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Autore: MollyTheMole    18/11/2022    0 recensioni
Londra, 1934: il crimine di Londra ha un nuovo James Moriarty. Quest'uomo, però, ha una nemesi: il nuovo ispettore capo di Scotland Yard, per il quale ha in serbo una triste ed amara sorpresa.
Londra, 1936: il rinnovato castello sul lago Loch Awe, in Scozia, apre i battenti ai turisti. Il passato, però, è come la ruggine: incrosta ed imprigiona. Gli ospiti del castello si troveranno, loro malgrado, a fare i conti con esso, con l'oscuro futuro ormai alle porte e con lo spettro di un criminale che infesta i loro ricordi.
Genere: Mistero, Noir, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Credo che sia curioso, invece, il fatto che io abbia provato a mettermi in contatto con lei, e che Scotland Yard mi abbia detto di non sapere dove si trovasse.

 

Se non altro, il pesce servito dai signori Smith era fresco di sicuro, e non solo perché veniva conservato nella ghiacciaia. 

Osservò la grossa trota salmonata, su cui la signora Smith, dietro l’insistente consiglio del capitano Collins, l’aveva costretta a poggiare il polso. Era un gran bella trota, luminosa, con gli occhi ancora brillanti.

Avrebbero mangiato bene, almeno a giudicare dalla materia prima.

Per il resto, si sentiva una perfetta idiota. Si trovava seduta al tavolo in cucina, nel regno dei signori Smith, fra piume di gallina, spezie e conigli ripieni. Il tavolo era così lungo e uniforme da indurla a pensare che fosse stato ricavato da un unico grande tronco, senza bisogno di aggiungere altre assi. Il soffitto a volta era ancora interamente di mattoni, senza essere stato intaccato con orribili stucchi ed intonaco bianco. Danielle si disse che l’area che Steven O’Brennon non aveva personalmente restaurato era di gran lunga più bella, caratteristica e pittoresca del resto. 

La signora Smith si aggirava per la cucina, intenta a preparare la cena. Il capitano Collins, dal canto suo, si era seduto di fronte a lei, il volto affossato dentro il palmo della mano, cercando di nascondere la noia. Danielle non aveva spiccicato parola da quando l’aveva condotta dentro le cucine, se non per chiedere l’ora ogni cinque minuti.

- Posso toglierlo, adesso?-

- No. Il dottor Dietrich ha detto mezz’ora, e mezz’ora deve essere.-

- Ma è già passata!-

- Non dica sciocchezze, Danielle. Erano trascorsi solo dieci minuti, l’ultima volta che me lo ha chiesto.- 

Cioè, cinque minuti prima, ma il capitano evitò di infierire. 

I due rimasero fermi a contemplare la trota, in silenzio.

- Mi dica, piuttosto, va meglio?-

- Esattamente come andava cinque minuti fa, capitano.-

A William prudevano le mani per sapere che cosa si fossero detti il dottore e la sua compare. Gli era sembrato che l’uomo sapesse qualcosa sul suo conto, o se non altro lo supponesse, e Danielle sembrava apprezzare la sua compagnia e il suo giudizio. 

Se il dottor Dietrich era riuscito a conquistare  la fiducia di quella donna diffidente, avrebbe dovuto scoprine i segreti. 

O almeno, credeva che fosse diffidente. Che tutta quella ritrosia fosse dovuta al contatto che avevano avuto in precedenza? Che lo ritenesse colpevole di qualcosa?

Non sapeva come fare a chiederlo senza diventare invadente. 

- La prego, capitano!- sbottò Danielle, poggiando la schiena contro la grossa panca su cui era seduta.- Mi sento un’idiota con questo pesce imbalsamato sotto la mano!-

William fece un sorriso sornione.

- Allora facciamo conversazione.-

Danielle si sentiva in trappola, ma non aveva vie d’uscita. Si accomodò meglio sulla panca dura e scomoda, con il pesce ancora avvolto in uno strofinaccio di fronte a lei, pronta per essere sottoposta a tortura. Siccome non aveva nessuna voglia di lasciare che il capitano la interrogasse - perché era evidente che voleva sapere che cosa si erano detti lei e il dottor Dietrich - preferì attaccare per prima.

- Come va con la signora Rogers?-

Evidentemente non era ciò che William si era atteso. La guardò perplesso, sbattendo le palpebre, e poi la sua espressione si fece davvero mortificata.

