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Autore: ConstanceKonstanz    03/10/2022    0 recensioni
Questa storia inizia nel passato.
In un mondo diverso dalla Terra, più freddo della Terra, più piccolo della Terra.
Dove abbiamo imparato a lavorare il ghiaccio, a usarlo come arma, come sostegno per le case. Dove la pioggia non è acqua, ma un tesoro da conservare. Dove la neve è più di un elemento: è una pietra preziosa. Dove il nostro nemico maggiore è ciò che ha permesso ai vostri antenati di sopravvivere: il fuoco.
Questa storia inizia nel Mondo del Natale.
Ed inizia con un nome.
Quello della mia nemica, o dell’unica persona che abbia mai conosciuto veramente: Dinah.
Genere: Avventura, Fantasy, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 1
IL MONDO DEL NATALE

Passarono dieci anni e le cose cambiarono nel mio regno.
Non in meglio.
Circolavano delle voci. Si diceva che il re fosse stato maledetto, che una strega avesse lanciato un incantesimo su di lui e sulla sua stirpe e che saremmo tutti morti presto.
Forse ,era per questo che il numero delle mie guardie continuò ad aumentare di anno in anno. Ma più traditori imprigionava, più il re diventa timoroso. Aveva paura per me. Non voleva essere il primo della sua stirpe a non riuscire a passare il regno al suo erede.
Ogni giorno sentivo di gente condannata, uccisa senza un processo, torturata da quello stesso uomo che io chiamavo padre. Erano voci. Dinah non commentava mai. Si limitava a raccontarmi cosa mormorava il popolo. Si limitava ad alzare le spalle quando le chiedevo se ci credeva.
Poi, un giorno, le cose precipitarono.
Era sera e fuori minacciava pioggia. In camera mia, due cameriere mi stavano vestendo e preparando per la cena. Era stata una giornata come tutte le altre: noiosa e grigia. Vissuta con la costante sensazione di essere sul filo del rasoio.
Dinah era entrata come una furia nelle mie stanze, senza farsi annunciare, senza inchinarsi. Con i vestiti sporchi e strappati, il mantello rosso, segno di riconoscimento delle guardie di sua maestà,  strappato e macchiato di sangue e terra, i capelli castani abbandonati disordinatamente sulle spalle, il braccio destro ferito, gli occhi scuri e impauriti. Respirava a fatica e continuava a muovere la mano in cui stringeva il pugnale. Il suo guio, di solito immacolato e brillante, era chiazzato di sangue. Quando la luce delle candele lo colpiva, restituiva sinistri bagliori purpurei.
“Hanno … hanno” provò, ma un brivido lungo la spina dorsale la fece accasciare per terra
“Dinah!” urlai.
“Siamo in pericolo ”continuò, il viso pallido.
“Un panno bagnato!” ordinai ad una delle mia cameriere “Subito!”
Ma nello stesso istante, un violento boato scosse l’intero palazzo ed io provai l’inconfondibile sensazione di essere in pericolo.
Una guardia corse alla finestra.
Poi indietreggiò, pallida in volto.  
“Cosa succede?” domandai seccata.
Lui non rispose subito. Si limitò a guardarmi in volto.
“Ti ordino di dirmi cosa hai visto” riprovai, incrociando le braccia “Odio ripetermi”
 “Ci … ci attaccano” mormorò infine “Il popolo ci attacca”.
 
Tutt’attorno al palazzo milioni di persone si stavano radunando. Ovunque andassi, sentivo il suono delle loro voci, gli insulti che ci lanciavano, ciò che minacciavano di fare una volta entrati, il modo in cui avrebbero appiccato il fuoco se non avessimo aperto subito le nostre porte.
Ero confusa. Peggio, ero spaventata. Sapevo che mio padre aveva inasprito le misure di sicurezza, ma non pensavo che il popolo fosse giunto ad odiarci. Mi era stato insegnato che le principesse erano superiori al popolo, valevano di più e che perciò, erano per il popolo intoccabili. Avevo sempre vissuto nella ridicola certezza che nessuno avrebbe mai potuto uccidermi. E che il mio popolo mi avrebbe sempre protetta. Ma quella sera, mentre la luce delle loro lanterne colorava di rosso il cielo, mentre le loro lame di ghiaccio brillavano pericolose nella notte, mentre le loro voci urlavano tutte le pene che ci attendevano, ricordo di aver pensato che nessuno, nessun sovrano, nessuna principessa, nessun mago o sacerdote, avrebbe potuto salvarsi.
Mia madre entrò in quel momento.
