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Autore: My Pride    12/10/2022    1 recensioni
Non ricordava bene che cosa avesse sognato, ma gli aveva lasciato nel petto una strana sensazione opprimente. Sprazzi di immagini si accavallavano le une alle altre, volti sconosciuti gli sorridevano e sfumavano in mezzo a nuvole dorate, mentre enormi colonne bianche si crepavano e collassavano improvvisamente su loro stesse, creando polveroni che inghiottivano quello strano mondo; grida di terrore si mescolavano con urla di battaglia, ordini su ordini echeggiavano nella sua testa in una lingua che a stento capiva, e calde dita si intrecciavano alle sue, stringendo con forza le sue mani mentre qualcuno gli sussurrava parole d'amore e lo guardava con profondi occhi verdi velati di pianto.
“Tra cent'anni, mio amato... ci rivedremo tra cent'anni”.
Genere: Hurt/Comfort, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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No matter how life_2 Titolo: No matter how life turns around (I'll see you again)
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot (divisa in tre atti) [ 10274 parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi: 
Jonathan Samuel Kent, Damian Wayne, Vari ed eventuali
Rating: Giallo
Genere:
Generale, Sentimentale, Malinconico, Azione
Avvertimenti: What if?, Slash, AU, Hurt/Comfort
Vorrei incontrarti tra 100 anni challenge: 50. Battito cardiaco || 177. Esame || 63. Contadino (Tipologia 4: Incontrarsi in un altro contesto storico/sociale (AU) + Reincarnation AU)
Take your business elsewhere Challenge: 9. Di mezzo c'è un segreto || 17. Personaggio X non è umano || 28. Uno specchio || 34. Y non è mai stato così vicino a X || 39. Stupire
200 summer prompts: Balliamo || Segreto || Personaggio X vuole esserci



SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
 
ATTO DUE. PRATI DI ASFODELO

    Era passato un mese dal suo primo incontro con Damian e, per quanto nelle ultime settimane si fossero divertiti, quei sogni – ormai incubi – non avevano smesso di tormentare Jon.

    Ogni notte si facevano sempre più vividi, le nuvole dorate diventavano ammassi voluminosi che ricordavano antiche case, le colonne diventavano sempre più alte e gli abitanti di quel luogo da sogno figure sempre meno spettrali, ma c’era sempre e solo una costante, quegli occhi verdi e languidi colmi di lacrime. Di chi erano? Per chi piangeva quel ragazzo? Jon non riusciva a riposare come avrebbe voluto e si svegliava sempre più stanco, senza più riconoscere la sua immagine riflessa nello specchio. Quel mattino non era andata meglio, e le occhiaie erano così profonde, mentre osservava il suo riflesso nello specchio del bagno, che decise di rimanere a casa nel tentativo di riposare almeno un po’. Avrebbe dovuto dare l’ultimo esame il prossimo mese, ma in quelle condizioni non sarebbe riuscito a fare niente, figurarsi a studiare. Così chiamò i suoi amici e disse loro che stava male e che non sarebbe passato in biblioteca, facendosi una lunga doccia per schiarire i pensieri e rilassarsi.

    Fu mentre si stava lavando, però, che un paio d’occhi verdi si affacciarono nuovamente nella sua mente e Jon si portò una mano a coppa fra le gambe, rendendosi conto di ciò che stava per fare appena in tempo. Oh. Oh, Cristo. Stava per masturbarsi pensando a Damian? Perché, sì, era inutile girarci intorno: sognava degli occhi verdi da un mese, ma era ovvio che quelli che lo facessero impazzire erano gli occhi verdi di Damian e che fossero anni che non si sentiva così vicino a qualcuno come con lui. Com’era strana la vita, certe volte.

