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Autore: Orso Scrive    18/12/2022    2 recensioni
Egitto, primi anni del Novecento.
Una squadra di egittologi porta a compimento una scoperta sensazionale ad Abu Simbel, l’antica porta del regno egiziano per chi risaliva il Nilo proveniendo dalla Nubia. Ma la scoperta potrebbe attirare su tutti loro una maledizione che la sabbia dei secoli non è ancora stata in grado di cancellare...
(Storia scritta nel 2017)
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO SESTO

 

John Wilson, liberatosi del fastidioso egiziano che lo aveva rallentato, discese in fretta e con impazienza la scalinata e rientrò nella tomba sconvolta dal rovinoso crollo avvenuto nel pomeriggio. Adesso, ogni rumore ed ogni scossa s’erano acquetati, ma ovunque regnava lo sconquasso più totale per quanto accaduto. Polvere e calcinacci avevano ricoperto il pavimento, i dipinti a tempera sulle pareti sembravano essere irreparabilmente danneggiati, le colonne papiriformi erano per buona parte crollate ed alcuni oggetti sfuggiti alla catalogazione degli egittologi erano ormai ridotti in frantumi. Ciò che colpì maggiormente il giovane, tuttavia, fu la vista del bellissimo sarcofago in quarzo rosa, attorniato da Smith, Fournier, Libone e Rachel, il quale appariva desolatamente spaccato in diversi frammenti, come se una mano gigantesca chiusa a pugno lo avesse percosso con rabbiosa forza.

Il ragazzo si avventurò con cautela nella tomba buia, rischiarata a malapena dalle torce che gli altri avevano acceso, e li raggiunse.

«Non riesco a comprendere che cosa possa averlo ridotto in questo stato deplorevole» disse Libone, al quale l’ubriacatura doveva essere passata. «Nessuna colonna gli è franata addosso ed i pochi calcinacci cadutigli sopra dal soffitto non avrebbero potuto danneggiarlo in questa maniera. Il quarzo è una tra le pietre più dure, avrebbe dovuto resistere facilmente.»

John si avvicinò alla sorella, la quale gli strinse una mano, sussurrando: «Guarda. Il sepolcro è vuoto, non c’è traccia della mummia del faraone.»

«E neppure del suo sarcofago, in legno o cartonnage che fosse» aggiunse Fournier, che le stava in parte.

«Evidentemente, gli uomini di Amenmesse trasportarono la sua salma in un altro punto, più nascosto, della tomba» disse Libone.

«Ma perché?» domandò John.

«È possibile che questa che abbiamo di fronte fosse una sorta di trappola» spiegò Libone. «Eventuali ladri, vedendo le ricchezze che circondavano questo sarcofago, si sarebbero abbandonati qui alla razzia, senza curarsi di scoprire se esistesse un’altra camera sepolcrale od un’altra sala del tesoro. Probabilmente, i partigiani di Amenmesse speravano che il coperchio di questo sarcofago di quarzo fosse abbastanza pesante da scoraggiare chiunque dal tentare di sollevarlo per sincerarsi che contenesse effettivamente la salma del re. In questo modo, i profanatori, appagati dalle ricchezze razziate, non avrebbero avuto bisogno di compiere indagini più scrupolose. Naturalmente, noi sappiamo che la sepoltura rimase inviolata fino al nostro arrivo, quindi gli accorgimenti furono del tutto inutili.»

«Ma, allora» disse John, «se tutti i tesori che abbiamo trovato qui dentro servivano solamente per ingannare dei razziatori, significa…»

«…significa che, da qualche parte qui vicino, si trova una sala segreta contenente più oro di quanto noi tutti insieme possiamo immaginare» concluse per lui Smith, puntando lo sguardo avido verso le profondità più buie della camera.

Tenendo la torcia sollevata sopra la propria testa, si avvicinò al muro da cui, quel pomeriggio, al-Farooq aveva letto e tradotto i geroglifici che riportavano la storia che, poi, aveva narrato loro. L’intera parete era affrescata con scene d’imbarcazioni in viaggio lungo il Nilo e del sovrano in atto di officiare i riti riservati agli dèi; una parte di essa, tuttavia, era delimitata da due statue lignee di guerrieri, che nel pomeriggio non erano state rimosse. Una delle due statue era ancora intatta, quantunque ricoperta di polvere, mentre l’altra, colpita da una pietra piovuta dal soffitto, aveva perduto la mano che reggeva la lancia.

«Guardate qui» disse Smith, illuminando le statue.

Gli altri lo raggiunsero e Libone, dopo averle osservate assorto per alcuni istanti, disse: «Medjai. I guardiani delle necropoli, i soldati del faraone.»

«C’erano due statue identiche a queste in parte all’ingresso della tomba» si ricordò improvvisamente Rachel.

Fournier annuì.

«Sì, e quelle, per fortuna, le abbiamo trasportate fuori prima del crollo.»

«E, se quelle due erano poste a guardie dell’ingresso della finta tomba, queste non potrebbero essere quelle lasciate a vegliare la vera porta?» domandò Smith, al colmo dell’eccitazione.

Senza rispondere, Libone si diede ad un’attenta osservazione della parete tra le due statue alla luce della sua torcia, annotandosi mentalmente i più minuti dettagli; al tremore delle lucerne, notò che l’intonaco, staccatosi in diversi punti, non rivelava un fondo di roccia, bensì alcuni mattoni. Alzando lo sguardo, notò anche un architrave nascosta.

«È vero» disse. «Qui dietro c’è una parete di mattoni. È possibile che essa nasconda un ingresso segreto.»

«Dovremo abbatterla per vedere dove conduca» rispose subito Fournier, tastando con le mani la parete celata dalle antiche pitture.

