Dopo che Historia decide di rivelare la sua vera identità, Erwin, indagando sulla faccenda, teme delle ritorsioni dal corpo di gendarmeria. Chiede quindi appoggio al comandante Pyxis, ma questo, non potendosi basare su fatti certi, concede al corpo di ricerca uno dei suoi soldati-spia che ha tenuto per sé gelosamente fino a quel momento: Siri, anche detta "il geco".
L'aiuto di Siri sarà fin da subito fondamentale per il corpo di ricerca, già provato dalle perdite dell'ultima spedizione, che avrà bisogno di un aiuto per affrontare il nuovo nemico: gli esseri umani.
Tuttavia Siri è una mercenaria, e non viene vista bene dagli altri soldati del corpo di ricerca, soprattutto dal capitano Levi che si mostra subito diffidente verso la ragazza sfacciata. Presto, però, si renderà conto che Siri non è quella che sembra.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 27 - Tutti proteggiamo qualcuno

 
Non appena Siri scese da cavallo, Jean fece altrettanto, seguendola in silenzio a pochi passi di distanza, mentre tenevano i cavalli con loro dalle briglie.
- Allora? Dov’è la tua specialissima allieva?
Bernard, alla guida del piccolo gruppo, si guardò intorno circospetto, ma l’ingresso del quartier generale del corpo di ricerca sembrava deserto esattamente come l’avevano lasciato mesi prima, quando Hange aveva dato direttive di stabilire un accampamento in riva al mare per poter intercettare le navi Marleyane.
- Dovrebbe essere qui intorno lucertolina. Probabilmente si era scocciata di aspettarci e si è seduta da qualche parte.
Siri sbuffò continuando a seguirlo qualche passo indietro: - Proviamo al campo. Lì ci sono le sedute per esterni.
Era una notte insolitamente fresca per il mese d’agosto e, a parte i soldati nelle guardianie all’ingresso e i grilli e le cicale che si davano da fare per riempire il silenzio irreale da cui erano circondati, non sembrava esserci anima viva lì intorno. L’enorme edificio dove Siri aveva passato l’ultimo anno proiettava con la luce della luna delle ombre sinistre, per cui l’atmosfera era familiare ma stranamente angosciante. Bernard dal canto suo poteva affermare di sentirsi angosciato e basta, visto che in quell’edificio ci aveva passato a malapena due mesi prima che il suo nuovo comandante non ebbe deciso nel mese di maggio, approfittando delle temperature più miti, di spostare l’intero plotone in riva al mare. Non che lui avesse paura di rimanere da solo in un edificio così grande, ma visto che doveva restare necessariamente nei paraggi per completare l’addestramento della sua allieva, optò per l’alternativa più confacente per lui e le sue tasche: rimediare un alloggio gratis da Pyxis a Trost.
Svoltò verso il campo d’allenamento seguito dagli altri due, si avvicinarono a dei pali a cui legarono i cavalli per lasciare che si abbeverassero e s’incamminarono quindi verso le sedute all’esterno, vedendole Siri sospirò nostalgica e Bernard mal interpretò quel suono come gesto d’insofferenza.
- Oh andiamo Siri, è un buon segno se non riusciamo a trovarla.
- Per una volta non hai tutti i torti. Ma non possiamo certo giocare a nascondino, avresti dovuto perlome…
Bernard si fermò all’improvviso: - Oh, eccola lì. – di fronte a loro c’erano i tavoli e seduta ad uno di questi c’era una ragazzina, pressappoco sull’età di Jean, che guardava le stelle trasognata. Siri superò Bernard, seguita a ruota da Jean, si diresse verso di lei, fermandosi giusto a qualche metro di distanza. Rimase a fissarla in completo silenzio sotto la luce lunare mentre l’altra a malapena sembrava essersi accorta della loro presenza. Siri alzò un sopracciglio e mantenne quella impassibilità fino a quando non le si accostò Bernard che, come aprì bocca per prendere la parola, venne interrotto da lei.
- Già così posso dirti che non va bene.
- Perché?
Siri si voltò di profilo verso Bernard ed indicò a palmo aperto la figurina bionda ancora seduta: - Perché? È una bambina, ecco perché!
La ragazza solo a quel punto voltò la testa verso Siri e la fissò impassibile. Jean spostò lo sguardo da Siri a lei e iniziò ad osservarla con più attenzione: aveva degli occhi marroni piccoli e allungati, i corti capelli biondi erano raccolti in un codino da cui sfuggiva qualche ciuffo di capelli che le incorniciava il viso dai tratti che, se a una prima occhiata potevano apparire delicati, erano marcati, in particolare la mascella e il mento gli sembravano quasi affilati sotto la luce argentea della notte.
- Non è una bambina Siri, magari in confronto a Jean può sembrare più piccola di età ma ti assicuro che ha l’età giusta.
