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Autore: hakkaisan    09/10/2022    1 recensioni
"Non gli era mai successo di desiderare così tanto un po’ di riposo. Quasi mai. Se c’era mai stato un periodo in cui avesse avuto bisogno di una vacanza, era proprio quello."
[...]
"Sam gli aveva rotto le uova nel paniere. Ai suoi occhi aveva calpestato anche uno dei ricordi che conservava gelosamente della rude gentilezza di papà."
[...]
"Quel ragazzo era in grado di toccare i suoi nervi ogni qualvolta non ne sentiva il bisogno e questo, se possibile, lo alterava ancor di più."
Genere: Angst, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: Incest, Spoiler!, Tematiche delicate | Contesto: Settima stagione
Capitoli:
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Sam si era addormentato riverso sul tavolino della camera, esattamente dove Dean l’aveva lasciato. Lo scampanellio di chiavi nella serratura e lo scattare di questa lo ridestarono, ma il suo cervello era sveglio solo a metà e la risultante di quel dormiveglia erano pensieri ansiosi e confusi, che urlavano qualcosa come “alzati e va a cercare Dean!” o “Chiedigli scusa!”

Ma il suo corpo era pesante e cercava disperatamente un po' di ristoro. Stava per sprofondare, il buio dietro le palpebre lo risucchiava, quando udì il clang della maniglia, qualche passo incerto attutito dalla moquette impolverata e dopo diverso tempo una voce che lo tirava via a forza dal -per nulla- dolce sonno:

“Sammy, mettiti a letto, non dormire qui.”

Sam sussurrò il nome di Dean, ancor prima di aprire gli occhi e accertarsi che le sensazioni successive fossero reali: il libro sfilato sotto la guancia e il freddo melaminico lucido del tavolo anni ’90 da due soldi, che ne prendeva il posto, il braccio piegato sotto il mento, formicolante, una mano sulla spalla e una voce nelle orecchie, carezzevoli; quel prendersi cura di lui tanto naturale, quanto familiare.

Sam voleva chiedergli tante di quelle cose. Di non andare via soprattutto; di stare lì con lui e aiutarlo a capire, ancora una volta, cosa stava succedendo a entrambi. E perché.

Sam stava facendo davvero molta fatica a tornare lucido e d’impulso, spinto dall’ansia dei pensieri inconsci, gli sembrò una buona idea, mentre Dean metteva via il bicchiere e la bottiglia di whiskey di terza categoria che aveva consumato prima di crollare, chiedere con la voce impastata di sonno:

“Mi vuoi ancora bene?”

Oh, Dio. Ascoltare la propria voce che implorava pietosa fu come ricevere una scarica di adrenalina dritta in petto con una siringa. Sam ora era più che vigile e attendeva pieno di imbarazzo la risata del fratello, che non arrivò.

Mentre gli voltava le spalle, Dean si bloccò; Sam lo osservò abbassare le spalle, come se un macigno invisibile vi fosse stato spinto sopra. Ebbe la chiara sensazione di avergli fatto male. Forse Sam era salvo e Dean non l’avrebbe preso in giro per il resto dei suoi giorni, o così sembrava, ma lo assalì l’idea di aver fatto di peggio che mettersi in ridicolo.

Dean emise un suono che doveva essere qualcosa di simile a una risata, ma venne fuori strozzata e mentre metteva via quella roba imbevibile che teneva in mano, rispose elusivo, con un’altra domanda canzonatoria: “Sam, Sam, Sam, così grande e grosso, ma non trovi posto per un goccio d’alcol, non ti sarai mica ubriacato con questo schifo?”

Quando gli aveva intimato gentilmente di andare a dormire quello era Dean; questo era soltanto uno stronzo.

Sam rispose subito, umiliato dalla velocità con cui la sua richiesta – forse ingenua, dettata dal sonno agitato e priva di qualsiasi orgoglio, ma tutt’altro che giocosa – era stata accantonata a mo’ di scherzo.

“Ma figurati.” Rispose senza più l’ombra del dormiveglia nella voce. “Se svii il discorso, devo dedurre che ce l’hai ancora con me.” Sam avrebbe voluto mordersi la lingua in tempo, ma se Dean lo provocava il suo cervello doveva rispondere con altrettanta foga, era la prassi.

Stavolta Dean si voltò, poggiandosi a braccia conserte contro il mobile, dicendo con voce controllata:

“Io non ce l’ho con nessuno, Sam. Non ho sei anni.”

