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Autore: Enchalott    12/12/2022    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Difendere ciò che è prezioso
 
Nella penombra della tenda Valka sfilò la casacca, sulla quale spiccava lo strappo prodotto dal becco di Sadala. Si massaggiò la spalla fregiata di un livido bluastro e si rallegrò di averla conservata: il vradak aveva dato un ammonimento, se avesse voluto infierire si sarebbe ritrovato senza un braccio.
Un predatore da guerra non s’inalbera e non salta fuori a quella maniera per un po’ di baccano. Ha difeso il ragazzo.
Shaeta si occupava dei recinti, trattava i volatili con riguardo e con l’eccessiva tenerezza tipica della sua gente, viziandoli come animali domestici tra strigliate extra e bocconcini. I vradak erano intelligenti, empatici, sapevano riconoscere gli amici, dimostrando a loro volta affetto e dedizione imperituri.
Sta’ a vedere che si è studiato per davvero il manuale di Dasmi.
Calcolò le opzioni. L’abilità acquisita dal principe minkari sarebbe risultata utile a quell’altezzosa testa calda, magari per superare l’esame di cavaliere alato.
Se solo ascoltasse e scendesse dal piedistallo.
Per raggiungere tale obiettivo, lei e il ragazzino sarebbero dovuti rimanere vivi, il che non era matematico. Kayran apparteneva a un clan influente, suo zio Ŷalda non avrebbe perdonato sgarbi: quanto a intransigenza riusciva a surclassare Kaniša, al minimo torto avrebbe preteso un risarcimento in sangue. Tutto per la smodata ambizione della ragazza, che aveva scelto quell’otre rigonfio per farsi scendere il veleno negli artigli.
La rabbia offusca l’obiettività. Ha voluto lui perché da quando è venuta al mondo l’ombra ingombrante di Taygeta si staglia sul suo futuro. La capisco, ma la strada che ha intrapreso non le porterà che infelicità.
Valka strofinò l’olio lenitivo sull’ecchimosi e la stilettata acuta si trasmise al cuore. Fissò con biasimo la propria immagine riflessa: si conosceva, non avrebbe consentito che Dasmi vivesse nel dolore o nell’umiliazione a costo di rimetterci in prima persona. Però lì aveva un altro ruolo, una responsabilità giurata sull’iwatha. Cedere al fine individuale l’avrebbe condotto lontano, causando altro danno, altra pena. Ma era impossibile escludere i sentimenti, ne possedeva piena coscienza, non era nella sua natura nascondersi tra i dogmi o in un ottuso šokai.
Ahakineti.
Ne era innamorato. Non sarebbe dovuto accadere e detestava definirlo in quel modo, farci i conti lo distraeva, lo isolava e lo rendeva vulnerabile, come quando pochi giorni prima aveva ceduto alla collera. Constatò che il senso di solitudine seguito alla presa di coscienza era scemato da quando aveva iniziato a istruire Shaeta. Aveva la sensazione di essere da lui compreso e stimato nonostante le cadute emotive; percepiva che quello stravagante rapporto sarebbe stato sostanziale per entrambi.
Forse sono un patetico illuso, che anela una realtà inattuabile.
«Possiamo aiutarvi, reikan
Valka sussultò all’ingresso delle sue dorei: quella che aveva parlato apparteneva a una famiglia khai accusata di tradimento. Le altre, una Minkari sedicenne e una Salki poco più grande, lo scrutavano con gli occhi scintillanti d’ammirazione.
«Grazie, sono a posto.»
«Vi abbiamo portato l’uniforme pulita.»
«Senza una grinza, come piace a voi.»
«E il desinare. Non vorrete farlo raffreddare? Oggi è gelido, non vi fa bene inghiottire la zuppa gelata.»
Fu tentato di sorridere alla premura, ma conservò il contegno.
«Arrivo subito.»
Le tre si scambiarono occhiate complici e oltrepassarono la cortina divisoria senza consenso, certe che non le avrebbe punite.
«Un’altra ferita, mio signore?» mormorò la Salki con sincero dispiacere.
