Cap.
29
Fu
solo agli albori
dell’alba che la caccia ai traditori poté dirsi
conclusa – almeno per quel che
riguardava la città di Hindarall – e, quando
finalmente re Surtr poté schierare
i traditori nell’ampio piazzale antistante il palazzo, la sua
ira non avrebbe
potuto essere più funesta.
La
Fiamma Viva
brillava vivacemente quanto minacciosamente, intorno a lui, e lunghe
spire di
fuoco si espandevano dal suo corpo lanciando ogni dove lampi di luce
scarlatta
e funesta.
Al
suo fianco, vigile
come un falco e pronto a intervenire se necessario, Yothan manteneva
inguainata
la propria spada, gli occhi puntati sulle Fiamme che avevano tradito e
su
coloro che, nel Concilio, avevano voluto la morte del loro re.
Alle
spalle del
sovrano, mano nella mano e avvinti a loro volta dalle spire di fuoco
della
Spada Fiammeggiante, Sthiggar e Ragnhild osservavano impassibili la
scena e la
giovane, con tono ormai stanco, dichiarò lapidaria nella
mente del compagno: “Dormirò
un mese di seguito, dopo questa
maratona.”
“Tutto
quello che vuoi” le
concesse Sthiggar, sorridendole
brevemente.
“Hildur
ha già mandato gli emissari
nelle città vicine per scoprire se ci sono degli altri
traditori?” si
informò quindi Ragnhild.
“Sì.
Entro breve, conosceremo fino
a che punto le spirali del tradimento si sono estese e,alla fine di
tutto
questo, noi due potremo prenderci finalmente una pausa.”
“Non
vedo l’ora” sospirò
Ragnhild prima di volgersi
sorpresa per scrutare l’arrivo di una Fiamma Nera,
interamente ricoperta
dall’armatura e con il volto celato da un pesante elmo dal
pennacchio corvino.
Sorpresa
e confusa
assieme, Ragnhild inviò un pensiero dubbioso al compagno,
chiedendo: “Chi
è?”
“Non
credo sia Hildur, né mi pare
di aver mai visto quella guerriera… quindi
chi…”
mormorò Sthiggar prima di fare
tanto d’occhi quando, finalmente, comprese a chi appartenesse
l’aura di quella
Fiamma Nera in particolare.
Nel
vedere a sua
volta sopraggiungere la Fiamma Nera che tanto stupore aveva sollevato
nell’Elsa
e nella Lama della Spada fiammeggiante, il re declamò con
voce tonante quanto
gelida: “Spero abbiate finalmente compreso fin dove vi ha
condotto la stolta
ricerca della mia morte. Alla vostra!”
Uno
a uno, i membri
corrotti della Corte si ritrovarono loro malgrado a dover fronteggiare
lo
sguardo raggelante e insieme infuocato del loro sovrano che, con un
cenno
rapido e secco della mano, invitò la Fiamma Nera a compiere
gli ultimi passi
per raggiungerlo.
Dopo
aver osservato l’alta
guerriera sopravanzarlo con passo imperioso e sicuro, Surtr raggiunse
il
comandante delle Fiamme Dorate mentre Yothan si spostava per
raggiungere il suo
contingente di Fiamme Purpuree.
Sthiggar
e Ragnhild,
infine, si posizionarono dinanzi al battaglione delle Fiamme Nere,
lasciando
così che la guerriera in armi potesse compiere quanto
richiesto implicitamente
dal re.
Sollevata
la lama ricurva
che, fino a quel momento, aveva dimorato al sicuro nel fodero legato al
fianco
della guerriera, la Fiamma Nera compì un’autentica
danza di morte tra i
condannati, falciando l’aria e lasciando dietro di
sé una scia di cadaveri via
via maggiore.
A
ogni nuovo taglio,
a ogni elegante e ferale movimento di danza e lama, un fiotto di sangue
insozzò
l’armatura, ma la guerriera non se ne curò. Ella
procedette con meticolosa precisione,
non lasciando in vita neppure uno dei traditori fino a che, dopo aver
condotto alle
porte del regno di Hel una trentina di traditori, giunse infine dinanzi
a
Mikell e Thrydann.
Lì,
la guerriera si
levò finalmente l’elmo per mostrare ai presenti la
sua reale identità e, quando
Mikell si ritrovò a fronteggiare lo sguardo ribollente della
sorella, trasalì
visibilmente, impallidendo.
