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Autore: Glenda    06/11/2022    2 recensioni
La storia si ambienta in una nazione immaginaria di un paese immaginario, in un tempo non definito, ma in realtà non così diverso da una qualunque luogo in Europa oggi.
Noam Dolbruk, giovane attivista politico, da poco eletto in parlamento, pieno di carisma e buone intenzioni ma originario di una terra piena di conflitti, ha ricevuto una serie di minacce che lo hanno costretto a essere messo sotto protezione. Adrian Vesna, l'uomo che gli fa da guardia del corpo, ha un passato che gli pesa sulle spalle e nessun desiderio di inciampare in rapporti complicati. Ma con un uomo come Noam i rapporti non possono non complicarsi, e non solo per via del suo carattere bizzarro, quanto per gli scheletri dentro il suo armadio.
Questa non è una storia di eventi ma di relazioni: è la storia dell'incontro e dello scontro tra due diversi dolori, ed anche la storia di un'amicizia profonda, con qualche tono bromance. Ci sono tematiche politiche anche impegnative ma trattate in modo non scientifico, servono solo come sfondo alle dinamiche interpersonali.
(Storia interamente originale, ma già circolata in rete, che ripubblico qui per amore dei personaggi e piacere di condividerla con altri lettori)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Ma certo che puoi prenderti dei giorni di ferie: anzi, devi!”

E invece era strano perché, in quasi un anno, Adrian non aveva mai chiesto un solo momento libero, mai, nemmeno sotto le feste, come se non avesse niente di importante da fare oltre che occuparsi di lui, come se non avesse una vita. Noam si era sentito persino in colpa, si era chiesto che tipo di contratto avesse sottoscritto col partito e aveva insistito tante volte perché si prendesse una vacanza, ma lui aveva sempre risposto sbrigativamente di no.

Per questo quella richiesta lo aveva allarmato.

“Va tutto bene, vero?”

In fondo sapeva davvero poco della sua vita privata e Adrian non ne parlava mai.

“Ma dai, sto chiedendo delle ferie, non un permesso per lutto!”

La risposta, quanto più voleva avere un tono rassicurante, tanto meno lo convinse.

Non era bravo come Adrian a leggere i pensieri degli altri, ma era stato un cospiratore troppo a lungo: capiva quando qualcuno gli stava mentendo.

“È normale che un po’ mi preoccupi, dato che hai tutta l’aria di uno che sta cercando di non dirmi qualcosa…”

Adrian abbozzò un sorriso che lasciava trasparire un pizzico di ammirazione.

“Niente male! Sono felice se diventi bravo a smascherare i trabocchetti altrui, vista la gente che ti piace provocare.” gli strizzò l’occhio “Ma non ci provare con me, non hai speranze.”

Aveva il viso disteso, l’aria rilassata, gli stessi modi rassicuranti di sempre. Cosa non andava allora? Era la richiesta inaspettata a stordirlo, o semplicemente, dopo tutto quel tempo, lo spaventava l’idea di trovarsi con le spalle scoperte? Volle escludere quest’ultimo pensiero. No, lui non aveva paura, non ne aveva avuta quando aveva militato con FDL, non ne aveva avuta di fronte a esplicite minacce.

Eppure, di paura si trattava.

Paura che fosse Adrian a non fidarsi di lui.

Paura di essere solo la persona che viene protetta, di non poter essere mai lui, quello solido. Di poter solo ricevere senza aver nulla da dare in cambio.

“Se avessi bisogno del mio aiuto, me lo chiederesti…?”

“Stai tranquillo.” (quante volte glielo diceva? Appariva proprio così poco tranquillo? E lui che si illudeva del contrario!) “Va tutto bene. Non ho da un pezzo più nessuno a cui debba correre in soccorso, escludendo una vecchia zia un po’ fuori di testa la cui cura non spetta a me, e con la quale, per inciso, non sono mai neppure andato d’accordo. Quindi non c’è nessuno da cui possano arrivarmi cattive notizie, nessuno per cui stare in pensiero.” si corresse, abbozzò un sorriso gentile “Tranne te, intendo.”

