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Autore: _Frame_    06/11/2022    0 recensioni
- Insomma l’ideale dell’ostrica! - direte voi. - Proprio l’ideale dell’ostrica! e noi non abbiamo altro motivo di trovarlo ridicolo, che quello di non esser nati ostriche anche noi -.
(Giovanni Verga, Fantasticheria)
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«Io sono l’ostrica, Alberto. Sono nato su uno scoglio ed è lì che sarei dovuto rimanere, perché non c’è altro modo per me di sopravvivere. Ho creduto di essere un pesce più grande di quello che sono, mi sono buttato in una corrente che alla fine mi ha rigettato, e ora non so più a quale mondo appartengo. E se un giorno dovessi finire per nuotare così in là da non avere più la forza di tornare indietro, quando avrò bisogno di aiuto? Cosa ne sarà di me? Non potrò sempre contare sul fatto che ci sarete tu e Giulia a venirmi a ripescare.»
Genere: Angst, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le Cronache di Portorosso'
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Alberto si assicurò di tenere bene aperta una mano sulla schiena di Luca e l’altra sulla schiena di Giulia. Li guidò passo dopo passo lungo la stradina che conduceva al retro della pescheria, dove di solito parcheggiavano le biciclette e l’Ape per le consegne. Era lui che di tanto in tanto si sporgeva per esaminare il terreno, facendo loro schivare i sassi e le piccole buche, in modo da non farli inciampare. Loro due non ci sarebbero riusciti da soli: avevano gli occhi chiusi.

«Più dritti, dritti così.» Per paura che potesse sbattere sullo spigolo della casa più vicina, Alberto guidò Giulia con entrambe le mani. «Per di qua, ancora più avanti, Giulietta.» Però ora fu Luca quello che gli sfuggì e che rischiò di scontrarsi contro un bidone della spazzatura. Con uno scatto fulmineo, Alberto lo acchiappò al volo e lo ricondusse sulla retta via. «No, Luca, troppo a destra.»

«Eh?» Luca staccò una mano dal viso, tenendo però le palpebre strizzate, e tastò l’aria davanti a sé. «Per di qua?» Compì un passetto più corto e traballante. «Ma non siamo ancora arrivati?»

«No» rispose Alberto. «Non ancora.»

Giulia alzò le mani dagli occhi e socchiuse le ciglia inondate dal sole. «Ma possiamo almeno aprire gli occhi?»

«Nemmeno per sogno.» Alberto le tornò a far mettere la mano sul viso. «E non vi azzardate a sbirciare.»

«Ma comincia a girarmi la testa a forza di brancolare nel buio.» Giulia allungò una gamba senza però avanzare, tastò la stradina di pietra con la punta del sandalo. «Stiamo almeno andando nella direzione giusta? Non è che ci farai finire in un fosso?»

Alberto sbuffò, fingendosi indignato. «Donna di poca fede. Resistete ancora qualche passo, e…» Fermò entrambi. Corse loro davanti, fin sotto l’ombra della tettoia, e si strofinò le mani per sfogare l’eccitazione che gli ribolliva nel sangue. «Preparatevi a rifarvi gli occhi davanti alla più maestosa meraviglia dell’universo…» Aspettò che Luca e Giulia aprissero gli occhi, e spalancò le braccia a indicare l’automobile azzurra che riposava pacifica sotto la tettoia del garage. «Ta-ta-ra-daaan! Salutate e inchinatevi dinnanzi alla maestosità della mia bella bimba!»

Luca si stropicciò gli occhi, dato che erano ancora un po’ appannati dopo essere stati chiusi così a lungo. Sgranò le palpebre, le sbatacchiò un paio di volte, e mise a fuoco l’automobile che occupava il posto di solito destinato all’Ape. Era un modello piccolo, compatto e squadrato, che somigliava quasi a una scatola di biscotti. «Una Seicento?» Non poté fare a meno di notare come fosse dello stesso color celeste della Vespa comprata anni prima con i soldi della vincita della Portorosso Cup. Anche le incrostazioni di ruggine e le ammaccature sulla carrozzeria sembravano le stesse.

«Una Seicento di seconda mano, per di più.» Giulia le si avvicinò e appoggiò la borsetta sul cofano. Squadrò l’auto in lungo e in largo, salì sulle punte dei sandali, strofinò la superficie rugosa del tettuccio, e si accovacciò per picchiettare le nocche sui cerchioni. «È questa la novità megagalattica di cui non hai fatto altro che blaterare da settimane?» Si voltò – i riccioli le sventolarono sulla guancia – e rise spernacchiando ad Alberto una piccola linguaccia dispettosa. «Non avresti potuto scegliere un modello più proletario di questo.»