Aveva i capelli biondi raccolti in una treccia ed un piccolo diadema bianco appoggiato sulla fronte, fatto di neve e decorato con gocce di rugiada. Un sottile velo azzurro pendeva dai lati e le ricopriva il viso. Il simbolo della sua regalità. Indossava un abito celeste, ma come me, non aveva ancora finito di prepararsi. La gonna le ricadeva larga in vita e non tutti i lacci del corpetto erano stati allacciati.
“Siena!” urlò, correndo ad abbracciarmi “Grazie al cielo”
“Che succede, mamma?” sussurrai, sperando quasi che lei mi sorridesse, mi portasse a letto e mi rispondesse che quello che era solo un brutto sogno e che tra poco mi sarei svegliata e tutto si sarebbe risolto.
“Non lo so, ma andrà tutto bene” Mi accarezzò il volto “Ti fidi piccola mia?”
Annuii, ma dentro di me ero sempre più spaventata.
Mio padre arrivò in quel momento, preceduto da svariate guardie “Siete qui!” ringhiò sollevato. Ci circondò in un ruvido abbraccio. “Dobbiamo muoverci. Non manca molto tempo. Nico dice che è questioni di ore prima che sfondino le porte”
Sentendosi chiamare, il capo delle guardie reali si fece strada tra i suoi uomini e si inchinò davanti a me e mia madre. Nico era giovane, aveva diciotto anni, l’età minima per diventare comandante. Mio padre l’aveva scelto perché ,in pochi mesi, aveva mandato a morte metà dei suoi soldati più capaci ed esperti e il numero di uomini in età adatta per rivestire  le cariche maggiori si era notevolmente ridotto. Ragazzi come Nico erano stati l’ultima possibilità per il re di evitare che l’intero esercito disertasse e fomentasse ulteriormente il popolo.
Nico era alto per la sua età e fin troppo magro per essere un soldato, ma ciò che gli mancava in corporatura, lo guadagnava in astuzia. Si diceva fosse un ragazzo dalla capacità tattica strabiliante ed era proprio per questo motivo che era diventato capo delle guardie reali. Aveva un viso dai tratti squadrati, la pelle chiara, un principio di barba sul mento, una zazzera di capelli biondi, quasi bianchi e due profondi occhi grigi con la stessa sfumatura di dolore che avevo imparato a conoscere in Dinah. Indossava una divisa rossa, con dei risvolti bianchi alle maniche e aveva una lunga spada di ghiaccio sul fianco destro. Quando parlò, sembrò più vecchio della sua età. “Secondo i miei calcoli, ci metteranno due ore a rompere le porte. Da lì in poi saranno inarrestabili. Non tutti sanno combattere, ma sono molti, moltissimi, e alcuni di loro sono dei disertori, non potremo resistere per molto”
“Fuggire?” domandò mia madre “Almeno Siena. Siena deve andarsene. Vogliono noi, non lei”
Al suono di quelle parole mi strinsi ancora di più a mia madre. “Non voglio lasciarti” sussurrai. Lei si limitò a ricambiare la stretta e capii che l’idea di lasciarmi non le piaceva più di quanto piacesse a me.
“Glielo avevo già chiesto” rispose mio padre, a voce bassa. Alzai lo sguardo. Era vicino alla finestra, continuava a guardare fuori come se non riuscisse a credere a ciò che stava accadendo. “Hanno circondato tutte le uscite”
Il re era un uomo alto, forte, dai tratti decisi. Aveva un portamento sicuro, una barba rossa ai lati del viso, gli occhi più verdi che avessi mai visto, quasi come delle nuvole che annunciano tempesta e molti e ribelli capelli rossi. Sapevo di assomigliare molto più a lui che a mia madre. Sapevo di avere gli stessi capelli, gli stessi occhi e secondo alcuni avevo persino lo stesso portamento. Ma i nostri libri di storia dicevano che lui possedeva “Il fuoco fuori e dentro di sé” Ed io, quel fuoco, non l’avevo. A dirla tutta, era passato un po’ di tempo dall’ultima che l’avevo visto brillare anche nei suoi occhi, ma sapevo bene a cosa si riferiva quella frase. C’era una forza in mia padre, un’energia, una capacità di trarre forza dal pericolo, dalle avversità, paragonabile solo al potere distruttivo del fuoco. Era un’energia che anni prima gli aveva permesso di sottomettere i popoli di del Nord, di ereditare il regno al posto di suo fratello più grande, di far innamorare di sé la donna più bella del regno e di riuscire ad essere amato dal popolo. Ma quel fuoco aveva iniziato a spegnersi dopo il tradimento di mio zio e aveva continuato ad affievolirsi sempre più di anno in anno. E quella sera, davanti alla mia finestra, per quanto ognuno di noi desiderasse vederlo, di quel fuoco non c’era traccia. 