“Allora promettimi almeno di non stare in pensiero.”

“Questo non accadrà perché ho già parlato con Segùr. Ci sarà qualcun altro che si occuperà temporaneamente della tua sicurezza.”

“Ho cambiato idea, non ti ci mando, in ferie!”

“Cretino.”

Amava quella parola, e non perché “gli facesse piacere sentirsi dare del cretino” ma perché era il modo di rimarcare una specie di patto, un legame tra loro.

Eppure, in quel momento, avrebbe voluto sentire quel legame un po’ meno unilaterale.

Gli aveva raccontato cose che non aveva confessato a nessuno: gli aveva messo in mano, letteralmente, il suo passato, i suoi ex compagni, la sua famiglia, la sua carriera. Lo aveva fatto senza riserve, non aveva avuto dubbi: si era buttato nel vuoto certo di trovare una rete di sicurezza.

Sicuro che Adrian fosse la sua rete di sicurezza.

E non sapeva nulla di lui.

***

 

Recarsi alla sede del partito era divenuto un po’ più ostico dopo l’incrinatura con Zjam. Benché quest’ultimo non fosse più tornato sulla questione, specie dopo l’impennata di popolarità scatenata dal “piccolo incidente diplomatico”, era stato l’atteggiamento di numerosi altri colleghi ad essere cambiato: se prima lo guardavano con la sufficienza con cui si guarda l’impiegato giovane che deve ancora imparare come va il mondo, o al massimo con quel poco di simpatia che si rivolge agli idealisti e ai sognatori, ora sentiva di avere puntati addosso occhi diversi, davanti ai quali aveva guadagnato al tempo stesso in rispetto e in ostilità. Sapeva che nessuno aveva mai scommesso sulle sue capacità: l’unico ad aver investito su di lui era stato proprio Kàrkoviy, per quanto gli avesse sempre attribuito un ruolo principalmente di facciata. Ma quel ruolo glielo aveva cambiato quando gli aveva chiesto Mòrask a sostenere un candidato palesemente filo-indipendentista, che dieci anni prima aveva simpatizzato per il Fronte.

Di questo Noam era consapevole, gli era stato chiaro nel momento stesso in cui aveva incontrato Lant: si domandava, invece, quanto lo fosse a Zjam.

La “sfida” ad Òraviy e compagnia non era stata la sua prima “mossa rischiosa”, era solo stata quella che aveva dato nell’occhio: ma accettare di sostenere Màrna, fare propaganda per lui, stringere reti di legami con la comunità degli emigrati darbrandesi sparpagliati nella Repubblica, l’intero lavoro dei suoi ultimi quattro mesi di vita erano stati tutti piccoli rischi impilati uno sopra l’altro, come tanti piccoli mattoni. Ed era un rischio per Lant essersi candidato a quelle amministrative, perché il terrorismo più radicale avrebbe potuto vederlo come un complice dell’odiato governo centrale, ma era un rischio anche vincerle, perché se mai Màrna fosse stato eletto, non avrebbe potuto permettersi di starsene fermo a fare l’uomo immagine per Liberi Insieme.

“Avevo proprio voglia di parlare un po’ da solo con lei, signor Dolbruk.”

“Noam.”

“Avevo proprio voglia di parlare un po’ da solo con lei, Noam.”

Aveva sempre trovato Segùr una persona difficile: difficile perché tanto più era alla mano, gioviale e persino spiritoso, tanto più teneva gli altri a debita distanza, e lui in particolare. Ancora lo chiamava “signor Dolbruk”, o solo “Dolbruk” quando era distratto o di fretta: eppure erano coetanei – lo aveva confermato persino suo padre – e collaboratori da tre anni!

