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Autore: drisinil    01/11/2022    2 recensioni
[kurotsuki] [nospoiler] [canonverse] [long: 2 capitoli/settimana]
«Signor è-solo-un-club sei senza parole?» lo provoca Kuroo. «Vuoi che brindi io per te? Però poi bevi tu!»
«Okay, ma solo se il brindisi mi piace» risponde Kei con arroganza, spingendosi gli occhiali sul naso.
Kuroo storce le labbra e si riprende la bottiglia, strappandola a Kei. «E' una sfida?»
«Se vuoi...»
Kuroo distende lentamente il braccio verso Kei, con la bottiglia in mano. Si schiarisce la voce e tenta di scostarsi dalla fronte il ciuffo di capelli, che però ricade subito al suo posto. «Al muro perfetto, che ferma la palla, la devia, la smorza o la costringe. Obbliga le traiettorie, crea pressione e controlla il gioco.»
Kei sorride, gli strappa la bottiglia e beve d'impeto.
E' il vino più buono che abbia mai bevuto, forse il più buono che berrà mai.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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27 - Sette ore filate



16 novembre 2012 
 

«Ti sembra normale che io debba dormire scomodo a casa mia?»

«Non è esattamente casa tua.»

«Più mia che tua, in ogni caso. Che senso ha questo affare?» Kei spinge con le ginocchia contro il cuscino che Kuroo ha posizionato per lungo in mezzo a loro, sul letto di Aki.

«Grazie Kami! Si è dimenticato quello che ho detto prima!» esclama Tetsurou ispirato.

Kei sbotta a ridere di nuovo, ripensandoci, e tira un calcio sulle ginocchia di Kuroo, subito sotto il limite del cuscino «Vattene per terra, o sul divano, se sei così animale.»

«Ahia! Ma quanto sei violento?»

«Te lo meriti. Odio stare scomodo. Ma poi, sul serio pensi che ti lascerei fare quello che ti pare?»

No. Sì. Si guardano e nessuno dei due sa la risposta. In più, pensarci non aiuta. Tetsurou si passa una mano sulla faccia, per dissimulare l'imbarazzo e ringrazia mentalmente la presenza del cuscino.

Improvvisamente, la stanza piomba nell'oscurità. L'illuminazione del soggiorno che, con la porta aperta, aveva creato una penombra amichevole, è temporizzata. Kei lo aveva dimenticato. Dalle tende non filtra neanche un filo di luce, perché ad Aki è sempre piaciuto dormire nel buio assoluto. 

Resta solo il suono dei respiri.  E per un po' è più che abbastanza. 

Persino troppo.  Tetsurou si smarrisce nei contorni di Kei che emergono dall'oscurità, lungo il profilo della sua mano poggiata sotto il viso, fra le ombre che disegnano i volumi del suo corpo. Altroché, quel cuscino è un baluardo di sanità mentale.

E' Kei a spezzare il silenzio. «Dimmi dei vigneti.»

«Quindi i cinque minuti non sono ancora finiti?» lo provoca Tetsurou.

«Finiscono quando lo decido io.»

«E quando?»

«Quando mi avrai stancato.»

«Io non ti stancherò mai» replica Tetsurou. Lo dice con scioltezza, come fosse una verità semplice e assodata.

Kei deve concentrarsi per mettere insieme la strafottenza necessaria. «Fuori da questo letto!» intima, tirando un'altra pedata; stavolta Tetsurou reagisce in fretta e gli blocca la caviglia, imprigionandola fra le proprie. 

Kei si divincola il minimo necessario per non perdere la faccia.  «Lasciami, scemo.»

«Come si dice?»

«Crepa... »  lo pronuncia con l'intonazione leziosa di un per favore.

Tetsurou ride e gli libera la gamba. «Siamo a ventidue: non ho perso il conto. Sai che c'è? Potrei stare qui a provocarti fino alla fine dei tempi.»

«Io invece potrei buttarti fuori casa anche subito. Adesso basta cazzate, Kuroo-san: vigneti!»

«Vigneti» ripete Tetsurou. Prende fiato per parlare, ma poi ci ripensa. «Non crederai che sia gratis... »

«Cosa?»

«Le informazioni. Hanno un valore. E un prezzo» sussurra, cospiratorio.