Certo, stava pensando il ragazzo interdetto, era difficile pensarlo vedendo la sua camicetta a balze e i disegnini a penna che aveva su braccia e mani, senza parlare del fatto che mentre era seduta stava muovendo le gambe dall’avanti all’indietro, esattamente come una bambina che si annoia. Non sembrava nemmeno fosse un’apprendista spia, dato lo sguardo perso che rivolgeva loro, ma qualcosa in lei metteva a Jean una certa inquietudine.
- Bernard, ti avevo chiesto di prendere seriamente la cosa, – Siri si mosse e si portò alle spalle della ragazzina – e tu, chiaramente, non l’hai fatto. – concluse, indicando l’allieva del collega.
Jean non ebbe nemmeno il tempo di elaborare lo scatto con cui la ragazzina afferrò il braccio di Siri, girò su sé stessa e la ribaltò con tutta la forza sul tavolo. La sua maestra fu abbastanza veloce da tirare fuori uno dei suoi pugnali prima che la ragazzina gliene puntasse uno a sua volta sulla gola.
- Siri! – gridò Jean, lanciandosi in avanti.
- Fermo. – gli rispose decisa Siri, tenendo gli occhi fissi in quelli dell’assalitrice.
Bernard sorrise invece compiaciuto vedendo le due puntarsi reciprocamente delle armi alla gola: il ragazzo accanto a lui lo guardò sconcertato e scosse la testa contrariato.
La ragazzina inclinò di poco la testa e premette la lama sulla gola di Siri che le teneva strettamente il braccio per contrastarla, facendo forza per spingerlo lontano, inutilmente: - Sei scortese.
Siri assunse una smorfia d’incredulità alzando il labbro superiore: - Come, scusa?
L’altra corrugò le sopracciglia risentita: - È maleducazione. Non mi hai chiesto come mi chiamo. – a quelle parole Siri era riuscita a sfilare una gamba dalla presa dell’altra e, spingendo col piede sul tavolo, ribaltò entrambe per terra. Jean accorse e s’interpose tra le due, dando le spalle a Siri che, rotolata via dall’altra che tossiva per riprendere fiato, si stava rialzando guardinga, accusando il contraccolpo. 
- Ma che ti salta in mente?! – riuscì a dire il ragazzo, cercando di non dare mai le spalle alla nuova conoscente mentre tendeva un braccio alla maestra la quale, tirandosi su a sedere, incenerì Bernard con lo sguardo lasciandosi sfuggire un suono gutturale.
- Bene. – Siri si alzò e si scosse di dosso la polvere – Allora dimmi, come ti chiami di grazia?
La ragazzina portò le gambe di lato sotto il sedere, si lisciò la gonna e le rivolse un sorriso grazioso: - Yvonne, tanto piacere Siri.
Jean socchiuse la bocca sentendo quella voce angelica, poi espirò seccato poco prima che Bernard si avvicinasse e prendesse finalmente la parola: - Dovete scusarla, ma Yvonne ha un carattere… particolare.
- Chi non lo ha. – rispose Jean sprezzante, coprendo il silenzio tombale in cui si era chiusa Siri.
Bernard sorrise annuendo piano: - Ha solo dimostrato le sue capacità, e credo che a Siri vada bene così, dopotutto ha ricevuto uno smacco non indifferente, non è vero?
Il ragazzino si voltò a guardare la spia che in piedi, imperturbabile, aveva inspirato dal naso, alzato un sopracciglio e poi a sguardo basso aveva detto semplicemente: - Hai ragione Bernard. – guardò quindi Yvonne ancora seduta per terra – Se tu garantisci per lei, non posso che acconsentire. Resterete a Trost fino a quando io e Jean non torneremo col resto del plotone, in modo da preservare la nostra copertura.
Detto ciò, s’incamminò verso l’ingresso, seguita solo da Jean che imitò Siri e non salutò nessuno degli altri due, che rimasero al campo d’allenamento.
- Siri, perché non l’hai rifiutata? Quella lì non mi sembra il tipico soldato che rispetta gli ordini, considerate le prossime missioni non credo sia…
- Va bene così Jean. – disse Siri senza voltarsi – Sono orgogliosa, permalosa, impulsiva. Ma so fare bene il mio lavoro, questo Yvonne ancora non lo ha ben chiaro e lo imparerà presto. Non preoccuparti di questo.
Jean scosse la testa con un sorrisino che gli era spuntato sulle labbra: - Dovremmo comunque cercare di non inimicarcela troppo. Sembra brava dopotutto.
Raggiunsero i cavalli e Siri, afferrando le briglie del suo, si voltò a guardare l’allievo soddisfatta: - Bravo, vedo che stai entrando nell’ottica molto bene. – gli diede una pacca sul braccio prima di montare in sella. A Jean si gonfiò il cuore di orgoglio.
 
[inizio anno 852]
 
Finalmente era arrivata l’alba, cerea e luminosa. Era stata dura rimanere all’inizio vigile e poi sveglio con lei che dormiva profondamente al suo fianco, un sonnifero troppo efficace per resistergli, ma alla fine Levi ce l’aveva fatta.