Non somigliava affatto ad Òraviy senior, e Noam non aveva neppure ipotizzato una parentela finché non era stato Adrian a fargli fare il collegamento: piccolo, slavato, formale ma non troppo, con un sorriso bonario e un po’ sornione, Segùr appariva freddamente amabile, non amabilmente spaventoso! Le due grigie fessure degli occhi, però, quelle sì, a guardarle bene le aveva prese da lui.

“Beh, in effetti sono proprio da solo e ci vorrei restare per questi pochi giorni, guardi un po’…!”

Ci aveva provato, Noam, ad abolire il pronome di cortesia con lui, ed era stato apertamente ripreso: ci era rimasto quasi male. Ciò non significava che quel giovanotto non gli desse confidenza nella conversazione, al contrario: erano una buona spalla l’uno per l’altro, a Segùr piaceva stuzzicarlo, a volte prenderlo un po’ in giro ma non risparmiava neppure i complimenti e le parole di approvazione, solo che esigeva, nel linguaggio come nei fatti, che ciascuno di loro rimanesse nel proprio spazio.

“Non ci provi nemmeno: il nostro sistema di sicurezza prevede i sostituti, e per una volta, la prego di cuore di non voler essere l’eccezione… ” fece un piccolo sorriso che illuminò la sua pallida faccia lunghetta “che non vuol sempre dire essere eccezionale, sa? A volte vuol dire anche essere un gran rompimento di…” fece un gesto di intesa con la mano “E qui mi taccio!”

Noam scoppiò a ridere.

“Sì, sono un rompiballe, lo so!” poi interruppe la risata d’improvviso “E tuttavia, non l’ho ancora mai ringraziata di aver assunto Adrian per… gestire uno come me. È davvero… un piacere lavorare con lui, e mi rendo conto di non avergli reso la vita affatto facile.”

“Sono molto bravo a fare previsioni a medio e lungo termine.” Segùr non aveva smesso di sorridere, ma il tono di voce era diventato di colpo serio “in politica, come nei rapporti tra le persone. Per questo, a differenza del signor Kàrkoviy, sapevo quanto lei fosse pericoloso nel momento stesso che ha messo piede qui. Pericoloso per Kàrkoviy, che la vede solo come l’incantevole idealista da strumentalizzare, pericoloso per il Partito, per il paese, e indubbiamente per se stesso.”

Noam spalancò gli occhi, spiazzato, e si guardò intorno quasi istintivamente, a cercare un viso conosciuto che gli facesse da supporto: il corridoio era deserto. Del resto era mattino presto, Adrian l’aveva scaricato lì prima di partire (Dove andava? A fare cosa?) e nessuno sarebbe arrivato alla sede del partito a quell’ora di domenica. Non c’era passione politica capace di intaccare il giorno festivo.

Forse, davvero, solo quella di Segùr.

Perché non aveva mai notato la maniacale dedizione di Segùr? Ogni volta che si era recato lì, lui c’era ad ogni conferenza stampa, tribuna politica, consulto, riunione, emergenza, occasione mondana che coinvolgesse Kàrkoviy, non era mai mancato. Si trattava di devozione ad un ideale o di lealtà ad un individuo? E perché – si trovò a chiedersi all’improvviso – perché quel ragazzo brillante non era mai figurato tra i candidati di Liberi Insieme?

“Adiamo a sederci comodi nel mio ufficio.” stava dicendo Segùr, mentre apriva la strada “Vuole un caffè? Ho comprato dei pasticcini, immagino che le faccia piacere accompagnarli con qualcosa di caldo…”

Che accidenti stava succedendo?

E dove accidenti stava andando, Adrian?

A sistemare una faccenda di eredità, aveva detto, e si erano guardati senza crederci: ma Noam era stato zitto. Aveva scelto di stare zitto.

Maledizione.

