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Autore: Mary P_Stark    22/10/2022    1 recensioni
Muspellheimr - Regno di Surtr
Il giovane Gigante di Fuoco Sthiggar, discendente della dea Sòl e figlio del Sommo Sacerdote Snorri, non conosce né paura né tanto meno vergogna e, a causa di ciò, finirà dapprima per essere punito dal re, e in seguito confinato sullo sperduto Regno di Manaheimr (Terra), nell'ancor più sperduto paesino di Lulea, in Svezia. Questo confino - agli occhi di Sthiggar più che ingiusto - porterà a sconvolgenti verità e alla scoperta di un destino a cui non sapeva di essere designato fin dalla sua nascita. L'aiuto della berserkr Ragnhild sarà vitale per comprendere meglio se stesso e il ruolo che gli compete nella complessa rete del Fato che si è stretta attorno a lui, ma saranno antiche divinità e nuovi nemici a mettere definitivamente alla prova il guerriero muspell. (per una totale comprensione, si devono leggere prima le altre storie legate a questa raccolta)
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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Cap. 28

 

 

Quand’anche l’ultimo muspell venne estratto dalle macerie di Hindarall – fortunatamente, molte persone si erano rifugiate nei sotterranei, protetti dalla magia liòsalfar del padre di Rhadd – Fenrir scrutò i suoi figli prima di indirizzarli verso il palazzo.

Naglfar stava ancora volteggiando sicura e inavvicinabile al di sopra del cortile antistante le ampie porte dell’immenso maniero in ossidiana e, quando il trio di licantropi giunse in loco, Hildur manovrò la nave per discendere.

Scostandosi quel tanto per non venire intercettati dai lunghi remi del veliero da guerra, Fenrir riprese sembianze umane al pari dei figli e, nell’osservare per un attimo il sole discendere lungo la linea dell’orizzonte, sospirò nel dire: “Ora si comincia a stare meglio.”

“Ci saranno quaranta gradi, ma fa niente. Con il surriscaldamento globale, ormai sono diventate temperature normali anche sulla Terra” si lagnò Sköll attirandosi addosso lo sguardo esasperato del fratello. “Ehi! Che ho detto? Non è forse vero?”

“Devi sempre lamentarti per qualcosa” gli fece notare Hati, accostandosi alla scaletta della nave per aiutare la regina a discenderne.

Fenrir li richiamò all’ordine prima che la discussione potesse degenerare – cominciava finalmente a ricordare cosa avesse voluto dire crescere due maschi dai caratteri così differenti – dopodiché, osservata la devastazione che li circondava, chiosò: “Gli indubbi vantaggi di una simile nave da guerra iniziano a sembrarmi chiari. E’ devastante.”

“Ha qualche giocattolino utile” assentì Hildur, allungandogli una mano per complimentarsi con lui e i suoi figli. “La situazione in città?”

“Stabile. Abbiamo liberato le persone bloccate sotto le abitazioni e, per il momento, i cittadini in salute si stanno occupando dei feriti nei sotterranei dove, a quanto pare, c’è un autentico ospedale da campo” le spiegò Fenrir, ammirato da una simile organizzazione.

“Qualcuno fu lungimirante, a suo tempo” ammise Hildur, lanciando uno sguardo alle sue spalle per osservare le alte torri di guardia da cui, fortunamente, ancora sventolava lo stendardo della casa regnante.

“Credi si possa entrare, ora?” domandò ansiosa Ilya, scrutando le porte del palazzo con aria bramosa.

Hildur cercò nello sguardo di Fenrir un qualsiasi genere di rassicurazione – o eventuale minaccia –, ma lui disse: “All’interno non si sente più battagliare, e l’odore di Sthiggar e Ragnhild è privo di tossine, segno che sono relativamente tranquilli. Possiamo procedere, ma la regina e il Gran Sacerdote procederanno accanto a noi.”

“La trovo una cosa sensata” assentì Hildur, lanciando quindi un’occhiata a Thrym e Flyka, dicendo: “Non dovrebbero esserci problemi, ma non voglio che Naglfar rimanga sguarnita. Pensate voi a tenerla d’occhio?”

Ilya fu sorpresa da tanta generosità, e anche i due muspell parvero sorpresi da una simile espressione di fiducia ma Thrym, nell’inchinarsi dinanzi alla sovrana, assentì e disse roco: “Onoreremo tale fiducia dando la nostra vita per la nave, qualora ve ne fosse bisogno.”

La sovrana scosse il capo e, nel poggiare una mano sui fulvi capelli del guerriero, replicò: “Salvate voi stessi, non la nave, se ve ne fosse bisogno. Ho visto fin troppi morti, e non ne voglio altri sulla cosienza.”

“Ai vostri ordini, maestà” mormorò allora Thrym.

Annuendo recisamente, Ilya si affiancò quindi a Fenrir, il quale le offrì il braccio mentre Hati si accostava a Snorri per proteggerlo. Sköll, invece, levò il naso per annusare l’aria, fu colto dalla curiosità e domandò al padre: “Non senti qualcosa di strano, papino?”