    Picchiettò la fronte contro il muro e si diede mentalmente dello stupido – prima o poi si sarebbe fatto venire una commozione – mentre borbottava tra sé e sé, cercando di scuotersi e di lavarsi e basta. Rimase sotto il getto scrosciante della doccia per quelle che gli parvero ore, lo sguardo fisso sul piatto e sui suoi piedi per osservare l'acqua che veniva inghiottita dallo scarico, con i palmi contro il muro e i capelli che gli si incollavano il viso in ciocche completamente zuppe. Il dormire poco gli aveva fatto peggiorare il mal di testa che aveva da giorni e aveva pensato che una doccia l'avrebbe rilassato un po', ma si era maledettamente sbagliato. Così, una volta asciugatosi e infilatosi giusto un paio di pantaloni, riacchiappò il suo cellulare e si gettò sul divano, indugiando nel fissare lo schermo. Avrebbe dovuto chiamare Alan? Dirgli davvero che avrebbe saltato l'incontro solo? Non lo sapeva, ma si sentiva piuttosto fiacco e non aveva davvero voglia di vedere nessuno.

    Stava quasi per cercare il numero dell'amico quando il cellulare squillò e lui per poco non saltò dal divano come un idiota, acchiappando quel maledetto telefono che era quasi scivolato via dalle sue mani solo per notare l'ID chiamante e sospirare. Kathy. Aveva un sesto senso per quelle cose oppure era soltanto una sua impressione?

    «Ehi», rispose al terzo squillo, e subito gli giunse alle orecchie la replica indignata dell'amica.

    «Non dirmi “Ehi”, Jonno». La voce di Kathy suonava abbastanza stanca e, mentre lei tratteneva uno sbadiglio, Jon sentì qualche brusio di sottofondo. «Dove sei? Io e i ragazzi ti aspettiamo da un'ora».

    Un'ora? Ma che diavolo...? «Un'ora?» ripeté ad alta voce, e Kathy sbuffò ilare.

    «Beh, ben svegliato, bell'addormentato».

    «Gh, non prendermi in giro, sono troppo stanco per risponderti a tono e con lucidità».

    «Oh... qualcuno ha fatto le ore piccole?» Jon non poté vederla ma, dalla risatina che le scappò, fu sicuro che Kathy stesse sorridendo come non mai. «Magari con quel ragazzo di cui ha parlato tanto fino alla nausea?» Schioccò la lingua, imitando il rumore di un bacio e poi qualcos'altro di molto più osceno risucchiando l'aria, cosa che fece arrossire Jon fino alla punta delle orecchie.

    «Cosa?! No!» esclamò a voce un po' troppo alta e troppo in fretta, e Kathy scoppiò in una fragorosa risata.

    «Rilassati, Johnny! Stavo soltanto scherzando!»

    «Ehi, Kathy, di' a quel Casanova di portare qui le chiappe se ha passato la nottata a scopare!»

    Alle parole di Alan, urlate così forte che poté sentirle perfettamente nonostante fosse dall'altro capo del telefono, Jon provò l'impulso di seppellire la testa nei cuscini del divano e nascondersi fino alla fine dell'anno scolatico. Odiava i suoi amici e le loro supposizioni, dannazione a lui e al fatto che avesse parlato loro di Damian.

    «Non ci ho combinato niente, idioti», borbottò arreso, passandosi una mano sulla faccia. «A stento ci siamo baciati».

    «Come no, frequenti un tipo per un mese e nemmeno lo baci. Cos'è, aspettate il matrimonio?»

    Avrebbe strozzato Kathy e la sua ironia, parola sua. «Ci sentiamo, Kat», tagliò corto Jon con un brontolio, ma l'amica lo frenò con una sequela cantilenante di “No, no, no” alla quale Jon sbuffò. «Senti, non ho dormito bene e credo di avere la febbre. Tutto qui». Dal ricevitore sentì un suono, una specie di mormorio di disapprovazione, poi qualche rumore come se Kathy si fosse allontanata e infine un sospiro.

    «Ancora quegli strani sogni?» domandò sottovoce, e Jon esitò. Kathy era l'unica a sapere degli incubi che faceva, anche se non raccontata tutti i dettagli per non farla preoccupare troppo. Inoltre neanche lui sapeva dare una vera e propria spiegazione a ciò che sognava e a volte a stento li ricordava, quindi non avrebbe potuto farlo comunque nemmeno volendo. Così sospirò e annui, ricordandosi solo dopo attimi di silenzio che Kathy non era lì e non poteva vederlo.

    «A volte», ammise. «Adesso riesco a vederli meglio, ma non capisco comunque cosa vogliano significare».

    «Forse dovresti davvero prendere in considerazione l'idea di andare da un oniromante, Jon».