Alberto strinse le braccia conserte e arrossì gonfiando le guance in un piccolo broncio. «Oh, be’, scusami se io rimarrò per sempre un poveraccio proletario con le tasche bucate, le mani sporche, e la puzza di ferro sui vestiti, mia cara…» Si chinò a sorridere davanti al viso di Giulia, naso a naso, e ammiccò con le sopracciglia. «Signorina Futura Studentessa Universitaria.»

Giulia diventò rossa quasi quanto i suoi capelli, e sentì il petto gonfiarsi di orgoglio ed euforia. «Scherzavo, scherzavo.» Ridacchiò e diede un’affettuosa strofinata ai capelli di Alberto. «Non mi permetterei mai di prenderti in giro in quel senso.»

Alberto le scoccò un’occhiata sbieca. «Solo in quel senso?»

Giulia ignorò il suo ultimo commento. «Ma la Seicento è un modello così, non lo so…» Ci pensò su. «Squadrato.» Girò attorno all’auto, raddrizzò uno specchietto laterale, si soffermò sul parabrezza posteriore su cui era appiccato un adesivo sbiadito – lo stemma di una radio locale –, e sfregò i polpastrelli sulle ammaccature incrostate di ruggine. «Potevi almeno sceglierti una Uno, o una Cinquecento. Le Cinquecento sono così carine.»

«Ehi!» protestò Alberto. «Anche la mia bambina è splendida. Mille volte più splendida di una Cinquecento. E soprattutto…» Le batté due pugni sul cofano. «È solida come una roccia d’acciaio.»

Cleng!

Il paraurti si scollò dal muso.

Crush!

Crollò a terra, innalzando un nuvolone di polvere, e per poco non schiacciò i piedi di Luca che finì di rimbalzo fra le braccia di Giulia.

Giulia si portò le mani alla bocca, tossì una risata irrefrenabile. «Oh-oh.» Si rivolse ad Alberto tramite uno sguardo che era a metà fra ilarità e compassione. «Oh, Alberto…»

Alberto si fece paonazzo, ma non parve nemmeno troppo sconvolto. Sbuffò come se si fosse trattato di un incidente da poco, come se non fosse stata la prima volta in cui assisteva a una simile tragedia. «Fa sempre così.» Raccolse il paraurti, ci soffiò sopra per ripulirlo dalla polvere, e lo rigirò per incastrarlo di nuovo al suo posto. «È normale che faccia così. Ma non è niente, basta rimetterlo su.» Strinse i denti e gli rifilò un paio di calci. «Rimetterlo…» Si aiutò anche con qualche pugno ben assestato. «Su! Su, bello, su.»

Luca e Giulia, guardandosi sottecchi, sogghignarono, e Luca scosse il capo.

Un ultimo sforzo, un ultimo pugno, e Alberto riuscì nell’impresa. «Ecco.» Raddrizzò la schiena e, riguadagnato il suo solito sorriso da spavaldo, si spolverò le mani. «E vedrete che un’auto del genere rimarrà intera fino a che io non avrò ottant’anni.»

Giulia sgomitò Luca per farsi assecondare. «Sì, e a ottant’anni ti vedremo andare in giro per Portorosso…» Si ingobbì, fece finta di sventolare un bastone da passeggio. «Con il cappello calcato davanti agli occhi e il bastone che sventola fuori dal finestrino.»

«Chi lo sa.» Alberto si strofinò il mento e sorrise arricciando un solo angolo della bocca, come quando cominciava a frullargli in testa un’idea strampalata delle sue. «Quasi quasi… così diventerei una sorta di leggenda del paese.»

Luca si coprì la bocca, ma fu lo stesso incapace di contenere una risata nell’immaginarsi una scena simile. «E chissà se sui sedili posteriori ci sarà un po’ di spazio per me e per Giulia?»

«Sui miei sedili posteriori ci sarà sempre spazio per te e per Giulia, anche quando avremo ottant’anni. E dopo, quando voi due sarete troppo vecchi per essere scorrazzati qua e là con le nostre scorribande giovanili, finalmente mi prenderò una Vespa e girerò il mondo per i fatti miei.» Si appoggiò a sedere sul cofano, strizzò l’occhiolino. «Ma adesso non posso lasciare voi due appiedati, no? Sarebbe crudele e insensibile.»

«Appiedati» sospirò Giulia. «Eggià.» Si aggiustò le pieghe sgualcite della gonna di jeans e allentò il colletto della camicetta, distraendosi dall’ombra di avvilimento e dispiacere che era scesa a scurirle lo sguardo. «Io mi accontenterei di girare il mondo anche a piedi, giuro, se solo questo ci permettesse di rimanere assieme per tutta la vita.»