Fenrir lo fissò esacerbato – quando sarebbe finita questa cosa del papino, che proveniva al novantanove percento da Jerome? – ma acconsentì a controllare a sua volta l’aria con i propri sensi più che raffinati.

Sorpreso, quindi, sobbalzò e, scrutando dubbioso la regina, domandò: “Tra i vostri invitati, per caso, vi erano anche i sovrani di Elfheimr?”

“Ma certo” assentì la donna.

Persino Hati scoppiò a ridere e, mentre Sköll teneva le mani poggiate sullo stomaco, piegato in due dall’ironia di tutta quella situazione, Fenrir sospirò esasperato e borbottò: “Non anche loro. Non ho la forza di sopportare anche degli elfi chiari, oggi.”

***

Ilya riuscì a trovare il marito soltanto dopo una buona mezz’ora di tentativi a vuoto. Gli odori tendevano a sparpagliarsi attraverso i mille e più corridoi di palazzo, confondendo persino l’olfatto sopraffino di Fenrir. Trovare la pista giusta da prendere, perciò, richiese qualche tentativo a vuoto e diverse imprecazioni masticate tra i denti.

Gli stessi poteri di Ilya parvero in difficoltà, resi maldestri da uno strano incantesimo liòsalfar che sembrava essere steso come una ragnatela sull’intera città.

Quando, però, la regina scorse re Surtr in rapida discesa da una scala secondaria, seguito a ruota da un contingente di Fiamme Purpuree, oltre a Sthiggar e Ragnhild, la donna sospirò e gli corse incontro, esalando: “Mio Surtr!”

Bloccandosi a metà di un passo – l’espressione stanca subito sostituita dal sollievo – il muspell allargò le braccia per accoglierla in seno e, nel baciarle i capelli scarmigliati, mormorò: “Mio cuore! Sono lieto di rivederti!”

Ciò detto, indirizzò un’occhiata dubbiosa all’indirizzo dei tre licantropi prima di sorridere a Snorri e Hildur, aggiungendo: “Lieto di rivedere anche voi. A quanto pare, nel corso della tua missione, Hildur, hai reclutato alleati alquanto singolari.”

“Diciamo che è stato un crescendo di sorprese” ammiccò la donna, inchinandosi formalmente al suo sovrano.

Levando curioso un sopracciglio, Surtr si tenne al fianco la moglie dopodiché, avvicinatosi a Fenrir, allungò una mano e disse: “Riconosco il tuo potere, pur se non avevo mai avuto il piacere di incontrarti personalmente, Figlio di Loki. Ti sono riconoscente per ciò che hai fatto per il mio popolo e per mia moglie.”

Fenrir strinse la mano protesa del re, replicando: “Abbiamo reputato fosse necessario evitare il peggio, così ci siamo alleati alla tua regina.”

Dopo aver annuito brevemente, e aver concesso un cenno di ringraziamento a Hati e Sköll, il sovrano tornò mortalmente serio e borbottò: “Temo di non potermi fermare oltre, assieme a voi, poiché il compito di ripulire il palazzo dai traditori non è ancora terminato. Avremo tempo più avanti per comprendere bene come siete entrati a far parte di questa strana e perversa equazione.”

“Lo comprendiamo” assentì rapido Fenrir.

“Baderò io ai nostri ospiti, non temere” intervenne Ilya prima di chiedere: “Dove si trovano Oberon e Titania?”

A quel punto, Surtr sorrise divertito e celiò: “Nel mio studio, cara e, se non fosse che ho il fuoco alle calcagna, rimarrei per vedere questo incontro, ma purtroppo non posso.”

Sköll ridacchiò a quell’accento ma Fenrir lo frizzò con un’occhiataccia, riportandolo al silenzio. Non era davvero il caso di fare dell’ironia su ciò che era avvenuto su Elfheimr, visto quel che si era rischiato.

***

Per ogni evenienza, Ilya si tenne al braccio di Fenrir per tutto il tempo, così che fosse più che chiaro il loro reciproco rapporto di fiducia, oltre che per evitare che il dio-lupo si scagliasse contro Oberon al primo sguardo.

Non sapeva cosa fosse accaduto tra i due ma, quando Surtr aveva accennato alla presenza dei reali di Elfheimr nel suo Studio, le era parso chiaro quanto, tra Fenrir e gli elfi, non corresse esattamente buon sangue.

Quando, perciò, aprì la porta dello Studio per entrare assieme ai licantropi, Ilya lo fece con la segreta speranza di non dare il via a una seconda guerra.

Quel che vide subito dopo, però, scacciò immediatamente quel pensiero, e solo per sostituirlo con uno di pura confusione e sconcerto.

Alla vista del trio di licantropi, Titania si levò dalla poltrona per accorrere incontro a Fenrir e, dopo avergli gettato le braccia al collo, lo baciò con candore sulle guance sbarbate per poi esalare: “Oh, caro! Che piacere rivederti!”

Irrigidendosi leggermente, Fenrir la scostò con educazione prima di sorriderle con fredda cortesia dopodiché, incrociato lo sguardo corvino con quello color del cielo di Oberon, il dio-lupo disse: “Mio Signore Oberon. Ben trovato.”