    Jon storse il naso, arricciando le labbra. «Non mi va di parlare di quello che sogno ad un perfetto sconosciuto, Kathy».

    «Intanto è un mese che non dormi decentemente proprio per colpa di quei sogni, quindi tu cerca di pensarci, okay?»

    La preoccupazione della ragazza era palpabile anche attraverso il cellulare, e Jon sospirò pesantemente, passandosi una mano fra i capelli. «...d'accordo. Salutami i ragazzi, okay? Di' loro che non mi sento bene, ci vediamo domani». Indugiò per un istante, mordendosi il labbro. «Magari potresti accompagnarmi tu da quell'onirocoso».

    «Contaci», replicò, e dalla voce parve più rassicurata. «Cerca di riposare, Jonno».

    «Ci proverò. Ciao, Kathy».

    «Ciao, Jon».
   
    Quando riagganciarono, Jon gettò il cellulare sul divano e spalancò le braccia dietro lo schienale, reclinando la testa all'indietro con un gemito frustrato. Parlarne non lo aveva fatto sentire meglio, ma almeno era riuscito a togliersi in parte il peso che aveva nello stomaco da quando si era svegliato. Odiava dover dar buca ai suoi amici in quel modo e ancor più non riuscire più a seguire il normale ritmo della sua vita, e a lungo andare aveva quasi paura che sarebbe incappato in una crisi nervosa e che il poco sonno che si concedeva avrebbe  finito col farlo delirare. Forse Kathy aveva ragione, doveva proprio decidersi a parlare con qualcuno, ma poteva farlo davvero? Lui stesso a volte si sentiva terrorizzato dai suoi sogni, come avrebbe potuto raccontarli ad uno sconosciuto che, in base ad essi, avrebbe giudicato anche la sua psiche? Non l'aveva nemmeno accennato ai suoi genitori, dannazione! Persino suo fratello Conner era completamente all'oscuro della cosa, e a Conner aveva raccontato letteralmente di tutto, persino della sua scappatella con la sua amica Georgia quando aveva quindici anni e del terrore che aveva avuto nel credere che l'avesse messa incinta.

    Sì, forse potrei provare, si disse comunque, allungando pigramente un braccio per afferrare il telecomando e cominciare a fare zapping; a quell'ora non c'era granché da vedere, così mise semplicemente il canale dei cartoni animati e lasciò che i Looney Tunes riempissero il soggiorno con le loro voci squillanti e le loro situazioni al limite dell'assurdo, giusto per avere un po' di compagnia e distrarsi dai sogni che gli avevano rimescolato la testa. Non seppe quanto tempo passò lì seduto a vegetare, sdraiandosi poco dopo solo per sprimacciare il cuscino e alzare un po' il volume, lo sguardo fisso sullo schermo della tv e l'aria a dir poco annoiata.

    Nemmeno si accorse di essersi addormentato, ad un certo punto. Qualcuno nella sua testa urlò a squarciagola un nome e Jon vomitò al lato del divano prima ancora di aprire gli occhi, portandosi le dita fra i capelli per stringere le ciocche e urlare, come se ciò potesse aiutarlo a scacciare le orribili immagini che si erano impresse nelle sue retine che schiacciò contro i palmi delle mani. Stavolta l’incubo era stato fin troppo chiaro, e l’aveva terrorizzato: giganti che calpestavano corpi ormai senza vita, colonne divelte e spezzate che erano crollate in mille pezzi in un’enorme spiazzale che un tempo era stato dorato e che si era invece macchiato di sangue, e poi un ragazzo dal volto ancora sfocato, con addosso un’armatura scura e il cappuccio a nascondere gran parte dei capelli, la falce in frantumi quanti le spalline dorate e le vesti logore, che urlava il suo nome – il suo nome? No, un momento, quello che aveva sentito nel dormiveglia non era il suo nome – e cercava di raggiungerlo nonostante la caviglia spezzata, poi qualcosa gli afferrava gli arti e lui aveva appena il tempo di voltarsi indietro solo per vedere uno di quegli enormi Titani strappare la sua carne e dilaniarlo, smembrandolo e divorandolo davanti agli occhi terrorizzati di Thanatos.