Si strofinò una mano sulla faccia per poi passarla nei capelli spostandoli dalla fronte e si concesse il lusso di abbassare le palpebre, qualora si fosse alzata l’avrebbe sentita sicuramente ed era questione di minuti perché lo facesse. Scosse piano la testa sul cuscino, non era certo da lui fare una cosa del genere ma rimanere sveglio per beccarla mentre sgattaiolava via dalla sua stanza al mattino era l’ennesima sciocchezza che si era ritrovato a fare nell’ultimo anno e mezzo in nome di un sentimento, che Levi non sapeva ancora definire. O che aveva paura di definire.
Finalmente sentì il respiro di lei farsi più leggero, poi, sempre tenendo gli occhi chiusi percepì il fruscio delle coperte prodotto da lei che si muoveva, si alzava sui gomiti e… si sporgeva verso il suo viso. Percepì il tocco leggerissimo e morbido delle sue labbra sullo zigomo, poco prima che lei si mettesse a sedere. Proprio quando stava per alzarsi, Levi con uno scatto afferrò l’avambraccio di Siri che si voltò sorpresa verso di lui: si fissarono per qualche secondo prima che lui prendesse la parola per spiegarsi.
Non… non c’è bisogno che te ne vada come una ladra. – mosse di poco gli occhi per poi tornare a guardarla – O una spia.
Lei arricciò le labbra per non sorridere: sarebbe bastata una semplice richiesta, parlarne magari, ma quel modo di affrontare la cosa era da lui e doveva ammettere che le piacesse molto, ora che aveva decifrato il suo speciale linguaggio. Siri rimise le gambe sul letto, mentre Levi le lasciava il braccio e si schiacciava sulla parete per concederle lo spazio sufficiente a stendersi di nuovo accanto a lui.
- Più tardi nei corridoi ci sarà sicuramente più gente. – disse voltandosi di lato verso di lui.
- Tch. Che differenza fa, userai la finestra.
Siri sorrise e si schiacciò più vicina al suo fianco: - Hai ragione, non sono poi così anziana come te.
Passarono il resto del tempo a dormire, crogiolandosi nel calore offerto dalle coperte e dal nuovo sistema di riscaldamento che avevano impiantato nell’edificio. Gli alleati Anti-Marley, oltre ad aver offerto strategie di difesa e nuove suppellettili, avevano anche portato parecchie migliorie tecnologiche, una di queste erano i nuovissimi impianti di riscaldamento che avevano permesso il lusso ai soldati di poter stare in stanza con non più di una maglia e un pantaloncino. Rimasero così fino a quando non si svegliarono a metà mattinata e, dopo aver passato una buona mezz’ora a parlare delle prossime reciproche missioni, oltre che della nuova molesta compagna di squadra di Siri, quest’ultima pensò bene di controllare la caviglia infortunata anni prima di Levi dopo che lui si era lasciato sfuggire della missione nella foresta.
- Non posso credere che tu non me l’abbia mai detto.
- Dici sempre di sapere tutto e- AH – Levi scosse involontariamente la gamba dopo che Siri, spingendo la pianta del piede all’indietro, aveva stimolato troppo il tendine infortunato.
- Ops. – alzò le mani e poi le poggiò sulla gamba – So le cose ma a grandi linee, non posso mica approfondire qualsiasi cosa mi capiti sotto tiro.
Levi alzò le spalle mentre lei sospirò: - Avevi appena accennato che era guarito del tutto.
- Infatti. Ma non ho mai detto se bene o male. L’elasticità, se è così che si chiama, non è mai tornata quella di prima. Non che non sia capace di muovermi come voglio ugualmente.
Se non fosse un Ackerman, pensò lei, avrebbe zoppicato a vita con questa lesione.
Siri, con lo sguardo adesso concentrato sul polpaccio dell’altro, iniziò a tastarlo assorta, prese fiato per parlare quando venne interrotta da qualcuno che bussava alla porta: - Chi è? – chiese quindi a voce alta senza pensarci troppo.
Levi sgranò gli occhi, un brivido lo percorse tutto mentre guardava con orrore la ragazza in canotta e pantaloncini, che invece non sembrava per niente essersi accorta dell’errore da principiante che aveva appena fatto mentre portava una ciocca di capelli dietro l’orecchio noncurante. Gli aveva detto più volte detto di sentirsi come a casa quando erano soli, ma quel livello di confort era a dir poco scandaloso.
La sua reazione fu istantanea, si sporse verso di lei e le diede uno scappellotto dietro la testa: - Idiota!
- Ahia! Ma che…
- Questa, è la mia stanza, stupido saltimbanco che non sei altro.
Siri si morse il labbro inferiore interdetta, portandosi le mani alla testa disse: - Mi è venuto naturale…
- Non posso crederci, – Levi si rese conto che avevano alzato la voce, quindi iniziò a bisbigliare – tu saresti una spia, la migliore in circolazione.
Lei ruotò gli occhi colpevole e prese a strofinarsi il capo, premurandosi di non incrociare lo sguardo con quello adirato del compagno: - Però mi hai fatto male… è proprio dove ho la cicatrice.
