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Autore: Orso Scrive    06/11/2022    1 recensioni
Il tenente Manfredi e il sottotenente Bresciani, del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale, devono occuparsi di una nuova grana: un vandalo dall’improbabile nome di Sukker ha preso di mira i graffiti rupestri della Valle Camonica, in provincia di Brescia, imbrattandoli con bombolette spray.
Riusciranno i nostri eroi a fermare Sukker, prima che i suoi danni divengano irreparabili? Ma, soprattutto, scopriranno il mistero che si cela dietro ai graffiti rupestri, un mistero che sembra parlare di antichissime visite di esseri provenienti da altri pianeti e da altri universi? Alberto e Aurora scorgeranno questa antica verità, o il mistero resterà celato ai loro occhi?
Genere: Fantasy, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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8.

 

 

Valli Alpine, alla fine dell’ultima Era Glaciale

 

 

La valle, sferzata dal gelido vento del settentrione, era gremita di uomini e di donne. Vecchi e giovani, cacciatori e guerrieri, sciamani e saggi. La moltitudine era giunta da ovunque, da tutte le vallate e dalle cime più distanti, sfidando il freddo che montava man mano che la stagione invernale si approssimava, perché la voce si era sparsa.

Il momento era solenne e tutti erano accorsi alla chiamata degli dèi.

Diversi giorni prima, Gerg aveva riferito del suo incontro con le stelle discese di fronte a lui. Aveva ripetuto le parole che aveva ascoltato, non emesse da alcun corpo. Parole che gli erano risuonate tutto attorno e che aveva udito dentro di sé, prima ancora che fuori.

«Raduna tutti i tuoi simili, di’ loro di radunarsi al mio cospetto, perché io giungerò e porterò loro la mia parola di saggezza. Tu hai udito la voce di Vrillon, e tutti i tuoi simili ascolteranno a loro volta la mia voce, così che nel tempo futuro non vengano commessi errori e ingiustizie.»

In un primo momento, colto dallo sbalordimento, Gerg era stato invaso dal terrore. Il suo cuore aveva minacciato di esplodere, in preda al panico. Poi, però, aveva alzato gli occhi al cielo e aveva visto la girandola dai mille colori, simile a una rosa coronata di sfere, sollevarsi nel buio.

Aveva compreso che a parlare era stato un dio. Un dio che gli aveva dato un incarico. Un messaggio da riferire.

Senza perdere tempo, il giovane cacciatore aveva subito sfidato il buio e la stanchezza per fare ritorno al villaggio. Era stato trattenuto per un solo istante dal dubbio se stesse facendo la cosa giusta, nell’abbandonare a quel modo la preda che gli era costata tante fatiche. Ma non sarebbe stato via a lungo. Il giorno dopo avrebbe potuto recuperarla.

Così, Gerg aveva cominciato a correre.

Gli alberi si protendevano verso di lui, occhi fosforescenti lo spiavano dal fitto del buio fogliame, mormorii senza forma accompagnavano il suo passaggio. Il giovane non se ne curava. Correva, correva e basta.

Corse finché giunse alla riva del lago, in vista del villaggio di palafitte. La sua piroga era ancora tirata in secca nel punto in cui l’aveva lasciata. Nonostante la stanchezza stesse cominciando ad avere il sopravvento su di lui, Gerg la spinse in acqua e pagaiò con foga fino a raggiungere la base del gruppo di casette di legno e dalla copertura di paglia.

Si arrampicò e cominciò a correre lungo i pontili e la passatoie di cordami, chiamando a gran voce gli anziani e i capi del villaggio. Sorpresi, gli uomini si riunirono nell’edificio principale, sedendosi sulle panche che si snodavano tutto attorno alle pareti. Qualcuno accese il fuoco centrale per poter illuminare e scaldare la notte.

Sfinito, ansante e assetato, Gerg trovò lo stesso la forza per parlare.

E disse di ciò che aveva visto e sentito.

Narrò delle stelle che erano discese di fronte a lui e avevano parlato.

 

* * *

 

Ora il popolo era radunato.

Gente di ogni età, di ogni condizione e di ogni luogo aveva risposto alla chiamata. I figli dei principi erano affiancati a quelli dei pescatori; chi aveva avuto tra le mani il bastone del potere era fermo accanto a chi, in vita sua, aveva stretto solo strumenti da lavoro; guerrieri abituati a maneggiare la lancia per combattere attendevano ansiosi vicino a cacciatori che, quella stessa arma, l’avevano adoperata soltanto per sfamarsi.

Tutti erano lì per vedere e ascoltare gli dèi.