Luca provò una fitta al cuore, un improvviso sussulto di dolore che rese la sua bocca amara e pungente. «Già…» Allontanò lo sguardo e si strofinò le braccia per ripararsi dal freddo improvviso trascinato da quelle parole che erano calate su loro tre come una nuvola di maltempo, nonostante il sole di luglio a bruciare dietro i comignoli. «Tutti e tre assieme.»

Il sogno della loro vita, il più bello in cui sperare. Un sogno che non si sarebbe potuto avverare il giorno dopo, e nemmeno quello dopo ancora.

Alberto sarebbe rimasto a vivere a Portorosso, a lavorare in mare assieme a Massimo, e anche a far pratica nell’officina meccanica assieme a Eros. Giulia invece sarebbe rimasta a Genova a studiare Biologia Marina e anche ad aiutare il Signor Rizzi nella gestione del negozio e degli acquari durante il fine settimana, come lui le aveva promesso. Mentre Luca si sarebbe trasferito a Trieste, negli alloggi degli studenti, per frequentare il corso di laurea in Scienze Astronomiche.

Tre realtà distinte che però facevano parte di un unico mondo: Giulia il mare, Alberto la terra, e Luca il cielo.

Tutti e tre sarebbero per sempre rimasti collegati da quel magico e luminoso filo conduttore che avrebbe tenuto uniti i loro universi e le loro vite. Se uno di loro si fosse smarrito, agli altri due sarebbe bastato tirare il loro capo del filo per ricondurlo sulla retta via.

Anche Giulia si mise a sedere sul cofano della Seicento, affianco ad Alberto. Tirò fuori dalla borsetta gli occhiali da sole e li usò come fermacapelli, spingendo i riccioli lontano dalla fronte e facendoli cadere dietro le spalle. Frugò ancora, in cerca di qualcos’altro, e strappò la linguetta di nastro adesivo dal sacchetto di carta dentro cui il tabaccaio aveva impacchettato una grossa manciata di rondelle di liquirizia, le sue preferite. Ne offrì a Luca e ad Alberto. Tutti e tre necessitavano di un pizzico di dolcezza. «Sarà dura tornare a separarci dopo quest’estate, eh?»

«Già.» Alberto srotolò la sua rondella di liquirizia e la succhiò come uno spaghetto scotto. Esitò nel rivolgersi a Luca. Ogni volta che posava lo sguardo su di lui, ogni volta in cui incrociava la luce dei suoi occhi, una pungente sfrecciata di dolore dardeggiava attraverso il suo cuore, ricordandogli che presto avrebbe dovuto nuovamente rinunciare alla sua vicinanza, al suo profumo, alla sua voce, alle sue risate. «Allora è proprio deciso, uhm?» Finì la sua liquirizia e ne pescò un’altra dal sacchetto. «Sei proprio sicuro di voler andare fino a Trieste? A un milione di chilometri da qui?» Toccò Luca con una spallata di incoraggiamento. «Mi toccherà circumnavigare tutta l’Italia per venirti a prendere, nel caso dovessi soffrire di un’altra crisi mistica.»

Giulia sgranò gli occhi, inorridita, e gli mollò un cazzotto. «Alberto!»

«Ahu!» Alberto si massaggiò la spalla. «Che c’è?» frignò. «Che ho detto? Mi sto preoccupando per lui, no? Mi sto preparando a ogni evenienza.»

Luca sorrise e scosse la testa, per nulla angosciato. «Sta’ tranquilla, Giulia.» Anche lui si concesse di gustarsi un’altra liquirizia. «Nemmeno io ci tengo ad avere un’altra, ehm…» Com’è che l’ha definita, Alberto? «Crisi mistica.» Alzò lo sguardo all’orizzonte puntellato dal volo dei gabbiani, sbavato dalle rade nuvole bianche, e colorato dalle facciate delle casette del vicinato. Dalla piazza del paese si innalzarono il canto delle campane, le risate dei bambini che giocavano a calcio, e il ronzio di qualche barca che veniva messa in moto per prendere il largo e andare a pesca. I soliti profumi, i soliti colori, i soliti suoni – l’unica casa nella quale il cuore di Luca avrebbe dimorato. «E poi, sapere di poter contare su voi due mi fa stare molto più tranquillo.» Poggiò la mano sul cofano dell’auto su cui anche lui si era seduto. Fece scivolare il tocco vicino ad Alberto e gli sfiorò le dita, facendolo girare. «Non avrò mai più paura di perdermi, nemmeno nel mezzo di una tempesta.»