A Levi sembrò come essersi mozzato il fiato, rimase impassibile per qualche secondo, si mise a sedere più vicino e le impose le mani come a volerla toccare, non facendolo, così pentito di quel gesto che entrambi si scambiavano spesso anche solo per stuzzicarsi: - … Ti ho fatto male? Mi… – poi prese lentamente coscienza del fatto che la cicatrice sulla testa si trovava molto più vicina alla fronte, complice anche il fatto che sul volto di Siri era comparsa una smorfia di chi si stava trattenendo dal ridere con tutte le forze.
Sei
Fuori dalla porta, Hange era rimasta in silenzio a sentire quel breve quanto concitato scambio di battute, curiosa di scoprire quanto oltre sarebbero arrivati i due prima di rendersi conto che lei fosse ancora lì fuori. Dopo aver bussato. Dopo averli colti in flagrante. 
Si massaggiò la fronte con le dita e sospirò sonoramente: - Io sarei ancora qui fuori.
Sentì calare finalmente il silenzio, quindi dei passi di piedi nudi dirigersi verso di lei oltre le assi di legno. La serratura scattò e apparve Levi, che tenendo la porta ben socchiusa, sull’uscio, le riservò la sua solita espressione incolore, come se non fosse successo assolutamente nulla: - Dimmi.
Hange, in alta uniforme, rimase a fissare Levi dall’alto in basso con un’espressione contrariata prima di parlare: - Ho acconsentito a chiudere un occhio sulla questione proprio perché ti conosco da anni. Ho persino lasciato che aveste le camere sullo stesso piano, proprio per offrire una certa discretezza alla cosa. – la mandibola di lui ebbe un guizzo e la comandante provò una sadica soddisfazione quando lo vide deglutire alle sue parole – Per cui, siccome vi conosco abbastanza bene da poter affermare che la cosa non accadrà più, mi limiterò a far finta di non aver visto niente, confidando nella vostra futura accortezza.
Levi assentì in silenzio, quindi l’altra si aggiustò gli occhiali sul naso e continuò: - Dopo pranzo raggiungimi in studio, devo parlarti dei volontari Anti-Marley, fa venire anche Siri perché dopo dovrò discutere con lei di alcune cose riguardo la missione.
- Va bene. – Levi fece per chiudere la porta, bloccandosi quando Hange fece per parlare di nuovo.
- Cercate solo… Cercate solo di non farlo accadere mai più per davvero. Ho già abbastanza gatte da pelare e scartoffie da compilare anche senza voi due a tubare come due uccellini. A dopo.
Levi s’irrigidì piccato e strinse il pomello della porta, rimanendo sull’uscio della camera anche dopo che la comandante se ne fu andata. Chiuse quindi piano la porta e si rivolse a Siri, che lo guardava incredula con gli occhi spalancati e gli angoli della bocca rivolti verso il basso.
- Non posso credere che tu mi abbia fatto rimproverare da Hange.
Più tardi i due mantennero la promessa e si presentarono nell’ufficio di Hange, piegata su dei documenti che Armin, in piedi accanto a lei, le stava porgendo ogni qualvolta le servissero, indicandole cosa contenessero e dove firmare. Solo quando Levi bussò sulla porta spalancata lei alzò lo sguardo verso i nuovi arrivati, riservando loro un cenno sbrigativo con la mano per invitarli a prendere posto sulle sedie di fronte la sua scrivania.
- Quanti ne mancano Armin? – disse piegata su un foglio mentre lo firmava.
Il ragazzino scandagliò velocemente il plico facendo scorrere i fogli tra le dita: - Quattro da firmare, gli altri sono tutti da leggere e prendere eventualmente in considerazione.
Hange sospirò stancamente e si massaggiò le tempie: - Va bene, per quelli da firmare vieni più tardi, mentre per il resto è meglio aggiornarsi domattina. Puoi andare.
Armin fece un passò per andarsene ma, chiaramente in difficoltà, si bloccò e fece dei passetti incerti sul posto per poi rigirarsi di nuovo verso il superiore: - Capita-… Comandante, ecco, sarebbe opportuno sul presto, ci sono alcuni urgenti e il comandante Pyx-
- Argh, sì, vieni pure a svegliarmi tu.
Mentre Hange si lasciò andare sullo schienale, il ragazzino annuì più convinto e sgattaiolò via chiudendo con delicatezza la porta alle sue spalle e lasciando finalmente soli i superiori. Siri, che fino ad allora aveva tenuto lo sguardo basso, alzò gli occhi sulla sua ex compagna di stanza tenendo la testa bassa con un filo di apprensione dipinto sulla faccia, mentre Levi, a braccia conserte, aspettava pazientemente che l’amica si prendesse il tempo necessario per riprendere fiato. Lei, infatti, rimase con la schiena allungata sulla sedia a fissare il soffitto per qualche secondo prima di riportare l’attenzione sui suoi “ospiti”, sorridere loro e alzarsi con uno slancio.
