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Autore: _Agrifoglio_    13/10/2022    14 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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tempesta

Vento di Corsica
 
Compiègne, novembre 1811
 
La sepoltura del Conte di Compiègne si svolse alla svelta e in sordina. Con la motivazione che la casata era originaria di Compiègne, dove si trovava la cripta di famiglia, il corpo era stato traslato lì, in modo da evitare il clamore della tumulazione nella capitale e, soprattutto, la pubblica vergogna dei funerali negati, in quanto il defunto, condannato in contumacia per diversi crimini di Stato, era morto nell’atto di commettere l’ennesimo delitto.
Il Marchese Héracle Domitien d’Amiens, ora nuovo Conte di Compiègne, aveva insistito per presenziare ai funerali del padre che pure non aveva mai conosciuto e la madre, malgrado la dichiarazione di nullità del matrimonio e tutti i maltrattamenti subiti dal marito e dalla suocera, era voluta andare con lui per sostenerlo, accompagnata, a sua volta, dal fidanzato Duca e dalla zia che viveva a Parigi, la Marchesa d’Auteuil.
Date l’età avanzata del Conte de Girodel e l’assenza di Grégoire Henri, al fronte insieme a Honoré e di Élisabeth Clotilde, alle terme di Vichy con Antigone, in rappresentanza dei Girodel, era intervenuta Madame Henriette Lutgarde, vedova di Victor Clément. La donna era ancora depressa per la morte del marito e aveva iniziato a manifestare i segni della malattia che aveva portato precocemente alla tomba entrambi i genitori. Per questa ragione, Oscar e André avevano deciso di accompagnarla.
Su insistenza di Oscar e André, il Parroco, pur non celebrando i funerali, recitò un Padre Nostro e un’Ave Maria davanti al feretro e ai presenti, supplicando il Signore di perdonare, nella Sua infinita misericordia, quel figlio che aveva chiamato a Sé in modo così particolare e di confortare i congiunti. Fece, poi, il segno della croce davanti alla bara e alla fossa e si ritirò.
Il giovane Marchese d’Amiens e la madre di lui furono infinitamente grati a Oscar e ad André per il loro intervento che aveva riportato un briciolo di rispettabilità dove questa non c’era, evitando al ragazzo la completa umiliazione.
La Contessa Madre Bérénice Eulalie de Compiègne iniziò, da quel giorno, a dare segni di squilibrio mentale. Si presentò scarmigliata e sovreccitata e, mentre il Parroco pregava e i becchini calavano la bara, emise diversi gemiti scomposti e dei mezzi ululati e, a un certo punto, si lanciò verso il feretro del figlio e sarebbe sicuramente caduta nella fossa, se André non l’avesse trattenuta saldamente.
Quando la lapide fu posata a copertura della cripta di famiglia, tutti gli astanti avvertirono una sensazione di liberazione e di sollievo.
Il giovane Héracle Domitien, che usava sin dalla nascita il titolo di Marchese d’Amiens, avrebbe mantenuto quello di Conte di Compiègne come titolo secondario, ma non lo avrebbe mai usato. L’araldica gli avrebbe dato ragione, essendo il titolo di Marchese superiore a quello di Conte e nessuno, neanche la più malevola delle lingue biforcute, avrebbe potuto obiettargli alcunché. Geneviève, dopo la dichiarazione di nullità del matrimonio da parte della Sacra Rota, aveva cessato di essere la Contessa di Compiègne e aveva ripreso a farsi chiamare Geneviève d’Amiens, utilizzando il titolo di Marchesa Madre.
La Contessa Bérénice Eulalie non recuperò mai l’uso della ragione. Sebbene il fratello, il vecchio Conte Grégoire Henri de Girodel, dopo la violenza ai danni di Geneviève e lo scandaloso matrimonio riparatore, avesse dichiarato di non voler più vedere la sorella e il nipote e avesse dato ordine di non farli presenziare alle proprie esequie, per carità cristiana e compassione, non si chiuse di fronte a quella tragedia. La morte dell’adorato figlio Victor Clément ne aveva scalfito la granitica intransigenza e, sentendosi, per età, non lontano dal trapasso, non volle presentarsi a Dio col peccato di avere abbandonato la sorella inferma né se la sentì di gravare il pronipote del peso di una nonna così ingombrante che mai gli aveva riservato un gesto d’amore. Si rifiutò di riaccoglierla a Palazzo Girodel, ma mise a disposizione della disgraziata una sua casa in campagna, immersa nel verde e al riparo da occhi indiscreti, dove la stessa sarebbe stata accudita da brave donne, nutrita, curata, lavata e protetta per il resto dei suoi giorni. Così, la derelitta, ben oltre i suoi meriti, visse fino alla morte al sicuro dalla necessità e dalle angherie di solito riservate ai malati di mente.
 