- Non so nemmeno come definire quella povera donna.- disse, scrollando il capo.- Ho già visto qualcosa di simile, ma non ne sono certo e non voglio fare illazioni. Ciò di cui sono sicuro è che non è molto sana di mente, e lo manifesta in tanti modi, cattiveria inclusa.- 

- Ha detto che parlava da sola, in treno?-

- Era convinta che nello scompartimento ci fosse qualcun altro, oltre a me e lei, ma non era così. Deve essersi accorta di aver avuto un’allucinazione, per cui si è messa a pregare in modo ossessivo, dondolando come se fosse in una specie di stato di trance. E’ stato orribile.- 

- L’ho vista sulla barca. Credo che abbia spaventato Mercedes.-

Il capitano la guardò con aria eloquente. In effetti la povera signora Rogers poteva spaventare anche i sassi, e sia per William che per Danielle era assolutamente inconcepibile che una donna con simili problemi potesse lavorare quotidianamente a contatto con dei ragazzi e riuscire bene. 

Emily Smith, nel frattempo, era accorsa con una teiera colma di tè fumante, e ne versò un poco nelle due tazze che aveva disposto di fronte ai signori. Si giustificò dicendo che lo aveva preparato per far loro ammazzare il tempo e chiese se Danielle avesse bisogno di un pesce un po’ più freddo, che ne avrebbe tirato subito fuori un altro dalla ghiacciaia. 

Era evidente che la donna era imbarazzata, per un qualche motivo a loro oscuro, e Danielle colse l’occasione per trarla d’impaccio e declinare l’invito con un gesto cortese. 

Ci mancava solo un altro pesce.

- Perché non mi fa andare a riposare, capitano? Le ho detto che sto bene! Si fidi di me!-

- Danielle, lei è una di quelle donne che direbbero di stare bene anche in punto di morte, se necessario, pur di non mettere da parte l’orgoglio. Northwood è stato un vero e proprio villano con lei, avrebbe scosso anche le bianche scogliere di Dover, non dica di no.-

Danielle sospirò. Doveva ammettere che il capitano aveva ragione. Era stata insultata molte volte, ma mai si era sentita così in pericolo come in presenza di quel piccolo demonio. Era abituata alle aggressioni verbali, qualcuno l’aveva anche minacciata di morte, ma nella sua reclusione forzata aveva evitato il contatto umano, e non aveva avuto modo di essere aggredita per il solo fatto di chiamarsi Danielle Peters. 

L’arroganza di Carl Northwood e la disinvoltura con cui aveva minacciato di farle del male le aveva fatto intendere che la sua posizione non era così sicura come lei credeva che fosse. Per alcuni che la giudicavano colpevole, farle fisicamente male era del tutto legittimo, e persone come Northwood non avrebbero avuto nessun problema a mettere in pratica le loro minacce.

Sì, l’evento l’aveva scossa.

- Non posso cambiare le cose. Sono più abituata di quanto sembri.-

Il capitano la osservò, incuriosito. Certo, ce ne voleva di fegato per dover fare fronte a tutto quell’odio, se era questo ciò che aveva passato in quegli anni in cui era sparita dalla circolazione.

Dopo le sue dimissioni, William aveva provato a chiedere a Scotland Yard il suo indirizzo, per poterle spedire una lettera, ma gli era stato detto che non sapevano dove fosse, nemmeno se vivesse ancora a Londra. Il fatto gli era sembrato strano, ma non aveva insistito. 

- Il tedesco lo ha imparato per questo? Insultare gli altri senza essere compresi?-

Danielle dovette ammettere che il capitano sapeva arrivare dove voleva senza nemmeno sforzarsi troppo, e comprese come mai fosse stimato in Marina. Se questo era ciò che aveva combinato in Spagna, per raccogliere informazioni, non vi era dubbio alcuno che l’operazione fosse andata a buon fine. 

La spia, se la sono scelta bene.

- No, il tedesco l’ho imparato per comunicare con mia nonna, che era svizzera e faticava ad imparare l’inglese.-

- Pensavo che se ne fosse andata in vacanza da qualche parte sul continente per un po’.-

- No. Helga Kalin, la madre di mio padre. E’ venuta nel Regno Unito dopo che i miei genitori si sono sposati, e non si è mai del tutti integrata. Le mancava Ginevra.-

Si sentiva completamente nuda sotto lo sguardo del capitano. Il suo tentativo di cambiare argomento era andato completamente a vuoto. Non voleva parlare di quegli anni, non con lui, per lo meno, ma cominciava a temere di non poterla spuntare. 

Quanto sapeva essere fastidioso quell’uomo. 