“Non
avresti mai, mai dovuto tentare di
uccidere il mio
amore, fratello. Neppure per dare requie al tuo dolore. Tutti noi
abbiamo amato
Khyddar, e lui per primo non avrebbe mai voluto vederti compiere una
simile
vendetta, ma ormai è tardi per le parole, per le
recriminazioni… per tutto.
Muori da traditore, senza il mio perdono.”
Ciò
detto, levò la
spada per trapassargli il cuore mentre, tutt’attorno, un
silenzio di morte
accompagnava quell’ennesima esecuzione.
Quand’anche
il corpo
di Mikell cadde a terra privo di vita, Ilya poggiò la lama
sul collo di un
tremante Thrydann e, nell’aprirsi in un leggero sorriso pieno
di gelida furia, aggiunse:
“Come la nostra Elsa ti disse prima di badare amorevolmente
alla tua famiglia, la tua bocca
avrebbe
dovuto essere usata con maggiore discernimento, ma ora non avrai
più
possibilità di farlo. Desiderare ciò che non si
potrà mai avere senza
comprendere quando fermarsi, può condurre alla morte. Muori
da traditore, senza
il perdono dei tuoi cari.”
Thrydann
chiese umile
perdono in un ultimo urlo disperato, sapendo quali atroci sofferenze
gli
sarebbero spettate in Hel, come traditore e condannato senza perdono,
ma la
lama di Ilya colpì con precisione, mozzandogli il capo senza
più proferir
parola.
A
quell’ultimo gesto
seguì il rinfodero della lama insanguinata; il fodero della
spada avrebbe pensato
autonomamente a rendere nuovamente lindo e intonso il metallo
intarsiato di
incantesimi elfici.
Solo
a quel punto si volse
verso il suo re e dichiarò con voce sicura:
“Grazie per avermi concesso di
punire i traditori di mia mano.”
“Non
avrei permesso a
nessun altro di farlo, visto che la richiesta è giunta
direttamente dalla tua
bocca, mio comandante in capo” mormorò in risposta
il re, raggiungendola per
stringerla in un abbraccio.
Ilya
si lasciò
avvolgere dalle sue braccia così come dalle sue fiamme e,
solo all’ombra della
sua possanza, poté finalmente lasciarsi andare a un pianto
silenzioso.
Quando
Surtr le aveva
detto non soltanto della colpevolezza del fratello, ma anche della
ferma
convinzione di Mikell che Khyddar fosse morto per
colpa loro, - del re in primis - Ilya non aveva avuto dubbi.
Lei,
e lei sola,
avrebbe dovuto mettere fine alla vita di coloro che avevano tradito il
re, di
coloro che avevano tradito il suo Surtr,
di coloro che avevano messo a rischio la sicurezza di tutto
Muspellheimr.
Khyddar
aveva sempre
amato Surtr, e il suo arruolamento nelle Fiamme Purpuree era nato dal
desiderio
del giovane di schierarsi nelle fila di soldati del suo amato zio, di
coloro
che erano deputati a servirlo e proteggerlo.
Mikell
non si era mai
sforzato di comprendere l’affetto che legava Khyddar a Surtr,
né aveva mai dato
peso alle ambizioni militari del figlio. Il suo ultimo gesto, per
quanto impulsivo,
aveva voluto essere l’estremo tentativo del giovane di
dimostrarsi un degno
combattente e, soprattutto un devoto e fedele suddito del sovrano.
Se
non fosse stato
per le subdole armi dokkalfaryan, Khyddar avrebbe potuto continuare a
fare
quanto aveva sempre desiderato per molti altri secoli ancora.
Questo,
Mikell non lo
aveva compreso, deputando a Surtr ogni colpa e imbastendo
così contro di lui
una vendetta che, però, non era stato in grado di gestire e
che aveva portato,
per diretta conseguenza, a ciò che era appena avvenuto.
Mikell
era stato
guidato dalla vendetta e si era fidato di persone gelose ed egoiste,
per
portare avanti il proprio piano e, questi sentimenti superficiali
quanto
effimeri, lo avevano condotto all’errore e, infine, alla
morte.
Quando
poté ritenersi
in grado di reggere lo sguardo delle altrui persone, Ilya si
scostò dal marito
e, nel volgersi verso il suo acquartieramento di Fiamme Nere,
richiamò a sé
Hildur e ordinò: “Fai sgomberare il piazzale da
questi traditori, dopodiché
riunisci tutti i comandanti delle Fiamme nel Salone dei Rinfreschi. Ho
intenzione di scambiare due parole con tutti loro.”
“Sì,
comandande”
mormorò Hildur con un inchino, sbraitando poi ordini ai suoi
sottoposti perché
mettessero in pratica le parole della regina.