“Mi sono fermato da Beràna, hanno la migliore meringa di Noravàl. Adoro Beràna: non pensa anche lei che sia un’eccellenza del nostro territorio?”

Quel parlare vacuo lo faceva rabbrividire, tuttavia si sforzò di rimanere sullo stesso tono.

“Ha sentito il bisogno di comprare delle meringhe perché deve dirmi qualcosa di terribile?” scherzò “Guardi che so incassare bene: non mi serve la dolcezza preventiva!”

“Scacci subito questa illusione. Le ho comprate perché ne avevo voglia. Ho sempre voglia di pasticcini quando lavoro la domenica mattina, a prescindere da cosa devo o non devo dire.” Aprì la porta con il vassoio ancora incartato in equilibrio sull’altra mano “Si accomodi.” disse “Non voglio approfittare del tempo libero di nessuno.”

Gli diede le spalle: la sua figura rigida si amalgamava troppo bene con le linee falsamente semplici, ma in realtà studiate in ogni dettaglio, di quella stanza. Noam si trovò a riafferrare un pensiero che lo aveva sorpreso mentre si trovava nel salotto di Kàmil Òraviy: come aveva fatto Segùr a crescere e diventare visibile? E si sentiva tale o stava ancora lottando perché qualcuno si accorgesse che esisteva? Si domandò se quel ragazzo distaccato ed iper-efficiente non avesse intrapreso la carriera politica per appagare un desiderio di riconoscimento, di emancipazione dall’ombra del padre, se non avesse cercato il sostegno di Kàrkoviy essenzialmente per questo, e se Kàrkoviy, invece, pur così diverso da Òraviy, non lo avesse relegato nel medesimo ruolo: l’uomo che sta dietro le quinte, prezioso per lui, invisibile per tutti.

Segùr preparò del caffè e ne porse una tazza a Noam.

“Lei niente zucchero, giusto?” ricordava anche questo, come ricordava mille altri dettagli delle persone che lavoravano nello staff di Zjam “Una goccia di liquore ce la vuole?”

Noam rifiutò con un cenno della testa. Segùr era bravissimo a amplificare l’impazienza: probabilmente era una tattica per mettere l’interlocutore in una posizione di debolezza… anche questo doveva averlo imparato da un maestro d’eccezione.

“So che mio padre ha voluto incontrarla” attaccò, finalmente “e immagino che lei pensi che io voglia parlare di questo. Beh: non lo pensi.”

Il suo viso si fece scuro, per un attimo quasi malinconico.

“Se vuole che non lo pensi, mi dica di cosa desidera parlare, invece di girarci intorno.” Noam cercò di sorridergli con tutta la dolcezza che poté “Mi creda, mi piacerebbe che lei volesse solo un po’ di compagnia in un’uggiosa domenica mattina, ma poiché non è così, allora nemmeno io voglio abusare del suo tempo libero, Segùr.”

Lui si irrigidì per un attimo, e nel suo sguardo passò un fugace lampo di rabbia.

“Vede cosa non va in lei, Dolbruk? Pretende di piacere a tutti, di andare bene a tutti, e si arrampica sugli specchi per riuscirci anche quando non è possibile. È irritante.”

Girò nervosamente il cucchiaino nella tazzina, in cui aveva versato – lui sì – zucchero in abbondanza.

“Scommetto che anche con mio padre ci avrà provato, e scommetto che lui le avrà pure fatto credere di esserci riuscito. Kàmil è così: falso fino nel midollo. Nulla di ciò che dice è vero.” esitò, guardò il liquido roteare nella tazza con un’espressione ambigua “Tranne le minacce.”

“Si è fatto un’idea sbagliata di me.” obiettò Noam, colto sul vivo “Amo piacere a tutti, non lo pretendo. Semplicemente, se devo scegliere tra averla vinta ed essere gentile, preferisco la seconda opzione. Ma tra il fare ciò che ritengo giusto e il riuscire a piacere agli altri, ho già preso la mia decisione, e – visto che lei è informato sui fatti – sa bene che è per questo che suo padre ha voluto incontrarmi.”