Nemmeno Sam era più così giovane, i tempi della ribellione senza causa erano finiti. E lui, sfinito. Abbandonò la nave della provocazione che aveva fatto salpare: non voleva peggiorare le cose, era meglio fermarsi. Sospirò, sollevandosi dalla sedia, quasi sbilanciandosi, ancora insonnolito.

“Scusami.”

Beh almeno una delle cose che l’angoscia gli aveva urlato contro, mentre l’inquietudine del sonno lo rapiva, l’aveva fatta. Voleva trovare il modo di sciogliere quella distanza che Dean stava mettendo tra loro, trovare un rimedio veloce e sicuro. Ma non c’era. Voleva toccare suo fratello, mettergli una mano su una spalla, sul cuore, sentire sotto le dita il famigliare tessuto di quella giacca pesante che si ostinava a portare anche col caldo, per essere certo che non fosse cambiato nulla.

Per sperare che non fosse cambiato nulla tra loro. Ma il suo intuito lo contrariava.

Provò comunque a raggiungerlo, caparbio. Fece un passo incerto verso la credenza dove Dean si era accostato.

Sam sentì distintamente il suono delle sirene d’allarme che urlarono nella mente del fratello a quella vista: Dean gli permise di avvicinarsi entro un certo limite, poi sciolse le braccia e si appoggiò con entrambe sul ripiano della credenza a cui dava le spalle. Rivolse a Sam uno sguardo fugace e subito allontanò gli occhi, con quel mezzo sorriso che appariva e spariva quand’era nervoso, un tic, nel tentativo difensivo di allontanarsi da lui, o di avvertirlo che non era a proprio agio con quello spostamento. Così lo percepì Sam almeno, mentre tagliava i pochi metri che li separavano, pentendosene immediatamente.

Adesso era abbastanza vicino da distinguere esattamente ogni movimento di Dean, per quanto incerto. Continuava a guardarlo in tralice, senza fissarsi su Sam troppo a lungo, puntando poi lo sguardo a terra, mostrandogli il profilo, corrucciato.

Come se Dean avesse paura di lui. Come se avesse capito quello che Sam voleva fare e perché si fosse avvicinato; ma forse, pensò Sam, Dean era stanco, e senza una vera volontà di opporglisi a sostenerlo, si limitava a negargli ogni tentativo di approcciarlo, facendosi indietro. Scappando.

“Dean” Provò a farlo ragionare Sam, ma non seppe che altro aggiungere. Era sopraffatto dall’idea che suo fratello potesse provare qualcosa di simile alla paura, per lui.

Per tutta risposta a quel richiamo, Dean chiuse gli occhi. Sembrava sofferente come se stesse sopportando il dolore sordo e costante di una ferita profonda, ma non letale; troppo forte da tollerare, ma non abbastanza da benedire i suoi nervi con uno shock anestetico.

“Non voglio discutere ancora Sam, va a dormire.” Tagliò corto.

“Nemmeno io…”

“Allora va’.” Il tono non ammetteva repliche. Sam, ferito e incapace di comprendere, si arrese. Si diresse al letto che aveva scelto e vi si infilò senza troppe cerimonie, ancora vestito.

Dean lo imitò solo dopo essersi assicurato che Sam lo avrebbe lasciato stare.

Seduto sul letto per togliersi le scarpe gli arrivò la voce flebile e stanca di Sam: “Non volevo litigare, Dean.”

“Notte” gli fece eco Dean, con un filo di voce, mentre si coricava, spegnendo le luci.

La notte si stava rivelando più complessa da superare del normale. Dean era un gran bugiardo, abituato com’era a mentire per necessità; aveva sviluppato un’ottima poker face e non permetteva a nessuno di scalfire ciò che custodiva dentro, se non voleva. Sam questo lo sapeva benissimo.

Ma questo non valeva se c’era di mezzo Sam. Entrambi ne erano coscienti. Quando si trattava di suo fratello, Dean non governava il proprio viso né le espressioni che, come in un film, vi scorrevano, dipinte ovunque; tutto il volto era una giostra su cui si dispiegava esattamente ogni singolo mutamento di umore.

Quindi ora Sam aveva perso qualsiasi voglia di dormire perché il buio di fronte a sé, sul soffitto, era ricoperto di quella paura che gli aveva letto in faccia minuti prima. Quella vergogna, anche.

Evidentemente Dean lo vedeva come una minaccia.

Ma perché, Dean? Pensò voltandosi verso di lui. Credette di trovarlo addormentato già da un pezzo, presumibilmente dandogli la schiena. La stanza era piombata nel silenzio più assoluto da quando aveva spento le luci, a parte per le macchine che di quando in quando la illuminavano, passando sporadiche.