«Esimio collega, non possiamo assumerci da soli questa responsabilità» lo bloccò Libone che, finalmente, aveva recuperato completamente la propria ragione, essendo totalmente svaniti gli ultimi effluvi dell’alcol. «Insisto per attendere l’alba per parlarne al dottor Thompson.»

«Ma come, il più grande esploratore del mondo ha paura di farsi male alle mani, nel buttare giù qualche vecchio mattone di fango secco?» lo schernì Smith.

«Qui non si tratta di paura, bensì di buonsenso» replicò Libone. «Noi non possiamo…»

«Taci un po’, vecchio scemo!» lo interruppe Fournier all’improvviso. «Adesso tu butterai giù questa parete!»

«Signore, non le permetto di parlarmi così e… Ehi!»

Libone fece un balzo all’indietro nel momento in cui, contemporaneamente, sia Fournier sia Smith estrassero rapidamente dalle tasche delle loro giacche dei revolver e glieli puntarono contro. Rachel strillò e si riparò dietro il fratello, ma i due giovani non poterono muoversi poiché Smith, lasciando che fosse il suo compare a tenere sotto tiro l’egittologo, girò l’arma nella loro direzione, intimando di non fiatare.

«E adesso, caro Libone, con l’aiuto di questo rampollo d’alta società inglese, ti darai da fare per abbattere questa dannata parete» ordinò Fournier seccamente.

Smith, avvicinatosi a John e Rachel, spintonò il giovane verso Libone, prendendo poi Rachel per un braccio e strattonandola verso di sé.

«Giù le mani da mia sorella!» gridò John facendo segno di volersi gettare contro l’americano; si sarebbe certamente scagliato contro di lui se Libone, all’ultimo istante, non lo avesse trattenuto, tenendolo fermo per una spalla.

«Ottimo gesto, Libone» ridacchiò Smith.

Poi, piantò la canna della pistola nel fianco della giovane, che si fece terrea in viso, aggiungendo: «Ed ora, mio giovane amico, dai una mano a quel vecchietto ad aprire un varco verso il tesoro, se non vuoi che io ricami un forellino nel fegato della tua simpatica sorellina.»

John, impotente, mugugnò qualcosa d’incomprensibile, mentre Libone tuonò: «Non la passerete liscia, furfanti!»

«Poche storie e basta ciance» urlò Fournier, agitando verso di loro la rivoltella. «Mettetevi all’opera prima di farci perdere la pazienza, non abbiamo tutta la notte.»

I due uomini, costretti ad obbedire, raccolsero da terra due grosse pietre, non essendoci altri attrezzi in vista, ed iniziarono a battere contro la parete di mattoni. Ad ogni colpo, le antichissime pitture, già messe a dura prova dal crollo del pomeriggio, si deterioravano irreparabilmente. Per il professor Libone, dopo una vita intera trascorsa a studiare le vestigia dell’antico Egitto, compiere quello scempio sembrava il peggiore dei crimini, tanto che, ad ogni martellata, gli pareva di star conficcando una pugnalata nel proprio cuore.

Senza smettere di tenerli d’occhio, Fournier si avvicinò a Smith e gli sussurrò in un orecchio: «Dobbiamo fare in fretta. Quel dannato Knight potrebbe esserci addosso a momenti.»

«Lo so, maledizione, ma non intendo andarmene senza una congrua ricompensa. Vedrai che, prima che possa arrivare a metterci il sale sulla coda, saremo già immensamente ricchi e parecchio lontani» replicò l’altro, senza smettere di stringere forte il braccio di Rachel.

Ad un certo punto, però, all’ennesimo colpo, Libone gettò via la pietra e si volse all’indietro.

«No, basta!» disse, con voce ferma e risoluta. «È troppo. Preferisco essere ucciso, piuttosto che continuare a profanare in questo modo quest’antica sepoltura.»

«Rimettiti subito al lavoro, vecchio idiota, o ti sparerò!» minacciò Fournier.

«Sparami, assassino! Meglio morire che essere tuo complice in questo crimine» replicò Libone con coraggio e con determinazione.

Smith piantò ancora più forte la canna del revolver nel fianco di Rachel, che scoppiò a piangere a dirotto.

«Ritorna a colpire quel muro, imbecille, o prima di te uccideremo questa pollastrella!» urlò con estrema ferocia.

«No!» gridò la ragazza, in preda al terrore.

John, che aveva a sua volta smesso di martellare, si avvicinò a Libone e mormorò: «La prego, professore, la prego… Non permetta che facciano del male a mia sorella.»

A Libone tremarono le labbra e le mani, nel trovarsi di fronte ad una tale scelta. Che fare? Salvare un’antica pittura muraria egizia e lasciare morire una povera giovane, oppure mantenere in vita la ragazza sacrificando un pezzo importante della storia umana? Rifletté che, in ogni caso, una volta sparato a Rachel ed a lui, i due criminali avrebbero certamente ed egualmente compiuto da soli quella razzia, per cui lo spreco delle loro vite sarebbe risultato del tutto inutile.

E va bene» rispose, adesso con un filo di voce. «E va bene.»

Si chinò, riprese la pietra e, rialzatosi, l’abbatté con tutta la propria forza contro il volto della dea Iside, cancellandolo per sempre. Interiormente, si rivolse alla grande divinità domandandole perdono per il proprio atto empio e sacrilego. Al suo fianco, anche John riprese a lavorare alacremente.

«Bravi» commentò la voce sarcastica di Smith. «Avete conservato ancora un briciolo di ragionevolezza, vedo».

Nonostante tutti gli sforzi dei due uomini, comunque, dopo due ore abbondanti di lavoro la parete era ancora sostanzialmente intatta e solamente uno spiraglio s’era aperto a dimostrare l’esistenza di un vano nella parte posteriore. Con nervosismo, ormai stanco di tenere ferma Rachel, che pareva essersi rassegnata, Smith scambiò qualche parola con Fournier, prima di dire: «Basta, fermi.»