“Dio-lupo… a quanto vedo, la fortuna ti segue benevola, se anche stavolta sei uscito illeso da una battaglia” sottolineò leggermente sarcastico il re degli elfi, mettendo timidamente in allarme la regina Ilya e Titania.

Accennando un sorrisino beffardo, Fenrir replicò: “Come dio della distruzione, ho una buona preparazione, in fatto di disastri, quindi so come gestirli… e come evitarli.”

Titania frizzò con lo sguardo Oberon prima che egli potesse replicare con una rispostaccia, così al sovrano liòsalfar non rimase che chiedere: “La tua prole?”

“Hati e Sköll” assentì Fenrir, presentandoglieli.

“E la tua affascinante signora non è presente, in questa sede?” si informò a quel punto Oberon.

“Non ci è concesso camminare assieme in nessuno dei Mondi, in queste forme. Ciò che tu vedesti fu solo la classica eccezione che conferma la regola” asserì Fenrir con tono fiacco.

“Un vero peccato” chiosò quindi Oberon prima di domandare: “A quale titolo siete qui, visto il ruolo che avrete in Ragnarök?”

“A titolo del tutto gratuito. Ragnarök per come lo conosciamo è del tutto svanito dai disegni del Cosmo e ora, con le nostre odierne azioni, stiamo riscrivendo il nostro futuro, a quanto ci è stato detto da persone ben informate” replicò con candore Fenrir, ora realmente stupendo il re degli elfi.

Titania parve parimenti sorpresa così Fenrir, per quanto gli fu concesso di esprimersi – sapeva che alcune cose avrebbero dovuto rimanere segrete, perciò non le disse – narrò gli eventi per come lui li aveva vissuti.

Immane sorpresa e sconcerto si confusero sui volti stupendi e perfetti dei due liòsalfar, ma nessun commento fu possibile poiché Fenrir, rabbrividendo di colpo, si volse verso la porta quasi a voler fuggire e, turbato, esalò: “Avya… ma cosa…?”

“Cos’è successo a mamma?” esalarono quasi all’unisono i figli, turbati al pari del padre.

Stringendosi una mano al torace e torcendo la tunica di pelle bianca che indossava, Fenrir reclinò il viso con aria straziata dall’ansia e, roco, esalò: “Sta utilizzando un potere enorme… ma perché?”

***

A diversi Mondi di distanza, e per tutt’altro genere di battaglia, Duncan McKalister si presentò a Luleå in compagnia di sua zia Sarah e dei suoi figli, Nathan e Hannah.

Branson – Geri del branco – si sarebbe occupato di guidare il clan in sua assenza, affiancato dai managarmr più alti in grado e da Spike Jefferson, Sköll di Bradford.

Alec aveva concesso più che volentieri a Duncan gli aiuti richiesti, con la speranza che non dovesse servire altro al branco di Matlock. L’idea di sapere Brianna su un altro Mondo non aveva reso per niente felice Alec ma, ben conoscendo l’amica e il suo spirito altruistico, non se n’era per nulla stupito.

Duncan era quindi partito subito dopo aver ricevuto la telefonata di Magnus, grazie alla quale aveva scoperto ciò che era avvenuto loro e cosa fosse stato deputato a fare suo malgrado.

Ora, dinanzi alla porta d’entrata della casa di Olaf Thomasson, Duncan strinse affettuosamente la mano di Magnus prima di dire: “E’ un piacere rivederti, anche se in circostanze così insolite e spiacevoli.”

“Mi spiace averti disturbato proprio quando la tua Triade è menomata e anche Brianna non può esserti d’aiuto. Spero tu abbia risolto in qualche modo” replicò Magnus, invitandoli a entrare all’interno dell’abitato.

“Ho messo insieme un buon gruppo di supporto, non temere” lo tranquillizzò lui prima di sorridere quando Hannah, che teneva in braccio, premette per raggiungere Magnus.

Magnus allora sorrise alla bimba di due anni, la accolse tra le braccia e mormorò: “Sei sempre più bella, Hannah, lo sai?”

La bimba si esibì in un sorriso tutto fossette davvero adorabile e Nathan, storcendo il naso, borbottò: “Appena ha saputo che saremmo venuti qua, ha cominciato a strillare come un’aquila.”

“Nat…” lo richiamò gentilmente Duncan, sorridendo al figlio primogenito che teneva la mano di Sarah, poco dietro di lui.

“Ma è vero, papà” brontolò per contro il bambino, facendo sorridere Sarah e sospirare il padre.

“Sarà anche vero, tesoro, ma non è certo carino farlo notare” sottolineò per contro Duncan.

“Se lo dici tu…” mugugnò il bambino, spallucciando.

Magnus sorrise indulgente al bambino e, nel dare un buffetto sulla guancia alla bambina tra le sue braccia, asserì: “Spero che il viaggio in aereo ti sia piaciuto, Nathan.”

“Eccome! Abbiamo incontrato anche delle turbo…” iniziò col dire lui prima di impappinarsi, scrutare dubbioso la zia e domandare: “Com’è che si dice?”

