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Autore: Zobeyde    12/11/2022    2 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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OROLOGI

 


Vi fu un momento di sbigottito silenzio, in cui gli occhi di tutti furono puntati su Arthur.
«Excalibur» ripeté il ragazzo, senza nascondere un sorriso ironico. «Sì, come no...»
«È lei» disse Isabel, chinandosi per osservare la spada da vicino. Con un lembo del cappotto logoro, pulì la lama lucente dal sangue. «Solomon mi ha raccontato la storia. Fu forgiata da Merlino, uno dei Plasmavuoto più potenti mai esistiti…»
«…Col respiro dell’Ultimo Drago, Restaban Il Pacifico» completò Boris Volkov, con grande meraviglia di Alycia. «E poi, quando morì tramutandosi in roccia, la spada venne conficcata sul suo dorso. So che per secoli i Decani hanno fatto di tutto per averla, ma i Blake si sono sempre rifiutati di confinarla in un museo.»
«Ma io l’ho solo presa in prestito» si giustificò immediatamente Arthur, che non sembrava più molto divertito dalla cosa. «La rimetto a posto…»
«No!» esclamarono in coro Isabel e Boris. 
«Non puoi» disse lo stregone, con la massima serietà. «Non è un’arma qualsiasi: ha atteso più di mille anni un possessore. Per portargli gloria o disgrazia, a seconda di quanto giudichi puro il suo animo.»
Anche Alycia era scettica. «Pensavo non credessi alle leggende del Vecchio Mondo.»
«Non si tratta di una leggenda» replicò lui, adombrandosi. «Ho visto cosa accade a chi non si dimostra degno di brandirla. Tuo padre ci ha provato per fronteggiare Lucindra…e la spada gli si è rivoltata contro.»
A quelle parole, il cuore di Alycia piroettò. «Se è stato lui l’ultimo a usarla, significa che non può essere lontano!»
«Immagino l’abbia lasciata qui di proposito» convenne Boris. «Confidando che qualcuno sarebbe stato in grado di estrarla…»
«Jim!» esclamò Arthur. «Ma certo, l’ha lasciata sicuramente per lui!»
«Ma si è lasciata estrarre da te» ribatté Isabel. «E non è nata per essere brandita da un mago.»
«Be’, ci deve essere un malinteso! La spada si è sbagliata!»
«Eppure, sapevi esattamente dove fosse» obiettò Boris. «Quando l’hai trovata, hai sentito una voce chiamarti?»
«Io…ecco, non lo so…»
«Magari un raggio di sole l’ha illuminata» ipotizzò Frank Otto, pensieroso. «O hai sentito delle campane. Ho letto che è così che funziona...»
«Ah, sì?» grugnì O’Malley. «E dove le hai lette queste stronzate?»
«Io non ho sentito né voci né campane» li interruppe Arthur. «Ero un tantino distratto da Sinclair trasformato in mostro assassino!»
«Artie» fece a quel punto Rodrigo, fissandolo con tanto d'occhi. «Ma quindi, ora che hai extracto Excalibur…significa che sei diventato re?»
Gli altri trattennero il respiro e si scambiarono occhiate emozionate. Sempre più a disagio, Arthur tese la spada ad Alycia, con l’elsa rivolta verso l’alto. «Dovresti prenderla tu, sei una Blake, no? Appartiene alla tua famiglia!»
Alycia spinse l’elsa di nuovo verso Arthur. «Non sono una che crede alle fiabe: mi baso sui fatti. E il fatto è che tu hai appena usato questa spada per salvarmi la vita. Qualcosa dovrà pur significare.»
Arthur la fissò a bocca aperta. «Ma...»
«Tienila con te» lo esortò Alycia, ammiccando. «Almeno finché non avremo ritrovato mio padre. Un aiuto in più non può che farci comodo, no?»
Il ragazzo deglutì, poco convinto. «Ok.»
Isabel insistette perché riprendessero con urgenza il cammino, prima che il Vuoto mandasse loro altre sorprese. Il gruppo si rimise in marcia tra i ruderi di Arcanta, ma Alycia si sentiva agitata da emozioni contraddittorie.