Sudati e sconvolti, ormai quasi privi di energie, John e Libone si volsero a guardarlo.

«Di questo passo, non otterremo proprio nulla» disse il falso egittologo. «Dobbiamo trovare un modo più rapido per passare.»

«Le statue» brontolò Fournier. «Sì, quelle andranno bene… D’accordo, ascoltate. Prendete una di queste due statue ed utilizzatela come un ariete per abbattere il muro.»

«Questo è troppo!» ringhiò Libone. «Non potete…»

«Noi possiamo fare quello che vogliamo!» urlò Smith. «Tu, piuttosto, pensa a questa povera fanciulla, che sarebbe privata della vita per colpa del tuo egoismo. Sei davvero così attaccato a qualche vecchia suppellettile tarlata da essere pronto a vedere una giovinetta morire dissanguata ai tuoi piedi?»

Senza replicare, Libone scagliò via la pietra ed afferrò rabbiosamente per la vita la pesante statua che aveva perduto il braccio, strattonandola per staccarla dal basamento; John gli si avvicinò e cominciò a dargli man forte. In pochi minuti, i due uomini riuscirono a rimuovere la scultura, deponendola sul pavimento. A questo punto, le si misero entrambi a fianco, Libone davanti e John dietro e, afferratala, la sollevarono, sebbene con qualche fatica a causa del peso e della stanchezza.

«Avanti, ora» ordinò Fournier. «Sbrigatevi.»

Senza una parola, John e Libone iniziarono a far ondeggiare avanti ed indietro la statua, imprimendole velocità, per poi abbatterla contro la parete; il rimbalzo provocato dal colpo li fece indietreggiare, ma Smith urlò implacabilmente di continuare senza pause. Al quarto colpo, la parete cominciò a cedere, ma anche la statua, ormai provata e già piuttosto fragile per il fatto di essere stata costruita oltre tremila anni addietro, andò in frantumi tra le mani dei due uomini. Libone, sconsolatamente, osservò i frammenti dell’antichissima e pregevole scultura di legno cadere senza ordine sul pavimento polveroso. Ma non ebbe neppure il tempo di contemplare quella deturpazione, poiché immediatamente Fournier ordinò di ripetere l’operazione utilizzando anche l’altra statua.

Nel staccarla dal basamento, Libone non poté trattenere le lacrime all’idea di ciò che stava combinando; eppure, proseguì nella propria opera devastatrice, compiendo gli esatti movimenti di poco prima e, questa volta, la parete franò completamente sotto il primo colpo, rivelando una scalinata piuttosto ripida che si perdeva nelle oscure profondità della terra.

«Finalmente» sibilò Smith. «La via dell’oro è stata aperta.»

«In piedi, voi due» ordinò Fournier, rivolgendosi a John e Libone che, esausti, s’erano messi a sedere in terra a fianco della statua, per riprendere fiato. Preoccupato che, se non avesse obbedito prontamente, i due criminali avrebbero potuto fare del male alla sorella, John si rialzò immediatamente, mentre Libone, come se non avesse neppure udito le parole del francese, non si mosse dal suo posto.

«Alzati, idiota!» sbraitò Smith. «Dobbiamo andare!»

Libone sollevò su di lui due occhi pieni d’odio e, senza neppure pensarci, mormorò, col poco fiato che ancora gli rimaneva: «Vattene al diavolo, se proprio ci tieni.»

«Ci andrai tu!» gridò l’americano, fuori di sé per la rabbia, staccando la canna della pistola dal fianco di Rachel e puntandola contro l’italiano. In un attimo, premette il grilletto e l’egittologo, ferito, s’abbatté sul pavimento.

Rachel scoppiò a piangere ed iniziò ad agitarsi, tentando di liberarsi dalla presa del suo aguzzino, mentre John, inorridito, si gettò a terra a fianco di Libone, per sincerarsi delle sue condizioni di salute.

«Fermi tutti e due, bambocci!» gridò Fournier. «Dobbiamo andare!»

Afferrato John per un braccio, lo costrinse a rimettersi in piedi e, conficcatagli l’arma nella schiena, lo obbligò a camminare in direzione della porta segreta. Dal canto suo, Smith ridusse rapidamente all’impotenza Rachel afferrandola per il collo e mozzandole il respiro.

«Forza, adesso!» ordinò. «Dentro.»

E, senza più badare al povero Libone, i quattro varcarono la soglia della tomba misteriosa.

 

La discesa non fu per nulla facile, poiché gli scalini, intagliati direttamente nella roccia dagli antichi operai egizi, erano piuttosto sconnessi ed irregolari. L’ambiente angusto, inoltre, consentiva il passaggio di una sola persona per volta. In apertura, quindi, procedeva John, tallonato da vicino da Fournier, alle cui spalle veniva Rachel, sempre minacciata dalla canna della pistola di Smith, che chiudeva la fila.

Dopo una discesa che, ai quattro, parve interminabile, si ritrovarono improvvisamente sopra una balconata, da cui poterono osservare un ampio stanzone, di cui, però, non riuscirono a intravedere il fondo, essendo la luce delle loro torce insufficiente ad illuminare quel vasto ambiente. Tuttavia, ovunque si dirigessero i fasci luminosi, poterono osservare il luccicare brillante dell’oro, che compariva ovunque, come in un sogno.

A quella vista, Fournier e Smith scoppiarono a ridere e pure John e Rachel, per quanto spaventati ed incerti della propria sorte, non poterono trattenere un grido di stupore.

«L’oro del faraone!» si spolmonò Smith. «È nostro!»