Ma la luce lontana dei lampioni, che filtrava dalle tende sulla vetrata che affiancava parallela i loro letti, stava tradendo l’ennesimo tentativo di Dean di sottrarsi agli occhi indagatori di Sam, se non altro allenati da una vita allo scopo, da Dean stesso.

Sotto il loro sguardo, abituati a quel filo di illuminazione, il profilo del corpo sotto le coperte si stagliava perfettamente. Era teso e il petto si sollevava in modo irregolare, come se Dean stesse trattenendo il proprio respiro. Sembrava tremare, a tratti.

Giaceva supino e solo il viso era rivolto alla finestra, nascosto alla vista di Sam, ma lui poteva sentirlo: Dean tirava su col naso di quando in quando, sembrava trattenere l’aria tra i denti, la voce in gola che inevitabilmente sfuggiva al suo controllo, seppur impercettibilmente; le mani si aggrappavano al lenzuolo strette a pugno, la luce della luna era una goccia luccicane riflessa sull’anello. Come aveva fatto a non sentirlo prima? Forse la voce nella sua testa era troppo rumorosa, come spesso succedeva.

Dean non stava sognando, era perfettamente sveglio, ma in lotta con sé stesso.

Sam non resistette oltre e con un paio di falcate fu giù dal proprio letto e già su quello del fratello.

Lo prese per le spalle e Dean sussultò, aggrappandosi alle braccia di Sam che lo osservava da sopra e trattenendo a stento qualcosa che non fu nulla piu del mugugno strozzato che provenne dalla sua gola.

“Sam, no.” disse con voce spezzata. Aveva il viso rigato dalle lacrime che brillavano nei suoi grandi occhi e risaltavano scure nelle scie che avevano creato sulle guance.

Sam era stanco di vederlo soffrire così. Sempre sull’orlo della disperazione a stento trattenuta.

Sapeva tante cose. Che Dean era un bravissimo imbroglione perché doveva nascondere la sua vera natura a chiunque e che questo con Sam aveva vita breve; sapeva che avevano passato l’Inferno insieme e che entrambi non ne erano ancora usciti.

Una volta Dean gli aveva proposto uno strizzacervelli, ma la loro situazione era talmente assurda. Non c’era neanche bisogno di dirlo. Ma se fosse stata “normale”? Normale come senza mostri…beh di certo ne avrebbero avuto un gran bisogno. Ma Sam era sicuro che avrebbero continuato ad affrontare la vita come meglio potevano, allo stesso modo di ora, solo col sostegno l’uno dell’altro. Per quanto sbagliato e insalubre fosse.

Dean non voleva parlare? Bene. Sam gli sarebbe stato vicino in un altro modo. Gli aveva già confessato, e non una sola volta, che avrebbe fatto di tutto per lui ed era in grado di portare quella consapevolezza oltre ogni ragionevole limite.

Quella non sarebbe stata la prima volta che toccavano il punto di non ritorno. Quindi adesso Sam doveva spazzare via quella paura insensata che stava divorando suo fratello.

Se Dean temeva per la loro normalità, per loro era già troppo tardi. Anzi non c’era mai stato un “prima”.

Dean era teso da settimane vicino a lui, saltava come una corda di violino e per non far cedere i nervi beveva di continuo. L’aveva visto sorridere sollevato alla notizia del falso caso da parte di Garth e quando Sam aveva proposto di passare le ferie forzate nel loro paese speciale, l’aveva accettata quasi con gratitudine.

Non c’era nulla di strano, chi non avrebbe voluto una pausa dai mostri e la fine del mondo? Certo, ma questo valeva per chi non aveva passato tutta la vita con Dean e non ne riconosceva ogni singola inclinazione nella voce e nell’espressione.

Sam fece due più due. A Dean faceva comodo quella fermata, perché non si fidava di sé stesso e delle proprie capacità, troppo distratto dall’ansia o offuscato dall’alcool per reagire al meglio. Per essere d’aiuto al suo fratellino.

“Sam, che fai? Levati.” Dean lo strappò dalle sue elucubrazioni e prima che potesse sfilarselo di dosso Sam affondò con maggior vigore le mani sulle braccia del fratello piantandolo sul materasso.

Dean si irrigidì e lo fissò con gli occhi spalancati. Sam stava desiderando qualcosa che non era da lui. I suoi pensieri erano spinti da una frustrazione e una violenza che solo Dean gli aveva provocato nella sua vita, solo Dean e loro padre.

Ma se da John aveva preferito fuggire, nel caso di Dean invece il risultato di quei pensieri era un desiderio incontrollabile di tenerlo inchiodato a sé e costringerlo, se necessario, a mostrargli cos’aveva dentro, a mostrargli la propria vulnerabilità. Costringerlo ad aprigli la gabbia toracica e fargli dare un’occhiata per capire se era tutto a posto e in funzione.