- Non mi sono mossa da Londra. Sono rimasta chiusa in casa, per la precisione. Contento? La mia vita non è così interessante come lei crede che sia.-

- Credo che sia curioso, invece, il fatto che io abbia provato a mettermi in contatto con lei, e che Scotland Yard mi abbia detto di non sapere dove si trovasse.-

Danielle spalancò gli occhi, imbambolata come se avesse preso una botta in testa. Aveva provato a cercarla? E perché mai? 

Forse era stato meglio così, che non l’avesse trovata. Nel tentativo di farle un dispetto, i suoi superiori le avevano fatto un favore. Non vedeva alcun motivo per cui avrebbe dovuto parlare con lui.

Il primo ad intuire che il passo in avanti era stato compiuto e che non c’era bisogno di osare oltre fu proprio William, che saltò di palo in frasca con estrema rapidità. 

- Ora che mi ci fa pensare, effettivamente ha dei tratti somatici molto continentali.-

Danielle fece spallucce e sollevò il polso dal pesce congelato, saggiandone la mobilità.

- Mi hanno sempre detto che sembro inglese fino ad un certo punto.-

Era chiaro che William non aveva intenzione di lasciarla andare prima della mezz’ora pattuita, ma il comportamento di Danielle aveva reso altrettanto evidente il fatto che non aveva minimamente voglia di prolungare la loro conversazione. Così, svogliatamente, il capitano prese a girare il cucchiaino nella tazza di tè e contemplò il piccolo vortice ambrato che lentamente andava esaurendo la sua propulsione. 

- Mi ha chiesto che cosa stesse succedendo, e io gli ho risposto che non era niente di importante, soltanto una persona maleducata.-

Il capitano la squadrò. 

- Il dottor Dietrich. Tanto lo so che le prudevano le mani. Una conversazione abbastanza insulsa ad essere sincera.-

William sperò che lei continuasse senza essere incalzata, e lo accontentò. In fondo, non aveva nulla da nascondere e non c’era motivo per continuare a tenerlo sulle spine. 

- Quando ha capito che si trattava di una vecchia ferita da arma da fuoco mi ha detto che si ricordava dell’episodio e che gli dispiaceva molto. Gli ho risposto che è una persona molto gentile e l’ho ringraziato.-

Il sospetto gli era venuto fin dall’inizio. Sapeva riconoscere i segni di un colpo esploso a bruciapelo, e l’atteggiamento protettivo che la donna aveva acquisito non appena si era accennato alle circostanze in cui si era fatta quella cicatrice gli aveva fatto capire che si trattava di un ricordo doloroso, che non desiderava rivivere. Ciò di cui non era certo, era che la ferita le fosse stata inferta proprio nelle circostanze che avevano portato alle dimissioni. 

Nessuno gli aveva mai detto che l’ispettore era rimasto ferito in azione. 

Tra l’indirizzo che non gli avevano mai dato e quell’omissione, il caso Peters stava cominciando a farsi davvero complicato. Che cosa c’era sotto? Per quale motivo l’ispettore aveva dato le dimissioni? Lo aveva fatto spontaneamente, od era stata costretta?

Una parte di lui, inoltre, non si sentiva del tutto a suo agio in sua presenza. Sapeva perfettamente che la morte di quel poliziotto, di cui non ricordava il nome, non era attribuibile a lui, non ne era il responsabile. L’errore era partito da altri uffici, e a questo punto si domandò se fosse davvero stata colpa dell’ispettore capo Peters, come avevano cercato di insinuare a suo tempo, o se non facesse tutto parte di una enorme trama per farla fuori. Se così fosse, il gravissimo piano di questo fantomatico qualcuno - che il capitano avrebbe tanto voluto acciuffare - era andato a buon fine, dal momento che Danielle Peters aveva comunque lasciato il corpo di polizia di Londra. 

E lui?

La conosceva da poco e poteva dire di esserne stregato. La sua presenza lo intossicava, come un profumo troppo forte. Non sapeva che cosa lo inebriasse così tanto. Forse erano quegli occhi pervinca, così brillanti e carichi di emozioni. Era bella agli occhi di William, più di molte altre Venere che aveva incontrato nel suo peregrinare in giro per il mondo. 

Poteva dire, in buona sostanza, di essersi preso, nel giro di poche ore, come un adolescente, una bella sbandata per quella donna singolare, che lo intrigava come nessun’altra.  

Avrebbe comunque dovuto dirle, prima o poi, la parte che aveva avuto nell’operazione di Scotland Yard,  ma non sapeva se sarebbe stato saggio. 