    Jon interruppe il filo dei suoi pensieri e sgranò gli occhi, sbirciando il soggiorno attraverso la fessura tra le dita. Chi era Thanatos? Perché quel nome si era fatto largo nella sua mente come se avesse dovuto significare qualcosa? D’accordo, ne sapeva abbastanza di mitologia da rendersi conto che erano nomi di Dei e che Thanatos era considerato dai greci la personificazione della morte, ma questo come lo aiutava a spiegare i suoi incubi? Non lo faceva, ecco come. Conosceva solo in parte la storia di Thanathos, del “dio” arrogante e impulsivo nemico degli umani e mal visto persino dagli altri Dei, ma come avrebbe potuto il padrone del Tartaro, una potenza così meschina e implacabile, piangere la morte di qualcuno quando egli stesso rappresentava la morte? Tutte domande a cui Jon non sapeva rispondere e che gli facevano solo dolere la testa, e si massaggiò le tempie con entrambe le dita mentre si drizzava a sedere sul divano.

    Era tutto così… strano e assurdo, ogni tassello che gli sembrava di trovare si frantumava nelle sue mani solo per aggiungerne un altro più complicato del precedente, e stava cominciando davvero a sentirsi stanco per la situazione che stava vivendo. Anche se adesso aveva almeno un nome, non se ne faceva assolutamente niente quando quel nome accavallava nella sua testa dubbi su dubbi e lo rendeva ancora più confuso di prima.

    Sbuffando, Jon si alzò barcollante e andò in bagno per lavarsi la bocca, afferrando anche lo straccio per dare una ripulita. Fortunatamente aveva fatto sparire il tappeto mesi prima – lo aveva considerato solo un ricettacolo di polvere che lui si scocciava di pulire –, altrimenti gli sarebbe toccato portarlo in tintoria per lavar via tutto il vomito che aveva sporcato il pavimento; storse un po' il naso alla vista e per poco non diede di nuovo di stomaco – era sensibile, d'accordo? Tante persone non resistevano –, ma si diede un contegno e ripulì ogni traccia, passandosi il dorso della mano sulla fronte accaldata. Non aveva fatto chissà quale sforzo, quindi perché si sentiva bruciare? Forse il suo corpo stava cominciando a risentire delle poche energie che riusciva ad accumulare, ma Jon non aveva intenzione di provare a dormire ancora. Sarebbe stato letteralmente inutile. Andò invece in cucina a prepararsi una bella tazza di the – anche se faceva caldo voleva un the, e allora? Non voleva essere giudicato per questo – e si piazzò poi davanti al computer portatile, mollandolo sul tavolino per cominciare la sua ricerca. Ma cosa stava cercando, esattamente? Informazioni su Thanatos? Sul perché facesse quei sogni? Non lo sapeva, ma iniziò una ricerca a tappeto mentre sorseggiava il proprio the al bergamotto, la fronte aggrottata dalla concentrazione e lo stomaco che poco a poco si assestava grazie alla bevanda calda.

    Passò molto probabilmente ore davanti al computer, scartando siti web che davano solo informazioni inutili per cercare invece qualcosa che avrebbe potuto avere senso, e stava quasi per rinunciare quando un articolo catturò la sua attenzione e lui cliccò immediatamente su di esso; le prime righe erano cose che già sapeva, vecchie rimembranze di vecchi racconti di sua zia Diana quando tornava dai suoi viaggi nei siti archeologici di tutta la Grecia, ma ben presto il racconto si fece più intenso, tanto che avvicinò il viso allo schermo.

    «Nei rari ritratti, Thanatos è rappresentato come un giovane alato, spesso in compagnia di suo fratello Ipno. Il suo carattere, secondo il mito, è irruento: egli ama il sangue, la morte e la violenza, ritenuta un potere invincibile. È nemico del genere umano, ma odia anche gli dei». Jon lesse quel paragrafo ad alta voce più e più volte, quasi volesse cercare di imprimerlo bene nella testa mentre si grattava il mento. Ciò che aveva sognato non aveva assolutamente senso, soprattutto se ogni ricerca su internet gli dava sempre lo stesso risultato riguardo Thanatos e la sua storia. «Nella mitologia non ha un mito vero e proprio, ma è presente nei racconti popolari. Esiodo lo descrive come una creatura dal cuore di ferro, visceri di piombo e ali di pipistrello».