Persino a costo di fargli del male.

Dean iniziò a divincolarsi con le gambe, ma non sembrava sicuro nei suoi gesti. Sam riuscì a bloccarlo ancora, con estrema facilità. Adesso gli era addosso con tutto il corpo.

Dean aveva capito perfettamente quello che stava accadendo e nonostante questo, nonostante la paura dipinta sul viso poco prima, adesso non sembrava essere in grado di resistere a quell’attacco silenzioso e letale. Sam continuava a non spiccicare una parola, ma fissava il fratello con una fame negli occhi che Dean aveva potuto leggergli in faccia raramente. Perciò Sam sapeva che l’aveva riconosciuta.

Dean lasciò andare le braccia di Sam e distese le gambe sotto di lui, con un respiro tremante chiuse gli occhi e voltandosi bisbigliò: “Lo sapevo”.

Sam al limite della sopportazione, a quell’ennesimo rifiuto, sbottò: “Mi odi così tanto?”

Si accorse di quanto il suo desiderio li dividesse, ma non gli importava più. Lo voleva così tanto che…Dio, stava davvero pensando di fare una cosa simile a Dean?

Dean lo guardava altrettanto combattuto.

“Dean rispondi! È così?”

“NO! Non ti odio Sam, come-…?“  disse travolto nuovamente da un’ondata di lacrime che si staccavano dalle lunghe ciglia. Tirò su col naso e con le labbra tremanti, riprendendo fiato, continuò:

“Come potrei? Ma io dovevo solo…proteggerti, questo e nient’altro…non dovevo farmi trascinare così. Io sento…Quello che sento…è sbagliato. Cosa direbbero mamma e papà se ci vedessero?”

Sam avrebbe voluto scacciare quel pensiero dalla sua mente più dei ricordi dell’Inferno. Non gli importava cosa avrebbero pensato i suoi genitori, perché tanto non avrebbe cancellato quel sentimento. Ne comprendeva l’inevitabilità. Erano anni che lui e Dean si giravano attorno come galassie pronte a scontrarsi e risucchiarsi a vicenda da un momento all’altro.

Cosa avrebbero mai potuto pensare due genitori di due figli così? Ma quel desiderio era rimasto lì tra loro due, solo nascosto, sotto la pelle, sotto strati di alcool e caccie, e sangue. Ricacciato in fondo, come gli era stato insegnato di fare con le emozioni scomode e ingombranti. Quelle che avrebbero tolto tempo alla vendetta e all’ossessione di non sentirsi inutili, custodendo il peggiore dei segreti.

Ma il peggiore dei segreti era solo questione di prospettive.

“Sarebbero disgustati.” Continuò Dean ignaro di ciò che strisciava, immondo, silenziosamente dentro Sam. “Da me. Ti avevano affidato a me. Dovevo solo tenerti d’occhio, aiutarti a non cadere. Invece ti ho trascinato nello sprofondo e non mi sono opposto quando mi hai cercato. Sono stato io. Io ti ho rovinato, Sammy.”

Sam sentiva il fratello deragliare nella disperazione. Doveva impedirglielo.

“Dean, no. Non dirlo. È questo che pensi?”

Sam era incredulo, anche se conosceva bene quel sentiero. Per quanto ne sapeva suo fratello si era caricato di tutte le colpe possibili e impossibili, anche quelle di mamma e papà. Per questo fuggiva. Perciò era fuggito quando Sam aveva tirato fuori i discorsi su papà quella stessa sera e fuggiva di nuovo, adesso. Doveva aiutarlo a sentirsi meno solo. Meno responsabile della loro contorta perversione. Potevano dividerla in due, come facevano sempre con tutto lo schifo che li circondava.

“Lo voglio anch’io, Dean, che ti piaccia o meno.”

Dean gli parlò sopra, il collo teso nel tentativo di non urlare le parole che stava vomitando a denti stretti “No, Sam io sono il più grande, sono il più grande dannazione! Dovevo impedirlo! Dovevo essere capace di-“

Sam lo spinse contro il letto, immobilizzandolo ancora una volta. Così Dean si calmò: Sam sapeva che diventava più docile e incline a cedere, se gli mostrava un po' di forza. E non aveva paura di usarla.

Dean lo fissò con quei dannatissimi occhi sbarrati da cervo spaventato. Poi sospirò rabbrividendo, come se fosse obbligato all’inesorabile “Sammy…” lo implorò, corrugando la fronte.

