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Autore: crazyfred    23/11/2022    3 recensioni
Ritroviamo Alex e Maya dove li avevamo lasciati, all'inizio della loro avventura come coppia, impegnati a rispettare il loro piano di scoprirsi e lavorare giorno dopo giorno a far funzionare la loro storia. Ma una storia d'amore deve fare spesso i conti con la realtà e con le persone che ci ruotano attorno.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sotto il cielo di Roma'
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 Capitolo 24

 

Mentre ai piedi della rocca di Capalbio, nel cortile interno del palazzo nobiliare scelto per la mostra, furgoni e camion si avvicendavano, con gli operai affaccendati a scaricare le casse con le bobine di tessuto, i manichini, le teche e tutto il necessario per l’illuminazione, Maya e sua madre facevano il giro dei saloni assieme alla curatrice della mostra per un’ultima occhiata sulla distribuzione e l’organizzazione delle varie stanze.
“E visto che è il salone più grande, pensavo di riunire qui le stoffe degli espositori italiani, dividendoli per regione” disse la donna quarantina, un caschetto biondo fragola, pelle diafana e l’aspetto di chi quella mattina sarebbe rimasta tranquillamente a casa a dormire. Avanguardia pura, pensò Maya tra sé e sé. Non era un’esperta, ma si aspettava qualcosa di più che un’esposizione per Stati e regioni. Non era la solita collaboratrice di sua madre, che se ne era andata a fare un viaggio in India … e si vedeva.
“Senta, glielo devo proprio dire, non ci siamo proprio” sbuffò Matilde.
“Cosa c’è che non va?” domando la donna con il suo accento toscano marcato.
“Tutto non va!” sbottò sua madre, generalmente sempre profondamente zen ed educata con i suoi collaboratori.
Andiamo bene ... per qualche miracolo si era levata dalla testa Roma Glam e il viaggio lo avevano passato tranquillamente, senza bisogno di telefonate a Ruggero che facesse da tranquillante a distanza.
“Qui ci sono stoffe tra le più belle e colorate del mondo e lei mi fa una divisione geopolitica, ma stiamo scherzando? Io la pago per essere creativa ed impressionare i potenziali acquirenti, non per fare un compitino che potevo fare tranquillamente da sola senza spendere un euro!”
La ragazza, sentendo la paternale che sua madre stava rivolgendo alla curatrice, si allontanò per andare a sghignazzare lontano, davanti ad una finestra del palazzo che, dal punto più alto della collina, dominava la campagna e, in lontananza, grazie alla bella giornata di sole, permetteva di scorgere una piccola laguna e, oltre un piccolo lembo di terra, il mar Tirreno.
“Maya!” sua madre la richiamò all’attenzione “hai tu il campionario, vero?”
“Ehm … sì certo” Ricompostasi, prese un raccoglitore ad anelli spesso, di quelli da archivio, e lo porse alla madre che, con fare fosco e autoritario, guardò la figlia disperata e la curatrice minacciosa, portandosi su un tavolo di legno antico al centro della stanza e aprendo e sfogliando il fascicolo come fosse un libro sacro, maneggiando i piccoli ritagli di stoffa con grande cura e devozione.
“Maya! Gli occhiali per favore … ecco vede! Possiamo lavorare sui disegni, sui colori, sulle trame dei tessuti, ma la prego niente bandierine che siamo tutti sotto lo stesso cielo!”
La donna, mortificata e forse anche scocciata, perché sperava forse di cavarsela con la minima impresa, tirò fuori il tablet dalla borsa e iniziò insieme alla madre a rivedere tutta la mostra dal principio.
Nel frattempo, per non starsene con le mani in mano, che allo stato attuale delle cose sua madre avrebbe potuto anche mangiarla viva vedendola impegnata a rigirarsi i pollici, Maya si mise a controllare che tutte le stoffe fossero giunte a destinazione e poi passò a quello che le riusciva meglio: le pubbliche relazioni; passò in rivista la stampa accreditata e controllò per l’ennesima volta la lista degli invitati che stavano rispondendo agli inviti e di giorno in giorno si faceva più numerosa, in modo da poter chiudere l’ordine con il catering. Ci sarebbero stati sempre quei soliti due, tre nomi che si presentano senza confermare, bisognava essere pronti a dar da mangiare e bere a tutti.
Mentre telefonava all’agriturismo dove erano ospiti con la madre per far mandare il pranzo, la voce di sua sorella riecheggiò dall’atrio del palazzo, vuoto dopo che gli operai erano andati in pausa. “C’è nessuno? … Sono arrivati i rinforzi!”