Va bene che sto parlando con Danielle Peters, ma il mio lavoro è… ehm, diciamo così, singolare. 

Non voleva perdere la stima che sperava di aver acquisito ai suoi occhi, anche se sapeva di non avere colpe. 

Tuttavia, si fece coraggio e decise che vuotare il sacco era comunque la cosa migliore da fare. 

- Mi dispiace molto. Deve avere fatto molto male.-

Gli occhi di Danielle si fecero distanti ed oscuri. Il capitano non seppe dire se si fossero inumiditi, o se fosse solo la sua impressione. 

- Sì. Molto.-

La donna era talmente triste che il capitano si sentì stringere il cuore.

No, non adesso. 

Glielo avrebbe detto più avanti.

- Sa che si può suonare?- disse, cambiando di nuovo argomento. 

La donna parve risvegliarsi dal suo torpore. La sua mente tornò a concentrarsi sullo scorrere del tempo presente, giusto in tempo per rendersi conto che il polso non le faceva più male ed il pesce era diventato molle e tiepido.

- No. Devono avermelo detto in agenzia, ma io non credo di aver ascoltato adeguatamente. L’ho scoperto solo quando ho trovato il leggio nella mia stanza.-

- Non lo sapevo nemmeno io, me lo ha fatto notare l’addetto alla sala caldaie, che era scritto sulla pubblicità.-

Danielle ci mise qualche secondo per assimilare quell’informazione ed essere sicura di aver capito bene. 

- No, mi scusi… In che senso glielo ha detto l’addetto della sala caldaie?-

Sul volto del capitano si dipinse un’espressione gioiosa e allo stesso tempo furbetta. Forse aveva trovato il modo di farla divertire di nuovo con una delle sue ridicole avventure. 

- Non le ho raccontato come sono finito in vacanza qui?-

- Solo in parte, temo.-

Il capitano si sistemò meglio sulla sedia, l’ombra di un sorriso sul volto, e prese a raccontare con i gomiti piantati sul tavolo. 

- Allora, da dove comincio? Stavo scappando dal solito mucchio di signore pettegole…-

Con sua grande sorpresa, Danielle già rideva. Non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine del bellissimo e celeberrimo capitano Collins, così somigliante a Gary Cooper, mentre scappava a gambe levate non tanto dal fuoco di linea o dalle granate, ma da una signora imbellettata e con la pelliccia di visone. 

- … Sono uscito dallo scompartimento, sono saltato sul vagone successivo e mi sono arrampicato sul vagone della sala caldaie della locomotiva. Ho vinto una estenuante battaglia contro delle insidiose montagne di carbone, sono saltato dall’altra parte e ho educatamente bussato alla porta della caldaia, fermo sul predellino. Quel poveruomo tutto sporco di fuliggine mi ha aperto, tanto ormai ero nero come il carbone pure io, e mi ha fatto entrare, suggerendomi di andarmene in vacanza. Mi ha anche descritto per filo e per segno la sua rocambolesca vita sentimentale con la moglie che, a quanto pare, è solita inseguirlo con il matterello sguainato.-

Danielle si sentiva strana. Il risentimento nei confronti del capitano era forzato, e lei se ne stava accorgendo. Non che non sapesse, s’intende. Era consapevole del fatto che lui aveva giocato una parte, forse nemmeno troppo marginale, nella disfatta della sua operazione, ma non riusciva a credere che quella persona, all’apparenza così pacifica e tranquilla, potesse aver avuto un ruolo attivo in quel disastro. Tuttavia, l’opinione che si era fatta di lui mentre lavorava a Scotland Yard era completamente diversa da quello che poteva vedere con i suoi occhi in quel momento. La sua compagnia, per quanto cercasse di disdegnarla, le piaceva. Non rideva così da tempo, ormai. Lo trovava divertente, e simpatico, e come ogni essere vivente sulla faccia del pianeta non era immune al suo fascino, ai capelli biondi, agli occhi da cerbiatto e, perché no, anche all’abbronzatura da marinaio e alle piccole rughe attorno agli occhi. 

Doveva avere circa dieci anni più di lei, a quanto poteva vedere, portati benissimo. 

Quell’uomo era capace di farla sentire strana, sì, e la cosa non le piaceva, però era anche vero che, da diverso tempo a quella parte, Danielle si era abituata a non sentire più niente. Persino provare imbarazzo o fastidio era in qualche modo piacevole, e si era stupita, in corridoio, mentre si reggeva il polso e con il braccio del capitano attorno alle spalle, di cogliersi a domandarsi se i suoi capelli fossero abbastanza in ordine, se sembrasse carina o meno. Erano cose a cui non pensava più da tempo, e a cui credeva non avrebbe pensato mai più.