Aveva grandi occhi verdi, capelli biondi raccolti in una folta treccia appuntata sulla nuca, carnagione chiara e fisico minuto.
«Una sciocca distrazione. Non è il caso che ti allarmi, Liyse.»
Lei mise il broncio, ma valutò positivo il fatto che l’avesse chiamata per nome. A differenza degli altri, lo rammentava e se ne serviva nonostante i modi spicci.
«Vi medicate da solo e non permettete che vi tocchiamo» esordì suadente la Minkari, bruna e formosa «Non vi fidate? O non gradite le nostre attenzioni?»
«Discorsi futili per una sottomessa, Talena.»
La ragazza arrossì nel sentirsi ricordare la condizione d’inferiorità, pur conscia che fosse un modo virile di respingere l’approccio: l’attraente guerriero non le aveva mai costrette nel suo letto, non usava la frusta e non alzava le mani. Certo pretendeva che le sue richieste fossero esaudite nell’immediato, ma era accettabile a paragone del trattamento riservato agli shitai.
«Ci sentiamo superflue» azzardò Iroya, mostrando nell’obiezione l’ardimento khai.
Era alta rispetto alle compagne, la chioma blu tagliata corta in ciocche ribelli, le iridi arancio ombreggiate dalle ciglia, le labbra schiuse in un sorriso che avrebbe sciolto la roccia.
«Tre contro uno?» borbottò Valka, liberandosi degli abiti infangati «Siete a metà tra la lagna e la sedizione, vi suggerisco di piantarla.»
«A costo di subire yonfuchi, ascoltatemi» continuò lei inginocchiandosi «Ci reputiamo fortunate a servirvi. Però non concedete che vi assistiamo, tantomeno che vi diamo piacere. Non pensate che questo possa crearvi problemi?»
Lui inarcò un sopracciglio, compreso tra irritazione e svago: di solito le schiave supplicavano il contrario.
«Non se tenete la bocca chiusa. O preferite che vi doni a qualche focoso reikan
La minaccia suscitò un pigolio di protesta, ma gli sguardi delle tre rimasero fissi sulla sua muscolatura, messa in risalto dalle vampe dei caldani.
«Mio signore» insisté Iroya «Siamo giovani, inesperte o straniere, ma percepiamo la vostra tensione. È giorni che siete silenzioso, vorremmo alleviare il vostro cruccio e come Khai mi pregio di conoscere il modo.»
Valka non riuscì a ribattere: le dorei sfilarono i vestiti offrendosi al suo istinto maschile, che rispose con il vigore dell’astinenza. Lo lasciò i impennare per non destare ulteriore confusione, ma imprecò fra sé.
«Abbiamo ingerito le erbe.»
«Scegliete una di noi.»
«O tutte.»
«Rivestitevi! Cos’è questa fregola indegna!? Le reclute mi hanno sfinito stanotte, ho fame e non ho voglia di giocare!»
Loro obbedirono mortificate, facendolo sentire un idiota: erano una più graziosa dell’altra, respingerle era un delitto e mentire per salvare la fierezza ancora peggio.
Dèi! Comprendo perché Shaeta non voglia andare a letto con Dasmi. Manca l’amore, il temperamento non gli basta per cedere al sesso, non è nella sua natura essere distaccato. Però ho creduto che fosse nella mia e constatare il contrario mi turba.
Consumò la cena in silenzio, nel tentativo di trovare una via d’uscita e un pizzico di requie. Quando le sottomesse gli servirono la crema dolce, non compresa tra le pietanze dell’accampamento e frutto del loro piano di sollevargli il morale, si illuminò.
«Sedete, ho un compito da affidarvi. Ma prima voglio sapere fin dove siete disposte a spingervi, esistono limiti validi anche per le dorei. Specie se sono “inesperte”.»
Le tre abbassarono gli sguardi avvampando alla sua perspicacia.
«Prima di divenire shitai ero promessa a un guerriero, ho affrontato tre asheat e diviso l’amplesso con lui» rispose Iroya.
