Cap.
28
Quand’anche
l’ultimo muspell venne estratto dalle macerie di Hindarall
– fortunatamente,
molte persone si erano rifugiate nei sotterranei, protetti dalla magia
liòsalfar del padre di Rhadd – Fenrir
scrutò i suoi figli prima di indirizzarli
verso il palazzo.
Naglfar
stava ancora volteggiando sicura e inavvicinabile al di sopra del
cortile
antistante le ampie porte dell’immenso maniero in ossidiana
e, quando il trio
di licantropi giunse in loco, Hildur manovrò la nave per
discendere.
Scostandosi
quel tanto per non venire intercettati dai lunghi remi del veliero da
guerra,
Fenrir riprese sembianze umane al pari dei figli e,
nell’osservare per un
attimo il sole discendere lungo la linea dell’orizzonte,
sospirò nel dire: “Ora
si comincia a stare meglio.”
“Ci
saranno quaranta gradi, ma fa niente. Con il surriscaldamento globale,
ormai
sono diventate temperature normali anche sulla Terra” si
lagnò Sköll
attirandosi addosso lo sguardo esasperato del fratello. “Ehi!
Che ho detto? Non
è forse vero?”
“Devi
sempre lamentarti per qualcosa” gli fece notare Hati,
accostandosi alla
scaletta della nave per aiutare la regina a discenderne.
Fenrir
li richiamò all’ordine prima che la discussione
potesse degenerare – cominciava
finalmente a ricordare cosa avesse voluto dire crescere due maschi dai
caratteri così differenti – dopodiché,
osservata la devastazione che li
circondava, chiosò: “Gli indubbi vantaggi di una
simile nave da guerra iniziano
a sembrarmi chiari. E’ devastante.”
“Ha
qualche giocattolino utile” assentì Hildur,
allungandogli una mano per
complimentarsi con lui e i suoi figli. “La situazione in
città?”
“Stabile.
Abbiamo liberato le persone bloccate sotto le abitazioni e, per il
momento, i
cittadini in salute si stanno occupando dei feriti nei sotterranei
dove, a
quanto pare, c’è un autentico ospedale da
campo” le spiegò Fenrir, ammirato da
una simile organizzazione.
“Qualcuno
fu lungimirante, a suo tempo” ammise Hildur, lanciando uno
sguardo alle sue
spalle per osservare le alte torri di guardia da cui, fortunamente,
ancora
sventolava lo stendardo della casa regnante.
“Credi
si possa entrare, ora?” domandò ansiosa Ilya,
scrutando le porte del palazzo
con aria bramosa.
Hildur
cercò nello sguardo di Fenrir un qualsiasi genere di
rassicurazione – o
eventuale minaccia –, ma lui disse:
“All’interno non si sente più
battagliare,
e l’odore di Sthiggar e Ragnhild è privo di
tossine, segno che sono
relativamente tranquilli. Possiamo procedere, ma
la regina e il Gran Sacerdote procederanno accanto a noi.”
“La
trovo una cosa sensata” assentì Hildur, lanciando
quindi un’occhiata a Thrym e
Flyka, dicendo: “Non dovrebbero esserci problemi, ma non
voglio che Naglfar
rimanga sguarnita. Pensate voi a tenerla d’occhio?”
Ilya
fu sorpresa da tanta generosità, e anche i due muspell
parvero sorpresi da una
simile espressione di fiducia ma Thrym, nell’inchinarsi
dinanzi alla sovrana,
assentì e disse roco: “Onoreremo tale fiducia
dando la nostra vita per la nave,
qualora ve ne fosse bisogno.”
La
sovrana scosse il capo e, nel poggiare una mano sui fulvi capelli del
guerriero, replicò: “Salvate voi stessi, non la
nave, se ve ne fosse bisogno.
Ho visto fin troppi morti, e non ne voglio altri sulla
cosienza.”
“Ai
vostri ordini, maestà” mormorò allora
Thrym.
Annuendo
recisamente, Ilya si affiancò quindi a Fenrir, il quale le
offrì il braccio
mentre Hati si accostava a Snorri per proteggerlo. Sköll,
invece, levò il naso
per annusare l’aria, fu colto dalla curiosità e
domandò al padre: “Non senti
qualcosa di strano, papino?”
Fenrir
lo fissò esacerbato – quando sarebbe finita questa
cosa del papino, che proveniva al
novantanove
percento da Jerome? – ma acconsentì a controllare
a sua volta l’aria con i
propri sensi più che raffinati.
Sorpreso,
quindi, sobbalzò e, scrutando dubbioso la regina,
domandò: “Tra i vostri
invitati, per caso, vi erano anche i sovrani di Elfheimr?”
“Ma
certo” assentì la donna.
Persino
Hati scoppiò a ridere e, mentre Sköll teneva le
mani poggiate sullo stomaco,
piegato in due dall’ironia di tutta quella situazione, Fenrir
sospirò esasperato
e borbottò: “Non anche
loro. Non ho
la forza di sopportare anche degli elfi chiari, oggi.”
***
Ilya
riuscì a trovare il marito soltanto dopo una buona
mezz’ora di tentativi a
vuoto. Gli odori tendevano a sparpagliarsi attraverso i mille e
più corridoi di
palazzo, confondendo persino l’olfatto sopraffino di Fenrir.