Da un lato, il ritrovamento di Excalibur le aveva infuso nuova speranza, perché significava che stavano percorrendo gli stessi passi di suo padre. Ma dall’altro, non riusciva a mettere da parte la paura che fossero arrivati tardi…
Non poteva sopportare che il prezzo che il Vuoto esigeva per averle restituito sua madre fosse la perdita di suo padre.
«Siamo già passati di qua.»
La voce di Isabel interruppe il flusso tumultuoso dei suoi pensieri. La maga si era fermata in mezzo alla strada e scrutava con occhi dubbiosi gli edifici che li circondavano. In effetti, Alycia riconobbe la piazza con la fontana monumentale che rappresentava la Caduta dell’Eretica, di fronte al Bestiario…e poco più avanti, di nuovo il ponte che attraversava il fiume Silbri e il cadavere decapitato di Sinclair.
«Ci sta facendo girare in tondo» affermò Isabel, seccata. «Dobbiamo trovare una strada alternativa.»
Armata della sua lama di vetro e acciaio alchemico, si mie a esaminare le facciate dei palazzi, le scalinate e i cumuli di detriti franati, alla ricerca di un’incrinatura nel Vuoto che rivelasse la via da seguire. Intanto, i circensi lanciavano occhiate nervose in giro, stringendosi gli uni agli altri, in attesa di ricevere l’agguato di chissà quale altra creatura emersa direttamente dai loro peggiori incubi. Alycia cercava di mostrarsi padrona della situazione, ma non aveva ancora chiare le regole che governavano il Vuoto e la agitava non avere alcun punto di riferimento. Di nuovo, sentì il battito del cuore accelerare… ma non fu solo questo che sentì. Le sembrò di udire qualcos’altro, provenire da sotto i vestiti: il ritmico e imperioso ticchettio di un paio di lancette. Stupita, tirò fuori la catena dell’orologio da taschino di suo padre.
Credevo che fosse rotto.
Aprì il coperchio col pollice e scoprì che, malgrado la crepa che attraversava il vetro del quadrante, le lancette si erano messe in moto, ruotando come impazzite. E a intervalli regolari, si fermavano tutte insieme a indicare sempre la stessa ora. 
Mezzogiorno in punto.
Aggrottò la fronte. Possibile che si fosse in qualche modo aggiustato da solo?
Si avvicinò a sua madre per chiedere un suo parere, ma in quel momento, le lancette cambiarono bruscamente ora, indicando tutte, ostinatamente, le sei, trenta minuti e trenta secondi.
«Ma cosa..?»
Tenendo l’orologio sul palmo aperto di fronte a sé, mosse un passo lateralmente. Arthur notò quell’inconsueto balletto. «Che stai facendo?»
Lei non rispose, concentrata sul movimento delle lancette. Ecco, ora segnavano le tre e un quarto.
“Da questa parte” sembrava quasi le stessero sussurrando. 
Alycia si bloccò, sbalordita. L’orologio non le stava indicando l’ora. Le stava indicando una direzione!
«Mamma!» esclamò. «Forse so dove andare!»
Mostrò a sua madre l’orologio, che non era più un orologio, bensì una bussola.
«Sono sicura che è papà» disse, emozionata. «Ci sta dicendo dove trovarlo!»
In cuor suo non aveva mai smesso di dubitare di lui: Solomon Blake non si sarebbe mai fatto mettere nel sacco senza escogitare qualcosa. Excalibur, l’orologio…aveva seminato tracce e aiuti lungo la via, proprio come quando partiva per i suoi viaggi e in ogni lettera nascondeva sempre un indizio su dove trovarlo, indizio che solo Alycia avrebbe potuto decifrare. 
Seguendo le indicazioni delle lancette, Alycia e Isabel si fermarono apparentemente in mezzo al nulla. Isabel sguainò la spada e la lama traslucida tracciò in aria una X. Laddove il colpo fu vibrato, si generò un’increspatura, poi l’aria si ricoprì di crepe e, proprio come uno specchio, andò in frantumi.
«Merda» sospirò O’Malley, rassegnato. «Ecco che ci risiamo.»