«In denaro o in natura?»

«In natura è un'idea...»

«Guarda che il cuscino lo hai messo tu» lo sfida Kei, con la massima arroganza. E' tutta apparenza, naturalmente. In realtà sta annaspando in un oceano di contraddizioni. Quasi non respira per la violenza del desiderio che sente di buttare nel cesso sedici anni di pretese di indipendenza insieme al maledetto cuscino.

«Tsukki-kun! Non dirmi che vuoi attentare alla mia virtù?» risponde Kuroo, scandalizzato.

«A dire il vero pensavo di prenderti a calci negli stinchi...hai la virtù negli stinchi?»

«Tu nemmeno le conosci le mie virtù... » si vanta Kuroo, in un sussurro allusivo. «Vuoi scoprirle?»

Kei non riesce a vederlo, con quel buio, ma ha chiarissima in mente l'espressione insolente con cui lo sta dicendo. Non ridere, impone a se stesso. E incredibilmente funziona.

«Piantala! Sei più fastidioso del solito. Dimmi di questi stramaledetti vigneti!»

«Va bene, va bene: vigneti. Dunque, Yu-chan ha fatto la tesi con tuo padre, prima di andare a lavorare per lui, questo forse lo sapevi. Durante la tesi, lui le ha proposto di seguire un ciclo di seminari a Parigi, per un trimestre. Ci siamo fatti due conti e non potevamo proprio permettercelo. Hai una vaga idea di quanto cazzo costa una stanza a Parigi?»

«No, quanto?»

«Tanto!» esclama Kuroo, spiazzato. Solo Kei riesce a metterlo all'angolo così facilmente.

«Ma sul serio? Fai lo splendido e poi neanche sai la cifra?»

Kuroo ride. «Eddai Tsukki! Chissenefrega di quanti yen sono, tanto non ce li avevamo. Era una domanda retorica. Dovevi solo stupirti. Su questa cosa di stupirti fai pena.»

«Lo vedi che sei super-scemo? Dai, vai avanti! C'è andata o no a Parigi?»

«C'è andata, ma solo perché tuo padre le ha trovato una sistemazione. In casa di certi vostri parenti, come coinquilina della loro figlia, che all'epoca era studentessa anche lei.»

Kei non può fare a meno di pensare al fatto che quello stesso padre non è mai voluto tornare in Francia, né lo ha mai sfiorato l'idea di di portarci la famiglia. Da piccolo, era convinto che questi fantomatici parenti francesi fossero tutti morti, tipo un'epidemia selettiva. E ora eccoli qui, riportati in vita da Kuroo Tetsurou, l'uomo che se ne frega delle leggi della fisica e gioca con la vita e la morte.

«E quindi?»

«E quindi ci puoi arrivare, Watson. La famiglia di questa ragazza, Elaine Perrault, possiede due vigneti vicino a Bordeaux, che è la città dove poi è andata ad abitare Yu-chan quando si è trasferita l'anno scorso. Beh, è la tua famiglia. Più o meno.»

«Il cognome della mia nonna paterna era Valier. »

Per un attimo, smarrito fra le pieghe di tutte queste coincidenze improbabili, Kei viene assalito dalla paura. Un terrore irrazionale che Kuroo lo stia prendendo in giro. Che tutto quello che gli ha raccontato, quello che hanno vissuto, compreso il momento presente, sia un inganno. Un'illusione. Una bugia. Si sente precipitare in caduta libera.

In quello stesso istante, Tetsurou sta pensando che con Kei vorrebbe girare il mondo, imparare cento lingue, navigare tutti i mari, assaggiare tutti i sapori, guardare un milione di tramonti. E come sempre, mentre desidera qualcosa, ha già deciso che farà di tutto per averla. E che la avrà.

«Sicuro che sia Perrault il nome?» dubita Kei.

«Sicuro. Se ho capito bene - sulle faccende di parentele faccio pena - la nonna di Elaine e la tua nonna francese erano sorelle.»

«Quindi Perrault è il nome del tizio che la sorella di mia nonna ha sposato.»

 «Boh. Penso di sì. E' importante?» risponde Tetsurou con un mugolio dubbioso.