********
 
Reggia di Versailles, novembre 1811
 
– Vi prego, accomodateVi, Conte von Neipperg – disse Oscar, indicando al gentiluomo austriaco la sedia davanti alla sua, sistemata sul lato opposto della scrivania – Vi presento il Conte di Lille – aggiunse, poi, accennando con lo sguardo ad André, appena sedutosi su una poltroncina accostata al muro.
– Vi ringrazio, Generale de Jarjayes. Vi starete chiedendo cosa mi ha portato qui. Ebbene, la mia Signora, l’Imperatrice Maria Luisa, mi ha incaricato di consegnarVi una lettera.
Oscar lo guardò con interesse ed egli estrasse un involto da una tasca interna del giustacuore.
– Capisco – disse mentre il Conte von Neipperg le consegnava il foglio ripiegato e sigillato.
– E’ inutile che sottolinei la segretezza di quanto state per apprendere – asserì l’austriaco.
– Avete la mia parola che ciò di cui sto per venire a conoscenza non uscirà da questa stanza – lo rassicurò Oscar.
– E la mia – aggiunse André.
– Vi ringrazio – disse il Conte, sollevato dall’atteggiamento collaborativo dei suoi interlocutori.
Oscar gli rispose con un sorriso mentre rompeva il sigillo di ceralacca rossa e svolgeva il foglio di carta che era stato piegato con cura dalle delicate mani dell’Imperatrice.
 
Al Luogotenente Generale Oscar François de Jarjayes, Comandante Supremo delle Guardie Reali
 
Milano, 18 ottobre 1811
 
Eccellentissimo Generale de Jarjayes,
Vi scrivo per informarVi che l’Imperatore Napoleone ha nascosto il tesoro dei Cavalieri di Malta in Corsica, all’interno di una caverna, sulle montagne che sovrastano la città di Ajaccio. Il tesoro non è andato perduto nel corso dell’esplosione del vascello L’Oriént, come comunemente si crede, ma è ancora esistente e intatto. Il Conte Adam Albert von Neipperg, latore della presente, Vi fornirà maggiori ragguagli sulla questione unitamente a una carta geografica raffigurante i luoghi, dove la caverna è evidenziata con una croce.
Sappiate che il Generale Alain de Soisson non si è recato in Francia al solo scopo di riprendersi dalle ferite riportate nel corso della battaglia di Wagram, ma anche per tenere i contatti con alcuni militari incaricati di visitare periodicamente la caverna e di ragguagliarlo mensilmente sullo stato di conservazione del tesoro.
Sono consapevole che questa lettera Vi parrà inusuale, ma vogliate confidare nelle buone intenzioni di colei che sarebbe potuta essere la Vostra Regina.
Vi porgo i miei più cordiali saluti.
Maria Luisa
 