Maya chiuse la telefonata prima che potessero risponderle dall’altro capo per andare incontro alla sorella.
“Mamma?! Maya?!”
“Eccomi cosa!!! Dammi un attimo, non siamo nel tuo appartamentino universitario!!!”
Maya però, quando aveva sentito la voce della sorella, non si aspettava di certo di trovare quell’immagine che ora aveva di fronte a sé. Lavinia, quella Lavinia, sua sorella, stava salendo lo scalone interno di rappresentanza mano nella mano con un ragazzo, o per meglio dire un uomo, probabilmente suo coetaneo. Si poteva dire che la mano gliela stesse stritolando a quel poveretto, segno evidente che fosse nervosa per quello che sarebbe successo da quel momento in poi.
“Ciao!” la salutò, con voce stridula.
“Ciao!” ricambiò Maya, rendendosi conto di non riuscire a staccare gli occhi dal ragazzo. Non era molto alto, ma era anche vero che lei e sua sorella partivano da una base fuori dalla media, quindi il tipo superava l’1.80 tranquillamente. Un taglio di capelli da ragazzo per bene, la barba folta e curata ma senza troppi sforzi, indossava una camicia bianca con le maniche ripiegate e dei pantaloni cachi opera di sicuro di sua sorella che pensava che tutti i radical chic in trasferta vestissero così. Un tipo mediterraneo ma non palestrato, che di sicuro, conoscendo Lavinia, allenava più la mente dei muscoli. “Hai portato veramente i rinforzi…”
“Eh già”
“Ci conosciamo?”
“Aehm…lui è Philippos”
“Philippos?”
“È greco”
“Ah quindi non parla italiano…”
“Sì certo che lo parla, lavora in ospedale come me”
“E perché allora non lo lasci parlare?" domandò Maya, pungente "Stai facendo tutto tu …”
Lavinia arrossì, imbarazzata. Philippos, testa bassa, sorrise timidamente, stringendo Lavinia tra le braccia.
“Non farci caso, Philippos, non sono così stronza normalmente, solo con mia sorella” decretò Maya, strizzando l’occhio all’uomo e tendendogli la mano “piacere di conoscerti!”
“Piacere mio. Maya, giusto?”
Philippos aveva una bella voce calda e rassicurante, aiutata anche dalla pronuncia lenta di chi parla la lingua ma vuole essere sicuro di non sbagliare nulla, ma con quel tocco di simpatia dato da un 
curioso accento straniero.
“E così siete colleghi?”
“Eh già …”
“Come ci sei finito qui in Italia? Non è il primo Paese a cui normalmente si pensa parlando di eccellenze sanitarie…”
Quell’affermazione di Maya mise la coppia a proprio agio e l’uomo iniziò a raccontare per sommi capi come lui era arrivato in Italia anni addietro fino a quando, sei mesi prima, si era trasferito a Roma.
“E quando è successo … il miracolo?”
“Eeeehi!” protestò Lavinia.
“Perché non è così? Alla tua età si può chiamare solo così!” rispose Maya, facendo l’occhiolino.
“Un mesetto fa circa. Siamo andati a visitare il Colosseo di sera e all’uscita mi sono dichiarato”
“Ooooh che cosa romantica…fammi l’insulina ti prego, non ci sono abituata a tutta questa dolcezza!”

Che bugiarda! Dovrei ricordarti…oddio scusa!” Lavinia si bloccò immediatamente, portando la mano davanti alla bocca, sconvolta e mortificata per quello a cui aveva appena alluso; Maya dal canto suo si lasciò andare ad un sorriso amaro: annuì, cercando di non scomporsi più di tanto.
“No, no hai ragione. Ho avuto anch’io i miei momenti da sottona…Philippos, ci vuoi scusare un momento? Ho bisogno di scambiare due parole con mia sorella.”
“Ma certo”
Maya prese sua sorella sottobraccio, incamminandosi verso l’uscita. “Ah un consiglio, se vuoi puoi fare un giro per le sale, ma evita l’ultima in fondo, c’è una gorgone inviperita”
Fuori dal palazzo, nel cortile, Maya andò a sedere sul bordo dell’antico pozzo. “Stai attenta” l’avvertì la sorella maggiore.