“Turbolenze, caro” gli spiegò Sarah.

“Ah, ecco. Turbolenze. L’aereo ha saltato parecchio, ma io mi sono divertito un sacco” sorrise deliziato Nathan.

Duncan rise diverito, a quel commento, e replicò: “Io avrei preferito evitare ma, se lui si è divertito, chi sono io per lamentarmi?”

Magnus assentì pieno di letizia – lieto che gli amici fossero così di buonumore nonostante la situazione paradossale che stavano vivendo – quindi, assieme, raggiunsero il salone principale della casa, dove già si trovavano i loro ospiti, oltre a Mattias, il nipote dei padroni di casa.

Una volta raggiuntili, Magnus fece gli onori di casa, presentando i nuovi venuti prima di ragguagliare Duncan in merito ai risvolti più gravi della sfida da lui lanciata al capoclan di Luleå.

Duncan ascoltò in silenzio l’intera storia mentre Nathan faceva la sua conoscenza con Mattias dopodiché, assentendo rapido al racconto offertogli, dichiarò: “Non ci sono problemi. Posso bloccare Odino con i poteri di Avya, ma quello che mi chiedo è; sei disposto a mostrare le tue zanne, amico mio?”

“Vi sono costretto. Ho procrastinato troppo e questi sono i risultati. Avrei dovuto essere più incisivo, parlare al mio popolo e rendere noti i miei pensieri e quelli di Odino” sospirò Magnus, scuotendo il capo. “Il nostro dio non è risorto solo perché spinto alla rinascita dalla presenza di Fenrir nel mondo. Voleva che i suoi guerrieri tornassero a prosperare e io, fino a ora, non ho fatto nulla per portare avanti questo progetto.”

“Hai quindici anni” sottolineò conciliante Duncan, sorridendogli benevolo.

“Potrei averne anche cinque, ma avrei dovuto cominciare ad agire al mio primo pensiero cosciente. Non posso contare su un’esistenza immortale, perciò devo apportare le modifiche che Odino desidera per i suoi protetti il più in fretta possibile, poiché anche io la penso così, e credo sia l’unico modo per permettere alla mia gente di salvarsi e prosperare” replicò Magnus, passandosi nervosamente una mano tra i corti capelli biondo cenere. “Solo, spero di essere all’altezza dei miei propositi. Non ho mai combattuto prima in vita mia.”

Quel commento sconcertò non poco Duncan che, sorridendo divertito all’amico, esalò: “Beh, ti sei scelto davvero un bel banco di prova, allora!”

“Puoi dirlo” esalò lui, scoppiando a ridere con l’amico e coinvolgendo in quella risata anche il resto dei presenti.

Hannah, che se ne stava ancora tra le braccia di Magnus, gli diede un bacetto sulla guancia e il giovane, sorridendole grato, mormorò: “Grazie per l’incoraggiamento, piccola.”

Soddisfatta, Hannah chiamò il fratello perché la prendesse in braccio e Nathan, nel recuperarla, la rimise a terra e domandò: “Vuoi giocare con noi, Hannah?”

“Sì” dichiarò solenne la bambina, facendo scoppiare nuovamente a ridere i presenti.

Nell’osservarla allontanarsi assieme a Nathan e Mattias, Magnus si rasserenò un poco, lieto di poter avere almeno i suoi amici, al suo fianco.

Andrà bene, non temere. Noi tutti abbiamo fiducia in te, gli rammentò Odino con tono compiaciuto.

“La fai facile. Tu e Fenrir vi siete allenati assieme, ma io nosottolineò per contro il giovane.

La tua memoria è buona, però. Ricorda le mie mosse e quelle di Fenrir, e vedrai che non avrai problemi. Per quanto Fenrir possa essere elegante nei movimenti, rimane pur sempre una creatura mutaforma come il berserkr, e questo sarà un vantaggio, per te. Hai già visto come combatte una creatura per metà animale, gli rammentò Odino.

“Spero tu abbia ragione, o la mia sarà la rivoluzione più breve della storia”, chiosò Magnus sorridendo speranzoso all’indirizzo di Duncan che, annuendo, gli batté confortante una mano sulla spalla.

Non doveva cedere allo sconforto e alla paura. Ormai aveva deciso e, per nulla al mondo, avrebbe ceduto di un passo.

Sperando di non fare un autentico casino nel frattempo.

***

La foresta di betulle nei pressi di Ale nascondeva il luogo sacro al popolo di berserkir di Luleå e, quando Magnus vi mise piede assieme ai suoi accompagnatori, percepì distintamente la presenza dei suoi avversari.

Isolata da tutti ed emblema super partes di quell’Ordalia, Isolde accolse entrambe le fazioni con un cenno del capo ma, alla vista della donna al fianco di Magnus, impallidì leggermente prima di inchinarsi ossequiosa.

Avya si scostò quindi dalla figura di Magnus per accostarsi a quella di Isolde e, con un debole sorriso, accennò un saluto col capo prima di dire: “Bentrovata, sorella.”