Alberto ricambiò il suo sorriso, uno sguardo d’orgoglio. Rispose al tocco della sua mano, intrecciò le punte delle dita alle sue, lo carezzò fra le nocche, e l’accensione di quel calore fece rivivere a entrambi i ricordi che avevano illuminato l’inizio della loro nuova estate.

Dopo aver concluso gli esami scritti, dopo aver sostenuto l’orale e dopo aver ricevuto le votazioni finali, Luca e Giulia avevano salutato i vecchi compagni di classe partecipando alla festicciola allestita nel giardino dei due istituti, strafogandosi di Coca-Cola, di tartine al tonno e di pasticcini alla panna. Si erano poi sbarazzati per sempre delle uniformi scolastiche – gabbiani che si scrollano di dosso il piumaggio da pulcino e che spalancano le nuove ali da adulti per spiccare il volo verso le terre più lontane e inesplorate. Avevano preparato i bagagli per l’estate ed erano partiti per Portorosso come ogni anno, questa volta accompagnati anche da Sara.

Giunti alla stazione, erano stati accolti da mezzo paese, da filari di bandierine e da decine di festoni colorati che celebravano l’ottenimento del diploma e il compimento della loro Maturità.

Avevano ricevuto mille complimenti e altrettante congratulazioni da parte di tutti. Daniela era scoppiata in lacrime non appena Luca aveva posato il primo passo giù dal vagone del treno. Lei e Lorenzo non la finivano più di abbracciarlo, di tempestarlo di baci, e di ripetergli quanto fossero orgogliosi di lui. Anche Luca aveva finito per commuoversi davanti a tanto entusiasmo. Come si era commossa pure Giulia che si era ritrovata avvolta dall’abbraccio di entrambi i genitori, riuniti dopo tanto tempo e accomunati dall’infinito amore per la figlia.

La stessa sera del loro arrivo avevano festeggiato con tutti i crismi allestendo una grande tavolata nel giardino di casa, sotto le luminarie, e il banchetto era proseguito fino a notte fonda, con fiumi di brindisi e montagne di piatti succulenti. Daniela aveva persino acconsentito che Luca assaggiasse il suo primo bicchiere di Prosecco. A Luca era bastato annusarlo per giudicarlo terribile, e infatti aveva accantonato il calice dopo un’unica sorsata, rinunciando a finirlo.

Ma non era stato il vino a inebriargli la testa, a spalancargli il cuore, a infiammargli il sangue e a umettargli lo sguardo, durante quella serata così magica.

Una volta conclusa la cena, Luca e Alberto si erano allontanati da soli, con la scusa di sistemare in cucina i vassoi svuotati e i piatti sporchi. Poi erano usciti per il retro, allontanandosi dalle chiacchiere che continuavano a cinguettare allegre dal giardino. Avevano gironzolato per le vie del paese illuminate dalla Luna, dal fioco riverbero dei lampioni, e Luca aveva ottenuto il bacio che si era ampiamente guadagnato. E poi un altro. E un altro ancora. E un altro ancora dopo. Una galassia di baci al sapore di focaccia al rosmarino, di pesto al basilico, di caffè espresso, e di gelato al pistacchio, succhiati da labbra sorridenti ed ebbre di Prosecco. Baci sotto i rami del loro ulivo; baci spalmati contro le tiepide mura delle case illuminate dalle luci delle terrazze; baci stesi sul prato della loro isola; baci abbracciati sott’acqua, con le code attorcigliate e grappoli di bollicine a circondare la loro lenta discesa verso il soffice fondale di alghe. Baci schioccati su labbra ridenti. Sussurri soffiati sulle guance, rosicchiati sui lobi, dietro le orecchie, brividi di piacere scesi lungo il collo, i nasi sfregati, e tiepide carezze arrampicate lungo la schiena. Baci infiniti e interminabili. Tanti baci quante erano le costellazioni che avevano vegliato su di loro per tutta la notte.

Ce ne sarebbero stati altri? Luca non poteva ancora dirlo, ma era abbastanza sicuro che non avrebbe dovuto aspettare troppo per scoprirlo.

«Non ti preoccupare, Alberto» disse Luca. «Non sarà necessario circumnavigare a nuoto tutta l’Italia per venire a soccorrermi, te lo prometto.» Guardò di nuovo verso il cielo, ancor più in alto, dove le nuvole sparivano, e si riparò dal sole estivo aprendo una mano davanti alla fronte. «Sono sicuro che mi troverò bene in una città come Trieste. È l’ideale. Avrò il mare vicino, quindi non mi sentirò troppo fuori luogo, e potrò andare a nuotare quando voglio.» Anche perché ho promesso alla mamma che nuoterò almeno tre volte a settimana, in modo da tenere allenata anche la mia forma marina. «E poi non vedo l’ora di realizzare il mio sogno.» Giunse le mani e guardò al di là dell’azzurro dietro il quale si celavano la Luna, le stelle, e un’infinità di galassie che a lui già sembrava di poter raggiungere e svelarne così ogni segreto. «E studiare Astronomia all’osservatorio, e scoprire tutto quello che c’è da imparare sulle stelle e sui pianeti. Peccato solo che il Professor Marinelli mi abbia scoraggiato dall’intraprendere una carriera simile.»