    Uno strano brivido corse lungo la sua schiena e Jon si gettò automaticamente una rapida occhiata alle spalle, scrutando il soggiorno come se avesse la sensazione di essere osservato; aggrottò la fronte e si passò una mano fra i capelli, scuotendo la testa nel darsi dell'idiota subito dopo. Si tratta solo di suggestione, Jon, si disse immediatamente, traendo un lungo sospiro prima di voltarsi di nuovo verso lo schermo del computer e continuare a digitare ricerche su ricerche, deciso più che mai a trovare una spiegazione. Si fermò solo quando trovò l'ennesima pagina che parlava in linea di massima delle stesse cose, ma un paragrafo in particolare colpì Jon, che si sistemò gli occhiali sul naso come se ciò avrebbe potuto aiutarlo a leggere meglio.

    «In altri miti, Thanatos non viene ritratto in modo così implacabile, e viene contrapposto al fratello Ker, simbolo della morte violenta, come rappresentazione della morte in pace».

    Era così concentrato che un rumore improvviso lo fece trasalire e sussultò, voltandosi verso la finestra col cuore in gola; inciampando nei suoi stessi piedi, si affacciò e scrutò il cielo, cercando di scorgere l'ombra scura che gli era parso di vedere quando era corso fin lì; per quanto stesse calando il tramonto, quell'ombra era sembrata ben più di un comune uccello che si librava là fuori, aveva avuto come l'impressione di vedere grosse ali di pipistrello sbattere davanti ai vetri socchiusi, uno strano rumore di cuoio rilegato e il possente spostamento d'aria che aveva fatto gonfiare le tende, eppure non c'era assolutamente niente là fuori. Forse il poco sonno e la stanchezza stavano iniziando a fargli immaginare fin troppe cose, e i racconti che stava leggendo di certo non aiutavano la sua paranoia.

    Il suono di una notifica su Instagram lo distrasse dai suoi pensieri e, afferrando al volo il cellulare, sorrise un po’ alla vista del nome di Damian tra i messaggi privati. Si erano seguiti a vicenda praticamente lo stesso giorno in cui si erano conosciuti e di tanto in tanto Jon sbirciava tra le sue storie e i suoi post – per lo più aveva foto dei suoi animali, un alano e un gatto dal pelo nero che sembrava un piccolo maggiordomo –, ma avevano anche passato il tempo a messaggi are quando trovavano un momento per farlo; era strano come Damian riuscisse a tranquillizzarlo pur non essendo lì, soprattutto tenendo conto di quanto fosse sembrato stupido e impacciato in sua compagnia durante i primi giorni in cui si erano visti. Non si stavano esattamente frequentando, ma a Jon di certo non dispiaceva passare del tempo in sua compagnia e non sarebbe stato male nemmeno uscire a vedere un film o… d’accordo, doveva frenare un attimo. Un paio di uscite erano da considerare un appuntamento? Sì, lo erano di certo. Jon si diede dell’idiota e aprì il messaggio, sorridendo se possibile ancora di più.

    “Ciao, Jonathan. Mi chiedevo se fossi libero domani”.

    Jon ridacchiò. Quale ventenne era così formale anche quando scriveva un messaggio su Instagram? Avrebbe quasi voluto prenderlo in giro, ma aveva già l’umore sotto le scarpe senza che il suo stupido lato sarcastico si mettesse a punzecchiare Damian che, sì, a parte i messaggi formali era stato persino gentile per i suoi standard. Jon in quel mese aveva imparato che Damian sapeva essere piuttosto arrogante e saccente quando voleva aver ragione a tutti i costi, impressione data anche dallo snobismo che permeava tutto il suo essere. Eppure Jon aveva capito che quella era solo una facciata per tenersi dentro ciò che provava.

    “Ehi, D. Ho un po’ di febbre, ti faccio sapere”.

    La risposta non tardò ad arrivare, quasi avesse guardato per tutto il tempo il cellulare. “Hai bisogno di qualcosa? Posso essere lì in mezz’ora, quaranta minuti”.

    Quanto accidenti era carino quel ragazzo, quel giorno? “Tranquillo, un’aspirina e un po’ di sonno e starò alla grande”.

    “Mhn, se lo dici tu. Questo succede perché dormi in mutande”.

