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Autore: drisinil    26/11/2022    1 recensioni
[kurotsuki] [nospoiler] [canonverse] [long: 2 capitoli/settimana]
«Signor è-solo-un-club sei senza parole?» lo provoca Kuroo. «Vuoi che brindi io per te? Però poi bevi tu!»
«Okay, ma solo se il brindisi mi piace» risponde Kei con arroganza, spingendosi gli occhiali sul naso.
Kuroo storce le labbra e si riprende la bottiglia, strappandola a Kei. «E' una sfida?»
«Se vuoi...»
Kuroo distende lentamente il braccio verso Kei, con la bottiglia in mano. Si schiarisce la voce e tenta di scostarsi dalla fronte il ciuffo di capelli, che però ricade subito al suo posto. «Al muro perfetto, che ferma la palla, la devia, la smorza o la costringe. Obbliga le traiettorie, crea pressione e controlla il gioco.»
Kei sorride, gli strappa la bottiglia e beve d'impeto.
E' il vino più buono che abbia mai bevuto, forse il più buono che berrà mai.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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34 - Numero dodici



18 dicembre 2012


Tadashi sta volando giù per la discesa della scuola in sella alla bici di Hinata.

Prima che inizi l'allenamento ha esattamente un'ora e tre quarti, devono bastargli per andare e tornare. Schiva una pozzanghera, salta su un cordolo e resiste alla tentazione di tirare fuori il telefono, che vibra forsennato nella tasca della giacca.

Il cielo è bianchissimo e il meteo dava neve.  Può solo sperare che il tempo regga ancora un po'.

La scuola di Koganegawa Hayame è a Misato; da Osaki, pedalando molto in fretta, ci vogliono una ventina di minuti abbondanti. Ieri sera con Tsukki hanno studiato il percorso: proprio dietro al Sakanoshita si imbocca una ciclabile che corre parallela ai binari della linea regionale. Prima di arrivare in paese si piega a sinistra, in salita e si arriva in un attimo a destinazione.

Il coach Ukai sta fumando fuori dal negozio, Tadashi lo saluta con la mano.  Gli sembra sempre che sia un po' triste, tranne che in palestra. Una delle grandi e inconfessabili paure di Yamaguchi Tadashi è diventare così anche lui: un adulto solo e un po' spento, svogliato, che compie gesti ripetitivi e mastica giornate senza sapore, mentre il tempo gli sfugge fra le dita.

Non pensa di essere speciale e neppure di voler cambiare il mondo, o che i fatti suoi possano interessare qualcun altro; ma per se stesso, vorrebbe vivere una vita significativa. Quale dovrebbe essere questo significato, non ne ha la minima idea.

Svolta in una curva stretta intorno allo stabile e si immette nella ciclabile deserta.

Gli sembra incredibile quello che sta facendo, e che sia proprio lui a farlo. E' una sensazione strana guardarsi dall'esterno mentre compie scelte impulsive, come essere sia dentro che fuori da se stesso, spettatore attonito della propria irrazionalità.

Tsukki dice che, come al solito, la sta facendo troppo lunga: ha una banale cotta per Koganegawa Hayame, tutto qui. Incasinarsi più del dovuto non serve.

Tadashi non lo sa, se ha una cotta per Hayame.

Non ne è sicuro, non lo ha capito bene, non sa neppure se a piacergli sia lei o la bizzarra sensazione (bizzarra, ma per niente banale) che si sente addosso anche adesso: di essere a mille, con il vento in faccia, il sole negli occhi e non avere la più pallida idea di dove stia andando. Ma di volerci andare.

Al momento il sole manca, ma il vento in faccia c'è davvero. Gelido, anche.

Hayame gli ha scritto cinque giorni fa, giovedì pomeriggio.

Un messaggio semplice e diretto, in cui gli comunicava che la sua ricerca scientifica era conclusa e lo ringraziava molto per aver collaborato. Si chiedeva se potesse interessargli sapere i risultati.

Tadashi le ha risposto che sì, gli interessava.