Nonostante tutto Sam fu scosso da quel richiamo, la cui tenerezza sciolse le dita che mordevano le spalle del fratello. Sospirò di rimando “Non lo capisci? È troppo tardi, Dean”. Un lieve sorriso rassegnato, a suggellare quell’ineluttabilità, che però erano in due a dover attraversare, fu tutto quello che Sam aveva da offrire a suo fratello.

Fratello. Per descrivere Dean, quella definizione non gli era mai sembrata tanto riduttiva come ora. Niente avrebbe mai potuto incasellarlo correttamente.

Si lanciarono un ultimo sguardo triste e colmo di quel desiderio tanto tormentato. Dean sembrava essere appena stato colpito da una lancia dritta al petto e Sam perse un battito a quella vista, gli si strinse il cuore, come se quella stessa lancia per arrivare al fratello avesse attraversato anche lui e ora li legasse fatalmente.

A quel punto Sam smise di pensare: si lanciò sulle labbra carnose di Dean e come per contrappasso iniziò a torturare il torturatore, azzannando e suggendo la pelle, come scavando alla ricerca del peso che opprimeva Dean, seppellito dentro come un tesoro, per liberarlo, a morsi se necessario. Tenendogli le braccia sollevate sulla testa con una mano, e percorrendo con l’altra la lunghezza del corpo robusto sotto di lui, gli strappava dei versi sorpresi che lo infiammavano. Dean lo ricambiava lentamente, preso alla sprovvista da quella foga; tentava piuttosto di riprendere aria e svincolarsi da quell’assalto, “Sam, aspetta…piano.” Chiedeva, tra un morso e l’altro, per poi venire ricatturato e zittito.

Sam gli lasciò le labbra che immaginò nella penombra che appiattiva i colori, gonfie e rosse, forse appena graffiate in qualche punto dove era stato meno indulgente. Scese sul collo che Dean gli mostrò senza esitare troppo, emettendo un gemito gutturale, e senza dargli tregua, come un vampiro che volesse cibarsi delle pulsanti vene, si fece strada tra i fasci di nervi e le fibre dei tendini. Lo morse più di una volta e dovette trattenersi dall’andare oltre, solo grazie alle urla che Dean tratteneva in gola. Dean era suo. Solo suo.

Il fratello maggiore non si tirava più indietro e Sam aveva abbandonato quello che apparentemente era quasi un tentativo di divorare vivo Dean e si era calmato, scendendo con la bocca sul suo petto e sull’addome, sciogliendo così le rigidità che lui stesso aveva provocato. Gli aveva impazientemente tirato su la maglia, producendo ansiti e contorcimenti. Una volta gettata la spugna Dean tendeva a concedersi quasi completamente al potere dell’altro; sembrava così anche ora. Sam decise di manipolare Dean in quella direzione per il proprio piacere, ed evidentemente anche per quello del fratello.

Non era la loro prima volta nella tana del Bianconiglio, ma non erano mai stati tanto sbilanciati, uno nella fame quanto l’altro nel bisogno. Si erano cercati con curiosità, avevano reso la loro ricerca un intreccio più simile a una lotta. Erano sempre stati pari, si tenevano testa e nonostante l’ubriacatura, il desiderio non li portava al collasso. Erano sempre entrati nella tana tenendosi per mano, ma Sam si fermava prima di precipitare e Dean non chiedeva di proseguire oltre.

Ma non bastava più.

Quando Sam arrivò ai pantaloni, Dean si liberò dalla sua stretta – che in fondo non era così forte –  e lo bloccò, con le mani sulle spalle. Non formulò parole di senso compiuto, mugolò un “Fermati!” appena accennato, intimato più con lo sguardo – di nuovo sbigottito dall’ansia e dall’aspettativa di quello che sarebbe successo.

Sam lo sentiva stringere spasmodicamente le mani su di sé. Per tutta risposta si sollevò su Dean sciogliendosi dalla sua presa e dalla maglietta di cotone leggero che portava, simile a quella del fratello, che sotto di lui aveva ancora l’aria scombussolata per via del disordine che Sam stesso aveva provocato.

I gesti di Sam erano nervosi, inquieti, semplicemente affamati. Più di una volta fece quasi fatica a tirar via il tessuto dalla propria pelle e da quella di Dean. Voleva sentirlo vicino e stringerglisi addosso, talmente tanto da schiacciarlo dentro sé per diventare una cosa sola, rendendo i vestiti una barriera insopportabile al suo tatto, in quel momento. Riuscì in parte nel proprio intento: entrambi erano rimasti solo con i boxer e Dean ancora una volta gli aveva permesso di proseguire.