Trovare la pista
giusta da prendere, perciò, richiese qualche tentativo a
vuoto e diverse
imprecazioni masticate tra i denti.
Gli
stessi poteri di Ilya parvero in difficoltà, resi maldestri
da uno strano
incantesimo liòsalfar che sembrava essere steso come una
ragnatela sull’intera
città.
Quando,
però, la regina scorse re Surtr in rapida discesa da una
scala secondaria,
seguito a ruota da un contingente di Fiamme Purpuree, oltre a Sthiggar
e
Ragnhild, la donna sospirò e gli corse incontro, esalando:
“Mio Surtr!”
Bloccandosi
a metà di un passo – l’espressione
stanca subito sostituita dal sollievo – il
muspell allargò le braccia per accoglierla in seno e, nel
baciarle i capelli
scarmigliati, mormorò: “Mio cuore! Sono lieto di
rivederti!”
Ciò
detto, indirizzò un’occhiata dubbiosa
all’indirizzo dei tre licantropi prima di
sorridere a Snorri e Hildur, aggiungendo: “Lieto di rivedere
anche voi. A
quanto pare, nel corso della tua missione, Hildur, hai reclutato
alleati
alquanto singolari.”
“Diciamo
che è stato un crescendo di sorprese”
ammiccò la donna, inchinandosi
formalmente al suo sovrano.
Levando
curioso un sopracciglio, Surtr si tenne al fianco la moglie
dopodiché,
avvicinatosi a Fenrir, allungò una mano e disse:
“Riconosco il tuo potere, pur
se non avevo mai avuto il piacere di incontrarti personalmente, Figlio
di Loki.
Ti sono riconoscente per ciò che hai fatto per il mio popolo
e per mia moglie.”
Fenrir
strinse la mano protesa del re, replicando: “Abbiamo reputato
fosse necessario
evitare il peggio, così ci siamo alleati alla tua
regina.”
Dopo
aver annuito brevemente, e aver concesso un cenno di ringraziamento a
Hati e
Sköll, il sovrano tornò mortalmente serio e
borbottò: “Temo di non potermi
fermare oltre, assieme a voi, poiché il compito di ripulire
il palazzo dai
traditori non è ancora terminato. Avremo tempo
più avanti per comprendere bene come
siete entrati a far parte di questa
strana e perversa equazione.”
“Lo
comprendiamo” assentì rapido Fenrir.
“Baderò
io ai nostri ospiti, non temere” intervenne Ilya prima di
chiedere: “Dove si
trovano Oberon e Titania?”
A
quel punto, Surtr sorrise divertito e celiò: “Nel
mio studio, cara e, se non
fosse che ho il fuoco alle calcagna, rimarrei per vedere questo
incontro, ma
purtroppo non posso.”
Sköll
ridacchiò a quell’accento ma Fenrir lo
frizzò con un’occhiataccia, riportandolo
al silenzio. Non era davvero il caso di fare dell’ironia su
ciò che era
avvenuto su Elfheimr, visto quel che si era rischiato.
***
Per
ogni evenienza, Ilya si tenne al braccio di Fenrir per tutto il tempo,
così che
fosse più che chiaro il loro reciproco rapporto di fiducia,
oltre che per
evitare che il dio-lupo si scagliasse contro Oberon al primo sguardo.
Non
sapeva cosa fosse accaduto tra i due ma, quando Surtr aveva accennato
alla
presenza dei reali di Elfheimr nel suo Studio, le era parso chiaro
quanto, tra
Fenrir e gli elfi, non corresse esattamente buon sangue.
Quando,
perciò, aprì la porta dello Studio per entrare
assieme ai licantropi, Ilya lo
fece con la segreta speranza di non dare il via a una seconda guerra.
Quel
che vide subito dopo, però, scacciò
immediatamente quel pensiero, e solo per
sostituirlo con uno di pura confusione e sconcerto.
Alla
vista del trio di licantropi, Titania si levò dalla poltrona
per accorrere
incontro a Fenrir e, dopo avergli gettato le braccia al collo, lo
baciò con
candore sulle guance sbarbate per poi esalare: “Oh, caro! Che
piacere
rivederti!”
Irrigidendosi
leggermente, Fenrir la scostò con educazione prima di
sorriderle con fredda
cortesia dopodiché, incrociato lo sguardo corvino con quello
color del cielo di
Oberon, il dio-lupo disse: “Mio Signore Oberon. Ben
trovato.”
“Dio-lupo…
a quanto vedo, la fortuna ti segue benevola, se anche stavolta sei
uscito
illeso da una battaglia” sottolineò leggermente
sarcastico il re degli elfi,
mettendo timidamente in allarme la regina Ilya e Titania.
Accennando
un sorrisino beffardo, Fenrir replicò: “Come dio
della distruzione, ho una
buona preparazione, in fatto di disastri, quindi so come
gestirli… e come evitarli.”
Titania
frizzò con lo sguardo Oberon prima che egli potesse
replicare con una
rispostaccia, così al sovrano liòsalfar non
rimase che chiedere: “La tua
prole?”
“Hati
e Sköll” assentì Fenrir,
presentandoglieli.
“E
la tua affascinante signora non è presente, in questa
sede?” si informò a quel
punto Oberon.