Oscar guardò basita il Conte von Neipperg mentre passava silenziosamente il foglio di carta ad André.
– Vi prego di credere alla totale buona fede della mia Signora, Generale de Jarjayes. Ella si è messa completamente nelle Vostre mani, indirizzandoVi la lettera, ben consapevole che avreste potuto rovinarla con una sola parola.
– Conte von Neipperg – disse Oscar, tentando di soppesare bene le parole per non far trasparire che dubitava degli autentici propositi di Maria Luisa – Con queste poche righe, l’Imperatrice arreca un grave danno al suo consorte.
– Non si tratta di una trappola, Generale de Jarjayes, se è quello che temete. La mia Signora non è sleale verso alcuno, è soltanto molto infelice. Sottraendo il tesoro all’Imperatore, spera di depotenziarne l’esercito. Se Napoleone fosse sconfitto e deposto, ella potrebbe fare ritorno in Austria insieme a suo figlio che, attualmente, non può vedere come vorrebbe.
– L’Imperatrice, nella lettera, accenna a una carta geografica – disse Oscar, non del tutto convinta.
– Eccola, Generale.
Il Conte von Neipperg illustrò a Oscar la cartina e la mise al corrente di ulteriori dettagli.
– Una cosa non mi è chiara, Conte von Neipperg. Come ha fatto l’Imperatrice a venire a conoscenza dell’esistenza e del nascondiglio del tesoro? Immagino che l’Imperatore custodisca gelosamente il segreto.
– Queste cose, in realtà, le ho scoperte io che mi trovo a Milano in missione diplomatica.
– Diciamo pure come spia – lo corresse Oscar.
Il Conte von Neipperg le fece un sorriso eloquente.
– E perché l’Imperatrice non si è rivolta a suo padre, l’Imperatore Francesco II, preferendo, invece, coinvolgere uno Stato straniero e, in particolare, me, una persona che neppure conosce?
– L’Imperatrice Vi conosce per fama, Generale de Jarjayes e Vi stima molto. L’Austria è sprovvista di uno sbocco sul Mediterraneo mentre la Francia ha recentemente riconquistato le sue terre meridionali e costiere, grazie a Voi e ai Maggiori de Jarjayes et de Lille e de Girodel. Per Voi, sarebbe, quindi, più facile raggiungere la Corsica. L’Imperatrice, poi, è convinta che, alla corte imperiale austriaca, ci siano moltissime spie al soldo del consorte e che il padre non goda di eccessiva libertà di movimento.
Dopo che il Conte von Neipperg si fu congedato, Oscar commentò la lettera insieme ad André.
– Credo nella buona fede dell’Imperatrice, Oscar. Due cose mi hanno colpito. La prima è che ella ha concluso la lettera quasi rimpiangendo di non essere la Regina di Francia, come sarebbe stata, se Napoleone non l’avesse fatta rapire. La seconda è che il Conte von Neipperg si è lasciato sfuggire, più o meno intenzionalmente, che Maria Luisa può incontrare soltanto sporadicamente suo figlio. Ho il sospetto che sia prigioniera nel suo stesso palazzo, un ostaggio più che una consorte regale e, del resto, questo matrimonio è iniziato con una versione ottocentesca del ratto delle Sabine.
– Già – mormorò Oscar – E dell’incarico segreto di Alain cosa pensi?
– Il fatto che abbia dei segreti con noi mi amareggia, ma, del resto, noi ne abbiamo con lui. E’ molto tempo che non militiamo più sullo stesso fronte, purtroppo.
Chiuse gli occhi e concluse:
– E, comunque, io l’ho sempre detto che il tesoro dei Cavalieri di Malta non è esploso la sera dell’1 agosto 1798. Mi trovavo sul cassero della HMS Vanguard, prigioniero di Nelson, quando L’Oriént è saltata in aria. Ho visto schizzare verso il cielo e, poi, piombare in acqua assi di legno, sartie, vele, pezzi di pennone e… uomini, ma nulla che assomigliasse a un tesoro.
 