Più lentamente di quanto avrebbe desiderato Sam. A piccoli, ma inesorabili passi; ma il fratello maggiore stava solo rimandando l’inevitabile. Se era quello che gli premeva, allora Sam era magnanimo nel concederglielo, tanto avrebbe comunque raggiunto l’obiettivo che la sua mente ormai aveva progettato. Gliel’aveva detto, quindi lo sapeva: era troppo tardi.

Sam scese ancora e ancora sulle labbra di Dean finché, vinto, questo iniziò a ricambiarlo con maggiore convinzione: schiudendosi quel tanto che bastava con le labbra e di rimando anche col corpo, inarcando il collo, la schiena, protendendosi verso di lui e manifestando la stessa bramosia di Sam, di un contatto che avrebbe dovuto scuoterli dalla loro immobilità, della pelle sulla pelle.

Finalmente. Pensò Sam.

Ma avevano appena iniziato e Sam non voleva chiedere oltre il permesso a Dean di poterlo violare ancor di più. Voleva sentire distruggersi le colpe che entrambi sentivano l’uno per l’altro sui loro corpi, come i flutti del mare sulle scogliere. Masse d’acqua potenti che morivano in schianti terribili, disintegrate nell’atmosfera. Voleva uccidere Dean e sé stesso con un atto d’amore talmente osceno, che con quello che sarebbe rimasto, avrebbero dovuto giocoforza costruire qualcosa di completamente nuovo.

Cos’erano le loro vite se non un caduceo di Eros e Thanatos? Due serpi che li stritolavano aggrovigliate attorno alla sola anima che dividevano.

Sam, forte della nuova piega che prendeva l’atmosfera, si fece di nuovo avanti e scese con la bocca sul basso ventre di Dean, senza dare spazio ad altre esitazioni; lo liberò dei boxer quanto gli bastava per torturarlo di baci e con la lingua, nei punti più sensibili che poteva riconoscere, a seconda dei gemiti che uscivano dal corpo sotto di lui. Era come guidare a occhi chiusi: avrebbe trovato la strada giusta solo basandosi sul dolce suono che otteneva ogni volta che centrava una via.

Sam lo sentiva completamente assorto nel piacere e solo allora lo fece sparire nella sua bocca in tutta la sua lunghezza. Dean emise un ansito strozzato che stava per liberarsi in un suono ben più pronunciato, ma Sam lo zittì con una mano sulla bocca. Quando fu sicuro che non avrebbe urlato, cominciò a muoversi e Dean si aggrappò al braccio teso su di lui che lo placava. Stavolta nel Motel sapevano che si trattava di due fratelli, con nomi falsi ovviamente, ma questo non cambiava lo scandalo che ne sarebbe derivato se si fosse sentito l’ansimare di Dean in tutto il suo potenziale.

Sam sapeva dove voleva arrivare: quando spostò le dita sulla bocca di Dean per riprodurre l’azione che si stava svolgendo più in basso, quello non si oppose. Sam conosceva la sensazione che provocava un tale gesto in quel contesto e far scivolare Dean nell’incapacità di pensare era proprio quello che cercava.

Quando tirò fuori le dita, Dean lo seguì e prima di lasciarlo lo agguantò coi denti, senza stringere troppo. Anche Sam si staccò dal corpo del fratello e sorrise soddisfatto a quella vista: gli aveva tolto il conforto che davano pressione e pienezza e Dean aveva abbassato tanto le sue difese da mostrargli la sua insoddisfazione. Sam riprese subito quello che aveva appena lasciato, ma stavolta si infilò con la mano tra le cosce di Dean, costringendolo a sollevarsi con un leggero colpo di reni.

Dean si inarcò scosso da un brivido, per via della forzatura repentina all’interno del caldo e umido accesso tra le labbra di Sam dopo esserne appena uscito e non si rese subito conto che il fratello stava provando a violarlo altrove.

Le dita bagnate si muovevano massaggiando e Sam si staccò definitivamente col viso dal ventre di Dean per tornare all’altezza del suo volto, schiacciandolo col proprio peso. Dean sollevò le ginocchia di scatto accorgendosi di ciò che stava realmente accadendo tra le sue gambe e aggrappandosi al collo di Sam con un braccio, lo colpì con l’altro a pungo stretto sulla schiena.

“SAM!”

Ci fu quasi una breve lotta: Dean lo allontanò facendosi leva tra loro con un gomito, mentre Sam gli immobilizzava l’altro braccio sulla testa, senza alcuna intenzione di spostare la mano intrusa. Sentiva Dean sotto di lui teso, la schiena arcuata, come in bilico sulla punta di una spada. Non scappava, ma non riusciva a lasciarsi andare, ancora. Con la fronte aggrottata, si voltò affondando a metà nel cuscino sotto di lui, ansante.