    D’accordo, Jon si rimangiava tutto quello che aveva detto. Damian era lo stesso idiota che aveva conosciuto in quel mese. “E tu che diavolo ne sai che dormo in mutande?

    “Grazie per averlo confermato. Prendi qualcosa e va’ a dormire”.

    “…ti odio, D”.

    “Felice di sentirlo”.

    Jon indugiò un po’ su cosa scrivere, cancellando più e più volte messaggi che avrebbero potuto sembrare provocanti – “Ho cambiato idea, vieni a curarmi tu”, “Sai cosa, forse ho bisogno di un infermiere” – o addirittura pessime frasi di abbordaggio mentre tornava seduto davanti al computer, ma Damian fu più svelto di lui.

    “Guarda che stavo scherzando”, scrisse, e Jon per poco non scoppiò a ridere. Oh, accidenti, aveva davvero pensato…

    “Non ti stavo evitando”.

    “Oh, sei vivo. Sembrava il contrario”.

    “Volevo scrivere una battuta stupida, ma forse il mio cervello è troppo sciolto dalla febbre per funzionare come si deve”.

    “Dormi, Jonathan. Ci vediamo quando starai meglio”.

    “Voglio davvero uscire con te”.

    Oh, dannazione, l’aveva inviato davvero e non aveva fatto in tempo a cancellarlo che Damian l’aveva già letto, tanto che in quei pochi secondi che passò nel vedere che stava digitando qualcosa quasi gli si mozzò il fiato nel petto.

    “Felice di saperlo
😉” scrisse stavolta, e Jon si passò una mano davanti al viso arrossato nel rendersi conto che Damian aveva persino usato un’emoji. Va bene, sarebbe morto di vergogna e di lui avrebbero ricordato che faceva strani sogni e ricerche su déi greci.

    “Sarà meglio che dorma ciao” rispose in fretta, gemendo quando gli arrivò l’emoji di una faccina divertita e un “Buonanotte” da parte di Damian. Figure dell’idiota ne aveva? Perché ne aveva appena fatte parecchie uva dietro l’altra, quindi tornò a concentrarsi sulle sue ricerche per scacciare l’imbarazzo della situazione.

    La sensazione di oppressione al petto tornò mezz’ora dopo, quando ormai la vergogna era scemata e lui aveva sentito la testa ribollire di domande su domande e girare vorticosamente, dolente; faticava a tenere gli occhi aperti e gli sembrava che stessero letteralmente bruciando, tanto che finì con l’appisolarsi per un istante proprio sulla tastiera. Stavolta gli sembrò di camminare su una nuvola, lo strano odore di zolfo sfumò e si mescolò con quello dei fiori e lui si guardò intorno per cercare di capire cosa stesse succedendo, dato che aveva come l’impressione di star letteralmente vivendo il sogno; non c’erano colonne, non c’erano altre persone all’infuori di lui se non ombre lontane, i suoi piedi nudi affondavano nel terreno e le sue dita sfioravano i petali di quel prato di asfodeli, donandogli pace; aveva la testa leggera e le sue vesti leggere si muovevano pigramente alla piacevole brezza che trasportava con sé una moltitudine di profumi, pollini e petali, soffi di zefiro che carezzavano le narici e placavano l’animo, tutto così diverso dalla distruzione che, ogni singola notte, Jon aveva visto quando si immergeva nel profondo dei suoi incubi.

    Un nitrito lo distrasse, il volo di una moltitudine di uccelli colorati richiamò la sua attenzione e lui si voltò, avvertendo il suono familiare – un attimo, perché avrebbe dovuto esserlo? – di un battito di grosse ali cartilaginee e lo stridio della punta di una falce che scivolava contro una roccia. Col cappuccio calato sugli occhi, l’armatura scintillante sotto al sole e la collana d’oro che avvolgeva finemente tutto il collo, la figura appena atterrata gli si avvicinò con passi aggraziati e silenziosi, facendo frusciare la lunga veste scura che indossava.

    «Non dovresti essere qui», disse Jon, ma quella non era la sua voce. Era più roca, più profonda, vagamente velata di rimpianto e preoccupazione, ma tutto svanì in un istante quando una gelida mano gli sfiorò il viso, carezzandogli una guancia con tocco gentile.

    «Possono temermi, odiarmi e addirittura incatenarmi… ma non possono tenermi lontano da te. Non con ciò che sta per accadere».