Improvvisamente, i pezzi di un puzzle combaciano nella mente di Kei, con il rumore che fanno i calcoli esatti. E' difficile da spiegare, ma Kei sa sempre a pelle quando un risultato è giusto. Può non sapere dove e come ha sbagliato, e metterci un secolo a capirlo. Ma la sensazione di consapevolezza di un risultato corretto è una specie di scintillio interiore, una piccola esplosione di luce.

«E' la ragazza della foto in camera tua, vero? Quella bionda.»

Tetsurou sta pensando a tutt'altro. Ha appena colto nel buio il profilo in rilievo della clavicola di Kei che sporge dallo scollo allargato della maglietta. E ora vorrebbe passare le dita su quel punto e poi... «Come?»

Kei gli assesta una manata in fronte. «Se sei qui per non ascoltarmi, vattene!»

«Ahia! Che foto?»

«In camera tua. Seconda mensola sulla scrivania. Una tizia bionda.»

«Ah. Sì. Certo, bravo, è proprio lei. La foto è di Natale scorso, siamo andati tutti lì. Ehi Tsukki, ma sai che... a pensarci bene, un po' Elly ti somiglia... »

Elly. Pure il vezzeggiativo. Che stronzo.

«Ci sei andato a letto?»

«Cosa?»

«E' bella. Ci sei andato a letto?»

«Sì, ma... »

«Sì?» Lo stronzo si scopa sua cugina, come volevasi dimostrare.

«Stop. Fermi tutti.» Kuroo si solleva su un gomito e scandisce le parole nel buio: «Sì, è bella. No, non ci sono andato a letto. Ma ti pare? E' un'amica intima di mia sorella. E' fidanzata. E poi è vecchia!»

«Vecchia?»

«Ventisette anni. Vecchia. Eddai, Tsukki! Se fai così sembri geloso...»

Geloso fradicio. Di tutte quelle che ti sei scopato. Di quelle che ti scoperai. Di chiunque respiri e ti sia vicino: di Bokuto, di Akaashi e di Kozume. Soprattutto di Kozume.

«Geloso un cazzo.»

Tetsurou si sporge verso Kei, la sua voce è velluto, anche se fa venire voglia di prenderlo a ceffoni. «Sicuro, sicuro, Kei? Neanche un pochino geloso?»

Il gomito di Kei colpisce quello di Kuroo puntato sul materasso, togliendogli l'appoggio. La testa di Tetsurou ricade pesantemente sul cuscino. «E che cavolo! Sei un pericolo pubblico, con quei gomiti!»

«Te la sei cercata. Ora basta, le tue cazzate mi hanno sfinito. Dormiamo.»

«Non ci pensare proprio. Altro che dormire, ora è il mio turno, devo vendicarmi!»

«Che turno?»

«Quello di farti una domanda. Te l'avevo detto, che non era gratis. Avevamo un accordo.»

«Tu sogni. Io non ho fatto nessun accordo con te» risponde Kei, con tutta l'indifferenza che non prova.

«Lo sai che ultimamente la parte dell'antipatico ti riesce meno bene?»  La domanda è niente più che un sussurro, un alito d'estate e di colonia sparato nei sensi di Kei, che chiude gli occhi.

«Eddai, Tsukki! Un paio di domande, che vuoi che siano? Solo un paio, giuro.»

«Non se ne parla. Mettiti a dormire.»

«Se avessi voluto dormire sarei tornato a casa mia.»

«Mi chiedo perché tu non l'abbia fatto.»

«Vuoi saperlo?»

«No! Voglio che dormi.»

«E io che mi rispondi.»

Kei sbuffa. «Mentirò.»

«Non lo farai.»

«Come lo sai?»

«Non sprecherei mai il mio tempo con una persona senza onore.»

Touché.  Tsukishima Kei ha una fissazione per l'onore. E' un concetto fuori moda, talvolta inapplicabile al presente. Ma non ha senso essere eredi di una cultura millenaria e tralasciarne la parte migliore, vale a dire gli haiku e il concetto superiore e intimo del Meiyo, l'Onore personale. Come possa averlo capito Kuroo, tanto da usarlo contro di lui, è un mistero. Fa parte dell'imponderabile che è la sua essenza, la materia di cui è fatto.

«Sei un fottuto parolaio.»

«E' un complimento?»

«Muoviti, fammi queste domande.»