“Hey, Dean, calmo. Non ti faccio niente.”

Dean si girò a fronteggiare Sam di scatto trattenendo un respiro, lo sguardo duro e sdegnoso di chi non si sarebbe bevuto quella frase nemmeno se fosse venuta da Dio in persona; sollevò un sopracciglio e Sam nella sua mente lo sentì fare una delle sue solite pungenti controbattute, possibilmente infarcite di qualche citazione assurda, rubata da un qualsiasi film anni ’90. In realtà non aveva spiccicato una parola.

Sam non riuscì a trattenere una risata immaginando involontariamente Dean che citava The Mask. Per cercare di trattenerla affondò il viso nell’incavo del collo di Dean, ma ottenne solo di fargli il solletico con il suo sorriso che si muoveva spasmodico e con i capelli, provocandogli solo un gran fastidio; per tutta risposta quello gli batté una mano sulle spalle per allontanarlo da sé.

“Cosa c’è? Idiota…” disse, il tono visibilmente sollevato.

Sam lo fissò tra le risa, quasi non riuscì a formulare la frase per intero.

“Niente. Mi è tornata in mente quella volta che hai detto ‘Mi sono freddato da solo’ a quei poliziotti che ci puntavano le pistole addosso.”  

“Ma che diavolo di momento sarebbe da ricordare…? Comunque è stata colpa loro, hanno iniziato loro con le citazioni cretine e lo sai che si risponde sempre alle citazioni cretine.”

Sam lo vide concedergli un sorriso di sbieco e gli si scaldò il cuore.

Dean guardò altrove, reso consapevole di sé stesso da Sam che lo fissava nel buio. Sam se ne accorse e non fece nulla per rendergli la cosa più facile, anzi traeva soddisfazione nella ritrosia del fratello, che aggiunse, portando avanti la facciata da spaccone, tradito dalla voce incerta “Chi diavolo è che dice davvero ‘Fermi o vi freddo?’”

“I poliziotti, Dean.” rispose prontamente Sam prendendolo in giro.

“’I poliziotti, Dean.’” lo scimmiottò il fratello. “Nella vita reale?”

Sam scoppiò di nuovo a ridere e Dean stavolta lo seguì, non troppo convinto, se non altro influenzato dalla sua stessa ilarità. Si fissarono entrambi stavolta, sorridendo. Un nodo di tensione si era sciolto come neve sotto il calore di quella sciocchezza. Un altro minacciava di formarsi: Dean tornò serio perché Sam adesso aveva brutalmente messo da parte quella tregua e nuovamente si concentrava su ciò che c’era sotto di lui. La pelle tornava sensibile; se ne accorsero entrambi. Sam accarezzava col proprio ventre il corpo di Dean in un contatto che voleva essere rilassante, ma stava avendo l’effetto opposto: le labbra schiuse, il respiro sempre più rumoroso e lo stringersi della carne in quelle mani che volevano riempirsi di lui, come quando da bambino Dean gli aveva insegnato a rubare della frutta dall’albero di un vicino. Più in fretta che puoi e non farti vedere.

Dean gli aveva insegnato a essere avido.

Sam gli strinse le guance nella morsa di una mano per costringere Dean a fissarlo, perché si era agitato di nuovo e aveva spostato lo sguardo: sentiva la minaccia della passione premergli pulsante il ventre e lo stomaco, Sam lo vedeva contorcersi lievemente, irrequieto. Seppure impossibilitato a divincolarsi, col resto del corpo intrappolato sotto Sam, Dean contrastava la presa del fratello minore con la propria, tenendogli quanto più poteva fermi i polsi. La bocca contratta e i denti scoperti, forzava l’aria che inspirava e buttava fuori rumorosamente, come un toro sull’orlo della ferocia.

Bloccati in quella posizione, si studiarono.

Sam vide i suoi occhi, raramente così seri, esaltati in rilievo in modo innaturale, dalla luce che li colpiva radente, filtrata attraverso le iridi. Tirava fuori un verde così pallido da sembrare grigio. Gli occhi di un animale fiero e selvaggio che Sam aveva appena catturato a mani nude e teneva stretto nelle sue grinfie, contro cui doveva lottare con la fermezza di tutti i suoi muscoli per tenerlo a bada e che lo fissava con quella mistura di ferocia e paura, che solo la natura ferale del suo istinto poteva donargli.