Giulia si stupì. Rimase a bocca aperta, con mezza rondella di liquirizia in mano. «Sul serio?»

«Sì» annuì Luca. «Lui avrebbe preferito che io continuassi con Letteratura. Pensa che la mia tesi di Maturità gli era piaciuta così tanto che l’aveva inviata come raccomandazione all’università di Pisa.»

«All’università di Pisa?» Giulia esitò. «Aspetta.» Storse un sopracciglio. «Non mi dire che…» Allungò un ansito sconvolto. «Non mi dire che ti aveva raccomandato alla Normale.»

«Uhm.» Luca si grattò la testa e si sforzò di ricordare quel particolare che comunque gli era sembrato insignificante. «Sì» annuì. «Sì, credo fosse proprio quella.»

Giulia fece cadere il sacchetto di liquirizie. Afferrò Luca per le guance, sgranò le palpebre assorbendo il suo riflesso nelle profondità degli occhi allucinati. «E tu hai rifiutato la raccomandazione per entrare alla Normale di Pisa? Oh, Luca…» Scosse il capo con disappunto. «Come hai potuto farlo? C’è gente che venderebbe l’anima pur di ottenere un’occasione simile.»

«L’ho fatto perché il mio sogno è quello di studiare Astronomia.» A Luca sembrò una risposta talmente ovvia. «Che c’è di male?»

Alberto scoppiò a ridere. Lui non sembrò affatto sconvolto. Anzi, quella rivelazione lo rese ancor più fiero di Luca. «Non stupirtene troppo, Giulietta.» Raccolse il sacchetto di liquirizie che le era cascato dalle mani. «Ormai dovresti sapere che Luca non è tipo da far decidere agli altri il proprio destino.» Addentò una rondella e gli inviò una strizzata d’occhio. «Lui la sua conchiglia se la sceglie da solo.»

Luca si sentì arrossire davanti a quell’affermazione che alle sue orecchie suonò come una vera e propria dichiarazione d’amore, l’unica che aveva bisogno di custodire nel suo cuore.

Ciò non tolse il fatto che Luca fosse sinceramente dispiaciuto di aver dato quella delusione al Professor Marinelli, soprattutto dopo aver ricevuto da lui tanto aiuto e tanto appoggio nella preparazione degli esami. Durante la loro ultima sessione di studio, a tesi ultimata, il professore gli aveva proposto la raccomandazione, ma Luca aveva declinato e gli aveva confidato la sua intenzione di studiare Astrofisica. Lo shock del professore era stato tale che Luca aveva creduto che potesse rimanere fulminato da un infarto. Il Professor Marinelli era infatti sbiancato come un teschio, si era passato più volte la mano tremolante attraverso i radi capelli grigi, si era sfilato gli occhialini, aveva sprimacciato le palpebre e la radice del naso, e aveva scosso la testa mentre le guance gli si erano accese di un intenso e iracondo rosso mattone.

Paguro, non puoi farmi questo.”

Luca aveva creduto che sarebbe stato capace di scaraventargli i fogli in faccia, pur di fargli cambiare idea.

Non renderti partecipe di un simile oltraggio, di questo affronto a ogni buon senso. Un potenziale come il tuo investito nella direzione sbagliata sarebbe solo un vergognoso spreco di risorse.”

Emerso dai ricordi, Luca sospirò. «Paguro, non puoi farmi questo» disse, facendo eco al professore. «È proprio così che mi ha detto. Come se qui si trattasse del suo futuro anziché del mio.»

Questa volta fu Giulia a venirgli in soccorso. «Non avercela troppo a cuore.» Accavallò le gambe e, facendo dondolare il piede, la gonna le sventolò attorno alla caviglia. «I professori lo fanno di continuo. Scaricare le loro frustrazioni su noi poveri studenti, intendo.»