Ecco: le ha risposto subito, senza stare tanto a pensarci, senza stare per dieci minuti a fissare il testo prima di inviarlo: la paura di non fare in tempo a rispondere (come se poi ci fosse una scadenza) è stata superiore a quella di pentirsi della risposta. Una cosa che non gli era mai successa prima; di solito esita, rilegge, cancella e riscrive mille volte persino i messaggi che manda a Tsukki.

Anche Hayame ha risposto subito.

Gli ha spiegato che, dei dodici soggetti, lui era il numero nove. E, pur essendo uno di quelli che partivano svantaggiati (in che senso? questo Tadashi non ha avuto il coraggio di chiederlo) alla fine la sua è stata la prestazione migliore.

A Tadashi è venuta la pelle d'oca e ha ingoiato un groppo enorme di saliva.

- Migliore in che senso?  Ha chiuso gli occhi quando ha premuto invio. Li ha riaperti solo quando ha sentito il cicalino della risposta.

- Che dopo non avevo più tanta voglia di baciare gli altri tre.

- E lo hai fatto comunque?

- Sì, certo. Arrivo sempre in fondo a tutte le cose.

Tadashi ha deciso che quella risposta gli piaceva (immotivatamente) moltissimo.

Così tanto che, senza rifletterci neanche un secondo, le ha proposto di offrirle qualcosa, per ricambiare la gentilezza di aver condiviso i risultati della sua ricerca e magari anche per parlarne meglio. Sempre che le facesse piacere.

Ad Hayame faceva piacere.

Potevano vedersi martedì al konbini vicino alla sua scuola, a ora di pranzo, se a lui andava bene. Non gli avrebbe rubato molto tempo.

A Tadashi andava bene.

E non c'era bisogno di rubarglielo, il tempo, era contento di condividerlo con lei.

Hayame ha deciso che quella risposta le piaceva (per diverse ragioni) moltissimo.

Così tanto che ha copiato la frase in un quadernino verde, che tiene nel cassetto del comodino.

E insomma adesso Tadashi sta pedalando sulla bici di Hinata per andare a quell'appuntamento, che poi non è neanche un vero appuntamento.

La pista ciclabile è tutta dritta. Una strada noiosa, un po' come la sua vita: qualche volta gli sembra di viaggiare su un binario e di avere intorno quelle barriere insonorizzate altissime e opache, per cui del paesaggio si vedono solo ombre vaghe e nessun contorno definito. Poi ogni tanto ti stupiscono il volo di un uccello, un petalo di ciliegio, un raggio di sole. Forse, a sedici anni, si sentono un po' tutti in gabbia, ma a lui pare che nel suo caso sia oggettivo.

Tranne oggi. Oggi la strada è noiosa, ma la sua vita no.

***

Hayame gli ha mandato una foto del konbini, quindi Tadashi sa di essere nel posto giusto. Lei però non c'è. 

E' un piccolo quartiere commerciale di periferia dominato dall'alto dal complesso della scuola, che è un edificio grande e probabilmente comprende sia medie che superiori.

Sei minuti di ritardo. Non sa nemmeno se siano pochi o molti: Tsukki rompe le scatole da sempre con la puntualità, quindi Tadashi non sgarra mai.

Nove minuti.

Stranamente, non pensa affatto che lei lo abbia preso in giro. Immagina piuttosto che sia stata trattenuta o se ne sia dimenticata. Una dimenticanza è l'ipotesi più probabile; dopotutto, per lei, quell'appuntamento che non è un appuntamento dev'essere ordinaria amministrazione.

Non riesce a smettere di fissare lo schermo, e sta pensando a cosa direbbe Tsukki di uno che staziona davanti a un posto guardando una foto del posto stesso, quando un calpestio di passi ritmati sull'asfalto gli fa alzare lo sguardo.

Il sorriso di Hayame la precede. Sta correndo a perdifiato giù per la discesa e intanto lo saluta con la mano.

Porta la tuta da ginnastica gialla e grigia della scuola sotto un cappotto slacciato e molti giri di una sciarpa rosa; i capelli raccolti a coda di cavallo le svolazzano intorno, e indossa un paio di occhiali rotondi, che l'altra volta non aveva.

A metà strada devia nel prato, in pendenza ancora maggiore. Corre come sorride, senza trattenersi, a piena potenza.