I gemiti di Dinah ci riportarono tutti alla realtà.
Mi gettai su di lei.  
Lei aprì gli occhi e cercò di mettermi a fuoco.
“Siamo in pericolo …” la sentì sussurrare.
“Lo so, lo so ” risposi “Va tutto bene? Mi senti? Mi riconosci?”
“Io …”
Ma l’urlo di mia mamma la interruppe “Un medico! Per l’amor del cielo, un medico!”
“Non è necessario” tossicchiò Dinah “Sto bene, davvero” continuò, mettendosi a sedere. Ma la smorfia di dolore sul suo volto e la ferita al braccio sembravano dire il contrario. Guardai il sangue che colorava di rosso l’intera manica della camicia. Lei seguì il mio sguardo ed alzò le spalle. “Non preoccuparti, principessa. Ho visto di peggio”
Non le credetti, ma conoscevo abbastanza bene Dinah per sapere quanto fosse orgogliosa.
“Esattamente, mio re” disse Nico, riportandomi alla realtà “Non c’è via di fuga. Dobbiamo trovare il modo di resistere a questi ribelli. Ho già calcolato che il castello può sopravvivere a un assedio per quattro giorni, anche cinque e in questo lasso tempo, il resto dell’esercito riuscirebbe a raggiungerci e a quel punto dovremmo riuscire a pareggiare le forze ” Nico parlava velocemente, i suoi occhi si fermavano su ognuno di noi senza guardarci realmente. Sembrava pensare alla velocità della luce. Ogni suo gesto accompagnava un pensiero. Per un attimo, sembrò davvero il miglior stratega di tutti i tempi “Dovrei solo riuscire a trovare un mio uomo molto veloce e un altro capace di convincere la folla a desistere dall’assalto, per stasera. Alcuni di loro sono soldati, bisogna trovare il modo di risvegliare il loro onore. Bisogna che ricordino che non c’è vittoria, se non c’è onore, bisogna che …”
“E a cosa servirebbe?”
Il tono con cui mio padre parlò ci colse di sorpresa. Non era un tono da re, non era il tono di un uomo che ,si diceva, avesse ucciso dieci uomini dei popoli del Nord a mani nude. E le parole che disse non erano le parole di un uomo con il fuoco dentro. “Ci riattaccheranno. Se non stasera, domani, se non domani, dopodomani, ma ci riattaccheranno” Si voltò, un’ombra nello sguardo “Non voglio condannarvi tutti. Chiunque voglia è libero di andarsene, di unirsi a loro” e con un gesto di stizza indicò la mia finestra “Ma io ho combattuto troppe battaglie e ho perso quelle più importanti. Mio fratello mi ha tradito, mia figlia è condannata, ho decimato il mio popolo e là fuori ci sono persone pronte a mettere a ferro e fuoco il mio regno per punirmi, ma io non sarò mai più codardo, mai più” Si voltò verso mia madre e le strinse la mano “Devo saldare i miei debiti, Luce” mormorò “Ho ucciso il mio popolo, mi merito la sua vendetta”
“Ti prego, Severio, no!” Si oppose lei, afferrandogli le mani “Pensa a tuo padre, hai giurato di proteggere per sempre la sua casa, pensa a me! Pensa a tua figlia!” Quelle parole sembrarono catturare la sua attenzione “Pensa a Siena” continuò mia madre “Credi che la risparmierebbero? Credi che la lascerebbero libera solo perché tu ti sei consegnato? E’ l’erede al trono! Severio, se tu ora ci abbandoni, la condanni a morte. La prenderanno, la imprigioneranno, la umilieranno e poi la uccideranno. Ti prego …” mormorò mia madre, scoppiando in singhiozzi “Salva almeno lei”.
Mio padre le accarezzò il viso, asciugandole le lacrime, poi mi guardò.
“Non la abbandonerò” disse infine. E il sollievo che provai mi fece quasi piangere “Ma non posso combattere contro il mio popolo”
Tutti nella stanza si irrigidirono. Mia madre sussultò. “Non vorrai … ”
“Sì” la interruppe il re, recuperando per un attimo la forza che gli apparteneva “E’ l’unica soluzione”
“Mio re” s’intromise Nico, facendo un piccolo inchino “Non credo che sia la scelta migliore. Il passaggio infra-mondo è sempre stato molto instabile ed è molto tempo che nessuno lo usa, non sappiamo cosa potrebbe esserci dall’altra parte e …”
Mio padre lo interruppe con un gesto “Non ho detto che è la scelta migliore, ho detto che è l’unica”.