Le altre esitarono.
«Non provate a negare» suggerì Valka «Ho sentito su di voi l’odore maschile, il vostro esagerato pudore è una posa tentatrice. Ai Khai piace, ma non sono stupidi.»
Talena e Liyse fornirono i dettagli e il reikan spiegò il disegno senza scendere nelle ragioni ultime.
«Vi ricompenserò. Sto chiedendo qualcosa al di fuori dei vostri doveri.»
«È sufficiente rimanervi accanto, mio signore» si schermì la Khai.
«Anch’io non desidero altro» fece eco la Salki.
«La ricompensa è in ciò che ci assegnate» sorrise maliziosa la Minkari.
 

 
Yozora oltrepassò il salone principale, gli occhi fissi sul pavimento per non incrociare gli sguardi indiscreti o lascivi dei demoni. L’assenza di Mirai pesava in crescendo e nessuno aveva disposto di procurarle una sostituta.
Rhenn mi terrorizza con i discorsi sulle cospirazioni e poi mi lascia sola! Sono stanca delle sue esagerazioni, di costituire un diversivo alla noia!
Si rinfrancò pensando alle ore che la separavano da Mahati: l’imminente rientro era stato preannunciato dal volo sulla capitale del primo stormo.
Era intenzionata a farsi ricevere da Kaniša sia per ringraziarlo sia per pregarlo di parlarle della madre. Era evidente che Kelya aveva catturato la sua attenzione e, sebbene avesse dissipato l’incubo della consanguineità, esisteva del non detto. Entin non aveva mai accennato né alla lettera per Hamari né a un incontro, forse in ciò persisteva una frattura da sanare al di là della guerra ormai conclusa.
Se la fortuna mi assiste, troverò il generale Raslan di stanza agli appartamenti reali. È comprensivo e cordiale, il merito è suo se sono stata accompagnata a Minkar.
Ma la buona sorte era indaffarata altrove: preposto alla vigilanza c’era Shama, il secondogenito di Ŷalda. Non le era stato presentato, ma l’aveva sempre squadrata dall’alto in basso e le voci sul suo conto ne avevano peggiorato la fama. Inoltre era il rivale più acceso di Rhenn, avrebbe approfittato della minima svista per scagliare fango sulla famiglia reale.
Sono un obiettivo elementare, se sbaglio l’onta ricadrà sul mio fidanzato.
Ad aggravare la contingenza, con lui erano schierati altri membri del clan, compresa Althāri, scartata dal novero delle pretendenti del Kharnot. Non si stupì dell’occhiata astiosa né dei sussurri, dai quali emergevano termini poco lusinghieri.
Shama sollevò le dita a tranciare i mormorii e la avvicinò.
«Principessa Yozora, permettete che esprima la mia gratitudine! Ho udito che è merito vostro se il Šarkumaar è vivo!»
«Della sua resilienza» corresse lei in perfetto codice khai.
«Siete modesta, oltre che avvenente. Mahati è fortunato, sopravvivere a un salto di dieci metri e godersi una donna come voi.»
Lei accolse impassibile la fandonia diffusa da Rhenn per allontanare l’attenzione dal veleno nemico e resse lo sguardo acuminato dell’interlocutore.
«È mio dovere vivere o morire accanto a lui. Sono lieta di aver alleviato il tedio del suo recupero e offerto ai guaritori le mie scarse conoscenze.»
Shama rise, ma l’ilarità non raggiunse le iridi di ghiaccio azzurro.
«Le spose khai non si rivelano tanto fedeli» sottolineò «Meritate rispetto, sarei felice d’innalzare il vostro nome e la vostra casata, benché sconfitta.»
«Non è necessario, reikan
«Non insisto, tuttavia non negherete un brindisi di ringraziamento al sommo Belker.»
Rifiutare l’omaggio al dio della Battaglia era sconveniente, declinare il conviviale invito di un demone d’alto rango un’ingiuria.
«Ne sarei onorata, ma ho fatto voto al divino Kalemi di non toccare alcol finché il mio futuro marito non sarà rientrato.»