Alla fine della discesa, supera il muretto con un balzo e atterra giusto di fronte a lui, frenando in un paio di passi.

Senza fiato, si piega in avanti, con le mani appoggiate alle ginocchia. «Ciao» ansima. «Scusami tanto, Yamaguchi-kun. Non mi ricordavo che avevo il turno di pulizie.»

Tadashi non sa bene cosa dirle. Ha il cervello bloccato sul pensiero, in realtà piuttosto ovvio, che lei è lì. Che è venuta veramente. Che si era dimenticata delle pulizie, ma non di lui.

«Ehi! Ti sei incantato? Yama-kun?» lo guarda perplessa. «Posso chiamarti Yama-kun?»

Tadashi riesce solo ad annuire, muovendo il collo in avanti con un gesto troppo ampio, come un pupazzo.

Hayame intanto sta stringendosi la coda, per far risalire l'elastico, le ciocche di capelli più corte sono tutte sfuggite e il vento le agita. Si raddrizza il cappotto, si toglie gli occhiali e ripulisce le lenti. Ogni suo gesto è deciso, pulito, mirato a uno scopo.

«Sei miope?» le domanda. In una competizione di domande idiote, questa sbaraglierebbe ogni avversario. E' precisamente questo l'effetto di Koganegawa su Yamaguchi: parole senza controllo. A quanto pare, anche dal vivo.

Lei, comunque, non si scompone. «Astigmatica. Non tanto, però. Preferirei le lenti, ma mamma non vuole che le porti sempre. Dice che rovinano il fondo dell'occhio. Quindi le posso mettere solo per fare sport e per uscire con gli amici. O per andare in giro a baciare la gente... »

Hayame ride. Yama si trova ammutolito a fissare quegli occhiali rotondi e gli occhi castani dietro le lenti.

«Sono brutti, vero? Beh, pazienza, da grande farò il laser» dichiara lei, spingendoseli sul naso. E' lo stesso gesto di Tsukki, ma lei lo fa in modo del tutto diverso, con un dito solo e con un movimento rapido, efficace.

«In realtà penso che siano carini» risponde Tadashi. Ed è la verità, ma ancora una volta si tratta di parole senza controllo, di cui si pente mentre gli scivolano fra le labbra.

Hayame sorride, scomodando metafore poetiche scontate. «Allora? Parliamo dell'esperimento? Hai domande?»

Tadashi domande ne ha molte, e troppo poco coraggio per farle, così senza preavviso. «Prima di tutto, se me lo permetti, vorrei offrirti qualcosa.»

Hayame sceglie un umaibo al formaggio e un pacchetto di caramelle al limone. Tadashi decide che mangiare roba solida è un rischio inaccettabile (potrebbe affogarsi, vomitare, avere un attacco di diarrea, o anche le tre cose insieme), così si limita a una lattina di melon soda.

Si siedono sul muretto, vicini, ma non troppo. Una distanza marcata da sguardi sfuggenti, che si sfiorano soltanto. Per un po' è molto più facile fingere di avere fame e sete.

Hayame smette di masticare all'improvviso. «Dai, Yama-kun, dimmi che idea ti sei fatto del mio esperimento. Penserai che vada in giro a baciare chiunque.»

Tadashi manda giù un sorso di soda e scuote la testa. «Non ci sarebbe niente di male... »

«No, è vero. Ma insomma... non è così.»

Tadashi si volta a guardarla negli occhi. Hanno un colore caldo, pieno di sfumature, in cui risalta, più di ogni altra cosa, una fierezza naturale.  «Sull'esperimento non mi hai detto molto, non mi sono fatto un'idea precisa. Ma una cosa la penso: che tu sia molto coraggiosa.»

Hayame sorride, guarda verso quel cielo bianchissimo e dondola le gambe, facendo rimbalzare i talloni contro il muretto. «Cosa vuoi fare da grande Yama-kun?»

E' la domanda meno originale del mondo, secondo Tsukki anche una delle più stupide. Gli adulti la fanno di continuo, senza nemmeno pretendere una vera risposta: basta sparare una scemata qualsiasi, meglio se altisonante, con un minimo di convinzione, anche fasulla.

Ma questa volta è diverso.