Con una spinta, i due criminali costrinsero John e Rachel a discendere gli scalini che, dalla balconata, conducevano alla sala del tesoro. Alla luce delle torce, i quattro osservarono arredi, monili ed ornamenti in oro massiccio, ammucchiati dappertutto e vegliati da un’imponente statua nera raffigurante un cobra, circondata da due altre alte raffigurazioni di divinità.

Presi dalla brama dell’oro, Smith e Fournier si dimenticarono dei nipoti di Thompson e, senza ritegno, si gettarono sul tesoro, gridando come ossessi. Rachel fece quasi per seguirli ma John, avvedutamente, le prese la mano e le mormorò all’orecchio: «Dobbiamo fuggire, adesso, mentre sono distratti. È la nostra unica possibilità di salvezza. Seguimi!»

Senza lasciarla e senza smettere di controllare i due uomini, entrambi tuttavia così presi dal loro tesoro da non sembrare più in grado di accorgersi di null’altro, John cominciò ad avanzare verso la scala da cui erano appena discesi. Appena furono giunti sotto il balcone, tuttavia, una visione lo bloccò, lasciandolo paralizzato dalla paura.

Dalla scalinata proveniente dall’alto, infatti, cominciarono a fuoriuscire numerosi uomini armati con lance, spade, archi e frecce ed abbigliati come antichi egizi. Ognuno di loro gridava frasi in una lingua sconosciuta, che attirarono l’attenzione di Smith e Fournier, i quali si volsero all’indietro per capire che cosa stesse accadendo. Subito, però, entrambi si trovarono stesi a terra, impotenti, sovrastati da quegli strani uomini che puntavano loro le lame alla gola, mentre altri li frugavano per togliergli tutte le armi. Anche John e Rachel furono spinti contro una parete e tenuti sotto minaccia da alcuni individui, mentre la maggior parte degli altri si sparpagliava lungo tutta l’ampia stanza, accendendo antichi bracieri che, un poco alla volta, illuminarono completamente la sala, rivelandone l’enorme vastità. Quando la luce fu abbagliante, dalla scalinata che portava all’anticamera discesero altri uomini, portando con sé Libone, sanguinante dalla spalla dove il proiettile di Smith lo aveva colpito di striscio ma, per il resto, in buona salute, se non fosse stato per le mani legate dietro la schiena.

Gli strani uomini costrinsero Libone a scendere dal balcone e lo portarono vicino a Smith e Fournier, che furono fatti rialzare e immobilizzati con delle corde; John fu separato con violenza dalla sorella e condotto verso di loro, dove ricevette il medesimo trattamento. I quattro uomini, infine, furono assicurati tra di loro con altre funi, in maniera che non potessero più muoversi in alcun modo. A quel punto, sul balcone fece la sua comparsa al-Farooq, abbigliato come un antico faraone, con tanto di corona bianca e rossa dell’Alto e del Basso Egitto posta sul capo e di scettro hekat stretto in mano.

L’egittologo urlò qualche cosa, indicando Rachel, che venne immediatamente prelevata da due uomini e trascinata al di sotto di un’imponente statua in forma di falco, raffigurante il dio Horo e che nessuno, prima, a causa dell’oscurità, aveva notato. Per quanto scalciasse e gridasse, la ragazza non fu in grado di liberarsi dalla salda presa dei suoi aggressori.

«Professor al-Farooq!» gridò John, con tono disperato. «Che cosa sta facendo?»

L’egittologo, evidentemente invasato e veramente convinto delle proprie azioni, lo ignorò completamente; egli, invece, deposto lo scettro, sollevò entrambe le braccia in atteggiamento di devozione, con i palmi delle mani rivolti verso l’alto, e cominciò a cantilenare: «O grande Horo, intercedi per noi presso tuo padre Osiride, il grande signore dell’Occidente, affinché egli plachi la giusta ira di Amenmesse il giustificato e lo induca a richiamare da noi le sciagure a cui ci condannò in punizione delle nostre empie azioni! Accogli pertanto l’immolazione di questa vergine sul fuoco purificatore della rinascita!»

Quindi, abbassate le mani, con un segno del dito indice ordinò ai suoi uomini di procedere.

Essi, con pochi e rapidi gesti, strapparono tutte le vesti di dosso a Rachel, che si dibatté inutilmente, urlando dal terrore, fino a quando l’ebbero lasciata completamente nuda, quindi iniziarono ad avvolgerla rapidamente in alcune bende di lino che trassero da un cofano dorato.

«Fermi, lasciate stare mia sorella!» gridò John a pieni polmoni, senza che, però, nessuno gli prestasse ascolto; al suo fianco, Libone, privo di energie, faticava anche solo a reggersi in piedi, mentre Smith e Fournier sembravano aver perso ogni capacità d’iniziativa. Impotente, quindi, John fu costretto ad osservare l’atroce spettacolo delle bende che ricoprivano completamente il corpo inerme della sorella, fino a che solamente il suo viso fu lasciato libero. Stretta dalle fasce ed impossibilitata a muoversi, Rachel venne deposta sopra una graticola che si trovava ai piedi della statua mentre, lentamente, due uomini, con il capo coperto da maschere a forma di testa di sciacallo e muniti di fiaccole, cominciarono ad avvicinarsi da due lati, proferendo orazioni sottovoce.

«No, no!» gridarono all’unisono i due fratelli, mentre al-Farooq, impassibile, osservava la scena dall’alto del balcone.

All’improvviso, tuttavia, egli fu spinto in avanti e precipitò oltre la balaustra, picchiando duramente la testa sul pavimento sottostante. Gli uomini dalle fiaccole si bloccarono di colpo e tutti si volsero verso il balcone, dove erano apparsi Knight e Meziane, armati di fucile, affiancati da Thompson e Abdul, che avevano impugnato le pistole consegnate loro dai due poliziotti. Alle loro spalle, compressa nello spazio ristretto della scala, si scorgeva la sagoma enorme di Summerlee.