«Quanto mi è dispiaciuto deluderlo, però.» Luca era sincero a riguardo. «Forse è vero che stava solo cercando di aiutarmi. Il Professor Marinelli dice che secondo lui non durerò a Trieste, che sono più portato per gli studi classici e umanistici che per quelli scientifici.» Annuì a se stesso, animato da tutta la buona volontà che gli bruciava in corpo. «Ma ce la metterò tutta.» E non vedeva l’ora di dimostrarlo al mondo intero. «E di tanto in tanto potrei anche tornare a trovarlo, giusto per rassicurarlo sulla mia situazione.»

«Sì» esclamò Alberto. «E poi ridergli in faccia!»

Giulia sventolò un pugno all’aria. «E sbandierargli davanti al naso la tua tripla laurea di scienziato spaziale e dirgli: ah-ah! Te l’avevo detto che ci sarei riuscito, alla facciaccia tua!»

«No.» Come al solito, fra i tre fu Luca quello a mantenere un atteggiamento pacato e razionale. «Voglio farcela semplicemente perché voglio farcela e basta. Non ho intenzione di prendermi la rivincita su nessuno.»

«Ehi, ehi.» Giulia lo incoraggiò con uno schiaffetto sulla spalla. «Ma tu sarai sempre in grado di fare tutto quello che vorrai, perciò non farti mai dire da nessuno quello che puoi o che non puoi fare, a prescindere dai tuoi voti e dalle tue inclinazioni.» Scosse le spalle e si tuffò in bocca un’altra liquirizia. «Se vogliamo chiamarle così.»

«Già» annuì Alberto. «E se per caso qualcosa dovesse andare storto durante il percorso…» Pure lui tese una mano davanti alla fronte, per ripararsi dal sole, e volse lo sguardo alle casette del paese che coloravano la zona della piazza imboccata dalle stradine di pietra e percorsa da qualche passante e da qualche bicicletta. «Ci resta sempre Portorosso su cui contare, come dicono in quel film.»

«Sono abbastanza sicura che fosse Parigi» puntualizzò Giulia. «Avremo sempre Parigi, ecco com’era quella citazione.»

«Be’, ma Portorosso è più bella di Parigi.» Alberto affondò la mano nel sacchetto delle liquirizie e si ingozzò divorando quattro rondelle alla volta. «Chi la vuole Parigi?» Si succhiò le dita facendole diventare bluastre. «Si tengano pure Parigi.»

«Tanto le cose non andranno male a nessuno di noi tre.» Giulia prese il sacchetto delle liquirizie dalle mani di Alberto, lo ribaltò, lo scosse e, trovandolo vuoto, soffiò uno sbuffo di disapprovazione. «Quindi non c’è bisogno di portare scalogna.»

«Ma saremo sul serio in grado di cavarcela?» domandò Luca. «Anche se siamo cresciuti, saremo pur sempre divisi. Lo so che può suonare come un sentimento un po’ ingenuo, ma a me è sempre piaciuto pensare che la nostra forza derivasse proprio dalla nostra unione.» Sospirò, sentendo il petto appesantirsi. «E mi chiedo se da soli saremo in grado di essere all’altezza delle vite che ci siamo scelti.»

Alberto corrugò la fronte. «All’altezza?» Lui non lo capì, mentre da parte di Giulia arrivò uno sguardo più comprensivo e consapevole. «E da quando in qua bisogna essere all’altezza della propria vita?»

«Be’» gli disse Luca, «ma lo sai…» Tornò a grattarsi il capo. «Sono cose a cui dovremo cominciare a pensare, adesso che siamo quasi adulti a tutti gli effetti. E ultimamente anche alla tv e sui giornali non fanno che parlare di altro, di responsabilità personali, di scelte collettive e…»

«Cheee?» esclamò Alberto, strabuzzando un’espressione inorridita. «Non starai mica parlando di tutte quelle stupide proteste, no?»

E Luca ammutolì, stringendosi nelle spalle e non sapendo realmente cosa pensare in merito. Non era proprio sicuro che il termine “stupide proteste” fosse il più adatto a descrivere quello che stava succedendo in tutto il Paese.

Il clima era molto teso, infatti gli adulti avevano fatto loro promettere che si sarebbero tenuti lontani dalle grandi città, nonostante i loro propositi di trascorrere l’estate a zonzo per l’Italia. Giravano brutte voci. Voci pesanti. Sommosse, rivolte, proteste nelle piazze, scontri con le forze dell’ordine, attacchi ai politici, occupazioni nelle università e scioperi nelle fabbriche. Non c’era da stare sereni.

«Anche io in realtà sono un po’ preoccupata per quello che sta succedendo.» Giulia piegò il gomito sul ginocchio accavallato e spinse il pugno sotto il mento. «Ma anche demoralizzata.» Si mise a giocherellare con la collanina che portava al collo, un semplice filo d’argento da cui pendeva una perla bianca – il suo regalo di Maturità da parte di entrambi i genitori. «Che barba» sbuffò. «Proprio durante la nostra estate speciale doveva scoppiare una rivoluzione?»