“È chiuso, tranquilla …”
“Non fumi più, quindi non siamo venuti qui fuori per quello” Lavinia era smaniosa: per Philippos lasciato da solo con la madre ad un passo e per quello che aveva da dirle Maya, che aveva tutta l’aria di una sentenza. “Avanti, dimmi che c’è, non ti piace?”
Maya fece una smorfia di dissenso, scrollando le spalle “Perché non dovrebbe piacermi?! Non lo conosco ancora. E così…un mesetto, eh? Potevi dirmelo …”
“Sì lo so. Mi dispiace, Maya, avrei voluto dirtelo, te lo giuro, e anche Phil voleva ma tu … tu ti eri appena lasciata con Alex, eri a pezzi e … boh io ho pensato che non fosse il momento adatto, non potevo importi la mia felicità così”
Maya fece forza sulle braccia e con un piccolo balzo scese dal pozzo, ritrovandosi faccia a faccia con sua sorella, prendendole le mani e stringendole forte. “Sei mia sorella, Lavi, la tua felicità è la mia felicità”
“Davvero?”
​“Certo che sì!” le piaceva 
da matti punzecchiare sua sorella, farla innervosire, prenderla in giro, ma dovevano passare sul suo cadavere prima di farle del male ed era naturalmente la sua prima sostenitrice. Lavinia non lo sapeva, ma quando il padre era morto, aveva seriamente pensato di lasciare l’università e iniziare a lavorare come modella per permettere a lei di continuare i suoi studi in medicina senza gravare sulle tasche di sua madre, ma la Maya di allora era troppo immatura e compromessi e rinunce non erano cose che conosceva ed accettava di buon grado. Il tutto restò solo una buonissima intenzione tra sé e sé, ma conoscendola Lavinia stessa glielo avrebbe impedito.
“Però c’è una cosa”
“Dimmi” la spronò Lavinia, apprensiva.
“Devi assolutamente aiutarmi a trovare un soprannome o un diminutivo decente perché io non ce la faccio a chiamarlo Philippos. Con tutto il rispetto, non si può sentire! È orribile!”
Lavinia scoppiò a ridere, alzando gli occhi verso il piano nobile, come se temesse che il ragazzo fosse affacciato ad una delle finestre e annuì, furbescamente “E non hai ancora sentito il cognome!!!”


“Tanti auguri a te! Tanti auguri a te! Tanti auguri a Giulia! Tanti auguri a te!”
Mentre tutti battevano le mani la piccola soffiò sulle sei candeline rosa sulla torta dei suoi desideri. Era semplice, classica, con i ciuffetti di panna e le roselline d’ostia. Niente a che vedere con quel
he le aveva fatto la simpatica vecchina era col cioccolato, Giulia era stata inflessibile: non c’erano mousse o ganache o robe pretenziose che la bambina nemmeno riusciva a pronunciarela ordinata dalla mamma per la festa con gli amichetti che doveva servire più a far invidia alle altre mamme che a compiacere la bambina. E poi quella c.
“Non ci posso credere, la mia pupetta ha giù 6 anni, sembra ieri che stava nella sua culletta”
“Non mi ci far pensare mamma!” sospirò Alessandro. Era la sua bambina e lo sarebbe sempre stata, ma era inevitabile constatare che stava diventando sempre più grande con i suoi gusti nel vestire – aveva scelto personalmente il vestitino rosso di quella sera, contro il volere di sua madre
 i suoi discorsi, ma soprattutto, e questo Alessandro faceva fatica ad ammetterlo, il fatto che poco alla volta, ma sempre di un po’ di più, aveva meno bisogno del suo papà. Non aveva avuto nemmeno bisogno di mettersi in piedi sulla sedia per spegnere le candeline. Anche gli abbracci, sempre bellissimi, non erano più quelli di una volta e ogni volta che ne riceveva uno cercava di goderne al massimo.
Riuniti attorno al tavolo della sala nell'appartamentino del residence, Alessandro aveva organizzato una cena con Edoardo e i suoi, una cosa intima, durante il weekend in cui poteva vedere i ragazzi. Da quando Claudia aveva tentato il tutto e per tutto con quel bacio venuto fuori un po’ dal nulla, i rapporti tra gli ex coniugi si erano raffreddati e Claudia, manco a dirlo, era diventata difficile, per usare un eufemismo: gli orari e i giorni stabiliti erano rispettati alla lettera e per ottenere degli strappi bisognava sudare sette camicie.
Di tutto questo, per fortuna, Giulia era in gran parte ignara, e si godeva quello che una bambina della sua età poteva percepire: doppia festa, doppio regalo, doppia torta.