“Non
ci è concesso camminare assieme in nessuno dei Mondi, in
queste forme. Ciò che
tu vedesti fu solo la classica eccezione che conferma la
regola” asserì Fenrir
con tono fiacco.
“Un
vero peccato” chiosò quindi Oberon prima di
domandare: “A quale titolo siete
qui, visto il ruolo che avrete in Ragnarök?”
“A
titolo del tutto gratuito. Ragnarök per come lo conosciamo
è del tutto svanito
dai disegni del Cosmo e ora, con le nostre odierne azioni, stiamo
riscrivendo
il nostro futuro, a quanto ci è stato detto da persone ben informate”
replicò con candore Fenrir, ora realmente stupendo
il re degli elfi.
Titania
parve parimenti sorpresa così Fenrir, per quanto gli fu
concesso di esprimersi
– sapeva che alcune cose avrebbero dovuto rimanere segrete,
perciò non le disse
– narrò gli eventi per come lui li aveva vissuti.
Immane
sorpresa e sconcerto si confusero sui volti stupendi e perfetti dei due
liòsalfar, ma nessun commento fu possibile poiché
Fenrir, rabbrividendo di
colpo, si volse verso la porta quasi a voler fuggire e, turbato,
esalò: “Avya…
ma cosa…?”
“Cos’è
successo a mamma?” esalarono quasi all’unisono i
figli, turbati al pari del
padre.
Stringendosi
una mano al torace e torcendo la tunica di pelle bianca che indossava,
Fenrir
reclinò il viso con aria straziata dall’ansia e,
roco, esalò: “Sta utilizzando
un potere enorme… ma
perché?”
***
A
diversi Mondi di distanza, e per tutt’altro genere di
battaglia, Duncan
McKalister si presentò a Luleå in compagnia di sua
zia Sarah e dei suoi figli,
Nathan e Hannah.
Branson
– Geri del branco – si sarebbe occupato di guidare
il clan in sua assenza,
affiancato dai managarmr
più alti in
grado e da Spike Jefferson, Sköll di Bradford.
Alec
aveva concesso più che volentieri a Duncan gli aiuti
richiesti, con la speranza
che non dovesse servire altro al branco di Matlock. L’idea di
sapere Brianna su
un altro Mondo non aveva reso per niente felice Alec ma, ben conoscendo
l’amica
e il suo spirito altruistico, non se n’era per nulla stupito.
Duncan
era quindi partito subito dopo aver ricevuto la telefonata di Magnus,
grazie alla
quale aveva scoperto ciò che era avvenuto loro e cosa fosse
stato deputato a
fare suo malgrado.
Ora,
dinanzi alla porta d’entrata della casa di Olaf Thomasson,
Duncan strinse
affettuosamente la mano di Magnus prima di dire:
“E’ un piacere rivederti,
anche se in circostanze così insolite e
spiacevoli.”
“Mi
spiace averti disturbato proprio quando la tua Triade è
menomata e anche
Brianna non può esserti d’aiuto. Spero tu abbia
risolto in qualche modo”
replicò Magnus, invitandoli a entrare all’interno
dell’abitato.
“Ho
messo insieme un buon gruppo di supporto, non temere” lo
tranquillizzò lui
prima di sorridere quando Hannah, che teneva in braccio, premette per
raggiungere Magnus.
Magnus
allora sorrise alla bimba di due anni, la accolse tra le braccia e
mormorò:
“Sei sempre più bella, Hannah, lo sai?”
La
bimba si esibì in un sorriso tutto fossette davvero
adorabile e Nathan,
storcendo il naso, borbottò: “Appena ha saputo che
saremmo venuti qua, ha
cominciato a strillare come un’aquila.”
“Nat…”
lo richiamò gentilmente Duncan, sorridendo al figlio
primogenito che teneva la
mano di Sarah, poco dietro di lui.
“Ma
è vero, papà” brontolò per
contro il bambino, facendo sorridere Sarah e
sospirare il padre.
“Sarà
anche vero, tesoro, ma non è certo carino farlo
notare” sottolineò per contro Duncan.
“Se
lo dici tu…” mugugnò il bambino,
spallucciando.
Magnus
sorrise indulgente al bambino e, nel dare un buffetto sulla guancia
alla
bambina tra le sue braccia, asserì: “Spero che il
viaggio in aereo ti sia
piaciuto, Nathan.”
“Eccome!
Abbiamo incontrato anche delle turbo…”
iniziò col dire lui prima di
impappinarsi, scrutare dubbioso la zia e domandare:
“Com’è che si dice?”
“Turbolenze,
caro” gli spiegò Sarah.
“Ah,
ecco. Turbolenze. L’aereo ha saltato parecchio, ma io mi sono
divertito un
sacco” sorrise deliziato Nathan.
Duncan
rise diverito, a quel commento, e replicò: “Io
avrei preferito evitare ma, se
lui si è divertito, chi sono io per lamentarmi?”
Magnus
assentì pieno di letizia – lieto che gli amici
fossero così di buonumore
nonostante la situazione paradossale che stavano vivendo –
quindi, assieme,
raggiunsero il salone principale della casa, dove già si
trovavano i loro
ospiti, oltre a Mattias, il nipote dei padroni di casa.