- Spostiamoci sui sofà. Ho fatto preparare del thè. – disse alzandosi e dirigendosi alle spalle dei due verso due poltrone davanti un basso tavolino da salotto ben apparecchiato con tazze, bollitore e biscotti.
- Improvvisamente abbiamo più fondi? – disse sarcastico Levi mentre passava al comandante, seduta sul sofà a due piazze di fronte a loro, la teiera, dopo aver riempito due tazze per lui e Siri.
- L’avrai notato anche sulle ultime buste paga presumo. – rispose Hange concisa, mentre si versava il thè nella tazza – Ciò di cui vi devo parlare si ricollega a questo in effetti.
Tirò un sorso e poi piantò gli occhi, penetranti, sui due: - Ho buone e cattive notizie. Non è stato semplice convincere i volontari ma alla fine hanno acconsentito ad accompagnare la squadra di Siri in territorio nemico nelle prossime missioni. In quanto alla copertura, la signora Azumabito si è gentilmente offerta anche di pagare eventuali spese.
- La cattiva? – disse Siri strofinando nervosamente con un pollice la porcellana della tazza.
- La cattiva è che… i volontari non ne sembravano troppo entusiasti, per usare parole gentili. Soprattutto Yelena si è dimostrata restia ad offrire il suo aiuto, comprensibile dal momento che non abbiamo condiviso con loro l’obiettivo di queste spedizioni.
- Non che ce ne sia uno ben chiaro, dopotutto. – rispose di getto l’altra.
- Su questo siamo perfettamente d’accordo, e lo erano anche loro quando ho detto che sarebbero state semplici missioni di “esplorazione”. Ma, vedi, non appena ho riferito che saresti stata tu a guidare la missione, è come se… – Hange guardò di lato come per richiamare alla mente la scena e scegliere le parole giuste per descriverla – È stato come se Yelena non fosse più così propensa. Sarà infatti Onyankopon a farvi compagnia, perlomeno durante la prima missione.
Siri annuì con la testa e portò la tazza alle labbra: - Meglio così. Mi sta molto più simpatico di quella donna angosciante.
- Sta un po’ sulle sue ma, esattamente come tutti gli altri, è una nostra alleata, cerca di fare del tuo meglio per trarre i frutti da questa nostra collaborazione, ma non c’è bisogno che ti dia indicazioni su come fare il tuo lavoro. – Hange ripose la tazza sul piattino – Tra un mese esatto è prevista la partenza. Vi sposterete con la nave degli Azumabito per raggiungere coste libere dal controllo Marleyano o degli Alleati, da lì prenderete una nave per Liberio dove alloggerete da dei collaboratori orientali.
- Perfetto. – un sorriso compiaciuto comparve sul viso di Siri che già pregustava le scoperte che avrebbe potuto fare di lì a breve – Per le direttive ci aggiorneremo man mano con gli Azumabito?
- Sì. Tu e la tua squadra avrete tutto quello che vi serve, nei prossimi giorni Onyankopon ti aggiornerà con tutto quello che vorrai sapere su Liberio, devi solo fissare giorni e orario dei vostri incontri.
- Per quanto riguarda Zeke invece? – Levi, che fino a quel momento aveva atteso paziente, si lanciò senza introduzioni sull’argomento che lo premeva maggiormente. Siri a quelle parole s’irrigidì e spostò lo sguardo altrove, mentre Hange gli rispondeva paziente.
- Per quanto riguarda lui, non ci sono grosse novità, ci ha proposto di seguire il suo piano che prevede l’utilizzo del gigante fondatore. Ho chiesto comunque di attendere, vorrei prima avere l’esito delle missioni di Siri prima di procedere, è meglio essere cauti.
- Quindi mi sembra di capire…
- Non è nostra intenzione farlo fuori, Levi. Yelena, e di conseguenza i suoi collaboratori, ripongono molta fiducia in lui, non solo, è l’anello che ci collega anche agli Azumabito. Quando avremo un’idea più chiara del suo piano “per salvarci”, allora…
- Tch. – fu la risposta di Levi, che voltò il viso da un’altra parte. Siri lo guardò di sottecchi per poi scambiare una breve occhiata d’intesa con Hange di fronte a lei: sapevano lui avrebbe obbedito qualsiasi ordine avesse ricevuto, ma non era quello a impensierire una e ammorbare l’altra. Non che non capissero le sue ragioni, ma sembrava abbastanza ovvio a tutti che quell’ossessione non avrebbe potuto portare a nulla di concreto. Con quella breve occhiata stabilirono che quello non era né il luogo né il momento d’intraprendere un discorso del genere, per cui Hange si limitò a riprendere il filo del discorso e dare le ultime direttive a carattere organizzativo per poi congedarli. Nel frattempo, si era fatta già ora di cena, per cui i due s’incamminarono direttamente alla volta della mensa dove si sedettero in disparte, perlomeno, così appariva ai nuovi arrivati, ma i sopravvissuti a Shiganshina sapevano bene che quello in cui prendevano posto era soltanto il tavolo dove mangiavano assieme alla squadra di Hange. Una triste abitudine che però i due erano restii a cambiare.