Shama strinse i pugni e mascherò l’irritazione: la shitai era abile a cavarsi dalle spine senza vilipendere. Scomodare il signore del pantheon tranciava ogni richiesta in nome di una divinità inferiore.
Un’imbeccata del maledetto Rhenn! Non voglio credere che questa mocciosa sia in grado di tenermi testa di sua mano.
«Capisco» mormorò garbato «In tal caso verseremo una libagione sull’ara minore e berremo akacha
Yozora cercò di prendere tempo.
«Sua altezza mi ha vietato di varcare le mura.»
«La pietra sacra è nei giardini reali, forse l’avete vista senza riconoscerla.»
«Me ne scuso.»
«Non siete una Khai» intervenne Althāri melliflua «Non fatevene cruccio.»
L’affermazione suonò un sottintendere che invece portasse colpe ben più gravi.
Come essere prossima alle nozze con Mahati.
Gli altri, due uomini e una giovane donna, non aprirono bocca. Shama le offrì il braccio e Yozora fu obbligata ad appoggiarvisi. Nessuno sospettò forzature.
Sono troppo tesa, l’intento è celebrativo, il parco è frequentato. Uno sgarbo allo stratega supremo è un tentato suicidio, non ardirebbero farmi del male.
Nonostante le auto rassicurazioni, i ripetuti avvertimenti di Rasalaje le affollarono la mente e un brivido serpeggiò lungo la spina dorsale in barba al caldo.
«Vogliate perdonare le pessime maniere dei miei compagni» riprese il reikan «Mio fratello Shiadar e mio zio Saji sono tornati da poco dall’Irravin e non hanno ancora recuperato la cortesia in uso a Mardan. Quanto a Thiara, è solo molto discreta. Non è così, cugina?»
L’interpellata assentì con timidezza e distolse lo sguardo come se avesse qualcosa da nascondere o la passeggiata in compagnia di una shitai la stesse imbarazzando.
 
L’ara del dio più agguerrito del pantheon era nascosta da un viluppo di salix, un’oasi supplementare nella pace dell’eden riservato a pochi.
Shama asperse la pietra rossa con il vino, innalzando un’orazione di riconoscenza in una sfumatura linguistica incomprensibile. I presenti sollevarono le mani e attesero in silenzio, compresa Yozora, che in vita sua non aveva mai reso grazie a Belker.
Se Rhenn lo sapesse, mi prenderebbe in giro per l’eternità. Elevare una preghiera a chi divora le esistenze umane è diverso dal rispetto dovuto ai Superiori. Mi chiedo se, nella sua infinita esistenza, il celeste Belker abbia mai amato la vita dei mortali che lo adorano.
Althāri versò la bevanda: le foglie d’akacha avevano un aroma pungente, diverso da quello ordinario, ma il sapore era gradevole. Tutti accettarono il bis tranne Thiara, che proseguì nell’ostinata ritrosia.
Yozora intese il rifiuto come dimostrazione d’antipatia, ma non permise che il reikan la rimproverasse. Questi scosse il capo.
«Siete troppo tollerante, principessa. Mia cugina è capricciosa, non merita pazienza, tanto più che tale atteggiamento le nuoce. Nessuno l’ha ancora chiesta in sposa.»
La giovanissima Khai impallidì e non osò ribattere.
«Non discuto i precetti, generale, trovo improprio biasimarla difronte a me. È una giornata torrida, è comprensibile che non ecceda.»
In eco all’affermazione, un rivolo di sudore le colò lungo la schiena.
«Siamo all’ombra e il nostro fisico sopporta il bacio del Sole Trigemino» obiettò Althāri «Il disagio che sentite non ci intacca, apparteniamo a stirpi diverse.»
Yozora terse la fronte lucida per la traspirazione e cercò di nascondere la difficoltà.
«Avete ragione ma…» la testa prese a girarle.
«Non vi sentite bene?» si interessò Shama «Sedete o mi sentirò in colpa. Vi ho forzata in un momento di stanchezza, sono imperdonabile.»