Come
un sol uomo, i
soldati si mossero per eseguire gli ordini mentre Surtr, chiamati a
sé Sthiggar
e Ragnhild, disse: “Occorreranno giorni, forse settimane,
perché l’epurazione
venga terminata. Usate questo periodo per riposare. Quando
sarà il tempo,
verrete chiamati a Corte per la vostra investitura ufficiale.”
I
due giovani assentirono
silenti e Sthiggar, dopo un’ultima occhiata ammirata a Ilya,
mormorò: “Non
avevo davvero idea che il fantomatico comandante delle Fiamme Nere
foste voi,
maestà.”
La
regina gli sorrise
a mezzo, gli carezzò una guancia con fare materno e
replicò: “Noi donne
dobbiamo tenerci sempre qualche segreto nel cassetto, altrimenti come
faremmo a
stupire voi uomini?”
Lui
allora rise
debolmente, annuì e si inchinò, subito imitato da
Ragnhild che, non sapendo
bene quale fosse la riverenza giusta da fare, abbozzò un
inchino che aveva
visto tante volte alla TV, sperando potesse andare bene.
Ciò
fatto, afferrò la
mano di Sthiggar per allontanarsi e raggiungere Snorri, che li stava
aspettando
nei pressi delle porte d’ingresso del Palazzo e, solo in quel
momento, iniziò a
sentire sulle spalle il peso di quanto avvenuto.
Aggrappandosi
letteralmente al braccio del compagno, Ragnhild mormorò
fiacca: “E’ possibile
fare immediatamente un
riposino?”
Lui
le sorrise
comprensivo, annuendo e, quando finalmente raggiunsero Snorri, che
attendeva in
compagnia dei licantropi, di Thrym e Flyka, asserì
all’indirizzo della sua
donna: “Riposerai tutto il tempo che vorrai, Ragnhild. Hai
sentito il re…
abbiamo giorni interi, forse settimane, prima di dover ripresentarci
gioco
forza qui a palazzo.”
Guardando
poi i suoi
amici, aggiunse: “Quanto a voi, spero vorrete essere nostri
ospiti per tutto il
tempo che riterrete piacevole.”
Fenrir,
pur grato per
l’invito, scrutò un istante i suoi figli prima di
dire: “Attenderemo che Surtr
abbia sbrigato le sue faccende, poi ripartiremo quanto prima attraverso
il
varco di Bifröst. Sono in pensiero per Avya, perciò
vorrei rientrare quanto
prima su Midghardr.”
“Ti
capisco, e non vi
tratterrò oltre, allora” assentì
Sthiggar, allungando una mano verso il
dio-lupo. “Ringraziarvi mi sembra riduttivo ma, in mancanza
d’altro, sappiate
che sarò sempre vostro debitore. Potrete sempre contare su
di me, per qualsiasi
cosa.”
Fenrir
assentì nel
replicare alla stretta dopodiché, scrutando il volto ormai
provato di Ragnhild,
aggiunse: “Raggiungeremo tuo fratello per dirgli che stai
bene. Hai un
messaggio per lui?”
La
giovane gli
sorrise grata ma scosse il capo e replicò:
“Fategli solo sapere che sto bene.
Basterà. Ci eravamo già detti tutto il necessario
prima di separarci.”
“Spero
sinceramente di
potervi rivedere in momenti migliori” terminò di
dire Sthiggar, prendendo in
braccio un’ormai provata Ragnhild che, con un ultimo
sbadiglio, si lasciò
crollare contro la sua spalla. “E’ ormai tempo che
le trovi un letto in cui
riposare. Usare l’energia dell’Elsa senza aver mai
sperimentato prima un simile
potere deve essere stato devastante, per lei.”
“Occupati
della tua
compagna come è giusto che sia” assentì
Fenrir, dando una carezza al capo di
Ragnhild al pari di un padre con la propria figlia.
“E’ tempo per entrambi di
raccogliere i frutti del vostro operato, così come lo
è per noi quello di
tornare.”
Detto
ciò, Fenrir,
Hati e Sköll si allontanarono per raggiungere Surtr e
Sthiggar, nell’osservarli
con sguardo grato, mormorò: “Abbiamo davvero
cambiato le carte in tavola.”
“Se
ne parlerà nei
millenni a venire” annuì Snorri, dandogli una
pacca sulla spalla prima di
sorridere a una insonnolita Ragnhild. “Ma ora, è
meglio andare. Ancora non
sappiamo se casa nostra è stata colpita
dall’attacco.”