Poco distante, la squadra di Levi cenava più o meno pacificamente: mentre Armin era assorto nei suoi pensieri e ogni tanto lanciava sporadiche occhiate ai due superiori, Jean aveva appena finito di bisticciare con Sasha e il suo sguardo era caduto su Eren che, tra Mikasa e il biondino, portava flemmatiche cucchiaiate alla bocca, quasi come se mangiare fosse un’azione necessaria ma per nulla a lui gradita.
Jean alzò un sopracciglio e ghignò: - Beh, ehi, capisco sia dura essere costantemente al centro dell’attenzione ma quel tuo muso lungo mi rovina proprio la cena.
Eren non distolse nemmeno lo sguardo dalla minestra che rimase a fissare con occhi vuoti e le spalle curve, l’altro lo guardò interdetto: - Ehi, parlo con te.
Mikasa, ritta sul suo posto, guardò l’amico accanto a lei di sottecchi e quando vide che non aveva ancora risposto lo chiamò. Eren alzò lo sguardo, prima su Mikasa, poi lo portò su Jean ad un suo cenno del capo: - Come? Oh. Mi dispiace.
Jean, aspettandosi tutt’altra risposta, lo guardò incredulo riabbassare lo sguardo e tornare ad ignorarlo. Armin rivolse una breve occhiata preoccupata ad Eren al suo fianco, per poi guardare Jean e alzare le spalle con aria desolata. Quindi, tornò ad esaminare i due superiori al tavolo poco distante dal loro e dovette trattenere il suo stupore quando sorprese il capitano pulire, nonostante l’evidente cipiglio, delicatamente con un fazzoletto candido un angolo della bocca di Siri, che sembrava essere… impacciata. Armin riuscì a distogliere lo sguardo soltanto quando la spia, nervosamente, aveva strappato di mano all’altro il fazzoletto, riprese quindi a mangiare con foga, quasi in colpa per essere stato testimone di qualcosa che non avrebbe mai dovuto vedere.
- Ehi Jean, – esordì Connie oltre la spalla di Sasha – pensa al tuo di muso lungo.
Sasha sghignazzò e la cosa parve divertire anche Eren che sorrise piano, ad Armin parve essere stata la prima volta che sorridesse in mesi.
Jean lo incenerì con lo sguardo e si piegò nuovamente sulla zuppa: - Molto divertente. Ormai queste battute sono un po’ trite e ritrite.
- Mz, e chi lo dice, fanno ancora ridere me.
Il resto della cena passò con altri battibecchi che costrinsero Armin a trascinare via Jean prima che lui e Connie iniziassero ad esagerare, lasciarono le loro gamelle e uscirono dalla mensa. Nonostante fosse ancora abbastanza presto, il tramonto era già passato e il crepuscolo si stava per concludere, la temperatura si era abbassata tanto che i due strofinarono le mani sulle braccia per riscaldarle: solo Armin aveva avuto la perspicacia di portare con sé il cappotto, che infilò repentino non appena uscirono.
Jean incrociò le braccia e sbuffò, mentre camminava con l’amico in direzione del loro dormitorio: - Razza di idiota, non so nemmeno se sopravvivrò dopo queste missioni e si ostina a comportarsi come se nulla lo riguardasse.
Armin sorrise mesto: - Si comporta così solo perché è nervoso, dopotutto voi tre state sempre insieme, separarsi, anche se per poco, non sarà facile per nessuno.
- No, io dicevo… – Jean, girandosi verso l’altro, non appena vide il suo viso su cui si dipingeva un’espressione amara, decise di non spiegare a chi si stava realmente riferendo – Fa nulla, lascia stare.
In realtà, Armin aveva capito perfettamente lui si riferisse ad Eren, ma aveva preferito aver capito male e spostare il soggetto delle loro attenzioni su Connie, che poi Jean gli avesse concesso la gentilezza di non parlare di Eren dopo avergli visto l’espressione sconsolata, non poté mai saperlo.
- Comunque sarà un po’ strano non avervi tra i piedi.
- Già, pensare che starete in pieno territorio nemico sarà abbastanza difficile da digerire.
Jean spintonò amichevolmente Armin: - Ehi, che cavolo, “abbastanza difficile”?! Che razza di amico sei?!
L’altro ridacchio: - Ma no, era per non fartela fare troppo sotto!
- Argh, per quello c’è già Siri, – si fermò e si voltò a guardare la mensa, vicino l’ingresso c’erano proprio lei e Levi, erano appena usciti e stavano parlando in una maniera che appariva quasi formale – ha un potere rassicurante niente male: “lì basta sapere che sangue hai per essere fottuto”, “non iniziare a fartela sotto se la polizia inizia a starci addosso”, o la mia preferita “ti vieto di morire in modo stupido, altrimenti che figura mi farai fare con Bernard”.
Armin rise e poi gli batte una mano sulla spalla: - Dai, non credo l’abbia detto sul serio!