Segùr annuì, sorseggiando il caffè.

“Bravo. Così va meglio. Faccia lo stronzo un po’ più spesso e forse riuscirà ad essermi simpatico. O pensa davvero di affrontare i ‘Tre Boss’, e l’elettorato del Dàrbrand, e i terroristi, e chissà chi altri indossando la faccia del soave Dolbruk di cui tutti si innamorano senza possibilità di scampo?”

Addentò una meringa e rimase in silenzio a masticarla piano.

Noam non riusciva a opporgli altre parole: per la seconda volta in pochi giorni, si sentiva messo di fronte alla consapevolezza di non essere così benvoluto nel partito come aveva immaginato fino ad allora.

Segùr ruppe il silenzio, e la sua voce era diventata seria, fredda ma soffice, così come i suoi occhi, così lontani eppure così tristi.

“Io ho molta stima di Zjam Kàrkoviy.” disse “Lo rispetto e gli sono affezionato. Ma in questo frangente anche lui, come troppi altri, è abbagliato dalla prospettiva di un cambiamento che non porterà nulla di buono. E la colpa è sua, sua e di questa sua dolcezza fastidiosa, e delle sue illusioni, e dello sfacciato e dannoso carisma con cui sembra riuscire a far credere a tutti che i miracoli siano possibili. Crede di poter far eleggere Màrna come sindaco di Mòrask? Beh, questo sì, purtroppo lo credo anche io. Crede, come crede Kàrkoviy, che questo apra le porte ad un grande cambiamento? Che alle prossime elezioni Liberi Insieme otterrà la maggioranza e potrete festosamente lavorare alla promozione di uno Statuto autonomo del Dàrbrand? Se lo crede, lei è un idiota o, se non altro, un egocentrico patentato. Eppure, lei è nato e cresciuto a Mòrask, è un uomo colto, sa come funziona il mondo e come funziona la sua città.”

Noam fece per dire qualcosa, ma un rigido gesto di Segùr lo bloccò.

“Sono molto bravo a fare previsioni, già. Ma in questo momento Kàrkoviy è talmente affascinato da lei che non è in condizioni di ascoltarle. Dunque le illustrerò la mia teoria direttamente: se Màrna viene eletto, non sopravvivrà al primo anno di mandato. Verrà ammazzato come è successo prima di lui a tutti coloro che sono apparsi a qualche titolo collusi col governo e che non sono abbastanza corrotti da essere protetti, o da stare a Mòrask il meno possibile. Lei invece, a Noravàl e sotto scorta, magari se la cava. O magari no: ma siccome le piace così tanto mettersi in pericolo, la sua sorte è un suo problema. Andiamo invece alle conseguenze che mi interessano di più: di fronte all’ennesimo attentato, i nostri avversari coglieranno la palla al balzo per affossare il partito dimostrando agli occhi di tutti che coi terroristi non c’è modo di discutere perché mordono la mano di chi gliela tende. I potenti che lei ha attaccato tagliano i fondi a Kàrkoviy, Liberi Insieme crolla e lei consegna per sempre la Repubblica a quella gente a cui ci siamo opposti fino ad oggi, la gente che vede la sua terra come un covo di malviventi e di debosciati e che con quelli come voi intende usare il pugno di ferro, la gente che forse alle prossime elezioni avremmo una speranza di sorpassare, se nessuna delle mie previsioni si avverasse.”

“Ma, Segùr…”

“Niente ma. Mi ascolti e non sia testardo, la prego. Non le parlo così per antipatia personale, ma per una valutazione oggettiva: se vuole tenere tutti al sicuro, se non vuole sulla coscienza un morto ed un disastro politico senza precedenti, faccia in modo che il professore perda queste dannate elezioni amministrative.”

  
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