Annuendo
al padre,
Sthiggar scrutò Thrym e Flyka prima di dire: “Il
re vi concederà la grazia ma,
almeno per il momento, penso che avrà ben altro a cui
pensare. Rimarrete da noi
finché sarà il tempo.”
I
due muspell
assentirono grati e, mentre il sole lentamente si faceva largo tra le
guglie
scure dei monti, il gruppo di Sthiggar si allontanò con
passo leggero dal
palazzo reale.
***
Per
quanto
distruzione e morte avessero colpito il Portale di Bifröst,
l’entrata per il
regno di Midghardr era ancora in piedi e Surtr, dopo
un’ultima stretta di mano
a Fenrir, dichiarò: “Sarete sempre i benvenuti,
qualora desideraste tornare in
momenti più consoni. Per parte mia, consideratemi vostro
debitore. Ciò che
avete fatto per il mio regno si narrerà nei tempi a venire e
il buon nome della
tua famiglia, Fenrir, verrà riabilitato per i
posteri.”
“Mi
basta sapere che
la nostra missione è andata a buon fine. Il resto, possiamo
lasciarlo in mano
al Fato” dichiarò semplicemente Fenrir.
“Torniamo con la serenità nel cuore,
sapendo che Muspellheimr è in pace e che i suoi assalitori
si guarderanno bene
dall’attaccarvi, ora che la Spada Fiammeggiante
vive.”
Surtr
assentì
divertito, scoppiò in un’allegra risata e
chiosò: “E io che ho fatto di tutto
per liberarmi di quel ragazzo! Ora dovrò tenermelo ben
stretto, invece!”
Fenrir
rise la pari
dei figli e, dopo un ultimo saluto di commiato, prese la via del
Bifröst,
lasciando che un’intensa luce dorata li investisse,
riportandoli in un battito
di ciglia su suolo terrestre.
Quando
infine
emersero nel sud della Svezia, al riparo dagli sguardi dei curiosi
grazie alla
notte che avvolgeva quelle lande e a un cielo senza luna, Fenrir
scrutò i
propri figli con dolente rimpianto e, nel carezzare i loro volti di
giovani
uomini, mormorò: “E’ tempo di rientrare.
In tutti i sensi. Ma sono lieto di
aver potuto passare questi momenti assieme a voi, figli miei.”
Hati
e Sköll
annuirono orgogliosi e, senza dire nulla, abbracciarono con vigore il
padre per
imprimere nelle loro memorie la sensazione della sua forza, del suo
profumo,
del suo amore incondizionato.
Il
Dio della
Distruzione che tanto aveva terrorizzato i popoli e gli dèi
era divenuto uomo
per amore, si era battuto fino allo stremo per la sua famiglia e, come
ultimo
disperato tentativo di salvarli, aveva donato se stesso per loro.
Quale
altro figlio
avrebbe potuto dirsi più amato, più desiderato,
più protetto di loro?
Quando
infine i due
giovani lupi si scostarono dal padre, Hati disse: “Torniamo
dalla mamma.”
Fenrir
e Sköll
assentirono e, riprese forme di lupo, si confusero con la notte
divenendo
spettri, mescolandosi alla natura circostante e calpestando
l’antico suolo in
cui, in tempi immemori, dèi e demoni avevano dominato.
Fu
una lunga
cavalcata verso nord, mantenendosi sempre al limitare dei boschi,
nascosti agli
occhi dei curiosi o alle tecnologie più avanzate degli
umani, protetti dal
potere del sangue ancestrale di Fenrir e dai doni di Loki.
Per
quanto Fenrir
potesse disprezzare il padre, era pur sempre suo figlio e, nel corso
dei
millenni, le sue abilità gli erano divenute proprie,
consentendogli di compiere
le malie che lo avevano tenuto al sicuro dagli sguardi degli umani.
Solo
per Avya aveva
ceduto al desiderio di essere veramente
visto e, a cagion di ciò, aveva potuto
sperimentare il sentimento
dell’amore, così come della perdita.
Ora,
in quelle lande
a lui straniere, in compagnia dei suoi figli, sorrise nel pensare a
quanto,
quella sua vita travagliata, gli avesse comunque donato e, tra
sé, comprese di non
essere pentito di nulla.
Sono
lieto che tu lo pensi,
figliolo.
“Mi
hai tolto molto, Madre, ma ho
anche avuto molto. Ora lo so per certo”
rispose senza animosità il dio, rallentando
l’andatura quando si ritrovarono in prossimità
delle foreste di betulle nei
pressi di Luleå.