Lo sguardo dubbioso del gruppo di berserkir capitanato da Elias scrutò curioso la figura esile e piccola della donna appena giunta che, da parte sua, dimostrava di avere un potere così devastante da surclassare quello di Isolde.

Quest’ultima, nel rivolgersi al suo capoclan, disse: “Costei è la capostipite della razza Úlfheðnar, la compagna del dio-lupo Fenrir, e mi assisterà durante l’Ordalia.”

Elias si accigliò immediatamente, a quelle parole e, torvo, replicò: “E’ amica del mio nemico. Come potrà essere imparziale?”

Isolde parve personalmente insultata da quelle parole, perché replicò piccata: “Costei parla per conto di Madre e non potrebbe mai mentire. Garantisco io per lei.”

Pur scontento di quella novità, Elias assentì cauto e replicò: “Se sei convinta della sua buona volontà, non posso che acconsentire alla sua presenza.”

Sorridendo sorniona, Avya a quel punto ribattè: “Non ho bisogno delle parole di alcun uomo, licantropo o berserkr, per camminare su luogo sacro. Madre mi consente questo e altro, uomo-orso.”

Infastidito da quell’appunto, Elias emise un emblematico ‘mpfh’ prima di scrutare ombroso il suo giovane oppositore. L’essere stato costretto a quell’Ordalia non lo aveva di certo riempito di gioia ma, se voleva riprendere tra le mani il rispetto dei suoi uomini e il controllo del clan, non poteva di certo farsi battere.

Odino o non Odino.

Suo era il predominio, sue le decisioni, e non avrebbe permesso a nessuno di cambiare ciò che con tanta fatica la sua famiglia aveva creato in quei lunghi secoli.

Se il loro dio avesse voluto cambiare le regole del gioco sarebbe riemerso dagli anfratti del Valhalla molto tempo prima, perciò lui non aveva nulla da recriminarsi. Aveva fatto semplicemente del suo meglio per primeggiare e per portare avanti i suoi precetti.

Del tutto ignara delle ire di Elias, Avya si mosse verso il centro dell’arena composta da rado sottobosco e strati morbidi di muschio color giada, strappando così il capoclan berserkr ai suoi oscuri pellegrinaggi mentali e, con voce brillante, esclamò: “Come è in mio potere, bloccherò l’energia di Odino perché Magnus possa combattere unicamente con le sue doti di berserkr, e la vostra sorella si accerterà che la mia gabbia sia salda.”

Ciò detto, si avvicinò a Magnus e, dopo aver posto una mano sulla fronte del giovane, aggrottò la fronte e mormorò: “A noi due, Occhiosolo.”

Vacci piano, ragazza. Essere ingabbiato non piace a nessuno, le ricordò Odino.

“Non avrai paura, per caso?” replicò ironica la donna, espandendo la propria aura tutt’attorno alla fonte di potere generata dal dio.

Magnus dovette assestare i piedi sul terreno a causa del contraccolpo psichico e, per la prima volta da anni, percepì la propria mente stranamente vuota, come liberata da un peso, o da una scomoda presenza.

Anche cercando con attenzione, non avvertì in alcun modo l’energia del dio che risiedeva dentro di sé ma, quando osservò il volto di Avya per chiederle spiegazioni, si preoccupò immediatamente per lei.

La donna appariva pallida e imperlata di sudore, chiaramente frastornata dall’uso smodato del potere che aveva liberato per imprigionare Odino così, afferrandola alle spalle, mormorò turbato: “Sei sicura di farcela?”

“Non temere. Duncan mi sta aiutando a reggere il colpo e, almeno per un po’, riuscirò a contenerlo. Ma tu non perderti in gloria, amico mio, perché non so quanto tempo potrò resistere. Stiamo pur sempre parlando di Occhiosolo” sussurrò roca Avya, allontanandosi da Magnus, subito sorretta da Isolde, che la allontanò dal campo di battaglia per poi farla accomodare su un masso ricoperto di muschio.

Lanciata poi un’occhiata all’indirizzo del suo capoclan, asserì: “Potete dare inizio al duello. La sua mente è sgombra.”

E che gli dèi ce la mandino buona, pensò tra sé Avya, stringendosi le braccia al petto, la mente interamente concentrata sul dispiego smisurato di energie che stava utilizzando per tenere bloccato Odino entro il cerchio della sua prigione.

Elias non se lo fece ripetere due volte e, nell’arco di un paio di secondi, da uomo che era mutò in orso, scagliandosi contro Magnus con la berserksgangr già attiva e desiderosa di sangue.

Magnus respinse lesto il primo colpo, balzando su un lato e mutando esso stesso in orso per combattere più agevolmente contro il possente nemico.

L’avversario non perse tempo e contrattaccò immediatamente, scagliando i lunghi artigli contro la sua giugulare, ma ancora Magnus evitò il colpo, replicando con un fendente al basso ventre, che però venne evitato con abilità.

In fretta, i presenti si scostarono dal campo di battaglia per dare maggiore spazio ai due contendenti e Bjorn, nell’osservare il nipote alle prese con il suo primo duello, tremò.