Una
volta raggiuntili, Magnus fece gli onori di casa, presentando i nuovi
venuti
prima di ragguagliare Duncan in merito ai risvolti più gravi
della sfida da lui
lanciata al capoclan di Luleå.
Duncan
ascoltò in silenzio l’intera storia mentre Nathan
faceva la sua conoscenza con
Mattias dopodiché, assentendo rapido al racconto offertogli,
dichiarò: “Non ci
sono problemi. Posso bloccare Odino con i poteri di Avya, ma quello che
mi
chiedo è; sei disposto a mostrare le tue zanne, amico
mio?”
“Vi
sono costretto. Ho procrastinato troppo e questi sono i risultati.
Avrei dovuto
essere più incisivo, parlare al mio popolo e rendere noti i
miei pensieri e
quelli di Odino” sospirò Magnus, scuotendo il
capo. “Il nostro dio non è
risorto solo perché spinto alla rinascita dalla presenza di
Fenrir nel mondo.
Voleva che i suoi guerrieri tornassero a prosperare e io, fino a ora,
non ho
fatto nulla per portare avanti questo progetto.”
“Hai
quindici anni” sottolineò conciliante Duncan,
sorridendogli benevolo.
“Potrei
averne anche cinque, ma avrei dovuto cominciare ad agire al mio primo
pensiero
cosciente. Non posso contare su un’esistenza immortale,
perciò devo apportare
le modifiche che Odino desidera per i suoi protetti il più
in fretta possibile,
poiché anche io la
penso così, e
credo sia l’unico modo per permettere alla mia gente di
salvarsi e prosperare”
replicò Magnus, passandosi nervosamente una mano tra i corti
capelli biondo
cenere. “Solo, spero di essere all’altezza dei miei
propositi. Non ho mai
combattuto prima in vita mia.”
Quel
commento sconcertò non poco Duncan che, sorridendo divertito
all’amico, esalò:
“Beh, ti sei scelto davvero un bel banco di prova,
allora!”
“Puoi
dirlo” esalò lui, scoppiando a ridere con
l’amico e coinvolgendo in quella
risata anche il resto dei presenti.
Hannah,
che se ne stava ancora tra le braccia di Magnus, gli diede un bacetto
sulla
guancia e il giovane, sorridendole grato, mormorò:
“Grazie per
l’incoraggiamento, piccola.”
Soddisfatta,
Hannah chiamò il fratello perché la prendesse in
braccio e Nathan, nel
recuperarla, la rimise a terra e domandò: “Vuoi
giocare con noi, Hannah?”
“Sì”
dichiarò solenne la bambina, facendo scoppiare nuovamente a
ridere i presenti.
Nell’osservarla
allontanarsi assieme a Nathan e Mattias, Magnus si rasserenò
un poco, lieto di
poter avere almeno i suoi amici, al suo fianco.
Andrà
bene, non
temere. Noi tutti abbiamo fiducia in te, gli rammentò Odino con
tono
compiaciuto.
“La
fai facile.
Tu e Fenrir vi siete allenati assieme, ma io no”
sottolineò per contro il giovane.
La tua
memoria è
buona, però. Ricorda le mie mosse e quelle di Fenrir, e
vedrai che non avrai
problemi. Per quanto Fenrir possa essere elegante nei movimenti, rimane
pur
sempre una creatura mutaforma come il berserkr, e questo
sarà un vantaggio, per
te. Hai già visto come combatte una creatura per
metà animale, gli rammentò
Odino.
“Spero
tu abbia
ragione, o la mia sarà la rivoluzione più breve
della storia”, chiosò Magnus
sorridendo speranzoso all’indirizzo di Duncan che, annuendo,
gli batté
confortante una mano sulla spalla.
Non
doveva cedere allo sconforto e alla paura. Ormai aveva deciso e, per
nulla al
mondo, avrebbe ceduto di un passo.
Sperando
di non fare un autentico casino nel frattempo.
***
La
foresta di betulle nei pressi di Ale nascondeva il luogo sacro al
popolo di
berserkir di Luleå e, quando Magnus vi mise piede assieme ai
suoi
accompagnatori, percepì distintamente la presenza dei suoi
avversari.
Isolata
da tutti ed emblema super partes di
quell’Ordalia, Isolde accolse entrambe le fazioni con un
cenno del capo ma,
alla vista della donna al fianco di Magnus, impallidì
leggermente prima di
inchinarsi ossequiosa.
Avya
si scostò quindi dalla figura di Magnus per accostarsi a
quella di Isolde e,
con un debole sorriso, accennò un saluto col capo prima di
dire: “Bentrovata,
sorella.”
Lo
sguardo dubbioso del gruppo di berserkir capitanato da Elias
scrutò curioso la
figura esile e piccola della donna appena giunta che, da parte sua,
dimostrava
di avere un potere così devastante da surclassare quello di
Isolde.
Quest’ultima,
nel rivolgersi al suo capoclan, disse: “Costei è
la capostipite della razza Úlfheðnar,
la compagna del dio-lupo Fenrir, e
mi assisterà durante l’Ordalia.”
Elias
si accigliò
immediatamente, a quelle parole e, torvo, replicò:
“E’ amica del mio nemico.
Come potrà essere imparziale?”
Isolde
parve
personalmente insultata da quelle parole, perché
replicò piccata: “Costei parla
per conto di Madre e non potrebbe mai
mentire. Garantisco io per lei.”
