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Autore: Fede_e    06/12/2022    0 recensioni
Durò pochi secondi o molte ore? nessuno dei due avrebbe saputo dirlo. Il primo bacio forse pochi secondi, il secondo di più, poi ce ne furono un terzo e un quarto, forse erano tanti baci brevi, così tanti da perdere il conto, che messi insieme arrivavano all’infinito. Infinito di tempo, di spazio, di durata, di tutto. Ogni bacio era più lungo e più profondo di quello precedente. Si baciarono fino a perdere la logica.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Scorpius Malfoy | Coppie: Lily/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Capitolo II
Un brivido di freddo attraversò il suo corpo nel momento in cui spostò il braccio fuori dalle coperte per portarlo sopra la testa. Senza aprire gli occhi cercò di analizzare la situazione. La mano sinistra (quella al freddo) sfiorava una testata del letto dura e liscia molto diversa da quella del suo letto in ferro battuto. Con un piede, cercando di ridurre i movimenti al minimo, si accorse di essere vicina al bordo di un letto caldo e profumato. Non riuscì ad identificare il profumo che si mischiava a quello delle lenzuola ma era probabilmente qualche strano dopobarba. L’altra metà del suo corpo era bloccata sotto il peso dell’uomo accanto a lei.
Rimase immobile a rimettere insieme i pezzi della sera precedente e a decidere sul dà farsi. Decise che era il caso di alzarsi e andare via: dopotutto scappare da situazioni che non si ha voglia di affrontare era sempre stato il suo stile.
Si sfilò da sotto il braccio che la teneva bloccata e districò le gambe dal groviglio di lenzuola e arti che si era creato. Si accinse, poi, a raccogliere la sua biancheria in giro per la stanza, non vedeva il suo vestito né le scarpe. Sbuffò sonoramente. Cercò la borsetta o il cappotto sperando di trovare la bacchetta ma di nuovo non ebbe fortuna. Chissà dove l’aveva lasciata. Vigilanza Costante. Sua madre glielo ripeteva sempre, ma lei non era brava a seguire i consigli. Sarebbe stata vigile in un’altra occasione. Giurò che se l’avesse ritrovata subito non si sarebbe mai più separata dalla sua bacchetta, era una promessa a sé stessa.  Cercava di evitare il mal di testa che le trapanava le tempie ogni volta che faceva un movimento brusco mentre girava come una disperata alla ricerca delle sue cose, almeno aveva trovato la biancheria. All’improvviso vide la soluzione a suoi problemi: lì sul comodino era poggiata una bacchetta non sua, come il resto delle cose nella stanza. Lui non se ne sarebbe neanche accorto, era ancora nel letto profondamente addormentato (anche se un paio di volte lei aveva avuto la sensazione che stesse fingendo). Si avvicinò di soppiatto al comodino e allungò la mano per prenderla, nel modo più silenzioso possibile.
Mentre tendeva un braccio per afferrare la bacchetta una mano si chiuse sul suo polso, bloccandola.
“Che fai?”  la voce ancora rauca dal sonno ma lo sguardo vigile.
“Devo recuperare il reggicalze da lì sopra” indicò il lampadario con naturalezza.  
Lui la guardò scettico per un attimo, chiedendosi cosa fosse un reggicalze e come ci fosse finito là sopra. Di certo non voleva dare la sua bacchetta ad un’estranea e rimanere disarmato; forse avrebbe dovuto essere meno sospettoso, ma era la sua natura. “Di che hai paura Malfoy? Se avessi voluto affatturarti mi sarei prima vestita” disse lei ammiccando.
La osservò velocemente: non sembrava male intenzionata, ad occhio e croce stava cercando di vestirsi e andarsene il più velocemente possibile. Sicuramente per evitare un confronto. Non poteva far altro che apprezzare questa iniziativa: avrebbe volentieri evitato la conversazione ‘sono stato bene ma restiamo amici’. Ancora poco convinto allentò la presa e le lasciò prendere quello che voleva.
“Oh no, è rotto” si lamentò lei mentre se lo allacciava sulla pancia, sistemandolo poi con un colpo di bacchetta.
“dov’è il resto della mia roba? Mi serve il cappotto” chiese, sicuramente aveva il vestito quando era entrata nell’appartamento, i ricordi erano confusi e vaghi ma c’erano.
Si riprese da un momentaneo storidimento dovuto ad un flash della sera precedente particolarmente spinto e si accorse che lui era uscito dalla camera dopo aver detto che le avrebbe mostrato la porta di ingresso.  La stava cacciando così maleducatamente? Cafone. Ecco perché non ci si deve fidare delle serpi. Si sarebbe vestita e se ne sarebbe andata di corsa. Che poi era il piano originale ma stava avendo difficoltà a terminare la prima parte.  
“L’ingresso è là, hai capito?” sembrava troppo confusa per sentirlo “il cappotto è lì”
 Quindi non la stava propriamente cacciando, stava rispondendo alla sua domanda. “Ah” alla sua risposta lui la guardò come se fosse scema. Sicuramente stava dubitando di lei.
Trovò la sua bacchetta nell’ingresso, ma a quel punto non serviva a molto dato che dalla sua posizione tutti gli indumenti erano a vista d’occhio: creavano una sorta di scia fino alla camera da letto.
Recuperò una calza sullo sgabello della cucina e l’altra sotto un pantalone che non apparteneva a lei.
Sbuffò quando notò che una calza era strappata.
 “Che cos’è un reggicalze?”
Alzò lo sguardo e lo trovò in piedi davanti a lei, gli occhi pieni di curiosità e in mano una padella.
“una cosa per non far scivolare le calze. È babbana” aggiunse a mo’ di spiegazione quando lui sembrò più confuso di prima.
“Capisco” non capiva in realtà. Perché non usare un incantesimo fissante? “Mi piace come mi stanno” Sentì la voce di lei rispondere. Non si era trattenuto dal fare la domanda ad alta voce come credeva. Il suo cervello stava funzionando al rallentatore, doveva mangiare e riprendersi al più presto. Non poteva darle torto comunque, si soffermò un attimo ad osservarla mentre alzava lentamente la seconda calza portandola dalla caviglia alla coscia per poi agganciarla a quella specie di cinturina sopra la pancia: stava davvero bene. Deglutì senza rendersene conto, non avrebbe potuto mangiare con lei davanti conciata così.
Prese una maglia lasciata sulla sedia al suo fianco e la lanciò in faccia alla ragazza in modo poco galante: attacca prima per non doverti difendere poi. Ben fatto. “Mettiti qualcosa addosso, non puoi sederti a tavola in queste condizioni”
La vide alzare un sopracciglio. Era indecisa se rispondere o assecondarlo. In un’altra occasione si sarebbe lamentata ma l’odore del cibo era invitante e lei aveva i crampi allo stomaco per la fame, oltre che un disperato bisogno di acqua.  “Hey io questa non la metto, sono contraria alla causa” il tono era scherzoso, ma bastò uno sguardo per capire che era seria. “Facciamo che questa la metti tu, visto che non è decoroso il tuo abbigliamento” lo prese in giro lei.
Le porse un’altra t-shirt mentre, alzando gli occhi al cielo, indossava la maglietta verde-argento incriminata.
 