E’ così che ci si sente ad essere vivi, dunque. 

- Non so che dire, capitano.- aggiunse lei, dopo aver smesso di ridere.- Lei è una delle persone più sfortunate che io abbia mai visto.-

Il capitano fece spallucce. Sentì che, dopo tutte le informazioni che aveva provato ad estorcerle e che lei gli aveva volontariamente fornito, le doveva qualche piccola confidenza. 

- Non riesco a capacitarmi di come alcuni possano volere tutto quello che ho io. Non è piacevole, tutt’altro.-

Lo sguardo di Danielle si addolcì. In fondo, se non fosse stato proprio il capitano Collins e se lei non fosse stata proprio Danielle Peters, avrebbe anche potuto definire tenero un uomo così.

Lei, che definiva tenero qualcuno. Tenero. 

Accidenti, era proprio da ricovero.

- Dipende tutto da come si vive. Lei ha avuto la sfortuna di nascere in un luogo in cui l’ostentazione è d’obbligo.-

- Purtroppo, a volte, l’oro diventa una condanna.-

- Lo status sociale, certo. E la bellezza? E’ la condanna del capitano Collins come l’oro lo era per Mida?-

Il capitano abbozzò un sorriso, cercando di non apparire troppo compiaciuto.

Era il suo modo, molto contorto, di dirgli che lo trovava bello?

- Lei va sempre dritta al punto, vero, Danielle?-

- Lo considero un mio pregio.-

- Io non mi ritengo tutto questo granché.- disse il capitano, finendo il suo tè con un sorso.- Ma evidentemente gli altri la pensano diversamente. Darei volentieri una bella fetta del mio patrimonio per avere un qualche difetto agli occhi della gente.-

Danielle non replicò e finì il tè a sua volta. Sarebbe stato difficile dire alcunché, doveva ammetterlo. 

Trovare un difetto al capitano Collins era impresa ardua.

Ciò non voleva dire che le piacesse.

Non allarghiamoci troppo.

- Dicevamo che si può suonare uno strumento musicale per stanza.-

- Una delle tante stranezze di questo posto, assieme alla ristrutturazione.-

- L’ha notato anche lei, capitano?-

- Di certo non passa inosservato.- disse, alzando lo sguardo sulla volta di mattoni, che parve apprezzare particolarmente. - Ho approfittato della cosa per farmi portare in camera un pianoforte.-

Danielle sgranò gli occhi.

- Addirittura un pianoforte?-

- Che ci vuole fare?- disse il capitano, facendo spallucce.- E lei, invece? Suona uno strumento?-

Danielle sentì le sue guance diventare rosse porpora e si vergognò perché stava arrossendo senza motivo.

Che accidenti le stava prendendo?

- Strimpello l’arpa.- aggiunse, senza staccare gli occhi dal tavolo.- Ma non sono brava. Da quando sono rimasta ferita, ho suonato poco e ho le dita di legno.-

- Sono certo che sia troppo dura con se stessa, Danielle.- disse quello, afferrando improvvisamente la zuccheriera, come se dovesse occuparsi le mani in qualche modo. 

O forse aveva puntato alla mano che lei aveva improvvisamente ritratto dal tavolo?

- Potremmo cogliere l’occasione per suonare insieme qualche volta, che ne dice?-

Danielle non trovò un vero e proprio motivo per dire di no. 

- Mi piacerebbe molto, anche se non vedo come. Un’arpa è bella ingombrante.-

- Sono sicuro che il signor O’Brennon saprà risolvere il problema. Quanto si fermerà?-

- Due settimane.-

- Ah, allora c’è tempo!-

Un silenzio imbarazzante calò tra i due. Danielle giocò con il panno che avvolgeva la trota del tutto decongelata, sentendola molliccia e flaccida sotto il polso, che ormai aveva smesso di fare male da un pezzo. Il capitano continuava a gingillarsi con la zuccheriera, come se fosse il massimo oggetto del desiderio di ogni essere umano.

Per un attimo pregò che qualcuno, come Mercedes e il dottor Dietrich, venisse loro a fare compagnia. Danielle aveva pure ipotizzato di fare un salto a parlare con la piccola Serena Smith immediatamente, ma sarebbe stata scortese nei confronti del capitano. 