Pur
scontento di
quella novità, Elias assentì cauto e
replicò: “Se sei convinta della sua buona
volontà, non posso che acconsentire alla sua
presenza.”
Sorridendo
sorniona,
Avya a quel punto ribattè: “Non ho bisogno delle
parole di alcun uomo,
licantropo o berserkr, per camminare su luogo sacro. Madre mi consente
questo e
altro, uomo-orso.”
Infastidito
da
quell’appunto, Elias emise un emblematico ‘mpfh’
prima di scrutare ombroso il suo giovane oppositore. L’essere
stato costretto a
quell’Ordalia non lo aveva di certo riempito di gioia ma, se
voleva riprendere
tra le mani il rispetto dei suoi uomini e il controllo del clan, non
poteva di
certo farsi battere.
Odino
o non Odino.
Suo
era il
predominio, sue le decisioni, e non avrebbe permesso a nessuno di
cambiare ciò
che con tanta fatica la sua famiglia aveva creato in quei lunghi secoli.
Se
il loro dio avesse
voluto cambiare le regole del gioco sarebbe riemerso dagli anfratti del
Valhalla molto tempo prima, perciò lui non aveva nulla da
recriminarsi. Aveva
fatto semplicemente del suo meglio per primeggiare e per portare avanti
i suoi
precetti.
Del
tutto ignara
delle ire di Elias, Avya si mosse verso il centro dell’arena
composta da rado
sottobosco e strati morbidi di muschio color giada, strappando
così il capoclan
berserkr ai suoi oscuri pellegrinaggi mentali e, con voce brillante,
esclamò:
“Come è in mio potere, bloccherò
l’energia di Odino perché Magnus possa
combattere unicamente con le sue doti di berserkr, e la vostra sorella
si
accerterà che la mia gabbia sia salda.”
Ciò
detto, si
avvicinò a Magnus e, dopo aver posto una mano sulla fronte
del giovane,
aggrottò la fronte e mormorò: “A noi
due, Occhiosolo.”
Vacci
piano, ragazza. Essere
ingabbiato non piace a nessuno,
le ricordò Odino.
“Non
avrai paura, per caso?”
replicò ironica la donna,
espandendo la propria aura tutt’attorno alla fonte di potere
generata dal dio.
Magnus
dovette
assestare i piedi sul terreno a causa del contraccolpo psichico e, per
la prima
volta da anni, percepì la propria mente stranamente vuota,
come liberata da un
peso, o da una scomoda presenza.
Anche
cercando con
attenzione, non avvertì in alcun modo l’energia
del dio che risiedeva dentro di
sé ma, quando osservò il volto di Avya per
chiederle spiegazioni, si preoccupò
immediatamente per lei.
La
donna appariva
pallida e imperlata di sudore, chiaramente frastornata
dall’uso smodato del
potere che aveva liberato per imprigionare Odino così,
afferrandola alle
spalle, mormorò turbato: “Sei sicura di
farcela?”
“Non
temere. Duncan
mi sta aiutando a reggere il colpo e, almeno per un po’,
riuscirò a contenerlo.
Ma tu non perderti in gloria, amico mio, perché non so
quanto tempo potrò
resistere. Stiamo pur sempre parlando di Occhiosolo”
sussurrò roca Avya,
allontanandosi da Magnus, subito sorretta da Isolde, che la
allontanò dal campo
di battaglia per poi farla accomodare su un masso ricoperto di muschio.
Lanciata
poi
un’occhiata all’indirizzo del suo capoclan,
asserì: “Potete dare inizio al
duello. La sua mente è sgombra.”
E
che gli dèi ce la mandino buona, pensò
tra sé Avya, stringendosi le
braccia al petto, la mente interamente concentrata sul dispiego
smisurato di
energie che stava utilizzando per tenere bloccato Odino entro il
cerchio della
sua prigione.
Elias
non se lo fece
ripetere due volte e, nell’arco di un paio di secondi, da
uomo che era mutò in
orso, scagliandosi contro Magnus con la berserksgangr
già attiva e desiderosa di sangue.
Magnus
respinse lesto
il primo colpo, balzando su un lato e mutando esso stesso in orso per
combattere più agevolmente contro il possente nemico.
L’avversario
non
perse tempo e contrattaccò immediatamente, scagliando i
lunghi artigli contro
la sua giugulare, ma ancora Magnus evitò il colpo,
replicando con un fendente
al basso ventre, che però venne evitato con
abilità.
In
fretta, i presenti
si scostarono dal campo di battaglia per dare maggiore spazio ai due
contendenti e Bjorn, nell’osservare il nipote alle prese con
il suo primo
duello, tremò.
Aveva
sempre reputato
sbagliato che il ragazzo venisse cresciuto nella bambagia, e che non
gli fosse
permesso di confrontarsi con gli altri al pari di qualsiasi altro
berserkir ma,
non essendo suo padre, aveva dovuto accettare silente.
Vederlo
alle prese
con un guerriero navigato e che, dalla sua, doveva avere invece anni e
anni di
esperienze nel combattimento, lo fece fremere di ansia ma, ugualmente,
non
cedette allo sconforto.
