Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Melisanna    12/11/2022    0 recensioni
Una raccolta di racconti su Steel Ball Run, precedenti e contemporanei alla storia raccontata sul manga incentrati su Diego Brando e Johnny Joestar. Tra corse di cavalli, drammi di bambini e adolescenti e sentimenti confusi.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Diego Brando, Johnny Joestar
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Vicino che non m’ode

 
Nel profumo aleggiavano le note dolciastre del caramello e quelle intense e calde del cioccolato e il ricordo rassicurante del pane appena sfornato, che sua madre cuoceva una volta al mese, quando era il suo turno di usare il forno della fattoria, quattro piccoli filoncini che bastavano a malapena a loro due, ma, oh, Diego non ricordava di aver mai mangiato qualcosa di altrettanto buono, da allora. E poi, ancora, riconosceva l’odore legnoso della nocciole e il sentore asciutto del tabacco e un aroma pungente, esotico che gli accese nella mente il ricordo di chiese e processioni e di incensieri d’argento che dondolava dalle mani di prelati in abiti cerimoniali e, in fondo, una punta cruda e metallica.

Era profumo di caffè, realizzò, anche se non si era mai accorto prima di quanto il caffè profumasse e di quante note, ricordi, odori, sentori, aromi contenesse. Era notte, era in pieno deserto e quello era profumo di caffè.

Aveva un ferita alla testa, che ancora sanguinava e i denti e la mandibola gli facevano male, aveva una tappa da concludere e una gara da vincere, ma non aveva mai desiderato tanto qualcosa, quanto una tazza di caffè. Avrebbe dovuto comunque fermarsi per la notte e chi mai avrebbe potuto rifiutargli una tazza di caffè?

Il profumo proveniva da una stamberga che doveva venire usata da chi attraversava il deserto come punto di appoggio, per riposare e lasciare le provviste. Diego lasciò Silver Bullet fuori dalla porta, allentandogli appena la sella, nel caso gli occupanti della baracca non volessero condividerla con lui per la notte, ed entrò.

Ovviamente nella stamberga da cui proveniva il profumo celestiale di caffè c’era Johnny Joestar, perché chi altri avrebbe potuto esserci dei miliardi di esseri umani se non l’unico che non avrebbe voluto incrociare? Chi se non l’unico di cui era così stupidamente, così dolorosamente, così disperatamente innamorato?

Jonny si reggeva faticosamente in piedi con l’aiuto di due stampelle e la sola forza delle braccia. Gli rivolse un’occhiata allarmata e Diego temette che avrebbe chiamato aiuto, ma si limitò a mettere il broncio – Cosa fai tu qui? Siamo arrivati prima noi. Non mi fido di te.

Diego registrò quel “noi” e controllò ogni muscolo del volto, per non abbassare lo sguardo, non mordersi le labbra, non deglutire – Volevo solo una tazza di caffè, me ne vado subito.

Johnny fece una smorfia. Non gli credeva, come non gli aveva mai creduto, qualsiasi cosa Diego dicesse o facesse, per Johnny era sempre stato un rivale e un nemico dalla prima volta che si erano incrociati – C’è una tazza lì, bevilo e vattene.

Diego guardò il tavolo davanti a sé e realizzò con sconcerto di non riuscire a mettere a fuoco. Vedeva che c’erano vari oggetti cilindrici e metallici, ma non riusciva a distinguerli. Ne afferrò uno a caso e si trovò tra le mani una latta di fagioli. La riappoggiò sul tavolo. L’odorato lo assicurava che lì davanti a lui c’era una tazza di caffè fumante, ma i suoi occhi si rifiutavano di collaborare.

- Che accidenti fai?

Diego si voltò a guardare Johnny che, accanto a lui, lo fissava con sospetto. Il suo odore di sudore equino e cuoio e sole e ostinazione era ancora più forte del profumo di caffè. Diego non poté impedirsi di riempirsene le nari. – Qual è la tazza? – chiese, cercando di mantenere qualche frammento di dignità e già sapendo quanto quelle parole sarebbero apparse ridicole.

– A che gioco stai giocando? È lì, di fronte a te! – Jhonny indicò col mento verso il tavolo. I suoi capelli d’oro rosso si mossero delicatamente attorno al suo viso. Diego riusciva a vederlo, non bene non come avrebbe dovuto, ma vedeva le sue palpebre che sbattevano, le espressioni del suo volto, gli aggiustamenti che il suo corpo doveva fare per restare in piedi.

Diego contrasse la mascella e si voltò di nuovo verso il tavolo. Continuava a non distinguere gli oggetti metallici. Allungò incerto una mano. Johnny, sbuffando, si appoggiò contro il piano, ne afferrò uno e glielo porse e in quel momento Diego vide che, sì, era una tazza di caffè, come aveva fatto a non rendersene conto prima.

L’afferrò e bevve temendo quasi che sparisse. Il caffè era buonissimo, non si ricordava di aver mai bevuto del caffè così buono.

Johnny gli levò la tazza di mano, Diego alzò lo sguardo verso di lui e incontrò i suoi occhi. Ti prego, no, non farlo, non di nuovo, non adesso, non riportarmi indietro. Lo pensò, ma non lo disse, perché non avrebbe mai implorato, mai e perché sapeva che sarebbe stato inutile. Johnny, ti prego, non farlo. Prima, quando non lo sapevo, potevo sopportarlo, adesso non più. Adesso non più.

Jonny si allungò verso di lui e gli afferrò la nuca con una mano, prima di baciarlo e Diego gli avvolse le braccia intorno alla vita e lo sorresse, mentre lasciava cadere la stampella e si appoggiava contro di lui e l’odore di Johnny lo sconvolse come lo sconvolgeva un tempo, ma, adesso che sapeva di essere innamorato di lui, così stupidamente, così dolorosamente, così disperatamente, ancora di più. Morse appena le labbra soffici e sentì la pelle spaccarsi sotto il suoi denti aguzzi e sentì nelle nari l’odore metallico e allettante del sangue.

Johnny si sciolse dal bacio e Diego vide la sua bocca da fanciulla, da bambino, piegarsi in un sorriso che evidenziava gli angoli piegati all’insù. Non lo fare, Johnny, non lo fare, lasciami andare. Johnny sorrise e disse, con un tono allegro che era una sentenza a morte – Con J.Lo. sarebbe meglio. Se solo volesse! – e lo baciò di nuovo.

Diego chiuse gli occhi e smise di pensare.

E quando li riaprì era un dinosauro.
  
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