Gerg era immobile in cima a un tumulo, al di sotto delle fronde protese di un imponente albero di quercia. Il terreno scricchiolava di ramoscelli, foglie secche e ghiande cadute. I suoi occhi erano fissi al cielo, nel punto in cui sentiva che sarebbe comparso il dio. Non aveva nessun dubbio che colui che aveva detto di chiamarsi Vrillon sarebbe tornato, discendendo tra gli uomini per per portare il suo messaggio. Un messaggio che sarebbe stato ascoltato ed eternato, perché nessuno potesse dimenticarlo.

Alla base del tumulo, erano radunati i più vecchi e i più saggi, i sacerdoti del dio-cervo così come la sacerdotesse della Grande Madre. I loro sguardi erano ieratici, i capelli lunghi e gli abiti di pelle danzavano nel vento, sempre più pungente e impetuoso. Le uniche creature giovani, in quel consesso di anziani, erano Ania e i due piccoli che le si stringevano addosso, intimoriti da qualcosa che non comprendevano. Il grembo della giovane donna era sempre più gonfio di vita, e i suoi occhi non riuscivano a celare la trepidazione che l’aveva colta nel vedere il suo uomo lassù, solo, sotto l’attenzione di tutti, intento ad affrontare una forza sconosciuta.

Il gelo si fece più intenso man mano che il sole cominciò ad abbassarsi sempre più oltre i contrafforti rocciosi dei monti. I ghiacciai sulle vette parvero sfavillare di fuoco, quando i raggi rossi li accesero della loro luce. Presto, le ombre presero ad allungarsi sempre più. Il cielo si tinse di un pallido rosa, di viola, di nero. Le stelle lo punteggiarono con le loro forme arcane e incomprensibili, che celavano i più antichi misteri su cui gli occhi degli esseri umani si fossero mai posati.

Le voci crebbero d’intensità insieme al nero. Le preghiere divennero sempre più acute, grida elevate verso l’infinito.

Ania tremò, ma non per il freddo. La paura le stava stringendo lo stomaco, le mordeva il seno come una bestia feroce. Strinse ancora di più i due piccoli. Aveva un atroce terrore. Temeva che non sarebbe accaduto nulla, che il dio non si sarebbe presentato all’appuntamento. E sapeva che cosa questo avrebbe significato. Per Gerg non ci sarebbe stato nulla da fare. L’immensa folla, guidata dai sacerdoti, avrebbe sfogato su di lui e su tutta la sua famiglia la frustrazione di aver atteso invano.

La giovane donna chiuse gli occhi. Non voleva pensare a che cosa ne sarebbe stato di loro. Ma non poté fare a meno di rivivere le immagini che aveva visto succedere altre volte. Uomini, donne e bambini trascinati da loro simili invasati e ormai incapaci di arbitrio. Spogliati di ogni abito, fatti a pezzi, gettati tra le fiamme di un falò. Udì le grida di dolore dei suoi figli, avvertì l’odore putrido della carne che bruciava…

Dalle palpebre serrate di Ania presero a scorrere le lacrime.

Se soltanto Gerg avesse parlato con lei, prima di radunare gli anziani. Lo avrebbe persuaso a tenere per se quel segreto, a non rivelarlo. Ma il suo uomo sembrava essere stato colto da un furore divino, come se non fosse più padrone delle proprie azioni.

Riaprì gli occhi. Il suo sguardo acquoso faticò a mettere a fuoco i dettagli. Il gelo minacciò di ghiacciare le sue lacrime. Vide Gerg danzare e saltare, e non riuscì a capire se fosse a causa del velo di pianto che le offuscava la vista, oppure se il suo uomo fosse davvero in preda a un qualche tipo di mistico furore.

Poi accadde.

 

* * *

 

Dapprima fu una stella. Una stella tra le stelle.

Poi la stelle discese, sempre più in basso, sempre più grande.

La sua luce divenne rossa e prese la forma di un grandissimo piatto di colore nero, più nero della stessa notte, contro cui si stagliava con nitidezza.

L’intera vallata ammutolì quando quella solida luce nera e rossa si fece più vicina, imponente. Non si udì più alcun suono, al di fuori del sibilo costante del vento.

L’involucro che conteneva il dio si appoggiò al terreno, sulla cima di una collina che si trovava di fronte al tumulo su cui Gerg, immobile, era caduto in ginocchio, in segno di riverenza.

Per un istante, non accadde nulla. Poi si levò un fumo grigio e il dio, altissimo, indescrivibile, apparve nella sua reale figura.

«Qui è Vrillon che vi parla. Ho recato a voi tutti un messaggio per tutte le epoche.