“È buono” si complimentò stupita, più che altro per alleggerire quel velo di imbarazzo che si era creato da quando si erano messi a mangiare: lei seduta al bancone della cucina, lui accanto ma in piedi con i gomiti sulla superficie fredda e le gambe distese. “Ho dovuto imparare per lavoro” rispose mentre una voce dentro di lui si chiese perché le raccontava i fatti suoi. ‘Fatti’ poi, non è che fosse niente di troppo personale, ma lui non era un tipo a cui piaceva parlare.
“Perché che lavoro fai?” gli chiese di rimando
Davvero non lo sapeva? o stava fingendo?  “Sono un Auror, sai in missione devo sapermi adattare. Anche in cucina”
“Sei un Auror?” chiese la ragazza, come se non si fidasse delle sue orecchie
“Sì” lui cercò di scandire bene la sillaba. Aspettava una reazione che sembrava non arrivare
“Be’ è …Imbarazzante” lo disse in tono vivace
“Dici?”  Era probabilmente l’ultima cosa che si aspettava dicesse
Un silenzio calò nella stanza mentre entrambi valutavano la situazione. Persi nei loro pensieri sobbalzarono quando sentirono un gufo picchiettare la finestra del salotto. Il ragazzo andò ad aprire; insieme al gufo entrò nella stanza una folata di vento gelido che sembrò far rinsavire tutti e due i giovani.
“Credo sia meglio che vada” la osservò mentre si lamentava del vestito a cui mancava la cerniera (“A questo punto sarei curiosa di sapere come mai una calza si è salvata”) e poi si salutarono con un mezzo saluto impacciato e con la comune volontà di non dirlo troppo in giro. Lei lo aveva proposto per prima e lui aveva accettato di buon grado per poi proporre di non dirlo proprio a nessuno: ”Sai…tuo padre…ehm” aveva farfugliato lui. E lei se n’era andata con una risata imbarazzata e assicurandogli che dirlo a suo padre era l’ultimo dei suoi programmi.
Quando se ne andò lasciò indietro una scia che sapeva di fiori, un odore così fresco che faceva a cazzotti con l’odore di alcol, sigarette, di cucinato e sudore che si sentiva lui addosso.
Non lo sapeva ancora ma si sarebbe beato ancora di quel profumo di fiori in ogni parte della casa: nell’ingresso, sul cuscino, sulla maglia che adesso era abbandonata su una sedia in cucina.
 
 
  
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