Madre
non rispose, ma
in fondo non ve n’era bisogno. Le parole di Fenrir
racchiudevano in sé ogni
risposta.
Bloccando
il proprio
passo nell’approssimarsi alle prime case, Fenrir infine
disse: “E’ tempo di
tornare, Brianna. Come stai?”
Sono
un po’ intorpidita, ma molto
orgogliosa di te. E ora potrò vantarmi finché
campo perché potrò dire di essere
stata anche
su Muspellheimr.
Fenrir
rise di quelle
ultime parole e, nel lasciare che Brianna riemergesse, le
mormorò un ‘grazie’
di puro cuore prima di tornare
nel suo angolo preferito, nella mente iperattiva della sua umana.
Parimenti,
Jerome e
Lance riemersero dai corpi di Hati e Sköll e, quando Brianna
poggiò nuovamente
lo sguardo sui membri della sua Triade, sorrise e mormorò
roca: “Stavolta è
stata dura.”
“Quando
è comparso Lafhey,
ho avuto davvero paura… ma Sthiggar e Ragnhild sono stati
davvero grandi. In
tutti i sensi” chiosò Jerome, accucciandosi a
terra per fare un po’ di
stretching. “Wow… non avevo mai passato
così tanto tempo fuori dal mio corpo, e
ora mi sembra che un TIR mi abbia investito.”
“Non
lo dire a me!”
esalò Lance, stiracchiandosi le braccia prima di sorridere a
Brianna, che
sembrava essere la più in forma tra loro. “Ora
capisco perché tu e Fenrir vi
allenate tanto a darvi il cambio.”
“Non
si può mai
sapere quando un casino inenarrabile può capitarti
addosso” scrollò le spalle
Brianna prima di socchiudere gli occhi e concentrarsi sulla presenza di
Duncan,
che avvertiva netta come un lampo nella notte. “Ehi…
tutto bene?”
“Brie!
Siete tornati! E lo chiedi a
me, se va tutto bene?” esclamò
sorpreso Duncan.
“Su
Muspellheimr abbiamo avvertito
l’energia di Avya, e Fenrir si è preoccupato
molto. Puoi dirmi cos’è successo?”
“Caspita!
Si è sentita fin lì? Beh,
ti racconterò tutto quando ci vedremo. Immagino abbiate
bisogno di abiti, per
venire a Luleå. Rimanete lì dove siete. Ti
rintraccerò con la tua aura e, in
breve, vi porterò tutto.”
“Tu,
comunque, stai bene, vero?” domandò
ancora Brianna, non del
tutto pacificata.
Lui
allora rise
dolcemente e replicò: “Sei
tu che sei
andata in guerra su un altro pianeta, non certo io.”
“Beh,
la faccenda della guerra è
opinabile, almeno a detta del mio alter ego. Quel che ha percepito
Fenrir era
spaventoso.”
“Come
ti ho detto, ti spiegherò
tutto.”
Sospirando,
Brianna si
scollegò, sapendo bene che Duncan non avrebbe aggiunto altro
quindi si sedette
su un masso ricoperto di muschio e mormorò: “A
quanto pare, ci sono stati
problemi anche qui, o Magnus non avrebbe mai chiamato Duncan.”
“Ecco
perché mi
sembrava di percepire l’aura del nostro amico
orsetto!” esclamò sorpreso Jerome
prima di ghignare e aggiungere: “Non voleva rimanere fuori
dai giochi, eh?”
“Se
questi li chiami giochi…”
borbottò Brianna, passandosi
una mano sul volto con aria esasperata.
Jerome
scoppiò a
ridere di fronte alla sua espressione e Brianna, nonostante tutto,
sorrise. In
fondo, le cose erano tornate quelle di sempre. Jerome la esasperava,
Lance
tentava di essere il pacere tra loro due e lei sbarellava comunque.
Niente
di strano.
Tutto andava bene, dopotutto.
***
Dopo
aver ricevuto da
Sarah abbastanza abiti per poter riprendere sembianze umane e potersi
presentare a casa dei Thomasson, Brianna, Lance e Jerome salirono in
auto con
Bjorn, che aveva accompagnato la lupa all’imbocco della
foresta.
Nel
riconoscere in
Bjorn uno degli zii di Magnus, Brianna domandò subito:
“Allora… com’è andata,
qui?”