Il mondo muterà e gli esseri che lo popolano si tramuteranno. Se nell’aspetto esteriore resteranno sempre gli stessi, dentro di sé diventeranno differenti. La trasformazione dei loro cuori sarà profonda e dirompente. Abbandoneranno i valori che li hanno legati alla natura. Proveranno odio per la roccia della montagna, ribrezzo per il verde dei boschi, disprezzeranno lo scorrere dell’acqua e l’andare delle stagioni. Essi dimenticheranno che il vero bene è quello che scaturisce dalla Madre Terra, a cui dovrà sempre essere riservato amore e rispetto.

Ma se tramanderete le mie parole, i vostri discendenti non dimenticheranno. Essi non commetteranno l’errore e non trarranno da ciò che li circonda altro al di fuori dell’occorrente alla sussistenza. Fate come vi dico, e i vostri discendenti resteranno puri come voi, continueranno a venerare alberi e animali, terra e natura. Perché se il messaggio di Vrillon sarà scordato, gli errori commessi aumenteranno ancora, sempre di più, fino a quando sarà troppo tardi per poter rimediare al funesto disfacimento che condurrà i vostri successori alla rovina. Una rovina che troverà il suo principio nell’egoismo e nella perdita dei valori che regolano le vostre esistenze e che sono il vero motore dell’esistere.

Falsi dèi e reali divinità malvagie cercheranno di sovvertire queste parole. I loro profeti vi prometteranno la salvezza in altre dimensioni, cercando di farvi scordare il rispetto dovuto alla natura che vi circonda e abita questa terra. Vi diranno che questo mondo è solo un luogo da sfruttare, perché la realtà sarà altrove. Tenteranno in ogni modo di indurvi alla morte, alla distruzione e allo sfacelo, parlandovi di magici e finti altrovi. Non prestate loro alcuna attenzione, non concedete loro alcun consenso, perché sarebbe la vostra completa rovina. Combattete costoro e non dimenticate che gli unici e veri dèi sono gli spiriti che vivono negli alberi, negli animali, nella terra i cui frutti vi sosterranno in cambio di amore e di rispetto, nel vento che vi rinfresca e nell’acqua che vi disseta. Non ascoltate la voce empia di chi dirà che l’uomo è immagine del dio e quindi superiore a tutto il creato, perché sarà una voce falsa e intrisa di pura malvagità. Il suo scopo è soltanto quello di condurvi alla rovina con una finta ed errata percezione di voi stessi. Diffidate di coloro che proveranno a innalzare gli esseri umani sopra le altre creature viventi, perché lo faranno sbagliando e sapendo di sbagliare.

Questo è il messaggio che, attraverso le infinite distese del cosmo, ho recato fino a voi. Tornerò ancora, nel vostro tempo futuro, per accertarmi che sia stato rispettato. E perché questo accada, ciascuno dei vostri discendenti dovrà essere come voi: puro e privo di dubbi nei confronti di ciò che vede. Soltanto credendo e avendo fede in valori più alti, e quindi disprezzando la mera materialità dell’esistere giornaliero, potrete avere accesso alla salvezza. Non sarà mai troppo tardi, ma sarà necessario che le menti siano sgombre, libere dalle disillusioni e dai vani dubbi.

È tempo che io vada. A voi il compito di eternare le mie parole, in attesa del mio ritorno. Trasmettetele e ciascuno dei vostri figli e dei loro figli sarà come voi. Ma se cadrete nel funesto errore, vi prometto che io sarò qui a vegliare e, ancora una volta, a cercare di impedire che voi, figli tra i figli della terra, della vostra benevola Madre, andiate incontro all’ultima rovina. Io, Vrillon, non vi abbandonerò.

Venerate la Madre, figli della Terra.

Amate essa come voi stessi, e non scordate che è il bocciolo della Rosa a celare la vita. Non scordate di onorarlo come merita.»

L’immagine del dio fu ancora una volta avvolta dal vapore. Scomparve all’interno del suo grande guscio nero, che tornò a sollevarsi nel cielo.

Il disco nero salì sempre più in alto, iniziando a vorticare come una girandola. Nove sfere colorate gli ruotarono attorno, rapidissime, emettendo un ronzio capace persino di sovrastare la voce sempre più impetuosa del vento. Girarono sempre più veloci, frammischiando i loro colori, fino a confondersi in un’unica immagine ruotante, di cui fu impossibile distinguere i reali contorni.

Luci rosse, blu, bianche, gialle e verdi parvero avvolgere quell’insieme misterioso, mentre tutto diventava sempre più piccolo e lontano. Il ronzio divenne flebile, finché, ancora una volta, fu soltanto il vento a cantare nella vallata.

Infine il dio che aveva parlato agli abitanti delle valli e dei monti scomparve nel buio della notte, stella tra le stelle.

   
 
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