Che fare?

- Ha per caso scoperto qualcosa di più sul conto degli ospiti?- chiese ad un certo punto, senza preavviso. 

Qualunque cosa sarebbe andata bene, pur di attaccare bottone.

- Non molto.- rispose il capitano, l’aria contenta per essere uscito da quel silenzio di piombo. - So che la signorina Estravados è amica di vecchia data del dottor Dietrich…-

- Questo lo so già.-

- … e che la coppia si chiama Northwood.-

Danielle annuì, con un cenno eloquente del capo. 

Anche quella era una cosa che aveva scoperto a sue spese, e i due si scambiarono un sorriso comprensivo. 

- C’è qualcosa che non riesco a capire.- aggiunse, pensierosa. 

- Le sembra di aver già sentito quel nome?-

Gli occhi di Danielle si fecero improvvisamente più stretti e vividi, come un animale che punta una preda. Sulle prime, aveva pensato che si trattasse soltanto della sua fervida immaginazione. Doveva aver letto un nome simile da qualche parte. Un romanzo, forse, oppure un articolo di giornale, tra i tanti che aveva letto mentre era rimasta murata in casa come una mummia. Non necessariamente doveva trattarsi di qualcosa di speciale, eppure fin da quando li aveva incontrati aveva avuto quella strana sensazione, come se le stesse sfuggendo qualcosa di importante, forse importantissimo. 

Il fatto che il capitano condividesse questa sensazione accendeva le sue cellule grigie. 

- Sì.-

- Anche a me, ma non so dove.- aggiunse il capitano, grattandosi il mento con la mano e mettendo in evidenza un sottile velo di barba bionda.

- Il resto, sia la coppia che il giovanotto, sono un completo mistero.-

- C’è qualcos’altro.- aveva detto Danielle, spingendo via definitivamente quella povera trota dal suo polso.- Eveline Northwood.-

- Povera donna. Ha l’aria di qualcuno che ha dei grossi problemi di salute.-

- Quella donna ha subìto un trauma bello grosso, qualunque esso sia, e suo marito non la sta di certo aiutando.- aggiunse Danielle, facendo una smorfia di disgusto alla sola menzione di quel piccoletto maleducato. 

- Ha ragione. C’era qualcosa di strano nel suo sguardo, quando ho chiuso la porta.- concluse il capitano, e questa volta fu il turno dei suoi occhi di farsi cupi, profondi come pozzi color nocciola.

Danielle ne fu rapita. Sembrava che riuscisse a scrutare dentro l’anima delle persone, dentro i loro segreti più personali. 

- Non ci ho fatto caso. Paura?-

- No.- e William si era fatto davvero serio.- Non c’era niente. Nemmeno quello che ci si aspetterebbe di trovare negli occhi di una persona viva.-

Il signor Smith si avvicinò loro e li informò che la cena sarebbe stata pronta nel giro di poco tempo. 

A quel punto, sia Danielle che il capitano preferirono ritirarsi per rendersi presentabili. In particolare, William aveva accennato a certi residui di carbone che avrebbe dovuto rimuovere, suscitando l’ilarità della donna. La accompagnò diligentemente fino alla porta della sua stanza e poi si diresse, con le mani nelle tasche dei pantaloni, verso la scala a chiocciola che l’avrebbe portato verso la sua camera. Danielle si vergognò di essere rimasta a guardarlo sparire in corridoio, e si vergognò due volte quando si rese conto che era esattamente quello che lui si era aspettato da lei, e che non era di certo passata inosservata. 

Sapeva riconoscere benissimo i segni di un corteggiamento serio ed intenso quale quello che stava mettendo in atto il capitano. Aveva deciso di smettere di vivere nei ricordi e di darsi una seconda possibilità, certo, ma non sapeva ancora se era realmente pronta per questo. 

E poi, di motivi per portargli rancore ne aveva più di uno.

E’ solo un farfallone.

Decise però che tutti i suoi dubbi non le avrebbero comunque impedito di vestirsi bene, più per un ritrovato amor proprio che per il bisogno di farsi notare. Così, si rinfrescò dopo il lungo viaggio e decise di indossare l’abito verde bottiglia che aveva comprato durante la sua ultima giornata di shopping con la sua amica Ruth. Era un bel vestito, con le maniche lunghe e una fibbia dorata in vita. La sua amica era una benedizione, quando si parlava di spese. Sapeva trovare un abito decente nel mucchio come un segugio fiuta il tartufo.

Infine, scese per la cena.