«Fermi!» gridò Knight. «Che nessuno si muova!»

Il suo ordine, tuttavia, cadde nel vuoto. Come formiche impazzite per la distruzione del loro nido, gli uomini vestiti da antichi egizi cominciarono a correre nella loro direzione, scagliando le lance e tirando le frecce, che i nuovi venuti schivarono riparandosi dietro il parapetto del balcone. Immediatamente, una salva di proiettili cominciò a rovesciarsi contro i fanatici di al-Farooq.

Anche Summerlee, dal canto suo, sebbene disarmato, riuscì a rendersi utile; arrivato ansimando sull’orlo della balconata, mise un piede in fallo e, perso l’equilibrio, rotolò giù dalle scale, travolgendo e mettendo fuori combattimento alcuni nemici che, intanto, erano riusciti ad avvicinarsi pericolosamente ai loro assalitori.

«Ben fatto, professore!» si complimentò con lui Abdul, raggiungendolo con un balzo.

«Grazie» borbottò il curatore, cercando di rimettersi in piedi.

L’egiziano, ignorando il pericolo a cui andava esponendosi, cominciò a correre attraverso la stanza, abbattendo a colpi di pugni tutti quanti gli si parassero dinnanzi; in un lampo, fu vicino a Rachel, mezza svenuta dalla paura, ma prima che potesse afferrarla per portarla al sicuro, i due uomini mascherati gli si avventarono contro, mulinando le fiaccole come se fossero state delle spade.

Abdul si gettò di lato, evitando di essere colpito da una fiammata, ma non poté impedire che le scintille, cadendo, incendiassero il carbone al di sotto della graticola. Con un ruggito, senza più paura del fuoco, si buttò in avanti, spingendo via i suoi assalitori, per poi avvicinarsi alla nipote e farla rotolare giù dalla griglia prima che fosse troppo tardi.

Intanto, mentre i tre uomini in cima al balcone continuavano a sparare sugli altri per tenerli a bada, Summerlee riuscì a raggiungere il punto in cui John e gli altri si trovavano legati e, con un coltello d’oro raccolto dal tesoro, li liberò dei legacci.

Senza perdere tempo a ringraziarlo, John corse verso lo zio Abdul e Rachel, per aiutarli, mentre Summerlee si vide costretto a sorreggere Libone, che rischiò di cadere a terra, essendo quasi esausto a causa del sangue perduto.

«Presto, datemi una mano!» gridò a Fournier e Smith. «Il professor Libone è ferito e non ce la posso fare a portarlo da solo.»

Per tutta risposta, i due criminali si diedero alla fuga, dirigendosi verso il balcone da cui, nel frattempo, Knight, Meziane e Thompson erano discesi per andare in soccorso ai loro compagni in difficoltà. Il poliziotto li notò ed urlò: «Fermi, voi due!» ma inutilmente, dato che già i due uomini s’erano dileguati su per la scalinata.

«Dannazione!» borbottò, riprendendo a sparare contro gli avversari, che sembravano non finire mai.

Thompson, raggiunto Summerlee, lo aiutò a tenere in piedi Libone per condurlo vero l’uscita, ma, ben presto, si trovarono la via sbarrata da un gruppo di egiziani, per cui furono costretti a fare dietrofront.

Intanto, Abdul, tenendo Rachel sopra una spalla, stava ancora cercando di mettere fuori combattimento i due uomini indossanti la maschera di Anubi, ma si trovava in difficoltà; per sua fortuna, sopraggiunse John che, afferrata una spada caduta di mano ad un avversario ed utilizzandola come se fosse stata una scure, lo liberò in pochi istanti dai due avversari. Deposta a terra la nipote, che nel frattempo aveva recuperato i sensi, lo zio riprese a colpire con calci e pugni ogni nemico che venisse a trovarsi a tiro delle sue braccia; John, invece, si chinò e, celermente, liberò Rachel dalle bende, restituendole poi i suoi abiti perché si rivestisse in fretta.

Knight e Meziane, senza smettere di sparare, si avvicinarono a Summerlee, Thompson e Libone, imprecando in continuazione poiché, pur aprendo enormi vuoti tra le fila dei loro avversari, non sembravano sortire alcun effetto; inoltre, le loro munizioni cominciavano a scarseggiare.

«La vedo brutta» comunicò Knight.

«Effettivamente, questi pazzi fanatici sono davvero tanti» replicò Meziane, al suo fianco.

In quel momento, anche John, Rachel ed Abdul, facendosi largo tra i facinorosi, li raggiunsero, mentre il tiro delle frecce avversarie cominciava a farsi pericolosamente vicino.

«Ma perché non si arrendono?» urlò Summerlee. «Anche se siamo di meno, dovrebbero aver capito che li stiamo falciando a colpi di fucile.»

«È per via di al-Farooq. Non si arrenderanno finché sarà lui ad impartire gli ordini!» rispose Thompson. «È esattamente come negli antichi eserciti: finché il comandante viveva, i suoi guerrieri erano disposti a continuare a lottare ad oltranza. Morto il capo, la guarnigione andava in rotta.»

«Credevo che ci fossimo sbarazzati di lui, facendolo volare dal balcone!» rispose Meziane.

«No, eccolo là che distribuisce ordini come un ossesso!» urlò Knight.

L’egittologo, infatti, era seduto ai piedi della balconata, con una ferita alla testa e la gamba malconcia, ma con addosso ancora abbastanza vitalità da poter continuare ad urlare ai suoi uomini per incitarli a punire i profanatori. Il poliziotto, allora, decise di mettere alla prova le parole di Thompson: sollevato il fucile, prese la mira con attenzione e sparò, colpendo al-Farooq in pieno viso. L’uomo vestito da faraone s’accasciò, terminando immediatamente di gridare. Contemporaneamente, strepitando per lo scoramento, i suoi uomini abbandonarono la lotta e si diedero ad una fuga disordinata verso il balcone, per risalire in superficie.