«Ma quale rivoluzione, Giulia.» Alberto non nascose il suo tono seccato. «Quelli non sono rivoluzionari, sono…» Gesticolò a mezz’aria. «Viziati e sfaticati perdigiorno che non hanno voglia di lavorare, tutto qui. Vedrete che passerà presto.»

«E io non ho intenzione di aspettare che passi standomene seduta sul cofano di un vecchio macinino e fissando il vuoto per il resto dell’estate.» Giulia balzò giù dal cofano della Seicento, appallottolò il sacchetto vuoto, e si cinse i fianchi, a spalle larghe, come faceva quando era piccola. «Allora, pronti o no per la nostra epica avventura?» Calò gli occhiali da sole sul naso e sfoggiò un gran sorriso d’incitamento. «Io davanti con Alberto!»

Alberto e Luca incrociarono uno sguardo.

Alberto sorrise. Infilò una mano nella tasca dei jeans e sfilò le chiavi dell’auto a cui aveva appeso un ciondolo a forma di Vespa. Le fece roteare attorno all’indice e allargò il ghigno splendente. «E l’ultimo chiude la porta!»

Luca tese la mano ad Alberto, si fece aiutare per smontare dal cofano, ma le sue gambe, una volta a terra, tremolarono, e il suo sguardo fece fatica a scollarsi dalle facciate delle case e dai tetti di Portorosso. «Ma non abbiamo nemmeno una cartina. O sì?» Socchiuse una palpebra e si rivolse ad Alberto. «Ce l’abbiamo una cartina, vero?»

Alberto batté una mano sul tettuccio dell’auto. «È tutto impacchettato nel retro.»

Luca sospirò, avvilito. «Quindi tocca a me starmene spremuto fra i bagagli?»

Giulia trillò una risata e gli mostrò una piccola linguaccia. «Così impari a essere rimasto il più basso dei tre, Piccoletto.»

Luca fece roteare gli occhi ma le risparmiò il broncio. «Non era divertente all’inizio e non lo è nemmeno adesso.» Si portò sul retro dell’auto. «Se solo…» Tastò la portiera, il finestrino, si alzò sulle punte dei piedi, tornò a scendere, batté entrambe le mani sulla carrozzeria, e ancora non trovò la maniglia posteriore. Insorse un’ondata di panico che gli strinse lo stomaco. «Oh, no» ansimò. «Dov’è la porta?» Fece il giro dell’auto, tastò ancora come sperando che un’apertura si materializzasse sotto le sue mani sudaticce, e cominciò a vedere doppio per la confusione. «La portiera, la maniglia… come si fa ad aprire? Alberto!» La sua voce stridette in un piagnucolio. «Alberto, ti hanno venduto un’auto senza gli sportelli posteriori, non posso salirci, Alberto, Giulia, non lasciatemi qui!»

«Luca…» Alberto incrociò le braccia sopra il tettuccio dell’auto. Solo una minuscola smorfia tradì il suo sforzo di non ridere. «Luca, è una tre porte. Il sedile.» Glielo indicò. «Apri la portiera davanti e tira il sedile.»

«Oh.» Luca fumò di imbarazzo. «Giusto, sì.» Zampettò sul davanti, fece come detto e aprì la porta. «Una tre porte, ora ricordo.» Scansò una delle valige e si infilò nei posti di dietro, sommerso dal profumo di tappezzeria appena lavata emanata dai sedili. Si guadagnò una strofinata alla testa da parte di Giulia, come un bimbo che ha bisogno di essere consolato. Luca pensò che mai in tutta la sua vita avrebbe immaginato di poter essere felice come in quel momento.

Quando furono tutti e tre a bordo, Alberto mise in moto dopo soli quattro tentativi di accensione. «Bene, bene.» Batté le mani e strofinò i palmi. Un forte odore di benzina bruciata invase l’abitacolo accaldato dal sole. «Abbiamo i bagagli, le cinture di sicurezza…»

Giulia spalancò la porticina del cruscotto piena zeppa di cassette registrate. «E le cassette per l’autoradio!»

«E gli spuntini per il viaggio?»

«Presenti anche quelli.» Giulia mostrò l’interno del suo zaino gonfiato da barrette di cioccolata, sacchetti di patatine, pacchi di biscotti, caramelle in quantità, crackers, e panini imbottiti avvolti nel cellophane. «A tonnellate, Capitano.»

«E le cartine?»