“Meglio
del previsto…
e peggio. Magnus è devastato all’idea di essersi
imposto con la forza ma, visto
che dall’altra parte non si sono sentite ragioni, non
c’è stato modo di
evitarlo. Il capoclan aveva torturato diversi suoi famigliari e, quanto
a
Ragnhild, beh…”
Bjorn
tentennò un
momento e Brianna, presagendo un poco gradevole seguito della storia,
si
affrettò a dire: “Non ho bisogno dei particolari,
non temere. Il solo fatto che
abbiano trasgredito le vostre regole riguardanti le punizioni a un
membro della
famiglia, mi fa capire quanto la cosa si sia spinta oltre.”
Annuendo
torvo, il
berserkr aggiunse: “Avya ha tolto i poteri a coloro i quali
si sono macchiati
di tortura e il capoclan è stato destituito. Ora, a guidare
il branco è
temporaneamente Magnus ma, prima di andarcene da qui, eleggeremo un
nuovo
capobranco.”
“Come
l’hanno presa,
gli altri berserkir?” si informò a quel punto
Lance, turbato da quella
concatenazione di eventi traumatici.
Un
simile putiferio
non avveniva mai in pace e serenità e non era scontato che,
all’atto della loro
partenza, tutto non tornasse come in precedenza.
Bjorn
però lo
rasserenò subito, asserendo: “A quanto pare,
ciò che è stato fatto a Ragnhild
ha scosso molti berserkir che, evidentemente, tenevano in grande
considerazione
la ragazza. Questo ha impedito ogni tipo di rappresaglia. Pur se le
regole
d’ingaggio sono state rispettate pienamente, e
perciò non avrebbe dovuto
succedere in ogni caso, avere dalla nostra parte il rispetto dei
berserkir nei
confronti di Ragnhild ha aiutato molto.”
Brianna
ripensò alla
donna-orso che avevano lasciato poche ore prima, alla fierezza con cui
aveva
combattuto, allo sprezzo del pericolo dimostrato nonostante si trovasse
su un
pianeta del tutto sconosciuto, e utilizzando poteri che mai aveva usato
in vita
sua.
Aveva
dimostrato coi
fatti, oltre che con le parole, di essere un’autentica
guerriera, una leader
nata, una donna da seguire con ardore, e questo suo ardimento doveva
essere
giunto a toccare anche gli animi dei berserkir più
conservatori.
Forse,
a Ragnhild
avrebbe anche fatto piacere saperlo, ma dubitava che in quel momento ne
avrebbe
tratto alcuna soddisfazione.
Brianna
non dubitava
che, al momento, il ricordo del suo clan le procurasse ancora troppo
dolore. Un
domani, probabilmente, le sarebbe piaciuto conoscere anche questa parte
della
storia, ma non certo ora.
Quando
infine
raggiunsero casa Thomasson, Brianna scese in fretta dalla jeep non
appena vide
Nathan e Hannah giocare nell’antistante giardino in compagnia
di Mattias e,
sorridente, li avvicinò di corsa per poi avvolgerli tra le
braccia.
“Mamma!”
strillarono
in coro i due bambini, stringendosi a lei e baciandola ripetutamente
mentre
Brianna faceva lo stesso con loro.
Sulla
porta di casa,
Duncan si affacciò per sorridere a quella vista e, mentre
Lance e Jerome lo
raggiungevano assieme a Sarah e Bjorn, lui domandò:
“Tutto bene, dall’altro
lato dell’universo?”
“Abbiamo
fatto la
nostra parte… ma tu che hai combinato, con Avya?
Papà ha quasi dato di matto!”
ironizzò Jerome, indicando poi con un dito Brianna che, in
quel momento, stava
sollevando su ciascun braccio i figli per poter entrare in casa assieme
a loro.
Duncan
abbozzò un
sorriso e replicò: “Vi racconterò tutto
più tardi. Ora venite dentro… e non
farsi sentire da Brianna a chiamarla papà,
se non vuoi che ti spelli vivo.”
Jerome
ghignò in
risposta, ma non promise nulla.
I
tre Gerarchi, dopo
quel breve scambio di battute, si mossero quasi all’unisono
per entrare e,
mentre Brianna li raggiungeva, Mattias colse l’occasione per
chiederle: “Come
sta Ragnhild?”
Lei
gli sorrise
dolcemente, asserendo: “Sta benissimo, anche se è
stanca e provata dalla
battaglia. Mi ha detto di dirti che lei sta ottimamente e che non
avrà problemi
ad adattarsi a quel nuovo mondo. Pensava che ti sarebbe bastato sapere
questo,
ma posso dirti anche altro, se vuoi.”