Oltre i lembi sfilacciati dello squarcio, si estendeva un paesaggio da romanzo gotico inglese: burroni profondi, affioramenti di roccia sormontati da arbusti disseccati e un'infinita estensione di brughiera tetra e nebbiosa di pioggia...
In cima a un colle solitario, si ergeva un'unica, gigantesca quercia nera coi rami  privi di foglie che scricchiolavano sinistri nel vento.
Alycia si fermò sotto le fronde spoglie. «Yr dewin yn y goeden
«No entiendo» disse Rodrigo. «Che significa?»
«“Il mago nell'albero”» rispose O'Malley di getto. «Una vecchia poesia in gaelico.»
I circensi lo guardarono sbigottiti, al che lui protestò: «Che c'è? Non sono così ignorante come pensate!»
«Narra della fine di Merlino» spiegò Isabel in tono grave. «Imprigionato in un albero dalla sua apprendista e amante, Nimueh.»
Boris emise un verso di sufficienza. «Ironico come certe storie finiscano sempre col ripetersi.»
«Significa» disse Arthur. «Che Blake è davvero lì dentro?»
Boris sollevò una mano ed evocò la sua ascia di energia, luminosa come una torcia. «C'è un solo modo per scoprirlo.»
Impugnò l'ascia a due mani e colpì con veemenza la corteccia nera e robusta dell'albero. Bastarono un paio di fendenti perché il legno cedesse, rivelando che il tronco era cavo all'interno: ora, tra le grosse radici nodose si apriva una profonda fessura buia.
«Non vorrete mica infilarvi lì dentro!» squittì Vanja.
Alycia strinse a sé l'orologio, incoraggiata dal ticchettio delle lancette. Dopodiché, superò per prima il varco.
Di nuovo, ebbe l’orribile sensazione di cadere nel vuoto, senza appigli di alcun genere, con il cuore conficcato in gola e lo stomaco come gelatina. Ma durò poco e ancora una volta si ritrovò coi piedi ben ancorati al suolo, in una grande piazza gremita di gente.
La fredda brughiera era scomparsa e al suo posto, adesso sorgeva un quartiere storico con vie acciottolate, palazzi eleganti e chiese con guglie gotiche dal sapore europeo. Alycia sollevò lo sguardo su un grande orologio astronomico incastonato in una torre che dominava l'intera piazza; il quadrante era decorato da costellazioni e preziose sculture allegoriche, che rappresentavano mesi, stagioni, santi e mostri. 
«Dove siamo?» domandò Arthur. 
Isabel fissò per un lungo momento la torre dell’orologio e un sorriso felice le affiorò sulle labbra. «Nel suo posto preferito al mondo!»
Senza preavviso, si volse e imboccò in fretta una viuzza. «So dov’è! Seguitemi.» 
Isabel continuò a procedere lungo il vicolo ormai di corsa e si fermò solo una volta giunta di fronte a una casetta ocra pallido, decisamente anonima rispetto alle altre dai colori brillanti lungo la via.
«La bottega di un orologiaio» disse Alycia, osservando la vetrina in cui erano esposti orologi a cucù magnificamente intagliati.  Consultò nuovamente l'orologio-bussola, ma non vi era alcun dubbio: le lancette indicavano con tenacia il negozio. 
Isabel varcò la soglia, accompagnata dal suono vivace di un cicalino.  L’ambiente era raccolto, polveroso, con le pareti in legno rivestite interamente da orologi in funzione, che producevano una sinfonia di ticchettii sincronici. Su un grande tavolo da lavoro erano adagiati altri esemplari in fase di lavorazione, assieme a ingranaggi, utensili, piccole sculture e una gran quantità di segatura. 
L'attenzione di Alycia fu catturata da un carrillon costituito da una sfera trasparente con dentro un paesaggio cittadino in miniatura, di quelli che i Mancanti erano soliti regalarsi nel periodo natalizio. Al suo interno, però, al posto della neve, si muoveva qualcosa...qualcosa di bianco e luminoso, che guizzava urtando il vetro alla ricerca di una via di fuga.