Thompson ed i suoi compagni, nell’arco di pochi secondi, si ritrovarono completamente soli, avvolti da un silenzio tombale.

«Che mi prenda un colpo» bofonchiò Knight. «Ha funzionato veramente!»

«Siamo davvero salvi?» mormorò Libone.

John e Rachel corsero ad abbracciare il loro nonno, mentre Meziane rispose: «Per il momento, pare di sì. Ma non è detto che quei mattacchioni non intendano aspettarci al piano di sopra per vendicare il loro faraone.»

«È vero» disse Summerlee. «Pertanto, che cosa suggerite di fare, signori? Pensate che possa esserci un modo per uscire da qui senza dover risalire la scala?»

Tutti si volsero in direzione di Thompson, poiché se c’era un uomo in grado di dare una risposta a quella domanda, quello non poteva essere che lui. E l’anziano egittologo, quindi, liberatosi dolcemente dalla stretta dei nipoti, rispose: «Io credo che l’unico modo per scoprirlo sia quello di darci all’esplorazione di questa vasta sala. Tuttavia, osservando le dimensioni di taluni degli oggetti qui raccolti, mi sento di affermare che, quasi sicuramente, un altro passaggio debba esistere per davvero, altrimenti non sarebbe mai stato possibile ammassarli qui sotto.»

Effettivamente, come osservato da Thompson, nel tesoro erano raccolti non solo pezzi finissimi e piccoli, ma anche suppellettili molto grandi, che non sarebbero mai potute passare attraverso la scalinata che avevano percorso loro stessi; pertanto, gli otto componenti del gruppo si sparpagliarono in giro, alla ricerca di un passaggio.

«L’ingresso a questa stanza, però, era murato» spiegò John. «Se fosse lo stesso anche qui, ci vorrebbe un miracolo per riuscire a scovarlo.»

«Effettivamente, le pareti di questo salone sono davvero molto vaste e le luci dei bracieri cominciano ad affievolirsi. Non abbiamo molto tempo a nostra disposizione» brontolò Knight. «Sarà meglio sbrigarci.»

Si sparpagliarono in giro, quindi, ed ognuno iniziò a picchiettare con i pugni chiusi sopra le pareti, alla ricerca di un punto che suonasse differentemente dagli altri; dopo circa un quarto d’ora di indagini, quando le lucerne davano ormai l’impressione di volersi estinguere, Rachel chiamò presso di sé il nonno, verso il fondo della grande sala, per fargli sentire quello che aveva scoperto.

«Qui dietro suona vuoto» spiegò la ragazza, percuotendo con le dita un tratto di muro.

L’anziano egittologo accostò la mano alla parete, affrescata con finissimi rilievi, e si rese conto che, in quel punto, il fondo non era roccioso, ma di mattoni di fango essiccato.

«È vero, qui dietro c’è un passaggio segreto» confermò, prima di riunire attorno a sé anche gli altri.

Il gruppo si radunò attorno alla parete, dove si tenne un rapido consiglio per decidersi sul da farsi. Abbattere il muro avrebbe significato, come già successo al piano di sopra, dover distruggere una parte di pregiatissime ed antiche pitture murarie egizie; non abbatterlo, però, avrebbe voluto dire decidersi a risalire dall’ingresso da cui erano giunti, esponendosi al pericolo di incappare in una pericolosa trappola. Alla fine, seppur con qualche rimostranza da parte di Summerlee e Thompson - mentre Libone, completamente sfiancato, rimase tutto il tempo seduto in disparte, senza proferire verbo - prevalse la decisione di far crollare la parete senza indugiare troppo a lungo.

Furono Abdul, Knight e Meziane ad assumersene il compito, utilizzando delle scuri di bronzo recuperate in giro, con le quali, senza farsi cogliere da troppi rimorsi, distrussero per sempre quelle bellissime pitture, oltre le quali scoprirono un muro che, sbriciolato in pochi minuti di duro lavoro, rivelò effettivamente un altro passaggio segreto, scavato nella pietra.

Il corridoio, buio e non molto largo, si perdeva nelle viscere della terra ma, d’altra parte, l’alternativa era quella di tornare indietro; quindi, accese le proprie torce, il gruppo vi s’avviò risolutamente, deciso a trovare una nuova via. In testa si mise Thompson, mentre gli altri proseguirono in fila indiana dietro di lui, con Knight in chiusura.

Avanzarono per circa una mezz’ora nell’oscurità a stento scalfita dalle loro torce, in completo silenzio, procedendo attraverso quel budello, che per lunghi tratti proseguiva perfettamente diritto, prima di compiere, di quando in quando, una brusca svolta a novanta gradi, segno, certamente, che il cunicolo fosse opera dell’uomo, come del resto dimostravano anche le scritte in geroglifico ed in ieratico che, in talune occasioni, comparivano sulle pareti. All’improvviso, il dottor Thompson alzò un braccio per fermare gli altri.

«Che succede?» domandò Knight, incuneandosi in mezzo agli altri per riuscire a raggiungerlo, anche se non vi riuscì, poiché fu costretto a fermarsi, impossibilitato a procedere, quando giunse alle spalle di Summerlee, che riempiva completamente lo spazio.

«Mummie» rispose Thompson. «A centinaia. Guardate.»

E, sollevata la torcia, mostrò loro che, da quel punto in avanti, dove il corridoio iniziava ad allargarsi, lungo le pareti erano allineate un gran numero di antichi cadaveri imbalsamati. Rachel emise un gemito di ribrezzo, mentre Summerlee domandò, con il suo tono accademico: «Una necropoli?»

«Presumo di sì» rispose Thompson.