“E con questa dove pensi di andare, signorina?” domandò Cesare alla nipote, non appena aprì lo scatolone enorme che era stato in bella mostra dal giorno prima nell’appartamento ed era costato tanta fatica alla bimba resistere alla tentazione di aprirlo in anticipo. Era una bici nuova, finalmente senza ruote di supporto o più semplicemente da grandi, come l’aveva definita lei.
“C’è sempre Villa Borghese” spiegò Alex “con queste belle giornate possiamo fare delle lunghe passeggiate in bici io e Giulietta”
“E poi la posso portare al mare dai nonni!”
“Dove?” domandò Cesare geloso e sospettoso.
“I genitori di Claudia tornano in Italia a luglio quest’anno e prendono una casa al mare per stare con i ragazzi”
“Col cavolo che vado un mese a Nettuno con quelli!” sentenziò Edoardo, categorico “i miei amici stanno tutti a Fregene”
“Ma perché dobbiamo sempre fare i discorsi a doppio? … quelli, come li chiami tu, sono i tuoi nonni. E poi lo sai, Nettuno a luglio, campeggio ad agosto, è l’unico modo”
Alessandro era contentissimo che suo figlio si fosse avvicinato ai cugini e, pur non rinunciano agli amici snob di scuola e ai fighetti del tennis, riusciva ora a godersi del tempo con la comitiva più sempliciotta e alla mano di Valerio e Daniele; quando gli aveva detto del campeggio gli era stato chiaro prima ancora che potesse dire sì che avrebbe dovuto combattere per convincere la madre di suo figlio che non si sarebbe preso nessuna malattia e non sarebbe stato rapito dagli alieni.
Il ragazzo sbuffò, ma sapeva anche lui che il campeggio in Salento con i cugini era stato accettato dalla madre solo a condizione che passasse l’intero mese di luglio dai nonni.
“Ma c’ha ragione Edoardo… quei due manco li conosce: si presentano un paio di volte l’anno e pretendono pure di avere l’esclusiva!”
“Ah Ce’! E fatti un po’ li fatti tua…!” lo rimproverò la moglie, mentre tagliava la torta “piuttosto dai i regali alla bambina”
“I regali?” domandarono stupiti sia Alessandro che Giulia. “Mamma le avete fatto già la torta, non c’era bisogno”
“E che è un regalo la torta?!” esclamò la donna, distribuendo le porzioni.
“S’è mai visto che dei nonni non fanno un regalo come si deve alla nipote? Non s’è mai visto…” rincarò la dose Cesare, porgendo una bustina alla bambina “però nonna e nonno sono due testoni e non lo sanno cosa ti piace allora con i soldi che ci sono qua dentro ti compri lo zaino per andare a scuola a settembre. Va bene?”
“Anche quello delle principesse?”
“Quello che vuoi”
La bambina prese la busta e la portò, correndo dal padre, ancora impegnato a radunare la carta regalo che Giulia aveva fatto in mille pezzi quando aveva scartato il pacco con la bici. “Hai sentito papà?”
“Certo, amore. Come si dice ai nonni?”
“Grazie nonna! Grazie nunno!” esclamò, con un sorrisone enorme, mandando loro dei baci con le manine.
“E poi c’è quest’altro, ma non è nostro…”
“E di chi è?”
È 
di una persona speciale che hai invitato ma non è potuta venire”
“Maaayaaaa?”
“Ha detto che ci teneva tanto e ti manda tanti tanti auguri!”
“Papà vieni a vedereeee!!!”
Alessandro restò senza fiato, immobile, scorrendo con lo sguardo da suo padre e sua madre che, con totale nonchalance continuavano in quello che stavano facendo, come se quel nome non significasse nulla o peggio, fosse la cosa più normale del mondo. Che suo padre fosse ancora in contatto con Maya lo stupiva certo, ma fino ad un certo punto. Era sua madre che lo sorprendeva … e poi cosa voleva dire una persona che hai invitato? Ma perché in questa casa sono sempre l’ultimo a sapere le cose?
“Cos’è questa storia?” domandò.
“Ma niente … abbiamo incontrato Maya quando siamo andati dalla signora Rossi a chiederle di fare la torta alla bambina, tu lo sai com’è Giulia che si fa prendere dall’entusiasmo …”
“E c’eri pure te?”
“Che n’se po’?” ribatté Maria, fintamente indignata.