Mattias,
però, scosse
il capo e replicò: “Ho visto come la trattava
Sthiggar, e come anche suo padre
l’ha accolta. Mi basta. E’ con persone che le
vorranno per sempre bene.”
Perdendo
il suo
sorriso, Brianna poggiò a terra Nathan e Hannah non appena
furono entro le mura
di casa e, abbracciando stretto Mattias, mormorò:
“Anche tu le vorrai per sempr
bene e, anche a così grande distanza, lei sentirà
in ogni momento il tuo
amore.”
Lui
assentì grato,
lasciando che il calore di Brianna lo avvolgesse e, quando anche Nathan
e
Hannah si unirono a quell’abbraccio – forse
avvertendo la necessità di rendersi
utili – trovò anche la forza di sorridere.
La
sorella gli
sarebbe mancata immensamente, ma ora era dove avrebbe sempre dovuto
essere
stata. Elsa della Spada Fiammeggiante, compagna di Sthiggar, fedele
suddita
muspell.
***
Brianna
fece tanto
d’occhi, dopo aver scoperto cosa
avesse causato l’onda di energia che aveva attraversato i
Mondi fino a
raggiungere Fenrir su Muspellheimr e Duncan, nel sorriderle divertito,
asserì:
“Alla fine dell’opera, Avya era devastata ma, sotto
sotto, credo si sia anche
divertita. Ora sta riposando saporitamente ma, poco prima di sentirla
assopirsi, mi è sembrata soddisfatta dell’operato
svolto.”
Credo
abbia sempre desiderato
snudare le armi contro Odino, nonostante i propositi di pace che
l’hanno sempre
guidata,
chiosò Fenrir,
facendo sorridere Brianna.
“Ci
piaccia o meno ricordarlo, lui
le aveva tolto il suo grande amore e, per quanto aperta di idee possa
essere
sempre stata, certe ferite non si cancellano facilmente”,
sottolineò Brianna per poi
guardare Magnus, che sedeva su una poltrona sul fondo del salone e,
silente,
osservava le ombre lunghe nel giardino e l’approssimarsi
della notte.
Sul
suo volto erano
evidenti i segni dell’affaticamento dovuto al combattimento
svoltosi poco tempo
prima ma, altresì, anche la ferita lasciata
dall’aver dovuto imporsi con la
forza.
Lui,
che da sempre
aveva cercato di evitare lo scontro, si era visto costretto non
soltanto a
punire i genitori di un ragazzo innocente, ma a imporsi a suon di pugni
per
poter riabilitare il nome della propria razza. Non faceva specie che
fosse
turbato.
“Ehi,
là dentro… come va?”
mormorò Brianna, tentando un
approccio.
Magnus
sobbalzò di
sorpresa e, nel volgersi per osservarla, accennò un sorriso
prima di tornare a
osservare il giardino.
Scusandosi
con i
presenti, quindi, Brianna si alzò in piedi, subito seguita
da Hannah, e si
diresse verso Magnus con l’intento di parlargli. Chiestogli
poi un incontro
privato, attese che il giovane berserks si elevasse dalla poltrona
dopodiché,
seguitolo fuori casa, raggiunsero insieme un piccolo gazebo e
lì, consolatoria,
Brianna disse: “Niente di ciò che hai fatto
è stato sbagliato.”
Hannah
allungò le
braccia per farsi accogliere dall’abbraccio di Magnus proprio
mentre lui cedeva
alle lacrime e, demoralizzato, il giovane si strinse al petto la
bambina e
mormorò: “Perché ho dovuto agire con la
forza? Perché non hanno
compreso i loro errori prima che si
arrivasse a questo?!”
Carezzandogli
dolcemente il viso, sul volto un sorriso dolente e che sapeva di
occasioni
perdute, di morti ingiuste e di decisioni terribili prese nel corso
degli anni,
Brianna confessò con candore: “Perché niente
è perfetto, Magnus. Siamo tutti fallibili, tutti
commettiamo errori e, dove
possiamo, cerchiamo di rimediare. A volte, però, proprio non
si può, e allora
dobbiamo distruggere tutto dalle fondamenta per poter ripartire, si
spera più
forti e più saggi di prima.”
“No
lacrime, Magnus”
mormorò addolorata Hannah, cancellando le sue lacrime con le
dita paffute prima
di stringerlo forte al collo e nascondere il viso contro la sua spalla.