John, che si trovava alle spalle del nonno, si avvicinò per vedere meglio. All’improvviso, però, la lucerna che reggeva in mano venne scagliata verso l’alto e ricadde sul pavimento di pietra, infrangendosi, mentre il ragazzo emise un urlo di spavento e di stupore.

«Che succede?» gridò Knight.

«Perché l’hai fatto, John?» lo rimproverò il nonno.

Atterrito, il ragazzo volse lo sguardo sui presenti.

«Non sono stato io» balbettò. «È come… come se una forza invisibile mi avesse strappato la lanterna.»

«Una forza invisibile?» sbottò Meziane con scetticismo.

In quel momento, però, tutt’attorno a loro si levò un brusio indistinto, come se le antiche mummie avessero cominciato a sussurrare parole incomprensibili; gli occhi degli astanti, colmi di eccitazione, si volsero in ogni direzione alla ricerca della fonte di quegli strani suoni.

«Le mummie» mormorò Rachel. «Le mummie stanno parlando!»

Thompson le rivolse un’occhiata piena di angoscia, come se la nipote fosse impazzita.

«Ma che!» sbottò. «Le mummie non possono parlare! Questo che sentite è solamente il rumore del vento ed una corrente d’aria può significare solamente una cosa: l’uscita da questo posto non dev’essere lontana.»

Intanto, però, quell’apparente mormorio aumentava, fino a che, terrorizzati, John e Rachel iniziarono a correre, per fuggire il più lontano che fosse possibile; lo zio Abdul, subito imitato anche dagli altri, si gettò al loro inseguimento, urlando di calmarsi e di non lasciarsi prendere dal panico.

Corsero tutti quanti a perdifiato dietro ai due ragazzi, compreso Libone, sebbene questo gli comportasse uno sforzo incredibile, facendosi largo tra le antiche e polverose mummie ammonticchiate lungo le pareti, mandandole in mille pezzi ogniqualvolta che, inavvertitamente, ne sfioravano anche solo leggermente una, gridando loro di fermarsi e di non avere paura. All’improvviso, però, come attratti da un’oscura presenza i due giovani si bloccarono di colpo, tenendosi vicini, per cui a Thompson, Knight ed agli altri fu possibile raggiungerli.

Ansimando, Thompson aprì bocca, come per redarguirli, ma le parole gli morirono in gola non appena gli fu chiaro che cosa avesse fermato i due nipoti. Percorrendo il corridoio delle mummie, difatti, il gruppo era giunto in un’altra grande sala, con le pareti spoglie, questa volta, e che sarebbe stata completamente vuota, se non fosse stato per un trono, posto in cima ad una scalinata di pietra su cui erano abbandonati diversi scheletri. E, assisa sul trono, vi era un’antica mummia, rivestita degli abiti regali di un faraone, con la doppia corona posta sul capo e gli scettri del potere stretti tra le braccia incrociate sul petto.

Mentre tutti osservavano quella straordinaria scoperta, s’udì un fragore, come di tuono e, nel mezzo di misteriosi ed ipnotici fasci di luce a tratti verdi e ad altri azzurri, quasi accecanti, provenienti da chissà dove, una voce stentorea si levò da ogni lato, mentre la mummia, i cui occhi si tinsero d’un rosso fiammeggiante, si levò all’improvviso in piedi, sollevando le braccia in un gesto imperioso.

 

«Sacrileghi!

Avete scosso le fondamenta del tempio dell’ultimo faraone!

Ogni cosa scompare, nel fuoco purificatore di Seth!

Tutti gli equilibri si sono rotti e i morti non avranno più pace!

Maledetti voi siate!»

 

Improvvisa com’era venuta, la luce verde ed azzurra si dissolse e la mummia del faraone tornò a ricadere pesantemente sul trono, sollevando una nuvola di polvere grigiastra e rimanendo immobile ed inanimata.

Sui volti dei presenti, la costernazione si dipinse palese. Si sarebbero potuti aspettare di tutto, percorrendo quelle vie sotterranee e sconosciute, ma certamente non questo. Quello che avevano appena veduto andava oltre i limiti della comprensione umana, apparendo essere qualche cosa di assurdamente impossibile.

Thompson staccò a fatica gli occhi dal trono faraonico su cui la mummia, adesso, giaceva scompostamente, e si rivolse a Summerlee, che gli stava a fianco, talmente sorpreso che pure sul suo viso, solitamente rubizzo, s’era diffuso un pallore quasi mortale.

«Ma lo abbiamo veduto davvero?» balbettò l’anziano egittologo.

Il curatore lo guardò qualche secondo con aria stralunata, prima di scuotere la testa.

«È stata solamente un’allucinazione» bisbigliò, cercando di convincere innanzitutto se stesso. «È stata niente altro che una strana allucinazione. Qui sotto si respira male ed è risaputo di come la mancanza d’aria giochi strani scherzi al cervello.»

I due uomini rimasero muti e silenziosi, osservando l’antica mummia. Fu Knight, avvicinandosi, a riscuoterli dalla loro contemplazione.

«Signori, dobbiamo andarcene di qui.»

Il dottor Thompson sembrò sorpreso di vederlo al suo fianco, poi però si riprese e rispose: «Sì, andiamo. Sentite questa corrente d’aria? L’uscita da questo labirinto non è lontana.»

Si avviò, seguito da Libone, Summerlee, Knight, Meziane e Abdul che, adesso, sorreggeva i due nipoti.

 

L’uscita, alla fine, fu davanti a loro quando, risalita una scalinata intagliata nella roccia, raggiunsero una vasta caverna naturale aperta nel fianco di una delle montagne circostanti Abu Simbel. Una volta usciti all’aperto, poterono osservare i templi erigersi qualche decina di metri sotto di loro, verso destra, ed il campo base, che pareva essere deserto.