Attenta, seria, protesa verso di lui, Koganegawa Hayame non è una a cui si possano rifilare idiozie passandola liscia. E più di tutto, Tadashi non la vuole deludere. 

«Credo che vorrei fare... qualcosa di utile. Non so ancora cosa. Ma vorrei vivere per qualcosa di più che fare soldi, o farli fare a qualcun altro.»

«E' una bella risposta» approva lei. Si scosta una ciocca di capelli dietro la stanghetta degli occhiali. «Anche io vorrei sentirmi utile, come dici tu. Ma vorrei fare qualcosa che riguarda le persone. Mi interessano le persone. Come sono fatte, come ragionano... »

«Come baciano... » aggiunge Tadashi, con un sorrisetto tirato e un'ombra di provocazione. Le parole gli escono di bocca mentre le pensa, prima che entrino in funzione quella tonnellata di freni, filtri e barriere che si porta nel cervello.

Hayame ridacchia senza smettere di masticare e si protegge la bocca con la mano. Il sorriso le lampeggia negli occhi ed è proprio uno dei suoi: colmo di luce e con tutta una scia di altri colori, che Tadashi non è ancora riuscito a distinguere, ma che gli entrano dentro comunque.

Su questo Tsukki si sbaglia di grosso: l'apparecchio per i denti sarà pure evidente, ma con quel sorriso non c'entra proprio niente.

Hayame finisce di masticare e si scrolla via le briciole dal cappotto e dalla felpa.

«Grazie Yama-kun. Questi al formaggio sono buonissimi» commenta, appallottolando l'incarto colorato. Fa leva sulle mani per scendere dal muretto, diretta al cestino dei rifiuti di fronte al negozio.

Tadashi le porge la mano aperta: «Lascia. Dalla a me, la butto via io dopo.»

Hayame esita solo un attimo, poi accetta e si rimette a sedere.

«Me la levi una curiosità sul tuo esperimento?» chiede Tadashi, mentre si infila in tasca la plastica appallottolata.

«Certo.»

«Come li hai scelti i dodici candidati?»

«Maschi e tutti del primo anno» risponde lei, stringendosi nelle spalle. «Beh, questo è quello che hanno in comune. In realtà ho cercato un campione statistico assortito, con dei fattori che si potessero incrociare, perché avesse un po' di senso. Per esempio tre ragazzi molto carini, tre decisamente non attraenti e sei nella media. Altezza e corporatura variabili. Qualcuno che aveva l'aria di venire da famiglie ricche e qualcuno al contrario. Qualcuno bravo a scuola e qualcuno meno. Metà che fanno sport e metà che fanno attività creative. Cose così. Poi ho fatto una specie di griglia.»

«Per arrivare al liceo con l'identikit del fidanzato perfetto?» E' sorprendentemente divertente parlare senza pensarci troppo, almeno tanto quanto è imprudente. 

«Ma no! Sarebbe troppo soggettivo, non credi? E poi io i miei gusti li conosco già. Quello che volevo provare a capire è se i ragazzi baciano come sono. Cioè, voglio dire, se il carattere che hai influenza il linguaggio del corpo più di quello verbale. Mentire a parole è troppo facile. Baciarsi è qualcosa più che saliva ed eccitazione sessuale, è comunicare, no?»

Tadashi sente la melon soda percorrergli l'esofago in un fiotto gelido e depositarsi giusto in mezzo allo stomaco. 

Nelle parole di lei, invece, abitano solo certezze, che diventano bianchi sbuffi di fiato e piovono al suolo in goccioline minuscole. 

«Quindi erano tutti ragazzi che non conoscevi?»

«Esatto!» Hayame sorride. «Era essenziale, che non li conoscessi. Ho evitato anche la squadra di mio fratello, per lo stesso motivo. Perché a furia di sentirne parlare - e mio fratello è uno che chiacchiera un sacco - alla fine le persone è come se un po' le conoscessi. Per esempio, del Karasuno non avrei potuto scegliere il piccoletto con i capelli rossi e neppure il palleggiatore carino e sempre incavolato, perché Kenji ne parla sempre.»

«E che idea ti sei fatta di loro?» Tadashi se lo chiede sempre, come li vedono gli altri. Come vedono la squadra.