- Questo lo so, non riesce ad essere pungente troppo a lungo, poi abbiamo parlato molto di queste missioni. Siri non è una tipa nostalgica, ma credo che quando si tratti delle persone si comporti diversamente. Non me l’ha mai detto esplicitamente, ma… sono sicuro le mancherete tantissimo.
- Mancherete molto anche a me. – disse Armin guardando nella stessa direzione del compagno, poi decise di agire d’astuzia, dopotutto era un tipo curioso e Jean, aveva notato, non riusciva a fare la faccia di bronzo con lui o Mikasa – Non immagino come sarà difficile per loro due stare lontani l’uno dall’altra, allora.
Jean a quelle parole s’irrigidì visibilmente e, in modo totalmente involontario, rivolse lentamente gli occhi sgranati verso Armin che, ora, lo guardava di sottecchi con furbizia: bastò quella frazione di secondo perché il biondino lo avesse nel sacco. Gli puntò l’indice contro in preda alla frenesia della scoperta: - LO SAPEVO!
Jean scosse la testa nervosamente e riprese a camminare, cercando di ignorare l’altro che lo seguì a ruota: - Non so di che parli, Arlert!
- Smettila di fare il finto tonto, l’avevo comunque capito da un pezzo, volevo solo la tua conferma.
Jean si voltò di scatto verso di lui: - COME?!
Armin lo guardò soddisfatto: - Ogni volta che te ne parlavo da due anni a questa parte sviavi sempre il discorso con una faccia simile a quella di chi ha visto un fantasma. Sei proprio una frana, se Siri lo sapesse ti darebbe del filo da torcere!
L’altro incrociò le braccia risentito: - Non è Siri che mi preoccupa… Va bene, anche lei, però, TI PREGO, non dirlo a nessuno altrimenti penseranno che sarò stato io a spifferarlo!
- Sì, ma certo, sta tranquillo… Da quant’è che lo sai?
Jean sospirò afflitto, mentre si passava una mano sulla fronte: - Troppo tempo ad essere sinceri… Argh, finalmente ho qualcuno con cui parlarne, non puoi immaginare che tortura… e ogni volta che erano sul punto di essere scoperti ho contribuito a mantenere il segreto. A pensarci bene non avrebbe dovuto sorprendermi più di tanto il fatto che tu l’abbia capito. Non mi pagano abbastanza.
 
Passò un mese e il momento della partenza arrivò. Il giorno prima Hange aveva permesso alla squadra di Levi di organizzare una piccola festicciola di “arrivederci”, da cui si erano svegliati tutti spossati e maleodoranti, eccezion fatta per le spie in partenza che invece si erano svegliati di buon mattino per raggiungere Trost, dove avrebbero caricato le ultime suppellettili per il viaggio, oltre che le medicine e composti chimici che Siri aveva ordinato alla farmacia di quartiere e che non era riuscita a fabbricare lei stessa.
Jean e Yvonne erano rimasti in carrozza mentre aspettavano che i loro superiori finissero di ultimare le ultime faccende.
- Ehi. – Jean si voltò verso la ragazza: assunse un’espressione dubbiosa quando si accorse che lei stava giocherellando con le pellicine delle dita mentre cantilenava delle note a caso.
- Ti andrebbe di prendere una boccata d’aria? – Yvonne tirò un sospiro.
- Non siamo amici io e te.
Lui la guardò ancora più interdetto: - Ti ho chiesto solo di fare un giro qui intorno, se Siri sta controllando il carico della farmacia come l’ha controllato l’ultima volta, ti assicuro che ci metteremo anche più di qualche minuto.
Yvonne roteò gli occhi: - Va bene, dove mi porti di bello?
Lui ignorò la domanda, il tono trasognante di quella ragazza gli dava sui nervi. Non riusciva a concepire quel suo modo di fare, se da una parte pensava fosse dovuto alla sicurezza in lei stessa, credeva al contempo che con quell’atteggiamento ne dimostrasse fin troppa. Passeggiarono per alcune vie, già abbastanza trafficate nonostante fosse ancora presto e ci fosse un clima tutt’altro che mite. Non furono molto eloquenti, si limitarono a guardarsi attorno fino a quando Jean non riconobbe un edificio e glielo indicò.
- Ti va di salire sul tetto di quel posto?
Yvonne, che guardava assente da tutt’altra parte, si voltò verso di lui e con occhi vacui si porse oltre la sua spalla per osservare il posto a cui si stava riferendo: era un esercizio commerciale che si affacciava su una strada abbastanza affollata a causa delle bancarelle del mercato che la costeggiavano, l’ingresso dalle porte rosse era incorniciato da una vite che saliva lungo i coprifili e s’attorcigliava sulla piccola tettoia sporgente che dava riparo all’ingresso. A qualche metro, di lato, spuntava una scala in pietra che sembrava portare sul tetto piano, uno dei pochi ad essere costruito così lì intorno.
Yvonne lo guardò quindi inespressiva: - Non possiamo salirci.