La marea montante dentro Sam rifluì per un solo istante, ma fu abbastanza. Quella morsa attorno al viso del fratello maggiore si aprì e si trasformò: lo accarezzò, quasi in adorazione, contemplando con le dita ogni centimetro del percorso. Dalla fronte alla linea del sopracciglio che incorniciava l’occhio, sfiorandone le lunghe ciglia, che sbattendo istintivamente, le solleticarono come piume; fino allo zigomo prominente, sfiorando i lineamenti e la barba ruvida che ricresceva da pochi giorni, con le nocche per raggiungere le labbra; indugiando sul labbro inferiore, schiacciandolo leggermente col pollice, nel tentativo di imprimere una firma, un segno. Dean lo lasciò fare e deglutì, senza riuscire a staccare gli occhi da Sam, adesso.

“Oh, Dean…”

Sam non poté fare a meno di provare ancora e ancora solo un forte affetto per il fratello maggiore, come ogni volta che finiva per fargli del male; non gli chiese scusa con la voce, ma vide che Dean rispondeva a quel richiamo come se l’avesse fatto, calmo sotto di lui. Sam si rannicchiò contro il suo petto. Lo voleva ancora con violenza e se ne vergognò.

Non seppe se fosse stato a causa sua, del tono misero della sua voce - del suo “sguardo da cucciolo” come Dean lo nominava sempre – consapevole che fosse un punto debole per chi incontrasse Sam, proprio perché lo era per lui – ma Dean si trasformò insieme a quella carezza.

Si mosse per cercare il viso di Sam, che si allontanò istintivamente dal petto del fratello, seguendone il movimento. Dean aveva preso la sua mano, la stringeva a sé. Controllando il respiro, chiuse la bocca e vi portò il palmo aperto di Sam, ora docile, per baciarlo, trattenendolo a sé più a lungo dello spazio di un semplice bacio. Sam lo guardò inspirare il forte odore che stava riempiendo tutta la stanza. Odore di pelle, baci umidi, dei vestiti usati, di sapone e di tutto il sangue e la morte che aveva lavato loro di dosso.

Dean poi lo guardò, risoluto. Pose il palmo di Sam aperto sul proprio cuore, coprendolo con la sinistra. Con la destra, esitante, ricambiò la tenerezza di poco prima, ripercorrendo a sua volta il viso del fratello minore, senza tralasciare che le dita si infilassero tra i capelli morbidi, scendendo poi sul collo. Il pollice, teso sulla gola, tagliò dritto la cresta del pomo d’Adamo e della trachea, finì nell’incavo del collo e seguì la mano sull’altra metà di quello che era, a tutti gli effetti, anche il suo cuore, che pulsava nel petto di Sam furioso, come un battente che colpiva insistente su una porta.

In quella posizione Dean lo guardava eloquente. Adesso erano uniti.

Sam ne fu sopraffatto: pronunciò il nome del fratello con un sollievo mai provato nel vederlo così vivo, incastrato sotto di lui. Dean sollevò il mento, fiero, ma pieno di paura, come pronto a lanciarsi in guerra. “È tutto ok, Sammy”. Tremava, ma aveva trovato abbastanza coraggio, per entrambi.

Dopotutto Sam non poteva fare tutto da solo. Non riusciva.

No. Non voleva.

Dopotutto aveva bisogno che Dean fosse con lui, che gli desse il permesso. Così Dean lo tirò ancora un altro po' sull’orlo del precipizio, nella tana del Bianconiglio: gli mostrò un nuovo cangiante colore nella sua espressione. Sam l’aveva visto così rarissimamente e nessuna di quelle volte avrebbe voluto.   Ma quando si trattava di loro due, tutto si capovolgeva, come nel Paese delle Meraviglie.

Abbandono. Negli occhi di Dean, nella bocca, nel petto e nel resto del corpo, c’era puro abbandono. Faceva così quando era costretto a prendere una decisione che l’avrebbe ucciso. Quando abbracciava quel destino perché qualcos’altro era sempre più importante della propria vita.

Faceva così quando voleva morire. Quando si donava in sacrificio.

Ma non era costrizione, schiavitù, né rassegnazione. Era desiderio d’amare e di essere amati. Era una morte dolcissima.

Era immorale.

Malato.

Ed erano soltanto loro due.

*******


 

 

 

 

 

 

 

 

 

Hush
 It's okay
 Dry your eye
 Dry your eye
 Soul mate dry your eye
 Dry your eye
 Soul mate dry your eye
 Cause soul mates never die

 

This one world vision
 Turns us in to compromise

 
What good's religion
 When it's each other we despise


 

Sleeping with ghosts

Sleeping with ghosts, Placebo

 

 

 

 

 

  
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