«Wiglaf» sussurrò la ragazza, angosciata. 
Il demone si agitava imbizzarrito, passando dallo stato gassoso a quello liquido, senza riuscire a mantenere una forma stabile.
«Ti tireremo fuori di qui» disse Alycia, prendendo in mano la palla di vetro. «Dov'è mio..?»
«Oh, guten morgen!»
Si udì il cigolio di una porta e dal retrobottega emerse qualcuno.
Alycia sentì il cuore gonfiarsi come un palloncino nelle mani di un bambino. «Papà!»
L'uomo che stava loro di fronte era inequivocabilmente Solomon Blake, però in lui c'era qualcosa che non andava. Forse la postura ingobbita o i capelli spettinati, con ciocche grigie che spuntavano qua e là assieme a qualche truciolo di segatura rimasto impigliato. Si era lasciato crescere la barba, anch'essa spolverata di grigio e appollaiati sul naso storto portava un paio di occhialini sbilenchi. Indossava un vecchio maglione in Shetland e sopra un blazer di tweed marrone, l'abbigliamento meno elegante che gli avesse mai visto indossare in vita sua.
Ma ad Alycia non importava. Scattò in avanti e si tuffò tra le sue braccia, lo strinse con tutta la forza che possedeva.
«Siamo venuti a salvarti!» esclamò, lottando per tenere a freno le lacrime. «Ho seguito il tuo orologio, ci ha condotti da te...!»
Lui le pose le mani sulle spalle, allontanandola delicatamente ma con fermezza. «Fräulein, deve avermi confuso con qualcun altro.»
Alycia lo fissò senza capire. «Papà, ma che dici? Sono io, Alycia! Tua figlia!»
«Desolato, mein schatz» replicò Solomon, che per qualche assurdo motivo continuava a parlare con quello strano accento tedesco. Ma la cosa peggiore era il modo compassionevole in cui la guardava. «Io non ho figli.»
Alycia si ritrasse, l’orrore e la confusione che si inseguivano sul suo volto. Ma che stava succedendo? Che cosa gli avevano fatto?
Boris Volkov la fece da parte e incombette sullo stregone con fare intimidatorio. «Che genere di maleficio è mai questo, Blake?»
«Signore» replicò l'altro, timidamente. «Davvero, ci deve essere un terribile missverständnis...»
«Finiscila con questa pagliacciata!» tuonò Boris, con tale impeto che Solomon sobbalzò. «Dov'è Lucindra? Come facciamo a fermarla? Sei tu il mago geniale, no? Be', datti da fare!» 
«Oh, questa è bella!» replicò Solomon con una risatina. «Un mago? Io? Certo, sono piuttosto abile nel mio lavoro, ma da qui a definirmi addirittura un mago..!»
Boris digrignò i denti. «Non è il momento di scherzare!»
«Ah, certo!» Solomon sorrise e osservò una a una le persone riunite nella bottega. «Siete attori! Artisti di strada presumo, questo spiega il vostro bizzarro abbigliamento. Teatro sperimentale, ho indovinato? Potevate anche dirlo subito..!»
A quel punto, Boris lo agguantò per le spalle e iniziò a scuoterlo con veemenza. Ci mancava poco che lo prendesse a ceffoni. E probabilmente, non gli sarebbe affatto dispiaciuto.
«Vedi di tornare subito in te, hai capito?» si mise ad abbaiare. «Sei Solomon Blake, l'Arcistregone dell'Ovest! Sei nato a Shrewsbury e sei al servizio di Arcanta da novantadue anni! Sei sposato con Isabel Ascanor e tua figlia si chiama Alycia! Sono anni che noi due ci facciamo la guerra, non avrai dimenticato pure questo?»
«S-signore, la prego si calmi!» esclamò Solomon, impaurito. Si raddrizzò gli occhiali sul naso con mano tremante. «I-il mio nome è Herr F-Frederick Nilssen. Sono nato a Monaco e da venticinque anni gestisco questo laboratorio a Praga. Non mi sono mai sposato e che Dio mi sia testimone, l'unica prole che ho generato sono i miei orologi.»