Tenendo
stretta a sé
la mano di Mattias, che stava osservando a sua volta con espressione
trepidante
lo svolgersi del duello, cercò di trasmettere al nipote
tutta la fiducia che
provava per lui e, tra sé, sperò che la presenza
di Avya potesse dargli
sicurezza.
Sapeva
quanto Magnus
tenesse in considerazione i suoi amici licantropi, e Avya era stata per
lui, in
più di un’occasione, una figura molto simile a una
madre, oltre che di
un’insegnante assai dotata.
Affrettandosi
a
scostare di peso Mattias quando Magnus venne scaraventato nella loro
direzione,
Bjorn lo rimise a terra giusto in tempo per vedere il nipote ripartire
alla
carica con un nuovo attacco.
Questa
volta,
l’aggressione andò a buon fine e, quando Bjorn
vide le zanne di Magnus
affondare nel braccio di Elias, seppe che il ragazzo stava cominciando
a prendere
le misure al proprio avversario.
Se
non fosse stato
che, da quel duello, sarebbero derivate fin troppe decisioni e
cambiamenti,
avrebbe persino detto che Magnus avesse cominciato a prenderci gusto.
Scuotendo
il capo di
fronte a quella stramba idea, Bjorn accennò un sorrisetto e,
nel dare una pacca
sulla spalla di Mattias, ancora palesemente in ansia,
asserì: “Comincia a
capire come gestire la berserksgangr.
E’ già un passo avanti.”
“Come
credi che
finirà?” domandò preoccupato Mattias,
non sapendo esattamente per chi tifare.
Per
quanto volesse la
vittoria di Magnus, sperare nella sconfitta del padre gli sembrava
tremendamente sbagliato, eppure sapeva che il duello non poteva
concludersi con
una parità.
Vedere
come la madre
stesse osservando livida Magnus, inoltre, non faceva ben sperare. A
giudicare
dal suo sguardo, se fosse stata lei a combattere, avrebbe
già tentato di
uccidere l’avversario senza badare all’etichetta o
al rispetto delle regole.
Questo
non faceva che
confermare ciò che, negli anni, Mattias aveva cercato
disperatamente di non
vedere; sua madre era più spietata del padre e forse, contro
di lei, Magnus non
avrebbe avuto scampo.
Suo
padre, invece,
per quanto deciso a sostenere le proprie idee, non sembrava propenso a
usare
dei mezzucci, pur di vincere, e questo pareva infastidire la moglie
che, ferma
sulla sua sedia a rotelle, osservava ogni loro mossa con astio aperto.
Non
badare a quel che fa tua madre.
Ormai sai già come la pensa, perciò non
angustiarti più del necessario,
gli ricordò Urd con tono
comprensivo.
“Ho
sperato fino all’ultimo che
potesse capire, ma questo spettacolo non fa che chiarire una volta di
più chi
sia lei davvero”
mormorò sconfortato
Mattias.
Per
questo, questa lotta è così
importante. Non solo noi abbiamo notato che tua madre sta osservando
l’avversario
del marito, e il suo stesso capoclan, con aperta
superiorità. I suoi stessi
sudditi stanno notando tutto questo, e ciò è
vitale per quanto ci riproponiamo
di fare. Ormai è divenuto lampante a tutti quanto, per lei,
Elias non sia mai
stato un degno capobranco, e questo sta rompendo le fila dei guerrieri
di tuo
padre.
“Lo
so, purtroppo”
assentì Mattias, scrutando
parimenti la madre e i guerrieri di suo padre, che stavano osservando
la scena
con espressioni sempre più disgustate.
Se
neppure la moglie
del capoclan aveva fiducia nel proprio partner, come avrebbero potuto
averne
loro?
Nel
vedere Avya
piegarsi in avanti, quasi colpita da un crampo, Urd intervenne rapida e
disse: Devo correre da lei. Te la senti di
fare da
tramite, o vuoi che esca?
“Farò
da tramite. Ormai ho capito
come fare” acconsentì
Mattias,
affrettandosi a raggiungere la donna per sostenerla durante la sua
lotta per
tenere bloccato il potere devastante di Odino.
Non
appena appoggiò
la mano sulla sua spalla, Mattias impallidì visibilmente e
Avya, nel notarlo,
esalò: “No, ragazzo! E’ ancora troppo
presto, per te!”
“Voglio
aiutare in
qualche modo. Lasciami fare, per favore” la pregò
a quel punto lui, mantenendo
il contatto e permettendo così a Urd di infondere nella
donna parte del suo
potere.
“Mattias…”
mormorò
spiacente Avya, poggiando una mano su quella del ragazzo.
Lui
sorrise appena,
annuì coraggiosamente e continuò a essere il
tramite tra la divinità e la wicca,
sopportando stoico anche le
occhiate velenose di sua madre che, ormai, sembrava essere del tutto
fuori
controllo.
La
sua gelida
facciata era caduta, lasciando intendere a tutti i presenti cosa
pensasse
realmente del marito, della sua apparente inadeguatezza come capo e,
più di
tutto, come vedesse il voltafaccia del figlio nei suoi confronti.
L’idolatria
e l’amore
incondizionato erano scomparsi dalle sue iridi d’acciaio
temprato, sostituite
dal disprezzo e dal disgusto.
Non
pensare a lei,
gli ricordò Urd con tono secco.