“E chi dice il contrario? Solo che a volte mi pare che ci sia un complotto contro di me” A Cesare scappò una risata grassa e bonaria, ma trattenuta veramente a fatica per rispetto del figlio.
“Papà vieni!” lo richiamò di nuovo la bambina, salvando la nonna in calcio d’angolo e frenando il padre da un terzo grado al contrario. L’uomo accorse, tentando di mascherare un disagio misto ad emozione. Qualunque cosa fosse successa, Maya aveva pensato a Giulia e questo non poteva lasciarlo indifferente – non che ci fosse qualcosa che riguardasse Maya che lo lasciasse indifferente, ma Maya e Giulia per lui erano una combinazione micidiale, detta molto semplicemente.
“Che cosa c’è scritto?” domandò la piccola, al padre, porgendogli il bigliettino che accompagnava il pacco regalo. Giulia era già in grado di leggere piccole e semplici parole, ma solo in stampatello. Maya invece aveva scritto in corsivo, ma Alex di certo non gliene faceva una colpa.
“Alla mia amica del cuore, perché possa sfornare tanti capolavori. Buon compleanno, Maya” lesse Alessandro tutto d’un fiato per paura di emozionarsi come un cretino e tradirsi di fronte a tutta la sua famiglia.
“Chissà che cos’è?” si chiese la bambina, il cui sorriso andava da un orecchio all’altro e le illuminava tutto il viso. Se nei piani di Maya c’era di farle una sorpresa c’era riuscita a pieno. Era un peccato che non potesse vederla, pensò.
“Girati di qua, pupetta” sentì dire a sua madre, e solo in quel momento Alex si accorse che era con il telefono in mano. Dio Santo, sto vivendo in una simulazione…
“I COLORI DI FROZEN, PAPAAAAÀ!!!!” urlò Giulia, tirando fuori una valigetta rigida azzurra e i personaggi del film di animazione in bella mostra. Non mancava nulla: un album da colorare, i pastelli, i colori a cera e i pennarelli, persino gli acquerelli e un pennello. “È una figataaaa!!!”
“Giulia!” la rimproverò, d’istinto, ma quasi gli dispiacque frenare l’entusiasmo della bambina che era anche il suo. Non solo era un bel regalo, ma quel regalo sapeva dire molte cose anche della persona che lo aveva mandato: che teneva alla bambina, che non lo aveva fatto tanto per farlo, che la conosceva abbastanza da sapere i suoi gusti e che aveva lasciato da parte ogni dissapore e delusione perché Giulia in quella storia, la loro storia, non c’entrava nulla.
“Che stai facendo?” domandò alla bimba che senza dire altro chiuse la valigetta per andare sul terrazzo.
“Vado a colorare l’album”
“Va bene … niente acquerelli che ti sporchi però. Edo le dai un’occhiata per favore”
“Oook…” disse il ragazzo, prendendo il suo pezzo di torta e un altro piattino per la sorella e trasferendosi all’esterno con lei.
Anche Cesare allora prese il suo bicchiere di spumante e raggiunse i nipoti sul balcone, lasciando mamma e figlio da soli. Sì, era ufficiale, c’era un complotto contro di lui e suo padre ora persino solo con la madre lo lasciava, per sottoporlo ad un interrogatorio a regola d’arte. “Senti se mi devi dire qualcosa fallo subito, lo vedo che ti stai trattenendo ma’”
“Te ricordi che t’ho detto quando ho saputo che stavi con quella ragazza?”
“Che ormai sono grande e grosso e non puoi insegnarmi a campare?”
La madre annuì “Solo che mo te la devo proprio dire na cosa Alessà...”
“Dimmi, lo sai che mi puoi dire tutto tu, sei l’unica persona a cui lo permetto” in realtà lo avrebbe permesso anche a Maya ma non era quello il punto.
“È vero che c’hai la tua bella età ma questo non significa che sei libero di fare quello che ti pare”
“Ah no?”