I signori Smith si dimostrarono degli ottimi cuochi. Quando gli ospiti arrivarono, la sala da pranzo era stata appositamente imbandita: le pietanze erano le più varie, dal pesce alla carne alle specialità locali, come gli haggis, sui quali sia lei che il capitano preferirono glissare. In un angolo, Danielle poté distinguere un grosso piatto da portata coperto di verdure, con quella che sembrava una altrettanto grande trota salmonata arrostita, e si chiese se quello non fosse il pesce che aveva suo malgrado medicato il suo polso dolorante nel pomeriggio.

Approfittò della cena per osservare meglio i suoi commensali, tutti seduti alla lunga tavola nella sala ed intenti a mangiare avidamente. Danielle prese posto sul lato lungo, assieme a Mercedes. Con sua grande sorpresa, la tavola era unica e lunga, come quella in cucina, ma invece di essere circondata da due panche altrettanto lunghe, il proprietario aveva optato per delle più comode sedie. Si era chiesta la ragione di quella scelta. L’albergo non era grande e poteva contenere pochi ospiti, che però potevano avere comunque un minimo desiderio di privacy. In quel modo, invece, erano costretti a mangiare tutti assieme, e la cosa la lasciava perplessa. Sembrava quasi che il signor O’Brennon volesse farli socializzare per forza, e non seppe dire quanto quell’idea riscuotesse il favore dei clienti. 

Di fronte a lei sedeva, nemmeno a dirlo, il capitano Collins, che pareva condividere i suoi stessi pensieri, mentre lasciava girare lo sguardo sugli ospiti.

Il dottor Dietrich aveva intavolato una conversazione molto densa con il signore sconosciuto dai capelli perennemente spettinati. La moglie di quest’ultimo, invece, sembrava molto intima con la signora Northwood, e parlavano in modo tanto fitto da non permetterle di carpire nemmeno una parola, le teste vicine così tanto che quasi si toccavano. A loro non pareva importare molto di dover condividere il tavolo con altri, mentre Carl Northwood, seduto a capotavola accanto alla moglie, squadrava con aria scontrosa il dottor Dietrich e il marito dell’amica di sua moglie. Nel suo sguardo cresceva un livore talmente marcato da far pensare che non si trattasse della solita rabbia repressa che animava il volto del piccolo ometto. 

Danielle appuntò mentalmente questo fatto, anche se non era assolutamente intenzionata a rovinarsi la cena, e mantenne viva la conversazione con Mercedes, che spettegolava di vestiti. 

Anche il capitano aveva notato quel siparietto tra le due coppie, ma il suo sguardo era prevalentemente attratto dalla donna che gli sedeva di fronte. 

Aveva visitato il Vietnam, la Polinesia, l’India, tanti paesi dell’Africa. Aveva viaggiato lungo le coste del Sudamerica e si era perso tra i ghiacci dei mari del Nord. Aveva incontrato donne così belle da non avere paragoni nel mondo. Il raffronto tra Danielle Peters e queste ultime non era nemmeno possibile. Non si poteva di certo dire infatti che Danielle fosse una donna particolarmente bella, almeno secondo i canoni classici. Aveva un bel viso e degli occhi straordinari, non c’erano dubbi, ma alcuni dei suoi tratti spigolosi, come gli zigomi marcati, potevano essere considerati un difetto dai più. Come quel piccolo segno sull’orecchio destro, dovuto forse ad una caduta da bambina. O quella macchiolina scura, una piccola voglia sulla nuca parzialmente nascosta dai capelli rossi. O le lentiggini sul naso. Con le sue imperfezioni e con i suoi tratti distintivi, si poteva dire che fosse una donna normale, ed era proprio per questo che William la trovava estremamente bella. Lo sguardo vivido mentre parlava, poi, denotava una singolare intelligenza che poteva essere più fatale per lui di qualunque dote fisica. 

Udì la giovane spagnola fare un commento a proposito dell’abito verde bottiglia che indossava, e il capitano non poté fare a meno che dirsi d’accordo con Mercedes. L’aveva notata fin dal primo momento in cui l’aveva vista, scendendo le scale. Quel colore le donava molto. 

Perso nei suoi pensieri, non si rese conto che Danielle l’aveva colto in fallo. William non mosse un dito, ignaro, fornendole così l’occasione perfetta per incastrarlo. Dopo un rapido occhieggiare attorno al tavolo, infatti, Danielle troncò con garbo la conversazione con la sua amica e, con un battito di ciglia in più, si rivolse direttamente a lui, dritto negli occhi:

- Ho qualcosa di strano in faccia?-

Il capitano fece finta di non capire. Abbassò lo sguardo nel piatto e prese un nuovo boccone, masticando con calma e nel frattempo pensando a cosa dire. 