Erano tutti a bocca aperta. Boris mollò la presa, troppo sconvolto persino per continuare a tartassarlo. 
«Spero che vi siate convinti!» Agitato, Solomon stirò il maglione sgualcito. «Non sono chi pensate, avete sicuramente sbagliato indirizzo.»
«Ma non è possibile» gemette Alycia. «Non puoi aver dimenticato chi sei!»
L'orologiaio la guardò e i suoi occhi azzurri si placarono, animandosi di un sincero dispiacere.
«Suvvia, mein schatz, non mi guardi così. Sono sicuro che alla stazione di polizia potranno aiutarla a rintracciare suo padre.»
Le diede una timida pacca sulla spalla, augurò a tutti buona giornata e se ne tornò nel retrobottega. 
«E tanti cari saluti all’Arcistregone» commentò O'Malley. «Ce lo siamo giocato!»
Disperata, Alycia si volse a guardare sua madre. «É opera di Lucindra?»
Isabel sospirò. «Ne dubito. Credo invece che sia il suo modo di resisterle.»
Boris aggrottò la fronte. «Stai dicendo che ha creato questa farsa da solo?»
«Questa non è una prigione» confermò Isabel. «É una barriera, eretta intorno alla sua mente per proteggerla dal Vuoto.»
Sotto gli sguardi perplessi e frastornati dei presenti, la maga scorse gli scaffali pieni di orologi incompiuti, in attesa di ricevere un'ultima mano di vernice o gli ultimi ritocchi. «Mi mostrò questa bottega molti anni fa, all'epoca avevo appena iniziato a conoscerlo: c'era qualcosa di speciale qui, diceva...qualcosa, nel ticchettio degli orologi, che riusciva sempre a calmarlo.» Raccolse una delicata ballerina intagliata che attendeva di essere alloggiata su un orologio, in equilibrio sulle scarpette a punta. «Che lo faceva sentire al sicuro.»
Alycia provò a immaginarsi suo padre, uno tra i maghi più antichi e potenti di Arcanta, in quell'umile negozio Mancante, forse il luogo meno magico su tutto il pianeta. Eppure, era proprio lì che aveva deciso di rifugiarsi...
«Direi che ha senso» borbottò Boris. «Per quanto poche cose abbiano senso, quando si tratta di Blake. Ma non mi sorprende che sia riuscito a mettere nel sacco l'inferno stesso.»
«Ma se è tutto opera sua, perché non sembra in grado di riconoscerci?» non poté fare a meno di chiedere Alycia.
«Il problema» disse Isabel, socchiudendo gli occhi. «É che ha scavato troppo in profondità: il Vuoto non è in grado di trovarlo, ma anche lui ha finito per smarrirsi»
«Ma ci deve essere qualcosa che possiamo fare per farlo tornare in sé» ribatté Arthur. «Un contro-incantesimo! Non può rimanere un orologiaio per sempre!»
«La psiche è qualcosa che non si può aggiustare con la magia» replicò Isabel piano. Si volse a guardare la porta del retrobottega, lo sguardo luminoso, dopodiché seguì Solomon.
Lo trovarono seduto dietro un tavolo, chino su un orologio aperto e con gli ingranaggi in mostra.
«Siete ancora voi» sospirò, quando si vide di nuovo accerchiato. «Davvero, non so come possa aiutarvi...»
«Signor Nilssen» disse Isabel. «Le chiedo scusa che la stiamo importunando. Ma non ho potuto fare a meno di ammirare le sue splendide creazioni.»
«Oh!» fece lui, ringalluzzito. «Molte grazie, madame.»
«Si vede che vive per il suo lavoro» continuò Isabel con gentilezza. «Ha sempre avuto una passione per gli orologi?»
«Certamente!» disse Solomon, gli occhi azzurri che brillavano. «Sin da bambino!»
«Forse gliel'ha trasmessa qualcuno» suggerì Isabel, facendo il giro del tavolo per essergli più vicina. «Una persona a lei molto cara. Un fratello, magari?»