Hayame storce le labbra pensandoci, mentre scarta una caramella. Ha le dita arrossate per il freddo e il mento affondato nella lana rosa della sciarpa. «Due affamati di adrenalina. Quello molto carino penso che sia un introverso pazzesco, però del genere che non la vive per niente bene. L'altro a mio fratello piace tantissimo, e lui ha un debole per gente espansiva, che fa casino. In realtà Hinata - si chiama così, giusto? -  piace anche a me, forse avrei scelto lui, se appunto non fosse amico di Kenji.»

E' un'analisi sommaria, ma piuttosto esatta. Però l'idea che Hayame avrebbe potuto chiedere a Hinata di baciarla produce un piccolo, netto bruciore interno, come un taglietto sul dito fatto con la carta di una pagina.

«Stanno insieme?» domanda Hayame tranquilla, infilandosi in bocca la caramella.

Tadashi tossisce convulso. «Chi?»

«Il palleggiatore e il piccoletto. Mio fratello dice di no, ma lui non ci capisce niente di queste cose.»

«No... io... penso di no» balbetta. E per la prima volta se lo chiede: Hinata e Kageyama stanno insieme? Non lo sa. Ma la domanda non è affatto assurda.

Di sicuro non sono amici. C'è fra loro come una tensione continua, un rapporto di causa-effetto, una connessione, nel campo di pallavolo e anche fuori. Si esprime in tutti i modi tranne che con le parole. A parole, sono avari e confusi. Però è evidente che gli occhi di Kageyama siano sempre puntati su Hinata; sembra sia per cogliere le sue mancanze e lamentarsene, ma è di fatto un'attenzione continua che mal si distingue da una fascinazione assoluta. Hinata invece non nasconde nulla: è incapace di fingere, la sua ammirazione è senza limiti e senza ombre. Invincibile. Esplicita, esagerata e compulsiva, proprio come lui. E fra loro comunicano. In qualche modo strano e misterioso, ma sono sempre consapevoli della posizione, dei desideri, delle debolezze uno dell'altro.

Ormai tutti li considerano un duo esclusivo e affiatato, con una dinamica complessa di supporto e di rivalità che si esprime pienamente solo in campo, ma non svanisce dopo l'ultimo fischio. Anzi, cresce e si evolve. Non potrebbe essere un modo strambo di amarsi?

Dopotutto, di modi ne esistono innumerevoli. Tanti quanti i manga che Tadashi ha letto, le storie che ha immaginato. Tanti quante le persone al mondo e i loro diversi bisogni.

Il modo di Tsukki, per esempio, che è sconcertante per uno come lui. Affamato. Appassionato. Travolgente. Fa quasi paura pensare a quanto innamorarsi lo abbia cambiato e lo stia cambiando. A quando sia disposto a cedere. A quanto si conceda di sentire. A quanto ci tenga. Fa paura e disorienta. E prelude a tanti altri cambiamenti, che forse non sono ancora così vicini, ma di certo arriveranno.

Hayame non disturba nessuno di quei pensieri, assorta nei propri.  La sua presenza è marcata, ma anche discreta. Il silenzio che li avvolge è ovattato come il cielo sopra le loro teste. 

Il tempo però sta passando. Tadashi guarda l'ora sullo schermo del cellulare. Per sperare di arrivare in tempo, doveva essere ripartito dieci minuti fa.

«Mi dispiace se fai tardi, Yama-kun» si preoccupa Hayame. «Dai, prendi una caramella e avviati!»  Gli porge il sacchetto, lui rifiuta con garbo.

«Fra un minuto vado.»

Hayame si mette in bocca un'altra caramella, socchiude gli occhi, si sbilancia all'indietro, reggendosi sulle mani aperte. Mentre riflette, si rigira la caramella sulla lingua, con un rumore involontario e umido di suzione, che penetra la guardia abbassata di Tadashi, dando la stura a tutta una serie di pensieri molto inappropriati.

«Yama-kun?»

«....eh?»

«Tutto bene?»

«Sì. Sì, benissimo.» 

«Hai le orecchie scarlatte» osserva lei, con piglio scientifico, sporgendosi un po' per guardarle meglio da dietro le lenti.