Aveva sempre reputato sbagliato che il ragazzo venisse cresciuto nella bambagia, e che non gli fosse permesso di confrontarsi con gli altri al pari di qualsiasi altro berserkir ma, non essendo suo padre, aveva dovuto accettare silente.

Vederlo alle prese con un guerriero navigato e che, dalla sua, doveva avere invece anni e anni di esperienze nel combattimento, lo fece fremere di ansia ma, ugualmente, non cedette allo sconforto.

Tenendo stretta a sé la mano di Mattias, che stava osservando a sua volta con espressione trepidante lo svolgersi del duello, cercò di trasmettere al nipote tutta la fiducia che provava per lui e, tra sé, sperò che la presenza di Avya potesse dargli sicurezza.

Sapeva quanto Magnus tenesse in considerazione i suoi amici licantropi, e Avya era stata per lui, in più di un’occasione, una figura molto simile a una madre, oltre che di un’insegnante assai dotata.

Affrettandosi a scostare di peso Mattias quando Magnus venne scaraventato nella loro direzione, Bjorn lo rimise a terra giusto in tempo per vedere il nipote ripartire alla carica con un nuovo attacco.

Questa volta, l’aggressione andò a buon fine e, quando Bjorn vide le zanne di Magnus affondare nel braccio di Elias, seppe che il ragazzo stava cominciando a prendere le misure al proprio avversario.

Se non fosse stato che, da quel duello, sarebbero derivate fin troppe decisioni e cambiamenti, avrebbe persino detto che Magnus avesse cominciato a prenderci gusto.

Scuotendo il capo di fronte a quella stramba idea, Bjorn accennò un sorrisetto e, nel dare una pacca sulla spalla di Mattias, ancora palesemente in ansia, asserì: “Comincia a capire come gestire la berserksgangr. E’ già un passo avanti.”

“Come credi che finirà?” domandò preoccupato Mattias, non sapendo esattamente per chi tifare.

Per quanto volesse la vittoria di Magnus, sperare nella sconfitta del padre gli sembrava tremendamente sbagliato, eppure sapeva che il duello non poteva concludersi con una parità.

Vedere come la madre stesse osservando livida Magnus, inoltre, non faceva ben sperare. A giudicare dal suo sguardo, se fosse stata lei a combattere, avrebbe già tentato di uccidere l’avversario senza badare all’etichetta o al rispetto delle regole.

Questo non faceva che confermare ciò che, negli anni, Mattias aveva cercato disperatamente di non vedere; sua madre era più spietata del padre e forse, contro di lei, Magnus non avrebbe avuto scampo.

Suo padre, invece, per quanto deciso a sostenere le proprie idee, non sembrava propenso a usare dei mezzucci, pur di vincere, e questo pareva infastidire la moglie che, ferma sulla sua sedia a rotelle, osservava ogni loro mossa con astio aperto.

Non badare a quel che fa tua madre. Ormai sai già come la pensa, perciò non angustiarti più del necessario, gli ricordò Urd con tono comprensivo.

“Ho sperato fino all’ultimo che potesse capire, ma questo spettacolo non fa che chiarire una volta di più chi sia lei davvero” mormorò sconfortato Mattias.

Per questo, questa lotta è così importante. Non solo noi abbiamo notato che tua madre sta osservando l’avversario del marito, e il suo stesso capoclan, con aperta superiorità. I suoi stessi sudditi stanno notando tutto questo, e ciò è vitale per quanto ci riproponiamo di fare. Ormai è divenuto lampante a tutti quanto, per lei, Elias non sia mai stato un degno capobranco, e questo sta rompendo le fila dei guerrieri di tuo padre.

“Lo so, purtroppo” assentì Mattias, scrutando parimenti la madre e i guerrieri di suo padre, che stavano osservando la scena con espressioni sempre più disgustate.

Se neppure la moglie del capoclan aveva fiducia nel proprio partner, come avrebbero potuto averne loro?

Nel vedere Avya piegarsi in avanti, quasi colpita da un crampo, Urd intervenne rapida e disse: Devo correre da lei. Te la senti di fare da tramite, o vuoi che esca?

“Farò da tramite. Ormai ho capito come fare” acconsentì Mattias, affrettandosi a raggiungere la donna per sostenerla durante la sua lotta per tenere bloccato il potere devastante di Odino.

Non appena appoggiò la mano sulla sua spalla, Mattias impallidì visibilmente e Avya, nel notarlo, esalò: “No, ragazzo! E’ ancora troppo presto, per te!”

“Voglio aiutare in qualche modo. Lasciami fare, per favore” la pregò a quel punto lui, mantenendo il contatto e permettendo così a Urd di infondere nella donna parte del suo potere.

“Mattias…” mormorò spiacente Avya, poggiando una mano su quella del ragazzo.

Lui sorrise appena, annuì coraggiosamente e continuò a essere il tramite tra la divinità e la wicca, sopportando stoico anche le occhiate velenose di sua madre che, ormai, sembrava essere del tutto fuori controllo.

La sua gelida facciata era caduta, lasciando intendere a tutti i presenti cosa pensasse realmente del marito, della sua apparente inadeguatezza come capo e, più di tutto, come vedesse il voltafaccia del figlio nei suoi confronti.