Alycia capì cosa sua madre stesse facendo. Aggredire suo padre, sbattergli in faccia la verità non avrebbe risolto niente, avrebbe solo fortificato il muro che lui stesso aveva eretto intorno alla sua mente. L'unica cosa che potevano fare era prenderlo per mano accompagnarlo affinché raggiungesse da solo la verità. 
«Be'...» fece l'orologiaio. Rimosse gli occhialini e se li rigirò tra le dita affusolate. «Sì, in effetti...avevo un fratello. Ma è stato molto, molto tempo fa. Mi ha regalato il mio primo orologio, uno splendido modello da taschino, in puro argento! Un vero gioiello della meccanica, sebbene oggi risulti piuttosto datato. Devo...»
Cominciò a tastarsi la giacca, rivoltando le tasche. «Devo...devo averlo messo da qualche parte....»
Alycia gli si avvicinò con la mano protesa. «Somigliava a questo?» 
«Si!» fece lui, sorpreso. «Era proprio come questo!»
Prese l'orologio che lei gli porgeva e le sue mani accarezzarono con cura la superficie lucente e intarsiata, seguendo il motivo dell'albero sul coperchio. «Vedete, per molti gli orologi sono oggetti come tutti gli altri: c'è chi li apprezza per la loro utilità, chi per moda, ma una volta che l'ingranaggio si rompe, smettono di avere valore. Gettano la spugna, capite? Per me invece, anche da rotti hanno un valore inestimabile...»
«...Perché dimostrano che le cose rotte possono essere riparare» completò Isabel. «Che c'è una soluzione a tutto. Si è sempre trattato di questo, no?»
Solomon si volse a guardarla, meravigliato. «Io, suppongo di sì...»
«Una volta ho conosciuto un uomo che era proprio come lei» disse Isabel, gli occhi lucidi. «Non si occupava di orologi, ma era ossessionato dall'idea che tutto si potesse aggiustare. Gli anni trascorsi sui libri, i suoi viaggi, le sue ricerche...il fine ultimo era trovare un modo per rimettere le cose a posto. Per rimediare a ingiustizie ed errori, i suoi e quelli di altri. Non sempre ci riusciva, è vero, ma non si stancava mai di provarci.»
Solomon la fissò negli occhi, senza proferire parola. Lei esitò, poi allungò una mano e gli sfiorò delicatamente la guancia. Quando parlò, la sua voce tremava: «So che hai fatto del tuo meglio in questi anni. Lo so perché ti conosco: non ti arrendi mai di fronte a niente, anche quando sembra che non ci sia speranza tu trovi sempre il modo di farla funzionare.»
Lui si tese e qualcosa si agitò nel blu profondo dei suoi occhi. Lentamente, sollevò a sua volta una mano e la pose su quella di lei.
Alycia trattenne il fiato. Vide una lacrima scivolare silenziosamente lungo la guancia di sua madre. «Ciao, Sol.»
Dalla gola di lui uscì un suono inarticolato. L'orologio gli scivolò di mano, mentre si alzava in piedi con tale impeto da far cadere all'indietro la sedia, e afferrava la testa di Isabel, affondando le dita nei suoi capelli.
«Sei reale?» gridò con voce rauca, diversa, gli occhi illuminati da una folle disperazione. «Sei davvero tu? Ho bisogno di saperlo!»
Lei proruppe in una piccola risata e annuì.
«Ti ho trovata» farfugliò lui, il respiro che inciampava a ogni parola. Aveva ripreso a parlare in perfetto inglese. «Ti ho trovata, Belle! C-ci ho messo un po', ma io...io te l'avevo promesso..!»
«Sì» replicò lei, piangendo e ridendo insieme. «Lo so, ero sicura che l'avresti fatto.»
Lui trattenne un singhiozzo, poi la tirò a sé e la baciò sulla bocca come se fossero soli al mondo.
In quell'istante, una profonda vibrazione scosse le pareti della stanza, facendo traballare gli orologi, che presero a ticchettare impazziti. Sottili colonne di polvere nera piovvero dalle assi del soffitto.
Solomon e Isabel rimasero stretti per un lungo momento, ignorando tutto il resto. Quando, con riluttanza si separarono, lui sbatté le palpebre come se si fosse appena svegliato da un sogno molto strano e ricambiò lo sguardo sorpreso e anche un po' imbarazzato dei presenti.