La madre scosse il capo “Non m’importa se vuoi impegnarti o meno, ma se decidi de vedé altre donne ti devi ricordà sempre che ci sono due persone a cui rendere conto. Ma non perché hanno bisogno di una matrigna” proseguì, prima che suo figlio le muovesse la minima opposizione "ma perché loro sono parte della tua vita e una persona che sta con te deve sapere che sta anche con loro in un certo senso, deve accettare la loro presenza e tutto ciò che comporta”
Alessandro avrebbe obiettato che lui non era interessato a flirt fugaci o a condividere il letto con qualcuna solo per una notte o anche meno, a lui interessava solo una donna e nei suoi confronti aveva intenzioni serissime, ma aveva capito cosa intendesse sua madre in realtà. “Non imporrei ai miei figli nessuno che non voglia stare con loro … e nemmeno ci starei con qualcuno che non sia disposto ad accettarli”
“Quella ragazza … Maya … mi è sembrata tanto affezionata a Giulia…”
“Lo è, e Giulia è affezionata a lei”
“L’ho visto”
“Cosa stai cercando di dirmi, mamma?”
“Nulla, solo non riesco a capire che cosa è andato storto. Perché sembra davvero perfetta, al contrario di quello che diceva tua sorella”
“Anna è una stronza…eeeh poche storie, è così” tagliò corto, accorgendosi che la madre era in procinto di controbattere “le auguro di cambiare per il suo bene ma dubito che a 40 anni possa fare molto” Maria si ammutolì. I suoi figli erano sempre stati cane e gatto, fin da piccoli, quando condividevano la stessa stanza e ognuno rosicchiava lo spazio dell’altro, al punto che Cesare era stato costretto a dover montare una libreria per dividere la camera in due. E le cose avevano solo finito per peggiorare con l’età, i caratteri e le vite troppo diverse per capirsi e conciliarsi.
“Per quanto riguarda Maya non è perfetta ma nessuno lo è, io in primis” spiegò Alessandro “lei però ce la mette tutta in tutto quello che fa, sono io che non sono riuscito a fare altrettanto. Tu hai ragione, una buona compagna deve accettare la presenza di Giulia ed Edoardo, ma penso che abbia altrettanto diritto a non sentirsi messa da parte. Cosa che io invece ho fatto”
Maya gli aveva detto che aveva bisogno di tempo per mettersi alle spalle Claudia e il loro matrimonio e solo in quel momento capiva cosa intendesse: era entrato in quella relazione con le stesse vecchie, cattive abitudini, con la stessa attitudine che aveva fatto naufragare il suo primo matrimonio. Certo, non era stata solo la sua negligenza la ragione della separazione, ma di sicuro una delle concause.
“E che vuoi fare ora?” domandò sua madre. Era da mesi che quella domanda aleggiava nell’aria e lui la schivava come si fa in un percorso ad ostacoli. La buona volontà c’era, ma nel concreto non aveva la minima idea di come convincerla – perché di questo si trattava – che era ancora la persona che le aveva suonato al citofono in piena notte per dichiararsi. Anzi, per convincerla che, grazie a lei, era persino diventato una persona migliore.
“Giulia!” chiamò sua figlia, sperando di eludere così la domanda della madre. La piccola di casa, le labbra arricciate e la fronte aggrottata, era concentratissima sul suo nuovo album da colorare sul tavolo del terrazzo e non era minimamente intenzionata a dare retta a suo padre. “Puffetta!!!” chiamò più forte, portandosi sulla porta finestra.
“Sì papà?” Giulia alzò finalmente la testa dal foglio, sistemando elegantemente dietro le orecchie una ciocca che le era andata davanti agli occhi.
“Ascolta … bisogna che ringraziamo Maya per questo regalo. Non ti pare?” le disse, accovacciandosi davanti a lei. Gli piaceva guardarla dritta negli occhi e perdersi in quegli specchi d’acqua cristallina, limpidi e puri come erano quelli della madre quando l’aveva conosciuta, prima che gli interessi e la routine li portassero a percorrere due strade non separate, nemmeno opposte: proprio parallele, destinate a non incontrarsi mai.
“E come facciamo? La chiamiamo?”
“Io avevo in mente un’altra idea, ma devi lasciare fare a papà. Ti fidi?”
La bambina annuì vistosamente, sorridendogli fiduciosa e stampandogli sulla guancia un bacio di incoraggiamento.


 

E così, Lavinia si è sistemata, ma non poteva far parte di questa ciurma se non c'era qualcosa di srano XD.
Ad Alex, i genitori e Maya hanno fatto una bella imboscata e Maria ne ha approfittato per fare un discorsetto al figlio. La pensate come lei oppure credete che Alex debba poter decidere indipendentemente dai figli? E secondo voi, quindi, cosa farà Alex per ringraziare Maya? Scrivetelo nelle recensioni.
Nel frattempo vi do appuntamento a venerdì con il prossimo capitolo. Alla prossima,
Fred ^_^
   
 
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