«Quante ne vuoi.» Giulia sbottonò la tasca esterna dello zaino e sfogliò le cartine fra le dita. «Nord, Sud, Centro, e Isole comprese.» Si girò a passarle a Luca. «Luca fa da navigatore.»

Luca spalancò sulle ginocchia la cartina dell’Italia Settentrionale, restrinse le palpebre, avvicinò e allontanò il viso, e di nuovo si scoprì in difficoltà nel mettere a fuoco le scritte. Avrebbe decisamente dovuto procurarsi un paio di occhiali da vista, una volta tornato dal viaggio. «Faccio da navigatore a patto che non andiamo a più di sessanta all’ora.»

«Buuu!» Alberto ingranò la marcia, avanzò uscendo dall’ombra della tettoia, e si girò a fare la linguaccia a Luca. «Buuu! Silenzio, Bruno, buuu. Non metterti a fare il guastafeste.»

«Questo sono io, non è Bruno che parla.»

«Allora ecco il nuovo tormentone dell’estate: silenzio, Luca!»

Giulia abbassò il finestrino e si sporse di fuori. Il sole specchiato sulle lenti scure degli occhiali e il calore del pomeriggio a bruciare sulla spolverata di lentiggini che le colorava le guance e il naso. «L’estate migliore di sempreee

Anche Alberto allungò la testa fuori dal finestrino – i riccioli al vento, il sole a baciargli la pelle scura, gli occhi verdi luccicanti di emozione –, e lanciò un ululato di esultanza. «Si parteee!» Suonò due volte il clacson, sgasò, e accelerò facendo strusciare le gomme sullo sterrato.

Sbalzato contro lo schienale del sedile e allontanata una delle valige che gli era caduta in grembo, Luca allentò la cintura di sicurezza e si girò verso il polverone che si era ingrossato dietro di loro, lungo la pendenza della strada in discesa. Guardò Portorosso che si rimpiccioliva e che si allontanava attraverso il vetro rigato a cui era appiccicato l’adesivo sbiadito e mezzo scrostato di Radio Babbaleo. Guardò i confini di Portorosso sentendo gli occhi appannarsi e il sorriso scaldargli le labbra come la prima volta in cui aveva salutato quello stesso mare e quello stesso cielo, promettendo di fare ritorno.

Non era un addio. Portorosso era il suo scoglio, era il suo faro nella burrasca. Non avrebbe mai più avuto paura di vedere spenta quella fiaccola eterna. Anche in mezzo alla tempesta, per lui ci sarebbe sempre stata una luce da inseguire, una mano da raggiungere, un braccio a cui aggrapparsi, un sorriso a cui affidarsi. Un bacio in cui sperare.

 

 

 

 

 

Fine

 


N.d.A.

Ed eccoci alla fine, cari lettori. :)

Ringrazio fin da subito tutti coloro che stanno leggendo questo messaggio e che mi hanno accompagnata durante questo viaggio che non è stato poi così breve come avevo programmato. Ho cercato di vivere la scrittura di questa fan fiction senza troppe pretese, più come un esperimento. Ma devo ammettere che questo progetto mi ha appassionata più del previsto, e infatti ne è uscita una bella sleppa, nonostante i miei propositi di farla durare poco (chi mi segue da un po’, su altri fandom e su altri lidi, sa che non sono nuova a queste deviazioni di programma). Spero comunque con tutto il cuore di aver emozionato un pochino anche tutti coloro che hanno voluto dare una piccola sbirciata al suo contenuto, e che vi siate divertiti a leggere come io mi sono divertita a scrivere.

E dunque, in questo epilogo, lasciamo i nostri eroi che, a bordo della mitica Seicento, si accingono a uscire silenziosamente da questo florido e pittoresco Dopoguerra per entrare nel panorama più burrascoso degli Anni di Piombo. Ma questa è un’altra storia. Una storia alquanto stuzzicante, non trovate? Chissà, magari un giorno sarò proprio io a scriverla!

Mi piacerebbe davvero molto continuare a giochicchiare un altro po’ con questo fandom, quindi potrei tornare a visitare queste spiagge molto presto e, se ci sarà qualcuno a tenermi compagnia tramite la lettura delle mie storie, sarò ancora più entusiasta di far ritorno a Portorosso assieme a voi. (^-^)

 

Bene. Ringrazio ancora calorosamente tutti quelli che hanno letto L’Ideale del Paguro (non so effettivamente quanti siamo noi italiani, quindi forse sto parlando a vuoto, ma ‘sticazzi xD), e ancora una volta dedico la conclusione di questa storia ai miei cari nonnini che spero possano leggere le mie parole anche su nel Cielo. :)

 

Vi auguro tutti i libri, la pasta e i gelati del mondo.

   
 
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