Lui ghignò e si grattò la nuca: - Beh, in teoria… se usiamo le nostre capacità non se ne accorgerà nessuno. – lei sembrò più interessata a tal punto – dopotutto, c’è il mercato, quindi abbastanza confusione per approfittarne. – concluse sorridendole complice.
Un sorriso comparve anche sul viso di lei che adesso sembrava decisamente interessata. 
Jean non credeva quell’escamotage per portarla sul tetto avrebbe funzionato così bene, l’aveva presa per la gola convincendola ad intraprendere quella via: quella del rischio. Mentre sgattaiolavano lungo le scale, pensò con sommo piacere che, a quel punto, la conoscesse molto meglio di quanto lei non immaginasse.
Non appena arrivarono in cima, Yvonne si guardò attorno trasognata, effettivamente, constatò, lì su c’era più aria e la vista non era niente male. Non diede molto peso a Jean, che la superò per andare in un punto preciso del tetto, se non quando lui si schiarì la voce rumorosamente: quando si voltò a guardarlo, capì che c’era qualcosa che non andava. Era poggiato sul muretto del tetto, la parte che si affacciava sulla strada, e accanto a lui era poggiato un cannocchiale già aperto, rivestito in oro e pelle.
Yvonne inclinò la testa e corrugò le sopracciglia e dell’incredulità le si dipinse in volto, non capiva cosa stesse succedendo e cercava di carpire da Jean qualcosa per fare chiarezza. Lui d’altro canto non faceva trasparire nulla dal suo viso che si limitò, dopo un lasso di tempo indefinito, ad abbassare sul cannocchiale. La ragazza riusciva a sentire a malapena il chiacchiericcio provenire dalla strada sotto di loro perché il cuore le batteva così forte da farle quasi tappare le orecchie.
Come poteva la gente sotto di lei essere così normalmente spensierata mentre lei stava vivendo quella specie di limbo?
Si avvicinò a Jean, fino a stargli accanto, lui rimase di spalle alla strada mentre lei prendeva, fingendosi calma, l’oggetto dorato. Dovette sforzarsi per fingere il suo solito tono inebetito: - Dove devo guardare?
Jean alzò le spalle, tenne lo sguardo fisso davanti a sé senza mai incontrare il suo: - Non ti servirà che te lo dica con precisione, te ne accorgerai credo.
Lei prese il cannocchiale cercando di mantenere ferma la mano, lo portò all’occhio e, non prima di aver lanciato un’ultima occhiata verso il ragazzo, iniziò a scrutare davanti a lei. Passò in rassegna i tetti, quando l’ebbe fatto, spostò la lente nuovamente dal lato da cui aveva iniziato. Non vedo niente, pensò nervosamente. Si scorticò con l’unghia le pellicine del pollice della mano che teneva libera, mentre cercava qualcosa, o qualcuno, che evidentemente non riusciva a trovare.
Quasi saltò sul posto, tesa com’era, quando Jean con una mano le abbassò verso la strada il cannocchiale. Yvonne deglutì a fatica e respirò profondamente. Riprese a scandagliare con l’occhio, questa volta la strada. Spostò velocemente l’oggetto da un lato all’altro, fino a quando non si bloccò di colpo: il suo cuore, fino ad allora palpitante, si fermò così all’improvviso che credette quasi stesse per avere un collasso, iniziò a sudare, nonostante il freddo abbastanza pungente di quella mattina invernale.
Siri stava parlando con un uomo. Non un uomo qualsiasi. Sorridevano e ridacchiavano come se si conoscessero molto bene, Yvonne non si sentì più le gambe, ma resistette.
- Yvonne, – si voltò di scatto verso Jean che finalmente si era deciso a guardarla – noi siamo una squadra. Siri è il nostro capo e posso assicurarti che non lo è per caso. Questo non è il suo modo per ricattarti, non si tratta assolutamente di nulla del genere. È il suo modo per farti capire chi è lei e perché non dovresti tradirla.
Dette queste esatte parole, s’incamminò verso il punto in cui erano arrivati e si fermò davanti le scale: - Abbiamo tutti delle persone da proteggere. Ritieniti fortunata che a scoprire le tue sia stata lei e non qualcun altro. – detto ciò, prese a scendere sparendo alla vista di lei, che rimase immobile dov’era. Dopo alcuni secondi, si riscosse e si voltò nuovamente verso la strada, tornando a guardare nel punto in cui aveva sorpreso Siri parlare con una delle persone che fino ad ora aveva protetto.
Trasalì quando nel piccolo cerchio della lente, nello stesso identico punto, vi trovò solo Siri, poggiata sul muro di un’abitazione, che la guardava dritto negli occhi.

Nota: ripeto il mio avvertimento dell'ultima volta, purtroppo non so quanto ci vorrà per il prossimo capitolo. Capisco anche che la storia sembra essersi quasi frenata, ma questi capitoli sono necessari a ciò che verrà dopo. Concedetemi ancora le ultime spensieratezze dei personaggi, non dico altro :').
Purtroppo ho avuto a malapena il tempo di ultimare il capitolo e non sono riuscita a correggere nessuno dei precedenti.
  
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