«Sarà il freddo.»

Tadashi si fa indietro. Hayame si sporge ancora un po'.

«Hai anche un sacco di lentiggini.»

Tutto qui. Non aggiunge altro. Le ridono gli occhi e ogni altra parte del viso, tranne le labbra.

Tadashi si schiarisce la voce, si passa una mano fra i capelli. C'è qualcosa che deve assolutamente dirle. Qualcosa che un po' lo tormenta, che gli torna su, mal digerito, ogni volta che ci ripensa. 

«Sai, Kogane-chan, ci ho pensato e credo proprio che dovrei chiederti scusa.»

Hayame piega le gambe e le abbraccia, i talloni puntati sul muretto, la guancia appoggiata alle ginocchia. «E di cosa?»

«Il tuo esperimento. Ecco, io... non posso fare a meno di pensare che avresti preferito Tsukki.»

Hayame allarga gli occhi, interrogativa.

«Tsukishima Kei» spiega Tadashi. «Il mio amico. Quello alto, con gli occhiali. Eri venuta a chiedere di lui.»

«Ah. Beh no, sei meglio tu» risponde lei, senza l'ombra di un'esitazione, senza un briciolo di malizia.

Yama è più che altro perplesso. «In che senso?»

Hayame si prende il tempo per pensarci, alza lo sguardo, poi punta gli occhi su Tadashi. «In tutti i sensi, direi. Tranne forse che lui è più bello.»

Forse.

«Ma bello è una qualità inflazionata» prosegue, tranquilla. «E' pieno di ragazzi belli in giro. E non è che sia merito loro.»

Difendere Tsukki è il primo istinto di Tadashi. «Guarda che non è solo bello. E' molto intelligente. Molto, davvero. E' un amico leale. Ed è anche molto figo, sempre, in tutte le cose. Lo è proprio per natura

Hayame non sembra colpita. «A me pare che se la tiri un bel po', il che non è figo per niente. Anche tu sei intelligente. E poi sei gentile. Ecco: essere gentili è molto figo. Perché non è facile, uno si deve impegnare e la gente non ti aiuta.»

Tadashi si sente rimescolare tutto e forse fa una qualche faccia strana, perché Hayame arriccia le labbra e lo guarda scettica. «Ma sul serio pensi che sia meglio di te?»

Tadashi apre la bocca, poi la richiude. E' una domanda assurda.

Lei non si aspetta una risposta. Sorride e salta giù dal muretto. «Devi scusarmi Yama-kun. Ma per me è tardi. Il che significa che per te è tardissimo!»

Anche Tadashi salta giù. In piedi di fronte a lei, gli sembra che quelle due mani che si ritrova attaccate alle braccia, siano appendici ingombranti e troppo difficili da governare, quindi se le infila in tasca.

Lei si congeda con un accenno di inchino. «Scusa ancora se ti ho trattenuto tanto. E grazie mille per lo spuntino.»

Tadashi biascica una qualche risposta.

Hayame saluta ancora con la mano e si volta. Fa un passo, solo un passo, prima di girarsi. «Ah, già volevo farti vedere una cosa» esclama, mentre tira giù la zip della felpa. Fra i lembi scostati del cappotto, compare la maglietta gialla di un club sportivo, con un enorme numero 12. «Non sei anche tu il dodici?»

Tadashi annuisce sorridendo, stupidamente contento. «E' la squadra di pallavolo?»

«No, per carità! Faccio pena a pallavolo, le prendo tutte in faccia. E' la squadra di calcio. Mi piacciono gli sport di contatto!» A quanto pare, Koganegawa Hayame ha nel suo arsenale anche un sorriso pericoloso, a cui è difficile rimanere insensibili.

«Ciao Yama-Kun!» saluta, ed è già su per la salita.

Tadashi inforca la bici, ma resta a guardarla correre.

A metà Hayame si volta di nuovo  e di nuovo agita la mano. «Vattene! Fai tardi!» urla, ridendo. «Ci sentiamo presto!»

Non si volta più, e sparisce oltre il cancello. La macchia rosa della sciarpa è l'ultima cosa che Tadashi riesce a distinguere.

Un attimo dopo, sta nevicando.

 

   
 
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