    «Neppure tu che sei la Morte puoi modificare il destino deciso dalle Moire, Thanatos».

    Le mani strinsero più forte, l’odore dei fiori sparì come se fossero appassiti tutti nello stesso istante. «Abbi fiducia in me… Zagreus».

    «Jonno?»

    Jon sollevò la testa così in fretta che il collo scrocchiò e lui gemette di dolore, ripulendosi la bocca con il dorso della mano quando si rese conto che un rivoletto di saliva aveva cominciato a colargli giù fino al mento; gli ci volle un attimo di troppo per mettere a fuoco la figura di Kathy, la quale lo osservò stranita mentre sbatteva le palpebre. L’amica sapeva dove nascondeva una copia delle chiavi quindi era sicuramente entrata così, ma perché non aveva semplicemente suonato anziché farlo sobbalzare in quel modo?

    «Mi hai fatto prendere un colpo, Kat». Jon si massaggiò il collo, sentendo dolore da tutte le parti. «Non mi spiace che entri quando vuoi, ma almeno vorrei che tu mi avvertissi».

    «Ti ho chiamato per mezz’ora e non hai risposto, mi ero preoccupata e sono corsa qui».

    Jon si fermò con la mano premuta dietro al collo, guardando l’amica con tanto d’occhi. «Mezz’ora?» chiese conferma, e al suo annuire rimase ancor più sconcertato. Possibile che non avesse minimamente sentito il telefono, visto il baccano infernale che solitamente faceva la sua suoneria? «Scusa, tutto okay. Mi sono solo appisolato».

    «Non hai una bella cera, sicuro di star bene?»

    «Sì, io… credo di sì».

    «Credo è la parola giusta, sei bianco come un fantasma». Senza tanti preamboli, Kathy gli spiaccicò una mano sulla fronte, sgranando gli occhi nel sentirla bollente sotto al suo tocco. «Accidenti, stai bruciando», lo accusò quasi, chiudendo le stessa il portatile nonostante le proteste di Jon. «Per oggi basta cazzeggiare, un bel brodo di pollo e dritto a letto».

    «Tu frequenti troppo mia nonna, Kat».

    Kathy grugnì in risposta. «Martha è il mio spirito guida. Ora smettila di insultare i suoi rimedi e datti una mossa, campagnolo», disse schietta, e Jon roteò gli occhi.

    Non se ne sarebbe andata finché lui non avesse fatto ciò che aveva chiesto, così si fece forza sulle gambe malferme e si tirò su, barcollando per un istante; l’amica ebbe la prontezza di riflessi di afferrarlo per i fianchi e di sorreggerlo, e Jon le gettò un braccio dietro alle spalle per non gravare con tutto il suo peso su di lei mentre si dirigevano in camera da letto. Senza Kathy probabilmente Jon sarebbe stato perso, ed era bello sapere che, nonostante non si fossero inizialmente visti per anni, la loro amicizia d’infanzia non fosse cambiata un granché. Fino a dieci anni aveva vissuto nelle campagne di Hamilton e Kathy e suo nonno erano stati un vero e proprio aiuto per la fattoria, o sarebbero colati a picco il primo anno; col tempo erano riusciti a mantenere la baracca ma, non appena i suoi genitori avevano ricevuto la proposta di lavorare alla redazione giornalistica di Metropolis, l’intero mondo di Jon era cambiato. Aveva pestato i piedi, aveva urlato che non era giusto e che non avrebbe voluto abbandonare i suoi amici, aveva pianto e implorato come solo un bambino di dieci anni avrebbe potuto fare, ma alla fine si era ritrovato comunque ad impacchettare la sua roba per cominciare una vita lontano da Hamilton. Salutare Kathy era stata la parte peggiore e avevano pianto una giornata intera, e persino nella sua nuova casa di Metropolis Jon si era sentito piuttosto a disagio. Gli ci era voluto del tempo, molto più di quanto i suoi genitori avessero previsto, ma alla fine era riuscito ad adattarsi e ad abituarsi alla frenetica vita di città, del tutto diversa da quella vissuta fino a quel momento in campagna.