“E’
mia madre. Come posso non
pensare a lei?”
E’
la donna che ti ha dato la vita.
Tua madre è stata Ragnhild, e lei non ti guarderebbe mai
così. Lo sai,
gli rammentò Urd con voce più
dolce.
Mattias
fu costretto
ad annuire, ben sapendo che Urd aveva ragione. L’idolatria di
sua madre non era
mai stata diretta veramente a lui, ma a Urd, e i gesti
d’amore a lui rivolti
erano nati a causa di ciò che portava dentro di
sé. Se fosse stato un bambino
come tutti gli altri, probabilmente sarebbe stato trattato con ancor
più
freddezza rispetto a Ragnhild.
Sarebbe
stato solo
l’ennesimo guerriero da utilizzare per il predominio e per il
potere che lei non avrebbe mai
potuto avere.
Null’altro che questo.
Un
‘aaah’ collettivo
strappò Mattias a quei
torvi pensieri e, nel risollevare lo sguardo, si ritrovò a
fissare sgomento e
sorpreso la figura trionfante di Magnus che, fermo a zanne spalancate
sul collo
di Elias, attendeva da quest’ultimo la resa.
Già
pronto a veder
terminare con questo esito l’Ordalia, Mattias
sobbalzò sconcertato quando sua
madre, sbracciandosi dalla sedia a rotelle, gesticolò le
inequivocabili parole
che conficcarono l’ultimo chiodo sulla bara del suo amore per
lei.
Uccidilo.
Uccidi quel perdente.
Sua
madre. Sua madre
voleva che Magnus uccidesse il marito, reo di non aver vinto lo scontro.
A
tal punto arrivava
la sua follia.
Magnus,
per contro,
si risollevò, tornò uomo e allungò una
mano in direzione di Elias che, a sua
volta, riprese sembianze umane prima di accettare l’aiuto del
giovane così da
poter risollevarsi da terra.
Finalmente
libera,
Avya lasciò che Odino tornasse entro i confini della mente
di Magnus e il
giovane, con un sospiro, esalò all’indirizzo del
dio dentro di sé: “Ehi!
Bentornato! Ma cosa stavate
combinando, tu e Avya? Stava malissimo!”
Lei
è l’unica a poter gestire
questo genere di energia, ma non è una dea. Come pensavi
potesse stare?,
gli fece notare Odino prima di
aggiungere: Sei stato bravo, comunque. Ho
potuto vederti attraverso i suoi occhi, e posso dirti che hai fatto un
buon
lavoro.
“Non
mi sento molto felice,
comunque. Hai visto cos’è successo con la madre di
Mattias?”
Non
pensarci proprio ora. Dobbiamo
ancora completare l’Ordalia, e lo sai. Non puoi lasciarlo con
la berserksgangr attiva o, alla prima occasione, tornerà
sui suoi passi. Devi comminare
la condanna, sottolineò torvo Odino,
rammentandogli fin dove avrebbe dovuto
spingersi.
Magnus
assentì suo
malgrado e, con tono fiacco ma chiaro, disse: “Tua
è la sconfitta, Elias
Thomasson di Luleå, berserkr di Luleju1
e capoclan di detto branco.
Ti siano tolti i gradi e i poteri, in quanto reo di aver usato violenza
verso i
tuoi consanguinei e aver cagionato un danno fisico e morale a entrambi
i tuoi
figli.”
L’uomo
sgranò gli
occhi, di fronte a una simile condanna, ma nessuno osò
aprire bocca per contrariare
il vincitore. Come in qualsiasi Ordalia, chi vinceva aveva potere di
vita o di
morte sul proprio avversario, e ciò che si apprestava a fare
Magnus rientrava
nelle sue possibilità.
Reclinando
quindi il
capo, Elias si mise in ginocchio dinanzi a Magnus che,
nell’allungare una mano
ad Avya, mormorò: “Sacerdotessa della Madre, puoi
tu dunque privarlo dei suoi
poteri, perché essi tornino nel ventre di
Yggdrasil?”
“Mi
è concesso
acconsentire alla tua richiesta” annuì la giovane,
poggiando una mano sul capo
dell’uomo.
Chiusi
quindi gli
occhi, Avya scandagliò la memoria dell’uomo per
essere certa che le accuse di
Magnus fossero veritiere ma, quando giunse ai pensieri che riguardavano
Ragnhild, si scostò indignata ed esclamò:
“Questo è davvero troppo!”
Quell’esclamazione
sorprese i presenti e, inspiegabilmente, Isolde reclinò
colpevole il capo,
nascondendosi all’occhiata ferale che, subito dopo, Avya le
lanciò.
“Tu… anche tu la
tradisti!” sbottò furiosa Avya, illividendosi in
viso nell’osservare la sua sorella di culto.
“Mi
fu ordinato!” si
difese Isolde, lanciando occhiate alternate a Elias e Ingrid.
Un
brusio tra i
berserkir portò Avya a volgere lo sguardo verso di loro e
Ludvig, primo tra i
guerrieri, le chiese turbato: “Cosa non
sappiamo?”
“Tu
sei il guerriero
che chiese in moglie Ragnhild, giusto?” domandò
per contro Avya.
Lui
assentì
recisamente, così Avya domandò ancora:
“Sai che questa donna visitò Ragnhild
per provare ai genitori che fosse
illibata, così che potesse giungere a te pura e
intonsa?”