- Non saprei. Mi pare di no. Perché?-

Danielle, stavolta, aveva poggiato bellamente i gomiti sul tavolo e deposto il mento sulle dita intrecciate, curiosa.

- Mi sta fissando. Da un bel po’. E’ imbarazzante, lo sa?-

Panico.

- Ma che cosa dice, Danielle!- cercò di difendersi, scacciando il pensiero con un gesto della mano,  e si finse, cercando di recitare al meglio, molto interessato al resoconto medico del dottor Dietrich, seduto al suo fianco. 

La donna non ci cadde e continuò a folgorarlo con i suoi enormi occhi blu.

Imbarazzato, il capitano spinse senza rendersene conto la schiena contro la sedia.

- Oh, va bene. Se proprio devo essere onesto, è tutta colpa sua, Danielle.-

La donna alzò un sopracciglio in segno di sfida.

- E perché mai?-

Il capitano ammiccò in direzione del suo vestito.

- Quell’abito catturerebbe l’attenzione di un cieco, signorina.-

Danielle parve soppesare le parole. Non sapeva se mangiarselo vivo o se tenerlo ancora sulle spine.

Optò per la seconda.

- Non vedo per quale motivo. Mi sembra un abito molto carino.-

- Se lo indossa lei, non è semplicemente carino, ma estremamente bello.-

Si era aspettata il classico giudizio tipico di quei casi, troppo per una donna perbene, e si era già preparata il discorso su nessuno può sindacare sugli abiti che dovrebbe indossare una donna. Era già pronta per attaccare, quando si rese conto che, in quel modo, il capitano le aveva appena fatto uno dei più grossi complimenti che avesse ricevuto da un pezzo a quella parte e si sentì profondamente cinica per aver pensato male senza motivo.

- Ammesso che mi sia permesso dirlo.-

E per la seconda volta in quel pomeriggio Danielle si trovò a pensare, con sua grande vergogna, a quanto fosse tenero quell’uomo.

- Permesso accordato.- aggiunse, guardandolo senza malizia alcuna e spostando il volto sul palmo aperto della mano.

- Ammesso che mi sia permesso dirlo.- aggiunse poi, fissandolo con il sorriso sulle labbra.- Anche lei sta particolarmente bene questa sera.-

Insomma, non esageriamo. E’ che devo pur dirgli qualcosa, povera stella. 

Altra spinta da parte di William contro lo schienale della sedia. 

- Permesso accordato.- rispose, ma era certo di avere stampato sulla faccia il miglior sorriso da ebete che potesse sfoderare e si sentì un cretino.

- La mia amica, Mercedes - riprese la donna.- è una sua grande ammiratrice, ma dice che capisce, e non intende chiederle l’autografo.-

- Ed io le sarò eternamente grato per questo.- e ringraziò con un cenno del capo. 

Cercando di disporsi in modo da sentirsi più a suo agio, William mosse la sedia all’indietro ed urtò senza volerlo il povero signor Smith, rischiando di farsi il bagno con la ciotola del brodo. Rinunciando quindi all’idea di mettersi comodo, tornò a fissare Danielle, con quell’orribile sorriso idiota che si sentiva sul volto e la terribile sensazione di avere fatto una figura deplorevole. Danielle, impietosita, decise di non infierire, ricambiò il sorriso ed abbassò lo sguardo. Accanto a lei, Mercedes, con le sopracciglia folte inarcate per lo stupore, cercava di coprire con la mano il suo sogghigno malizioso nell’osservare lo scambio di battute tra i due.

Nè Danielle, né William, si consideravano tipi da smancerie e il loro disagio traspariva in maniera quasi comica.

Per una qualche congiunzione astrale favorevole, tuttavia, Emily Smith urtò con il carrello da portata un attaccapanni, buttando all’aria tutto ciò che vi era appeso. Quello scompiglio li distrasse, e Danielle, essendo la più vicina, si alzò per aiutare la domestica che, mortificata, chiedeva scusa ogni cinque secondi, china sul tappeto a raccogliere tutto quanto. 

Il capitano, nel frattempo, continuava a vergognarsi come il peggior ladro di polli della contea perché, invece di provare pena per la signora Smith, non riusciva a staccare gli occhi da un certo vestitino verde bottiglia.

 
  
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