I movimenti di Kuroo sono fruscii di lenzuola nel buio. Piega il gomito, si avvicina qualche centimetro col viso, la sua gamba sbatte contro il cuscino. «Perché sei scappato? Dopo che sono venuto a trovarti a Osaki.»

Kei impreca mentalmente. Gli ci vogliono diversi secondi per confezionare una risposta ragionevole e non bugiarda. «Perché non ho tempo e non ho voglia di giocare al gatto e al topo con te»

«Che vuol dire?»

«Che io non posso essere tuo amico. E non credo che tu voglia essere mio amico. E perciò...»

«No no, ti sbagli. Io voglio essere tuo amico» lo interrompe Tetsurou.

E' un pugno nel diaframma, che spezza il respiro di Kei.

«Io voglio essere anche tuo amico. Io voglio tutto, Kei. Tutto. Te l'ho già detto, a Sendai. Ho combinato un casino quel giorno e non ne voglio parlare adesso, ma quella cosa era vera. E' ancora vera.»

Kei riemerge dall'apnea con una lunga espirazione. «Non ti azzardare  a chiamarmi per nome. E la risposta è sempre no. Non funzionerà. Che poi è il motivo per cui c'è questo cazzo di cuscino qui in mezzo.»

«Il cuscino ce l'ho messo io. E decisamente non per quel motivo. Comunque, perché non dovrebbe funzionare?»

«Perché? Non ci arrivi?» sbotta Kei, esasperato. «Perché siamo due mocciosi, ecco perché. Io ho davanti due anni di liceo e poi? E poi boh. Tu ne hai almeno quattro di università. E poi? Un boh ancora più grande. Perché abitiamo a quattrocento chilometri di distanza e nessuno di noi due è milionario, nessuno di noi due è paziente. Perché sono uno stronzo. E tu un rompicazzo. Perché se adesso scopassimo, domattina ti sentiresti di merda. E sai perché? Perché sei il tizio meno gay del pianeta! Devo continuare?»

Kuroo tace per qualche secondo, come se dovesse raccogliere le idee. «Il tizio meno gay del pianeta è Yamamoto Taketora» osserva, in tono compassato. «Ma è un grosso problema, perché non troverà mai una che gliela dà.»

Kei risponde con un calcio. Uno forte,  perché stavolta non c'è niente da ridere.

«Ahia! Mi vuoi spezzare le gambe?» Testurou si massaggia il ginocchio. «Cosa ci posso fare se spari un sacco di cazzate, Tsukki? »

Kei si volta, dandogli le spalle. Si rannicchia in posizione fetale e si copre anche la testa col lenzuolo, abbracciandosi le ginocchia al petto. Ha il cuore in tumulto e lo stomaco sconvolto. E si sta chiedendo se quelle cose gliele ha dette davvero. E come gli è saltato in mente di farlo.

«Però del tuo discorso assurdo, una cosa che si salva c'è: ho notato con piacere che anche tu vedi il nostro rapporto su una prospettiva temporale molto lunga» dice Kuroo, con invidiabile tranquillità. «Ma, come immaginavo, ti preoccupi troppo dei dettagli. A farlo funzionare ci penso io. Fidati!» conclude, con uno di quei sorrisi impudenti che, anche se non si vedono, si sentono distintamente. 

Ma certo, la questione è risolta. Zero problemi, zero difficoltà. Ci pensa lui.  «No.»

«No, non ti fidi?»

«No, non funzionerà. E non ci voglio neanche provare.»  Farebbe un male cane.

«Okay. Allora ci provo io.»

«A fare che?»

«A farti innamorare.»

«Fanculo.»

«Tsukki, davvero, lascia fare a me. Tu basta che non mi blocchi il numero. E non sparisci.»

Kei non risponde. L'ultima cosa che vorrebbe è tagliare i ponti un'altra volta. Sa perfettamente di essere innamorato. Perso. Da un sacco di tempo. Ma sa per certo che non funzionerà mai. E che ne uscirà devastato; Yama e Aki dovranno raccoglierlo col cucchiaino.

«Tocca a me» dice Kei, con convincente indifferenza e senza voltarsi.

«Cosa?»

«Una domanda personale.»

«Vai!»

«La tua prima volta. Quando? Come? Con chi?»

«Sono tre domande.»