“Ma …” fece debolmente Dinah, tentando di inchinarsi “Sarebbe comunque un suicidio. La principessa non è pronta, non sarebbe capace di affrontare nessun pericolo da sola …”
“Non sarà da sola” la interruppe mio padre fissandola “E  … per l’amor del cielo! Chiamate un medico” fece rivolgendosi a una cameriera che uscì traballante dalla stanza.
“Come non sarò da sola?” protestai, iniziando a capire ciò a cui tutti erano già arrivati: non sarebbero venuti con me. I miei genitori, mio padre, mia madre, la mia vita. Mi avrebbero lasciata. Per il mio bene. E loro sarebbero rimasti a farsi massacrare. “Padre” lo implorai “Non farmi andare! Non lasciarmi sola! Tienimi qui con te. Non mi interessa di morire, non mi interessa. Non mi lasciate. Voglio rimanere con voi” Mentre parlavo, cercando di nascondere il tremore della mia voce, i miei occhi iniziarono ad offuscarsi. Lacrime calde caddero sul mio viso.
Tutta la mia tristezza si rifletteva in mio padre. “Mi dispiace, piccola” fece abbracciandomi “Non possiamo venire e tu non puoi rimanere. I sovrani possono salvarsi, sai?” fece, abbassandosi fino ad arrivare alla mia altezza “I sovrani, di solito, si salvano. Perché, anche se sono stati stupidi, il popolo si ricorda anche di quando sono stati buoni e giusti. Ma una principessa si salva più difficilmente, perché non ha ancora dato prova del suo valore”
“E allora diteglielo voi!”
Gli occhi di mio padre si fissarono nei miei e mi guardarono intensamente “Ci vuole del tempo. Dobbiamo prima riacquistare la fiducia del popolo. Poi, potremo parlare anche della loro principessa, delle sue doti, di quanto bene potrebbe portare, tornando. Ma non prima, capisci Siena?”
Annuii. Sembrava tutto ragionevole. Tutto giusto. “Quindi non è un addio?” chiesi.
“No, piccola, non lo è” disse lui, abbracciandomi, ma stava piangendo. Non mi mossi. Volevo credere a mio padre, a ciò che mi aveva detto. “Non è un addio” mormorai a voce bassa, assaporando il suono rassicurante di quelle parole “Non è un addio” ripetei cercando di convincermi. Era tutto ciò che mi rimaneva.
Mio padre si rialzò e gettò uno sguardo per la stanza. “Nico, Dinah voi accompagnerete mia figlia”
Se uno di due si stupì di quest’ordine, non lo diede a vedere. “Sì, mio signore” risposero all’unisono.  
Notai, con sollievo, che la ferita di Dinah era stato pulita e medicata e che faceva meno fatica a muoversi.
Mio padre annuì soddisfatto, ma nello stesso istante un rumore sordo riecheggiò per le mura. Udimmo le loro urla ancora prima che entrassero.
“Hanno sfondato le porte” annunciò Nico,  incrociando il mio sguardo. Impallidii. Per un secondo, solo per un secondo, avevo visto una scintilla di paura nei suoi occhi. Nico era il capo delle guardie reali, dei Babbi Natali, come li chiamava il popolo. Era già stato in battaglia, aveva già ucciso, si diceva che con un suo piano di attacco avesse fatto naufragare un’intera flotta nemica. Quelli come lui non potevano avere paura.
“Non è un addio” mi ripetei. Mentre da lontano, udimmo centinaia di persone salire le scale per venirci incontro.
“Andate! Presto!” ordinò mio padre, abbracciandomi un’ultima volta.
“Siena” mi chiamò mia madre “Prendi questo” disse, estraendo un piccolo pugnale da una tasca nascosta nelle gonna “Potrebbe servirti, là dove andrai”
Lo fissai. Aveva l’elsa d’oro e la lama di ferro. “Non è del nostro mondo” sussurrai.
Lei mi strinse forte e mi baciò “Ti voglio bene, piccola” Poi, con ultimo, triste sguardo, mi spinse via.
“Andiamo!” ordinò Nico, afferrandomi per un braccio.
Guardai i miei genitori finché riuscii.
Anche se quello non era un addio, ne aveva decisamente il sapore. E trattenendo le lacrime, iniziai a correre nelle sale del mio palazzo, della mia casa, illuminate a giorno dal fuoco con cui il mio popolo voleva uccidermi.
   
 
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