********
 
Versailles, Palazzo Jarjayes, novembre 1811
 
– E, così, alla fine, hai conosciuto tua zia – disse Rosalie mentre porgeva una tazza di brodo caldo alla figlia, seduta nel suo letto – Ha mostrato molto più trasporto verso di te, nelle poche occasioni in cui vi siete incontrate che verso di me, in tutti gli anni che abbiamo trascorso insieme… La maternità deve averla migliorata… Ero, ormai, rassegnata alla morte di Jeanne e saperla ancora viva mi fa un effetto che non saprei descriverti… Il Signore, nella Sua infinita misericordia, deve averla lasciata in vita per darle l’opportunità di redimersi o così, almeno, mi auguro… Mai mi sarei aspettata di doverle dire grazie per avere salvato la vita di mia figlia…
Bernadette beveva il brodo a piccoli sorsi, senza interrompere la madre in quella che aveva tutta l’aria di essere un’intima riflessione sotto forma di dialogo.
– Ecco spiegati la forte emozione e il successivo capogiro che ebbi la prima volta che vidi Albrecht von Alois… Jean de la Motte… e, tutte le volte che lo incontravo, avvertivo delle sensazioni ineffabili… Jeanne madre… Non riesco proprio a crederci!
Bernadette posò la tazza vuota sul vassoio e sorrise a Rosalie.
– Ma come ha fatto il fazzoletto di tuo cugino a finire dentro il comò?
– Durante la giornata musicale che organizzammo l’anno scorso, a un certo punto, scoppiai a piangere a causa della freddezza che Antoine Laurent de Lavoisier mi aveva dimostrato e il Conte von Alois mi consolò e mi porse il suo fazzoletto affinché mi asciugassi le lacrime. Nella confusione, dimenticai di restituirglielo e, tornata nella mia stanza, vidi quelle strane iniziali. Poi, però, successero tante cose e io mi scordai il fazzoletto nel comò.
– E le lettere del Tenente de Ligne, invece? Le ho cercate in tutta la stanza, sperando di trovare un indizio della tua sparizione. Dove possono essere finite?
– Questo lo ignoro.
Le due donne tacquero per qualche minuto mentre Rosalie toglieva la tazza dal vassoio e la riponeva sullo scrittoio della figlia, facendo fare il percorso inverso a una bistecca circondata da un soffice purè.
– E’ ora di cambiare registro, Bernadette! – disse la donna, con voce fattasi severa mentre aggrottava le sopracciglia – Il rapimento che hai subito da parte di quel criminale… che Dio lo perdoni e gli risparmi le fiamme dell’inferno… non dipende da te, ma tutto il resto proprio non va, a partire dalla sciocchezza di comprare una pistola e di recarti armata nel palazzo dei suoceri di quell’altro degenerato! Ma come ti è saltato in mente! Se mi avessero detto, qualche mese fa, che avresti fatto una cosa del genere, sarei scoppiata a ridere!
– Madre, Ve ne prego, so di avere sbagliato, ma non parliamone più, Vi scongiuro!
– Non ci sarà pace né tranquillità finché le cose andranno così! Occorre che tu cambi aria almeno per un po’, al fine di spezzare questa spirale perversa. Accetterai l’invito di Madame Oscar e ti recherai alle terme di Vichy, a tenere compagnia a Madamigella Antigone e a Madamigella Élisabeth Clotilde.
– Oh, no!
– Oh, sì, invece! Dopo tutto, ti sto chiedendo di andare in un luogo elegante e alla moda e non ai lavori forzati in un bagno penale!
– Madre, ne abbiamo già parlato e Vi ho illustrato, uno a uno, i motivi che rendono sconsigliabile questo viaggio! Ve ne prego! Insistendo, mi mettete in difficoltà!
– No, Bernadette, non intendo ascoltare altre rimostranze da parte tua! Finora, si è fatto come volevi tu e si sono visti i risultati! Ora, si farà come dico io! Non appena ti sarai rimessa in piedi, andrai alle terme di Vichy e non c’è altro da aggiungere! Chi sa che non si prendano questo cencio lavato e non mi restituiscano mia figlia!
 
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Corsica, novembre 1811
 
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Un vento furente batteva le pareti rocciose, gli alberi, la brughiera e risuonava nelle valli, simile ai lamenti delle anime dannate. Il cielo era plumbeo e minacciava un diluvio torrenziale.
 
Napoleone aveva scelto la sua isola natale per nascondere il tesoro sottratto ai Cavalieri di Malta e da lui dichiarato distrutto nell’esplosione che, nel corso della battaglia del Nilo, aveva ridotto a una torcia galleggiante l’ammiraglia L’Oriént. In questo modo, non aveva dovuto consegnare i preziosi alle autorità francesi, per le quali, all’epoca, militava e se li era tenuti per sé.
Dopo vari nascondigli che gli erano sembrati tutti insicuri e in attesa di conquistare la Francia e di trasportare il tesoro nel Castello di Vincennes, aveva optato per una sistemazione che a lui era parsa più che appropriata: la caverna dove, verso la fine del 1768, era stato concepito.
 
A seguito della cessione della Corsica alla Francia, i patrioti indipendentisti, capeggiati da Pasquale Paoli, si erano nascosti sulle montagne e, con loro, erano andati anche Carlo Maria Buonaparte e la giovane moglie, Maria Letizia Ramolino. Per più di un anno, avevano passato le giornate spostandosi fra i monti scoscesi e le valli nascoste, tendendo imboscate all’esercito francese e distruggendone gli avamposti, ritirandosi, poi, nell’entroterra per evitare gli assalti della cavalleria. Di notte, si rifugiavano nelle caverne e, in una di queste, in una gelida sera, con uno stato d’animo sospeso tra l’eccitazione del giorno di battaglia appena finito e l’attesa di quello successivo, in cui uno di loro o entrambi avrebbero potuto trovare la morte, era stato concepito il futuro Imperatore.
Erano, così, trascorsi l’inverno e la primavera, finché si era svolta la battaglia di Ponte Nuovo che aveva sancito la vittoria dell’esercito francese e la disfatta dei patrioti indipendentisti. Paoli era fuggito dalla Corsica e a tutti gli altri, abbandonati dal loro capo, era stata offerta un’amnistia. Carlo Maria Buonaparte si era sentito tradito e, contemporaneamente, aveva realizzato di non poterne più della guerriglia e di avere una moglie incinta di sette mesi, un figlio di due anni rimasto ad Ajaccio con i nonni e nessuna voglia di trascorrere il resto della vita a nascondersi nelle caverne. Aveva, quindi, accettato l’amnistia ed era tornato ad Ajaccio dove, due mesi dopo, a mezzogiorno del quindici agosto, era nato Napoleone.
 