La premura suonò fasulla, ma la mano decisa la guidò cordiale tra le fronde.
«Siete gentile, è un lieve capogiro, mi riprenderò subito.»
L’ottimismo svanì quando lo stordimento aumentò, sfociando in una sensazione simile a quella provata dopo il contatto con il veleno di Rhenn.
«Vi serve un guaritore?» domandò Althāri sarcastica.
La principessa udì la voce in lontananza e percepì che qualcuno la sdraiava sull’erba. Non perse coscienza, ma le parole riverberarono confuse nella mente, nella visuale offuscata i sorrisi di circostanza si tramutarono in sogghigni di soddisfazione.
«Agisce in fretta» considerò Saji con un’occhiata sprezzante.
«L’importante è che non restituisca l’anima a Reshkigal» saettò Althāri.
«So quel che faccio» rise Shama «E poi deve capire quello che le succede e riferirlo a Mahati. Altrimenti che gusto c’è?»
«Passerà per una sgualdrina bugiarda. La testimonianza di cinque membri del sangue contro quella di una volgare sottomessa.»
Shiadar si abbassò accanto al fratello e si passò la lingua sulle labbra: scambiarono uno sguardo impudico.
«C-cosa volete farle?» balbettò Thiara «Niente più che spaventarla o farle un piccolo dispetto, avete detto così! Tagliarle i capelli, lasciarle un graffio… Shama!?»
«Placati, cugina. Mangeremo nello stesso piatto di Mahati. Avere tra le mani un oggetto tanto pregiato e non servirsene è uno spreco.»
«Te l’ho detto che era merce rara» commentò Shiadar «È da quando l’ho vista che ho il sangue in ebollizione, non è giusto che il Šarkumaar se la goda da solo.»
«Non potete! Un Khai non tocca quanto non gli appartiene! Approfittarne è vile!»
«Preferisci che la faccia strillare da sveglia?» ironizzò Saji «Quale cattiveria!»
«Smettetela! Sapete che vi respingerebbe, un membro del sangue non prende una donna contro il suo volere! Le nostre leggi…»
Althāri la strattonò, interrompendo la giusta rimostranza.
«Infatti tu ed io riferiremo scandalizzate che la promessa sposa del Kharnot si è concessa traendone profonda soddisfazione. Ahimè, temo che lui non sarà felice di apprenderlo.»
«Io non mi presterò! Siete impazziti!»
«Tu aprirai la bocca per avallare!» l’altra le assestò un manrovescio «O avrai lo stesso trattamento! La guardia personale di mio padre è famosa per la brutalità!»
Thiara si accasciò, annichilita dalla minaccia e dagli sguardi feroci dei compagni. Shama scosse la testa con beffarda accondiscendenza.
«È una lezione di coraggio, cugina. Forse qualcuno, vedendoti determinata, chiederà la tua mano e non finirai tra le pithye di Valarde.»
Gli altri uomini risero tra le zanne, gli sguardi accesi dell’eccitazione.
«Sei il primo, reikan» mormorò roco Saji, sfiorando con gli artigli la guancia pallida della Salki «Dimmi se ti occorre altro veleno.»
Quello sorrise lascivo, afferrò i lembi dell’abito della ragazza e lo stracciò, indugiando sulla carnagione candida e sui seni sodi. Si slacciò la stola e abbassò i pantaloni, manifestando una potente impazienza fisica.
Yozora tentò di ribellarsi, ma il corpo non rispose.
«N-no… vi prego… io sono… io non…»
«Oh, abbiamo una sovversiva» sussurrò Shama «Adoro la contesa. Desidero che tu mi senta bene mentre entro, che ti piaccia mille volte a paragone di quello che ti dà Mahati. Se ti agiti rischi di perdertelo, perciò... tenetela ferma.»
Saji le bloccò le braccia, mentre Shiadar le spalancò le gambe.
«Lasciacene un po’» sogghignò acceso.