«Non pontificare, rispondi.»

«Sissignore. Quando: in prima liceo. Come...» Kuroo ridacchia. «Beh, molto, molto, molto velocemente.»

Kei sorride suo malgrado, nascosto nel bozzolo di coperte. Quanto bisogna essere sicuri di se stessi, per ammettere una cosa del genere?

«Con chi?»

«Nagatomo Yuki. Era la manager dello Shinzen, del terzo anno.»

«A un ritiro?»

«Il mio primo ritiro. Ho fatto schifo in campo tutti e quattro i giorni, chissà perché.»

«Eri innamorato?»

«Beh certo. O almeno, credevo di esserlo. Lo ero dalla cintura in giù, diciamo. Ma naturalmente, lei mi stava usando. Penso che volesse fare un po' di esperienza, con uno a caso, prima di trovarsi a fare sul serio con qualcuno di cui le importasse.»

Uno a caso. Pessima scelta, Nagatomo. O magari ottima.

«E come è finita?»

«Che l'ultima sera mi ha detto che le piaceva un amico di suo fratello. Mi ha dato un bacio in fronte, mi ha ringraziato e mi ha detto che ero stato carino

«Un giudizio di merito alle tue prestazioni?» ghigna Kei.

Kuroo gli piazza un pugno in mezzo alle scapole. Robusto, ma non violento. «Che fai, ti allarghi?»

«Ci sei rimasto così male?»

«Beh, carino non è esattamente l'aggettivo che uno vuole sentirsi dire in quella circostanza. Ho pianto un paio d'ore. Ho rotto le scatole a mio nonno sul senso della vita per altre due ore. E poi mi sono accorto che il mondo era pieno di ragazze carine

«E ragazzi?»

«Mai presi in considerazione, in quel senso» risponde sinceramente Tetsurou.

Kei si morde il labbro fino a sentire sulla lingua il sapore del sangue, ma non emette neanche un suono.

«Con te è diverso» aggiunge Tetsurou, pensieroso. «Mi piaci e basta. In un modo che... appunto, è diverso.  Diverso proprio come qualità. Ci ho riflettuto. E ho deciso che non me ne sbatte niente se sei maschio o femmina. E' solo un dettaglio.»

«Ma per favore! Questa è una cazzata galattica. L'attrazione fisica non passa tutta per il cervello. Non è una cosa che decidi. E non è  affatto un dettaglio.»

«No, infatti. La mancanza di attrazione fisica fra noi è un problema. Il bacio di prima era tutto cervello, una cosina proprio platonica, vero?»

«Crepa.»

«Ventitré. Tocca a me. Tu? Sei vergine?»

Se qualcuno avesse detto a Kei che un giorno si sarebbe trovato steso nel letto di suo fratello, a fianco a un tizio che conosce da pochi mesi, a rispondergli senza filtri a una domanda diretta sulla propria verginità, avrebbe riso fino a farsi scoppiare la pancia.

«No.»

Kuroo accoglie la risposta con un silenzio di un paio di secondi. «Quando? Come? Con chi?»

«Quando: il giorno dei diplomi lo scorso marzo. Con Shinoyama Shuto, uno della squadra di nuoto.»

«Eri innamorato.»

«No, decisamente.»

«E allora perché?»

«Ma chi sei? L'ultimo romantico? Perché mi andava. Perché lui era bellissimo.»

«Bellissimo. Addirittura.»

Kei si volta di nuovo e si avvicina oltre la soglia della prudenza, faccia a faccia, premuto contro il cuscino che li divide. «Alto. Capelli neri. Occhi scuri, allungati, taglienti. Spalle larghe, vita stretta. Braccia forti. Mani grandi. Culo favoloso. Ti ricorda qualcuno?»

«E' stato fantastico farlo con lui?»

«Per niente.»

«Allora no, non mi ricorda nessuno.»

Kei gli concede un vero sorriso. Maledetto, è una risposta magnifica. Come lui. Fastidioso, testardo, ingombrante e magnifico. E fanculo a tutto, la prospettiva temporale che Kei vorrebbe non è lunga, è lunghissima. Tipo per sempre. E mentre lo pensa, si rende conto che è una stronzata sentimentale da sedicenne con gli ormoni al collasso. Ma non gliene importa un bel niente .