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Jeanne guardava le pietre preziose traboccanti dai forzieri, le afferrava con le mani avide, se le faceva scivolare tra le dita per, poi, farle ricadere all’interno degli scrigni. A un certo punto, adocchiò uno smeraldo grosso come un’albicocca e dello stesso punto di verde dei suoi occhi, lo afferrò, lo fece brillare alla luce della torcia e, con aria esaltata, disse:
– Questo lo monterò su un diadema, circondato da questi brillanti, da questi smeraldi più piccoli e da queste perle!
– Sembrerete una Regina, Madre!
– Svelto, carichiamo anche questi bauli sul carretto e nascondiamo tutto nella piccola baia dove ci attende il brigantino. Dovremo fare la spola almeno dieci volte per portare via tutto.
Scesero dalla montagna alla baia, ma quando tornarono, all’alba del giorno dopo, trovarono un’indesiderata sorpresa ad accoglierli.
Il tempo era peggiorato, il cielo era ancora più scuro, il vento soffiava come un uragano e, appena si accostarono all’ingresso della caverna, dall’interno di essa spuntarono il fisico possente, il volto incollerito e lo sguardo minaccioso di Alain.
– Ci rincontriamo, alla fine, Ève… o dovrei dire Jeanne? – sibilò l’uomo, con ghigno provocatorio.
– Alain… Siete riuscito a trovarci! – esclamò lei, con l’espressione sorpresa di chi è colto in fallo e prende tempo per organizzare una contromossa.
– Non è stato difficile… E’ bastato seguire il baluginio delle gemme! – incalzò lui, sempre più sferzante.
– Apparteniamo alla stessa razza, Alain, quella che non tollera padroni! Potete scegliere di continuare a custodire questo tesoro per Napoleone e di prendere ordini da lui o di consegnarlo a Oscar François de Jarjayes e di prendere ordini da lei. Oppure potete venire in Svizzera con noi, senza obbedire ad alcuno, ma godendoVi il tesoro e la libertà!
– Io appartengo alla mia, di razza e il senso dell’onore non è morto per me! – urlò Alain, con occhi da pazzo.
– Il senso dell’onore è per i fortunati che se ne riempiono la bocca e non per i nobili reietti come noi, nati sotto una cattiva stella! Io sono una sopravvissuta, Alain! Sono sopravvissuta alla mia infanzia di stenti, al disprezzo e all’ipocrisia dei benpensanti, alla lussuria degli uomini, alla crudeltà delle donne, alla falsità dei religiosi, ai ferri roventi che hanno straziato le mie carni e alle volte oscure delle carceri!
Mentre pronunciava queste parole, un’espressione di fervorosa esaltazione le brillava nelle iridi sbarrate e nei muscoli contratti del volto. Il vento le agitava convulsamente i capelli e le frustava le vesti, facendola sembrare un’anima infernale.
– E Voi siete come me, l’ho sempre saputo! – proseguì, con enfasi crescente – Un sopravvissuto, un lupo solitario che combatte contro vento, un ribelle che non si è fatto calpestare!
– I Vostri mali sono nati dal Vostro cuore di pietra e dai crimini che avete commesso! – ringhiò Alain – Io non sono come Voi!
– Sì che siete come me! – insistette lei, con voce divenuta melodiosa e un’espressione fattasi seducente – Appartenente alla razza dei ribelli, delle carogne, dei dannati, di quelli che non muoiono mai!
– Io non sono una carogna né un dannato!
Nel mentre, Albrecht von Alois, con gesto appena percettibile, tirò fuori una pistola, ma Alain se ne accorse subito, fu più lesto di lui e lo mise sotto tiro.
– Non ci provare, ragazzo! Ho già un conto in sospeso con te!
Poi, si voltò di nuovo verso Jeanne e, con voce rotta dall’emozione, urlò:
– Perché, Ève, perché?
Proprio in quel momento, prima che lei potesse rispondergli, sopraggiunsero Oscar e André, con i capelli scarmigliati dal vento e i mantelli ondeggianti come bandiere, seguiti da una ventina di Guardie Reali.
– Jeanne de Valois, Albrecht von Alois, Vi dichiaro in arresto e tu, Alain, non opporre resistenza! – disse Oscar, con sguardo di fuoco e voce stentorea – Questo tesoro è requisito in nome di Sua Maestà il Re di Francia e sarà restituito ai legittimi proprietari, i Cavalieri di Malta!
– Venite a prendermi! – ruggì Jeanne, coi suoi occhi verdi di luccicante sfida.
Albrecht von Alois sguainò la spada per difendere la madre e si lanciò contro Oscar, con il braccio sinistro in aria e quello destro proteso verso di lei.
En garde!
Indirizzò una potente e velocissima stoccata a Oscar, ma lei la parò e rispose con una serie di fendenti che costrinsero lo svizzero ad arretrare, finché, con un agile balzo, non montò su uno sperone di roccia alto mezzo metro. Oscar lo assalì con un montante che egli schivò, facendo un salto e ripiombando sul sentiero dove si trovava lei. Siccome la strada era in pendenza e Albrecht von Alois si trovava più in su, il giovane caricò Oscar, correndo velocemente con la lama puntata contro di lei. La donna rispose con un mulinello che disarmò l’avversario, facendone volare la spada a molti passi di distanza.
Simultaneamente, Jeanne estrasse la rivoltella e la diresse contro Oscar, ma Alain fece fuoco. Il proiettile colpì la pistola della ladra, facendola rimbalzare lontano, ma non ferendo neppure con un graffio colei che l’aveva impugnata.
Senza perdere un istante, madre e figlio fuggirono come due saette lungo un sentiero scosceso, diverso da quello più largo e comodo che avevano percorso col carretto e, con l’agilità delle capre e degli stambecchi, si diressero verso la costa a rapidi balzi. Alain li seguì con la possanza di un Titano mentre il vento imperversava su quelle montagne, ma, per quanto si sforzasse, non riusciva ad acciuffarli.