L’idolatria e l’amore incondizionato erano scomparsi dalle sue iridi d’acciaio temprato, sostituite dal disprezzo e dal disgusto.

Non pensare a lei, gli ricordò Urd con tono secco.

“E’ mia madre. Come posso non pensare a lei?”

E’ la donna che ti ha dato la vita. Tua madre è stata Ragnhild, e lei non ti guarderebbe mai così. Lo sai, gli rammentò Urd con voce più dolce.

Mattias fu costretto ad annuire, ben sapendo che Urd aveva ragione. L’idolatria di sua madre non era mai stata diretta veramente a lui, ma a Urd, e i gesti d’amore a lui rivolti erano nati a causa di ciò che portava dentro di sé. Se fosse stato un bambino come tutti gli altri, probabilmente sarebbe stato trattato con ancor più freddezza rispetto a Ragnhild.

Sarebbe stato solo l’ennesimo guerriero da utilizzare per il predominio e per il potere che lei non avrebbe mai potuto avere. Null’altro che questo.

Un ‘aaah’ collettivo strappò Mattias a quei torvi pensieri e, nel risollevare lo sguardo, si ritrovò a fissare sgomento e sorpreso la figura trionfante di Magnus che, fermo a zanne spalancate sul collo di Elias, attendeva da quest’ultimo la resa.

Già pronto a veder terminare con questo esito l’Ordalia, Mattias sobbalzò sconcertato quando sua madre, sbracciandosi dalla sedia a rotelle, gesticolò le inequivocabili parole che conficcarono l’ultimo chiodo sulla bara del suo amore per lei.

Uccidilo. Uccidi quel perdente.

Sua madre. Sua madre voleva che Magnus uccidesse il marito, reo di non aver vinto lo scontro.

A tal punto arrivava la sua follia.

Magnus, per contro, si risollevò, tornò uomo e allungò una mano in direzione di Elias che, a sua volta, riprese sembianze umane prima di accettare l’aiuto del giovane così da poter risollevarsi da terra.

Finalmente libera, Avya lasciò che Odino tornasse entro i confini della mente di Magnus e il giovane, con un sospiro, esalò all’indirizzo del dio dentro di sé: “Ehi! Bentornato! Ma cosa stavate combinando, tu e Avya? Stava malissimo!”

Lei è l’unica a poter gestire questo genere di energia, ma non è una dea. Come pensavi potesse stare?, gli fece notare Odino prima di aggiungere: Sei stato bravo, comunque. Ho potuto vederti attraverso i suoi occhi, e posso dirti che hai fatto un buon lavoro.

“Non mi sento molto felice, comunque. Hai visto cos’è successo con la madre di Mattias?”

Non pensarci proprio ora. Dobbiamo ancora completare l’Ordalia, e lo sai. Non puoi lasciarlo con la berserksgangr attiva o, alla prima occasione, tornerà sui suoi passi. Devi comminare la condanna, sottolineò torvo Odino, rammentandogli fin dove avrebbe dovuto spingersi.

Magnus assentì suo malgrado e, con tono fiacco ma chiaro, disse: “Tua è la sconfitta, Elias Thomasson di Luleå, berserkr di Luleju1 e capoclan di detto branco. Ti siano tolti i gradi e i poteri, in quanto reo di aver usato violenza verso i tuoi consanguinei e aver cagionato un danno fisico e morale a entrambi i tuoi figli.”

L’uomo sgranò gli occhi, di fronte a una simile condanna, ma nessuno osò aprire bocca per contrariare il vincitore. Come in qualsiasi Ordalia, chi vinceva aveva potere di vita o di morte sul proprio avversario, e ciò che si apprestava a fare Magnus rientrava nelle sue possibilità.

Reclinando quindi il capo, Elias si mise in ginocchio dinanzi a Magnus che, nell’allungare una mano ad Avya, mormorò: “Sacerdotessa della Madre, puoi tu dunque privarlo dei suoi poteri, perché essi tornino nel ventre di Yggdrasil?”

“Mi è concesso acconsentire alla tua richiesta” annuì la giovane, poggiando una mano sul capo dell’uomo.

Chiusi quindi gli occhi, Avya scandagliò la memoria dell’uomo per essere certa che le accuse di Magnus fossero veritiere ma, quando giunse ai pensieri che riguardavano Ragnhild, si scostò indignata ed esclamò: “Questo è davvero troppo!”

Quell’esclamazione sorprese i presenti e, inspiegabilmente, Isolde reclinò colpevole il capo, nascondendosi all’occhiata ferale che, subito dopo, Avya le lanciò.

Tu… anche tu la tradisti!” sbottò furiosa Avya, illividendosi in viso nell’osservare la sua sorella di culto.

“Mi fu ordinato!” si difese Isolde, lanciando occhiate alternate a Elias e Ingrid.

Un brusio tra i berserkir portò Avya a volgere lo sguardo verso di loro e Ludvig, primo tra i guerrieri, le chiese turbato: “Cosa non sappiamo?”

“Tu sei il guerriero che chiese in moglie Ragnhild, giusto?” domandò per contro Avya.