Ludvig
sobbalzò
sorpreso, scuotendo il capo e replicando: “E’ stato
assurdo farlo. Tutti noi
sappiamo che Ragnhild è sempre stata una ragazza a modo e
rispettosa delle
regole. La volevo in moglie anche per questo.”
“A
quanto pare,
qualcun altro non era così certo della sua buona condotta, e
l’ha trattata come
carne da macello”
sibilò a quel punto
Avya, fissando aspramente Elias prima di puntare lo sguardo su Ingrid e
aggiungere: “Non posso infierire su di te più di
quanto Madre non abbia già
fatto, ma sappi questo; tua figlia, ora, è
l’essere più potente dei Nove Regni,
al fianco del suo compagno, e non certo
per merito tuo.”
Ciò
detto, tornò a
rivolgersi a Elias e, nel poggiare nuovamente la mano sul suo capo,
mormorò
roca: “Meritereste di ardere vivi, per quanto avete fatto, ma
non è in mio
potere comminare una simile pena. Io agisco per conto di Madre, e
questo non è
il Suo desiderio.”
Chiusi
infine gli
occhi, disse con voce chiara: “Sia Tua l’energia di
quest’uomo, Madre. In
grazia ricevuta, in malagrazia strappata.”
Strette
le dita tra i
capelli di Elias, Avya procedette al recupero della berserksgangr
e l’uomo, digrignando i denti, poggiò entrambe le
mani a terra e urlò. Urlò come se ogni centimetro
della sua pelle gli fosse strappato
dalle membra e, quando infine anche l’ultima goccia di potere
venne
estrapolata, crollò a terra stremato.
Nessuno
lo aiutò e
Avya, nello scostarsi, lanciò un’occhiata a
Mattias, atterrito dalle ultime
parole della donna, e mormorò: “Scusami. Non
avresti dovuto saperlo così.”
Lui
scosse il capo,
si allontanò disgustato da Isolde e, correndo incontro a
Bjorn, si lasciò
abbracciare dall’uomo mentre sul suo volto calde lacrime
dilavavano le ultime
tracce di infantile meraviglia e ingenuità.
Sospirando,
Avya si
appoggiò al braccio levato di Magnus, sorrise a mezzo e
mormorò: “Dormirò per
un mese, dopo questo. Spero solo di non aver turbato troppo Fenrir.
Temo di avere
un tantino esagerato, poco fa, tenendo impegnato Odino.”
“Mi
vuoi dire, almeno
tu, cosa ti ha fatto?”
Lei
allora sollevò un
sopracciglio con ironia e replicò: “Come puoi
tenere sotto scacco un dio? O lo
imprigioni, o lo distrai. E, prima che tu pensi a cose peccaminose, ti
basti
sapere che abbiamo lottato.”
Magnus
fece tanto
d’occhi, a quelle parole e, nel rivolgersi
all’altro contendente, esalò: “Che
hai fatto?!”
Non
è colpa mia, se sono troppo
potente. Non posso essere semplicemente messo da parte, e non
è come quando tu
ti trastulli a baciare Ylsa e io mi chiudo nella mia stanzetta buia, gli ricordò il
dio.
Il
giovane arrossì
copiosamente nel sentirgli nominare la sua fidanzata e, irritato,
borbottò: “Sei pregato
di non ricordarmi che tu puoi
vederci.”
Tranquillo,
prima che tu raggiunga
i miei livelli, ce ne vorrà ancora…,
rise il dio. Tolto
questo, l’unico modo che Avya aveva per tenermi fuori dalla tua
lotta, era farmi lottare a mia volta, e
questo abbiamo fatto. Lei lo sapeva, io lo sapevo, e questo ti deve
bastare.
“Non
mi piace l’idea di usare i
miei amici a questo modo” borbottò
contrariato il giovane.
Ti
piaccia o meno, avere lo scettro
del potere richiede anche sacrifici, e questo è stato il tuo
primo atto come
re.
“Re?
Ma che vai dicendo?” gracchiò
Magnus, facendo tanto
d’occhi.
Preferisci
governatore, guida,
santo, primo ministro? Scegli tu. Ma questo sarai, d’ora in
poi, per i
berserkir che passeranno sotto il tuo dominio e questa, di sicuro, non
sarà la
tua ultima battaglia. Portare avanti le proprie idee per cambiare lo
stato
delle cose richiede tanta energia e sì, a volte qualche
lacrima.
Magnus
preferì
lasciar perdere quel discorso, per il momento. Ciò che
voleva, almeno per ora,
lo aveva ottenuto.
Mattias
era libero,
il branco di Luleå avrebbe seguito nuove regole e, a molti
mondi di distanza,
Ragnhild avrebbe potuto compiere indisturbata il suo destino.
Al
resto avrebbe
potuto pensare anche il giorno seguente, dopo una buona notte di riposo.
1 Luleju: nome sami della città di
Luleå.
N.d.A.:
Scusate tantissimo
questo ritardo mostruoso nell’aggiornare,
ma il lavoro mi ha riempito completamente le giornate, non concedendomi
neppure
un attimo per il betaggio. Spero davvero di essere più
puntuale, d’ora in poi,
visto che le cose sembrano essersi assestate.