1-claviere

Giunsero, infine, su un ponte fatto di assi di legno e di corde che univa due cime montuose e sovrastava un profondo burrone. Jeanne e il figlio lo attraversarono alla velocità del lampo mentre il vento lo faceva ondeggiare paurosamente. Alain sopraggiunse con la foga di un toro, ma Jeanne, una volta guadagnata l’altra sponda, tirò fuori un coltello e recise le funi.
La parte mozzata del ponte precipitò rovinosamente nel vuoto con alcune assi che cadevano verso il baratro e la fune alla quale si era aggrappato saldamente Alain che rimbalzava come un elastico e, alla fine, si tendeva. Per fortuna del soldato, le due pareti rocciose cui erano assicurate le estremità del ponte non erano dritte, ma disegnavano un arco ed egli, oscillando, non andò a sbattere.
Vedendo l’uomo che tentava di arrampicarsi sulla fune e di risalire, Jeanne si lasciò sfuggire un’esclamazione di meraviglia e di ammirazione, ma ciò non le impedì di estrarre una seconda pistola e di puntarla contro Alain mentre il vento continuava a barrire. Fu questione di un attimo e l’espressione della donna si addolcì di colpo. Inaspettatamente, abbassò la pistola, accompagnando il gesto con un sorriso sornione.
– Poco fa, mi domandaste perché – urlò lei con il vento che ne trasportava la voce verso l’opposta massa rocciosa – Qualche volta, fare la carogna è la sola cosa che resta a una donna.
Proprio in quel momento, sopraggiunsero Oscar, André e le venti Guardie Reali.
Le due eterne nemiche si fissarono un’altra volta, come già avevano fatto nelle catacombe di Parigi. Un istante dopo, Oscar distolse lo sguardo e concentrò la sua attenzione su Alain.
– Guardie Reali, tirate la fune!
Jeanne de Valois guardò Oscar, André e le Guardie Reali che aiutavano Alain a mettersi in salvo, fece un sorriso, si voltò e fuggì insieme al figlio verso la baia.







Ecco un nuovo capitolo che svela altri misteri.
Nel quarto e ultimo paragrafo, ho inserito un’ulteriore citazione, non celeberrima come quella di “Via col vento”, ma tratta da un film molto bello e appropriata alle circostanze.
Grazie a chi vorrà leggere e recensire. Piano piano, ci stiamo avvicinando alla meta.
   
 
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