“Oh,
Hannah…”
singhiozzò Magnus, stringendola maggiormente a sé
mentre Brianna faceva lo
stesso con lui. “Brianna, io…”
“E’
giusto che tu
pianga, Magnus, anche se Hannah è triste nel vederti
giù di corda, perché sei
un ragazzo buono, con un cuore grande, a cui è stata data in
sorte una missione
enorme da svolgere. Nulla si può risolvere in un batter di
ciglio, ogni cosa
richiede il suo tempo e, spesso, si inciampa durante il
percorso…” sussurrò
dolcemente la donna, cullandolo come meglio le riuscì, vista
l’evidente
differenza di statura e stazza. “… nel tuo caso,
però, gli inciampi ti potranno
sembrare abnormi, difficili da sopportare. Sappi comunque questo; noi
siamo con
te, noi crediamo in te e, come
è
avvenuto oggi, sarà così anche domani. E domani
ancora.”
“Non
volevo
danneggiare nessuno, ma ciò che hanno fatto i genitori di
Mattias era davvero troppo…”
singhiozzò Magnus,
piegandosi in avanti fino a crollare in ginocchio, accompagnato in
quella
caduta controllata da Brianna, che gli strinse il capo contro i seni
per poi
baciargli i capelli con calore.
“Lo
so, tesoro, lo
so…” mormorò lei, annuendo
più e più volte. “Molte morti mi
accompagnano da
tempo, Magnus, e alcune di loro sono difficili da sopportare, ma ho
anche avuto
molto, dalla vita.”
Nel
dirlo, sorrise a
Hannah, che diede un bacetto a Magnus prima di scivolare via e correre
in casa.
Rimasti
soli, i due
si strinsero in un abbraccio più completo e Magnus, con un
singhiozzo
addolorato, ansimò: “E’ così
difficile, Brianna! E’ così…
pesante!”
Lei
assentì ancora e
ancora finché, sorpresa, non avvertì il tocco di
Nathan, nuovamente quello di
Hannah e, sorprendentemente, quello di Mattias che,
all’unisono, si strinsero a
Magnus formando una sorta di scudo. Scudo che, nelle loro infantili
intenzioni,
fu eretto per proteggerlo da ogni male, da ogni dolore.
Magnus,
allora,
allargò le braccia per avvolgerli strettamente a
sé e a quel punto Brianna,
sollevandosi in piedi, li lasciò soli per rientrare in casa
dove Sonja, la zia
di Mattias, le sorrise mormorando: “Era così
abbattuto, dopo il termine
dell’Ordalia, che ho temuto per la sua salute. Ora,
però, sembra essersi
ripreso.”
“Magnus
ha un cuore
grande, e questo comporta anche grandi dolori, quando si devono
prendere
decisioni difficili, ma ora che li vedo insieme so che tutto
andrà per il
meglio. La nuova generazione, forse, saprà evitare gli
errori che compirono i
nostri predecessori e che noi stessi compimmo agli albori del nostro
dominio”
asserì Brianna, meditabonda.
Sonja
assentì grave
e, assieme a Brianna, rientrarono in casa, lasciando che la notte
avvolgesse i
giovani ancora strettamente abbracciati tra loro.
Il
dolore di ognuno
si curava in modo diverso, e quei ragazzi avevano trovato la loro
strada, il
loro sistema per curare le rispettive incertezze. Era giusto lasciare
che se la
cavassero con le proprie forze poiché, presto o tardi,
sarebbero stati soli, a
camminare verso il futuro.
Nel
rientrare in
salotto, Brianna si strinse a Duncan che, dopo averle baciato una
guancia,
mormorò: “Come sta?”
“Starà
bene” assentì
lei.
“E
tu?”
“Mai
stata meglio”
gli sorrise lei, accoccolandosi sulle sue ginocchia e lasciando che
l’aura del
marito la avvolgesse completamente.
Erano
passati anni
dal loro primo incontro, dalla prima vita che aveva strappato i legami
col suo
passato e la prima che si erano reciprocamente salvati, eppure
comprendeva ancora
più che bene come si sentisse Magnus.
Ogni
loro azione
avrebbe sempre comportato pesi da portare, cicatrici da rimarginare,
dolore da
sopportare e cancellare, poiché detenevano poteri
inimmaginabili e di difficile
gestione.
Ma,
proprio perché era
già passata in quel particolare tritacarne emotivo, sapeva
che anche il giovane
amico si sarebbe ripreso e forse, un domani, avrebbe avuto in dono le
stesse
gioie che aveva ricevuto lei.
N.d.A.:
siamo quasi
alla fine di questa avventura… spero che la soluzione di
ogni cosa abbia
risolto i quesiti fin qui sollevati e vi abbia concesso qualche momento
di
serenità.