«Che è successo? Dove siamo? Che ci fate voi...?E, per tutti i demoni, perché sono vestito così!?»
I suoi occhi si posarono sulla figlia. «Alycia!»
Fuori di sé dalla felicità, lei corse ad abbracciarlo e questa volta lui ricambiò con altrettanta energia. 
«Alycia, ma cosa hai fatto? Che ti è venuto in mente?» chiese poi, passando velocemente dalla gioia al più profondo terrore. «Per i Fondatori, sei entrata nel Vuoto?!»
«Va tutto bene, papà. Ho preso delle precauzioni...»
«Precauzioni!?»
Subito dopo, si accorse di essere circondato dai membri della compagnia e la sua espressione divenne la rappresentazione dell'incredulità.
«Ehm, salve, signor B» disse Arthur, abbozzando un sorriso. «Sono contento che stia bene.»
«Ma come...?» Lo stregone riconobbe la spada che Arthur stringeva in mano. «Dove l'hai...?»
Un boato simile a un tuono esplose da qualche parte in alto, seguito da un altro violento scossone. Alycia perse l'equilibrio e si strinse al braccio di suo padre prima di cadere a terra.
«Che ne dite se rimandiamo le spiegazioni?» ruggì Boris, chinandosi su Vanja e O'Malley per proteggerli dagli orologi a cucù che precipitavano dagli scaffali. «Abbiamo ancora un paio di problemi da risolvere qui!»
«Alycia.» Gli occhi di suo padre interrogarono i suoi, in allarme. Prese un secondo prima di porre la domanda, quasi avesse paura della risposta. «Alycia, dov'è Jim?»
L'ennesima scossa inghiottì la risposta. Sembrava che un enorme vuoto si fosse formato sotto i loro piedi e stesse pian piano inghiottendo la bottega, la strada, l'intera città. Sul soffitto del laboratorio si espanse una ragnatela di crepe.
«Via!» gridò Solomon.
Le travi cedettero e il soffitto andò in pezzi, producendo lo stesso suono del ghiaccio che si infrange.
«Andatevene!» disse Solomon, incerto sulle gambe. Si portò le mani alla testa, strizzando gli occhi. «Non.. riuscirò a tenerlo fuori a lungo!»
«Tenere fuori cosa?» fece Alycia, ma la risposta non arrivò da suo padre.
Tentacoli di oscurità solida si infilarono silenziosi tra le crepe, ondeggiando minacciosi: il Vuoto che cercava di abbattere la barriera.
Lasciarono di corsa il retrobottega, ma la porta d'ingresso del negozio era stata sbalzata via dai cardini, i vetri delle finestre erano esplosi e da ogni apertura avevano fatto irruzione grossi rami spinosi, neri come il catrame, col risultato che la stanza si era trasformata in una fitta e intricata foresta di rovi. 
«Merda!» sputò fuori Boris. 
I rami strisciarono verso di loro come serpenti. Boris evocò la sua ascia e ne recise alcuni, mentre Arthur brandiva Excalibur lanciando fendenti alla cieca. I versi striduli che ne seguirono erano assordanti.
Isabel guidò Solomon per il gomito e con l'altra mano cercava di farsi strada tra i viticci a colpi di lama. Lo stregone si reggeva la testa e avanzava barcollando, sofferente.
«É troppo forte» ansimò, la fronte imperlata di sudore. «Ho bisogno di aiuto...Wiglaf! Dov'è? Devo...»
Una propaggine lo afferrò per la gamba e Solomon fu strattonato all'indietro con un urlo, verso il retrobottega. Isabel lo agguantò per la giacca, puntando i talloni e Valdar la aiutò a tirarlo fuori. «No!»
Alycia si guardò attorno, in preda all'agitazione, alla ricerca della piccola sfera di vetro in mezzo a quel caos. Poi, qualcosa di lucente ammiccò nella scarsa luce, rotolando per le assi del pavimento.
«Eccolo!»