 
Naiše non aveva mai corso così forte: le mancava l’ossigeno, le ginocchia erano sul punto di cedere, ma risolutezza superava la fatica e la guidava nella lotta spasmodica contro il tempo.
Gli dei mi aiutino!
Quando aveva visto Yozora lasciare la sala del trono in compagnia di quelli del clan di Ŷalda, era stata certa che le avrebbero nuociuto.
Il dolore vero, che solo la mia gente sa escogitare, quando i pensieri sono impuri e il sangue corrotto. Quello che ha distrutto la mia famiglia.
Impossibile seguirli o fermarli, una shitai non era niente.
Devo trovarlo! Devo trovare l’erede al trono!
Qualcuno aveva scorto l’Ojikumaar dirigersi al tempio di Belker in abiti cerimoniali, se fosse stato impegnato a officiare non sarebbe riuscita ad avvicinarlo, le guardie l’avrebbero arrestata.
Ma non sono sola, se è vero che proteggono Yozora!
Aveva posto le tre dita sul cuore nel sahin. Ogni hanran avrebbe capito la richiesta, vissuta con la speranza che qualcuno possedesse il coraggio di uscire allo scoperto nel cuore di Mardan.
A ogni svolta, a ogni crocevia, mentre fissava le torri del santuario nella distanza che pareva incolmabile, aveva ripetuto il codice e qualcuno aveva risposto. Sì, il principe era là e la cerimonia era quasi terminata. No, non c’erano uomini nei giardini del palazzo. Sì, avrebbero passato voce per Yozora, contro il clan di Ŷalda che era la fonte della putrefazione del regno, in nome di Mahati che volevano servire.
Naiše si era scapicollata, i minuti che scivolavano spietati, sulla bocca il nome della somma Valarde, nel cuore il sorriso innocente di una fanciulla, nell’animo la collera traboccante di madre, nello sguardo il fluttuare delicato di una treccia rossa.
Ai cancelli le avevano sbarrato la strada: aveva sentito il mondo andare in pezzi, ma si era rivolta alle guardie con un’imperiosità dimenticata.
«Devo parlare con il principe della corona, è una questione di vita o di morte!»
«Allontanati, shitai!» le lance puntate erano un’arma che stava uccidendo un’altra donna «Non farcelo ripetere!»
«Vi scongiuro! Almeno portategli il mio messaggio!»
«Non importuneremo sua altezza per i vaneggiamenti di una schiava! Vattene!»
Era inutile lottare contro la cieca ottusità.
Non tergiversare, non pensare che sia tardi!
Aveva costeggiato le mura alla ricerca di un’entrata secondaria, decisa a camuffarsi tra le cameriere. Sarebbe spiccata come una macchia su una tela intonsa, ma non aveva altro ed era disposta a morire.
«Hai chiesto appoggio, kalhar
Il guerriero l’aveva avvicinata fingendo di attendere qualcuno: indossava l’uniforme dei cavalieri alati.
«Gli Immortali ti benedicano, reikan
 
Rhenn recitò la formula di chiusura, socchiudendo gli occhi nella luce abbagliante del pomeriggio. Qualcosa che non avrebbe dovuto esserci catturò il suo sguardo: sbatté le palpebre per assicurarsi di non essere preda di un miraggio.
Il vradak planò in un frullio di penne, contravvenendo al divieto di sorvolare il cortile interno del tempio e suscitando un’ondata di stupite esclamazioni.
Che diavolo crede di fare!?
Ordinò alle guardie di catturare il sacrilego, ma l’animale sparì veloce com’era venuto. L’imprecazione gli rimase incastrata in gola nel constatare che a terra era rimasta una shitai. La psiche gli inviò un tintinnio d’allarme. Mantenne la calma esteriore e non rispose agli sguardi indecisi dei soldati, rimasti a mezza via.
Naiše si prostrò a terra, abbracciandogli le caviglie a titolo di sottomissione assoluta. Emise un sussurro. Rhenn la allontanò.
«Sbattetela ai ferri e date la caccia a quel dannato uccello!» ringhiò furibondo.
   
 
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