In quel momento, dal soggiorno arriva il trillo attutito di un telefono.

Kei non dice una parola, prende il viso di Kuroo fra le mani e gli bacia le labbra. Senza insistere, senza provocare, senza avidità, senza lussuria. Un bacio breve, fragile e innamorato. Così dolce e leggero che arriva in un secondo dalle labbra al cuore di Tetsurou.

«Buon compleanno, scemo. Ora dormiamo. E tu levati dalla testa l'idea di stare con me. Non funzionerà mai.»

«Quindi così è quando non funziona? Vuoi che togliamo di mezzo il cuscino e vediamo di farlo funzionare ancora meno?»  La malizia cade nel silenzio e subito dopo scivola in una risata limpida, più bassa e meno fragorosa del solito. Una risata da letto, da momenti privati. Kei non lo sa, ma è il primo che l'abbia mai sentita. E l'unico che la sentirà. «Non è che ti va di darmi un'altra dimostrazione di malfunzionamento?»

«Crepa!»  Kei si sente leggero come non mai.

«Ventiquattro: anche se ridi, vale lo stesso.  Senti, Tsukki, posso chiederti ancora una cosa?»

«No! Basta. Dormi!»

«Eddai, aspetta, è una cosa seria. Per favore...»

Kei sospira. «Sei insopportabile. Sentiamo.»

«Domani alle undici. Saremo tutti alla cerimonia.»

«Vuoi che venga?»

«No, in realtà.»

Kei tace, perplesso, aveva già deciso di andarci, preferibilmente evitando di rivolgere la parola a Okamoto Ayumi.

Kuroo continua: «Mio nonno sarà da solo in ospedale, a quell'ora. E insomma, sarà dura per lui. Tu... andresti a fargli compagnia?»

«Io? Sei sicuro? Non credi che preferirebbe...»

«Sono sicuro. Per favore. Tu giochi a shogi giusto?»

«Sì. Beh, sono un dilettante.»

«Mio nonno adora lo shogi. Domattina passiamo da casa e prendiamo la scacchiera portatile. Tu fagli fare una partita. Fallo distrarre. Giuro che appena finisce la cerimonia vengo a salvarti.»

Kei esita. Ma in realtà ha già deciso. Può solo sperare che Kuroo non abbia capito quanto sia diventato difficile negargli qualcosa.  «Okay, se proprio ci tieni.»

«Davvero lo farai?»

«Davvero. Adesso mettiti giù e dormi! Sei il diciottenne più rompipalle del pianeta.»

«Ma non il meno gay.»

Kei sbuffa aria dalle labbra per non scoppiare a ridere. «Dormi, ho detto!»

«Ara ara, gomen» dice Kuroo, imitando la cadenza strafottente di Kei.

Si guadagna l'ennesima pedata. Poi Kei si volta di spalle. E chiude gli occhi. E sorride. E arriccia le dita dei piedi. Sentirsi così stupidi e così felici è praticamente una garanzia di disperazione futura. Ed è bellissimo.

Passano solo pochi minuti prima che il respiro di Tetsurou diventi pesante e regolare. Kei si gira a guardarlo. Ci pensa su qualche minuto e poi dice a se stesso che un momento così non gli ricapiterà tanto presto. Che è una ridicola scusa, ma, considerato il contesto, bisogna farsela andare bene. Toglie di soppiatto il cuscino divisorio e gli scivola fra le braccia, nel silenzio più assoluto.  Tetsurou si muove appena, ridisegnando l'assetto sul corpo di Kei contro il proprio, senza svegliarsi.  E' il regno dell'ignoto, quell'abbraccio, il luogo dove si spengono i dubbi, si sgretolano le paure. Lì dentro, al sicuro, Kei scivola in un sonno senza sogni, senza risvegli improvvisi, senza interruzioni. Un sonno disteso e profondo, che dura sette ore filate. 

Quando apre gli occhi, dalla porta del soggiorno piove la luce tenue del primo mattino, lucida e bianca.  Kuroo sta dormendo nella solita posizione assurda, prono e con la testa infilata nel cuscino. Ma una delle sue braccia circonda Kei e lo stringe, una delle sue gambe gli blocca il ginocchio. 

Una mano grande e calda riposa aperta sul suo cuore. 

 

   
 
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