    In tutto quel tempo aveva cercato di tenersi in contatto con i vecchi amici e, quando Kathy si era trasferita per l’università, aveva toccato il cielo con un dito al pensiero di poter passare nuovamente del tempo con la sua migliore amica. Forse all’inizio da bambino aveva avuto una piccola cotta per lei, ma col tempo aveva finito col vederla come la sorella che non aveva mai avuto e a distanza di anni era bello poter contare ancora su di lei. Anche se a volte era una ragazza petulante, era la sua ragazza petulante. E non l’avrebbe cambiata con nessun altro al mondo.

    Quando arrivarono i camera, Kathy lo costrinse letteralmente a togliersi la maglietta nonostante le nuova proteste, sbottando che non era di certo la prima volta che lo vedeva mezzo nudo e che il suo fidanzato non ne sarebbe certamente stato geloso; Jon aveva replicato comunque che Damian non era il suo fidanzato, ma Kathy aveva fatto letteralmente finta di non sentirlo e, mentre lui si cambiava, era andata a prendere dei medicinali nell’armadietto del bagno, tornando persino con una pezza umida che gli schiaffò letteralmente in fronte senza tanti complimenti.

    «Kat! Ma che diavolo--»

    «Oh, sta’ zitto. Ti farà bene, ti abbasserà un po’ la temperatura», affermò lei nel porgergli un bicchiere e delle pastiglie, e Jon borbottò tra sé e sé, scostando le lenzuola coi piedi prima di squadrare quelle medicine e storcere il naso. «Non fare quella faccia e manda giù, Jonny-boy».

    «E tu piantala di imitare mia madre, sei inquietante».

    «Sarai ancora più inquietato quando la chiamerò per dirle che suo figlio si comporta come un moccioso e sarà qui davvero».
Jon sgranò gli occhi. «Non oseresti», sibilò, ma Kathy rise e si curvò verso di lui, sorridendo.

    «Mettimi alla prova», affermò, ridendo a più non posso all’espressione sconcertata che si dipinse sul volto di Jon prima che si decidesse a prendere le medicine.

    Tutto sommato, Jon ammise a sé stesso che, per quanto non si fosse sentito molto in vena di ricevere visite, non fu comunque male avere compagnia. Avevano parlato, Kathy si era assicurata che stesse bene e, lamentandosi di quanto poco fosse affidabile il suo frigo mezzo vuoto, gli aveva ordinato la cena – “Grande e grosso e hai davvero solo ramen istantaneo da mangiare?!” – e si era assicurata che la finisse tutta e che prendesse le sue medicine, senza pressarlo sulla questione che lo opprimeva da un po’ di tempo a quella parte. Era stato Jon stesso a dirle delle sue ricerche e delle strane sensazioni che aveva provato nel farle, di ciò che aveva scoperto e di quanto tutto suonasse ridicolo e assurdo, e Kathy aveva insistito sul fatto che avrebbe dovuto parlarne con qualcuno, anche solo per venire a capo della matassa che si era ingarbugliata nella sua testa. Jon aveva parlato letteralmente di tutto… ma non le aveva raccontato quel sogno che aveva fatto, lo strano sogno in cui aveva discusso con Thanatos come se lo conoscesse da tutta la vita, né tanto meno le aveva parlato di come in quel sogno fosse un’altra persona. C’era troppo da spiegare e troppo da catalogare… e stava cominciando a pensare che le cose gli stessero letteralmente sfuggendo di mano.

    Forse la notte avrebbe portato consiglio.






_Note inconcludenti dell'autrice
Allora, qui cominciamo ad addentrarci un po' di più nel cuore della storia e qualche nodo comincia a venire al pettine, anche se se ne stanno creando di nuovi
Qui entra in scena anche un'amica storica di Jon: Kathy! L'avevo già nominata in altre one-shot legate alla raccolta Allegretto ~ Deux ou trois choses que je sais de nous e anche in qualche storia della raccolta Smile in a cornfield ~ a flower that has the breath of a thousand sunsets
A differenza di quelle storie, però, qui Kathy ha un ruolo più centrale e sembra un po' guidare Jon, sempre più confuso dai sogni che sta facendo e sempre più desideroso di vivere quella nuova relazione che sta cominciando a vivere insieme a Damian. Come andranno a finire le cose tra loro? Lo scopriremo presto!
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti

A presto! ♥



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