Lui assentì recisamente, così Avya domandò ancora: “Sai che questa donna visitò Ragnhild per provare ai genitori che fosse illibata, così che potesse giungere a te pura e intonsa?”

Ludvig sobbalzò sorpreso, scuotendo il capo e replicando: “E’ stato assurdo farlo. Tutti noi sappiamo che Ragnhild è sempre stata una ragazza a modo e rispettosa delle regole. La volevo in moglie anche per questo.”

“A quanto pare, qualcun altro non era così certo della sua buona condotta, e l’ha trattata come carne da macello” sibilò a quel punto Avya, fissando aspramente Elias prima di puntare lo sguardo su Ingrid e aggiungere: “Non posso infierire su di te più di quanto Madre non abbia già fatto, ma sappi questo; tua figlia, ora, è l’essere più potente dei Nove Regni, al fianco del suo compagno, e non certo per merito tuo.

Ciò detto, tornò a rivolgersi a Elias e, nel poggiare nuovamente la mano sul suo capo, mormorò roca: “Meritereste di ardere vivi, per quanto avete fatto, ma non è in mio potere comminare una simile pena. Io agisco per conto di Madre, e questo non è il Suo desiderio.”

Chiusi infine gli occhi, disse con voce chiara: “Sia Tua l’energia di quest’uomo, Madre. In grazia ricevuta, in malagrazia strappata.”

Strette le dita tra i capelli di Elias, Avya procedette al recupero della berserksgangr e l’uomo, digrignando i denti, poggiò entrambe le mani a terra e urlò. Urlò come se ogni centimetro della sua pelle gli fosse strappato dalle membra e, quando infine anche l’ultima goccia di potere venne estrapolata, crollò a terra stremato.

Nessuno lo aiutò e Avya, nello scostarsi, lanciò un’occhiata a Mattias, atterrito dalle ultime parole della donna, e mormorò: “Scusami. Non avresti dovuto saperlo così.”

Lui scosse il capo, si allontanò disgustato da Isolde e, correndo incontro a Bjorn, si lasciò abbracciare dall’uomo mentre sul suo volto calde lacrime dilavavano le ultime tracce di infantile meraviglia e ingenuità.

Sospirando, Avya si appoggiò al braccio levato di Magnus, sorrise a mezzo e mormorò: “Dormirò per un mese, dopo questo. Spero solo di non aver turbato troppo Fenrir. Temo di avere un tantino esagerato, poco fa, tenendo impegnato Odino.”

“Mi vuoi dire, almeno tu, cosa ti ha fatto?”

Lei allora sollevò un sopracciglio con ironia e replicò: “Come puoi tenere sotto scacco un dio? O lo imprigioni, o lo distrai. E, prima che tu pensi a cose peccaminose, ti basti sapere che abbiamo lottato.”

Magnus fece tanto d’occhi, a quelle parole e, nel rivolgersi all’altro contendente, esalò: “Che hai fatto?!”

Non è colpa mia, se sono troppo potente. Non posso essere semplicemente messo da parte, e non è come quando tu ti trastulli a baciare Ylsa e io mi chiudo nella mia stanzetta buia,  gli ricordò il dio.

Il giovane arrossì copiosamente nel sentirgli nominare la sua fidanzata e, irritato, borbottò: “Sei pregato di non ricordarmi che tu puoi vederci.”

Tranquillo, prima che tu raggiunga i miei livelli, ce ne vorrà ancora…, rise il dio. Tolto questo, l’unico modo che Avya aveva per tenermi fuori dalla tua lotta, era farmi lottare a mia volta, e questo abbiamo fatto. Lei lo sapeva, io lo sapevo, e questo ti deve bastare.

“Non mi piace l’idea di usare i miei amici a questo modo” borbottò contrariato il giovane.

Ti piaccia o meno, avere lo scettro del potere richiede anche sacrifici, e questo è stato il tuo primo atto come re.

“Re? Ma che vai dicendo?” gracchiò Magnus, facendo tanto d’occhi.

Preferisci governatore, guida, santo, primo ministro? Scegli tu. Ma questo sarai, d’ora in poi, per i berserkir che passeranno sotto il tuo dominio e questa, di sicuro, non sarà la tua ultima battaglia. Portare avanti le proprie idee per cambiare lo stato delle cose richiede tanta energia e sì, a volte qualche lacrima.

Magnus preferì lasciar perdere quel discorso, per il momento. Ciò che voleva, almeno per ora, lo aveva ottenuto.

Mattias era libero, il branco di Luleå avrebbe seguito nuove regole e, a molti mondi di distanza, Ragnhild avrebbe potuto compiere indisturbata il suo destino.

Al resto avrebbe potuto pensare anche il giorno seguente, dopo una buona notte di riposo.

 

 

1 Luleju: nome sami della città di Luleå.

 

N.d.A.: Scusate tantissimo questo ritardo mostruoso nell’aggiornare, ma il lavoro mi ha riempito completamente le giornate, non concedendomi neppure un attimo per il betaggio. Spero davvero di essere più puntuale, d’ora in poi, visto che le cose sembrano essersi assestate.

  
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