La sfera di vetro che conteneva il demone si infilò tra i rovi. Alycia si lanciò in avanti. Gli aculei affilati le graffiarono le guance e le braccia, mentre lottava per sradicare le ramificazioni di Materia Vuota. Un tentacolo nero si serrò attorno alla gola...
SWASHHH!
Le orecchie di Alycia si riempirono di stridii, mentre il tentacolo sgusciava via sibilando con astio.
«Eccola! La vedo!» disse Vanja, anche lei coperta di graffi sanguinanti e con le mani strette attorno all'impugnatura di un'accetta. «Will! Sta venendo verso di te!»
Il gemello della trapezista rotolò agile sotto una radice ricurva e afferrò la palla di vetro prima che finisse di nuovo tra le spire nere.
«Tua, Rodrigo!»
La lanciò in aria, la sfera compì un arco perfetto. Una ramificazione schizzò verso l'alto per deviarne la traiettoria, ma Maurice evocò una coppia di portali e la sfera vi passò attraverso come in un tunnel, per finire dritta in mano al mangiafuoco.
«Presa!» esclamò Rodrigo. «Ehm, e adesso..?»
«Liberalo!» gridò Solomon, reggendosi con difficoltà allo stipite del retrobottega per non essere risucchiato via. «Gettala a terra!»
Rodrigo ubbidì.
Nell'istante in cui la sfera colpì il pavimento, spaccandosi a metà, sprigionò un'esplosione di  luce bianca, una bolla pulsante che li avvolse ricacciando indietro l'oscurità.
Circondati dal bianco e dal silenzio, Isabel aiutò Solomon a rimettersi in piedi. «La prossima volta, tesoro» disse, accennando un sorriso. «Escogita qualcosa di meno sofisticato, d'accordo?»
Lui rise, come non rideva da molto tempo. «È tutto ciò che hai da rimproverarmi per aver scatenato l'Apocalisse?»
«Magari due o tre cosette» fece lei, aggiustandogli il colletto della giacca. «Ma per quelle ti farai perdonare in privato.»
Alycia si voltò a guardarli, sconcertata: stavano sul serio flirtando!? Davanti a lei? Nel bel mezzo di una battaglia? Durante la Fine del Mondo..?
La quiete durò solo un istante.
Il Vuoto riprese a infuriare come una tempesta dotata di vita propria attorno alla bolla, premendo per entrare.
«Mossa astuta, Sol» commentò improvvisamente una voce, che sembrava raggiungerli da una distanza abissale. «Ma i tuoi trucchi non sono sufficienti per proteggerti da questo.»
Alycia non aveva mai sentito quella voce prima di allora, ma comprese subito di chi si trattasse dalla reazione di suo padre, dalla gelida collera che si irradiava dai suoi occhi azzurri. «Wiglaf, resisti.»
La bolla di luce crepitò, segno che il demone stava facendo del suo meglio, ma il Tutto aveva raggiunto il limite del suo potere. Il Vuoto iniziò a insinuarsi come inchiostro lungo le pareti della bolla, divorando la luce...
Alycia sentì le braccia di sua madre circondarla con fare protettivo, la voce di suo padre che urlava il suo nome. Il mondo precipitò in un nero soffocante e assoluto, ogni cosa fu spazzata via e Alycia capì che era finita.
Ma poi, lentamente, le tenebre furono rischiarate da un tenue bagliore, come di candele, e al naso di Alycia giunse l’inconfondibile, denso profumo dell’incenso.
Si trovavano in un’immensa cattedrale di pietra, formata da un’unica navata e col pavimento a motivi geometrici. Non c’erano finestre, ma le pareti erano interrotte da alte specchiere che riflettevano la sala dieci, venti, mille volte.
Gli stessi specchi riflettevano una folla di persone avvolte da mantelli cerimoniali di seta nera, ferme in fondo alla navata; ciascuno di loro reggeva in mano un cero e se ne stava immobile e in religioso silenzio attorno a una lastra di granito. 
E in mezzo a loro, in piedi dietro l'altare, con indosso un elegante completo grigio antracite e un grosso libro aperto tra le mani, c'era Jim.

  
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