Mentre Thompson, Summerlee, Libone ed i due ragazzi restavano ad attenderli al riparo della grotta, Knight, Meziane ed Abdul raggiunsero cautamente l’accampamento, per scongiurare eventuali sorprese, ma non vi trovarono anima viva. Pensarono di entrare nella tomba per controllare che i fanatici capitanati da al-Farooq non vi si fossero nascosti dentro ma, quando raggiunsero la rampa, ebbero lo sconcerto di scoprire che l’ingresso all’anticamera era stato fatto crollare.

«Quei simpaticoni ci avrebbero voluti seppellire tutti là dentro» constatò Abdul, prima di iniziare a sventolare un fazzoletto, il segnale concordato con gli altri per indicare il via libera ed indurli a scendere dalla montagna.

Quando tutti furono riuniti, Libone venne steso nella propria tenda e rapidamente medicato e bendato; fortunatamente, la ferita non era nulla di grave e gli sarebbe stato sufficiente un periodo di riposo per riprendersi. Tutti si diedero da fare, ma nessuno sembrava intenzionato a parlare di quello che avevano vissuto e visto all’interno della tomba.

Infine, Knight prese per le briglie il proprio cavallo e raggiunse gli altri nel centro del campo.

«Ho rintracciato le orme di Smith e Fournier e, come temevo, si sono diretti oltre il confine con il Sudan. Dovrò riprendere il mio inseguimento.»

«Purtroppo, signor Knight, non potrò più seguirla» rispose Meziane. «Il mio compito finisce qui. Farò ritorno alla guarnigione del Cairo ed indirizzerò un rapporto ai suoi superiori per aggiornarli riguardo gli ultimi sviluppi. Le auguro buona fortuna per la sua caccia.»

«Anche io, a nome di tutta la missione archeologica, le auguro di acciuffare e di assicurare quanto prima alla giustizia quei manigoldi» disse Thompson, porgendogli la mano per salutarlo. «Inoltre, la ringrazio per l’aiuto che ci ha portato: senza di lei, non avremmo mai potuto liberare i miei nipoti dalle mani di quei pazzi.»

Knight, con un sorriso sghembo, si toccò la tesa della bombetta in segno di saluto, poi saltò agilmente in groppa al cavallo, spronandolo verso sud. Si volse all’indietro, sollevando la mano in un ultimo saluto, gridando: «Addio, amici miei, e grazie di tutto!», prima che scomparisse oltre una curva e non fosse più visibile.

Il gruppo rimase per un po’ a fissare la polvere sollevata dalla cavalcatura, poi Summerlee si rivolse a Thompson.

«E noi, caro Henry, che cosa faremo?»

L’egittologo si volse con nostalgia verso il grande tempio di Ramses II, prima di rispondere: «Il nostro compito, qui, è terminato. Raccoglieremo tutti i reperti che abbiamo già imballato, li caricheremo sul nostro battello e li condurremo al museo del Cairo. Per tutto il resto, credo sia meglio mantenere il più grande riserbo.»

«Non vuoi continuare gli scavi?» sbottò Abdul. «Nonostante tutto quello che abbiamo veduto là sotto?»

«Temo che abbiamo visto cose che esulino dal normale lavoro di un archeologo» gli ricordò il cognato. «Credo sia venuto il momento di lasciare davvero in pace i morti.»

«Ed il tesoro?» domandò John.

«Lasciamolo là dove si trova» rispose Thompson. «Quando verrà il momento, saranno altri ad occuparsene. Noi ci accontenteremo di quanto raccolto nell’anticamera.»

«E per quanto riguarda la storia di quei folli che si credevano antichi egizi?» domandò Meziane. «Crede che dovremmo parlarne con qualcuno?»

«Preferirei di no» rispose l’egittologo. «Il professor al-Farooq era un grande studioso, non voglio che la sua reputazione accademica venga macchiata da questo tragico epilogo. Se sarete tutti d’accordo, dunque, qualora ci chiedessero dove sia finito, riferiremo che non lo sappiamo e che, sebbene invitato, egli non si è mai unito alla nostra spedizione. La sua scomparsa, in questo modo, resterà per sempre un mistero impossibile da risolvere, un enigmatico rompicapo, l’ennesimo tra i tanti di questa terra straordinaria, ma, almeno, lo preserverà dall’immeritata derisione che gli deriverebbe se si venisse a conoscenza dei suoi ultimi atti.»

«D’accordo» rispose Meziane.

Summerlee rivolse uno sguardo a Rachel e John.

«E voi, giovanotti, desiderate ancora diventare egittologi come vostro nonno?»

I due ragazzi si guardarono negli occhi, poi sorrisero entrambi.

«Penso proprio di sì!» rispose John.

«Alla fine, ci siamo divertiti!» aggiunse Rachel con entusiasmo.

Il curatore scoppiò a ridere, sbottando: «Ah, la gioventù!»

Poi, poste le proprie manone sulle spalle di entrambi, li guidò verso la tenda principale, dicendo: «Bene, allora, tanto per cominciare, vi darete da fare trasportando le casse dei reperti sulla barca!»

Meziane li seguì, lasciando soli Thompson ed Abdul.

Il grosso arabo mise fraternamente una mano sulla spalla del cognato, dicendo, con tono commosso: «Allora, hai proprio deciso di andartene?»

«Sì, e questa volta per sempre.»

«Mi dispiacerà non vederti più, vecchio.»

«Anche a me dispiacerà molto. Mi mancherai.»

L’anziano egittologo fece scorrere lo sguardo malinconico sulla distesa della sabbia, sulla verde e tranquilla striscia del Nilo, sull’accampamento, sui templi maestosi, sulle rocce frastagliate e sul cielo terso color cobalto, dove splendeva il sole, una delle tante incarnazioni del grande dio Ra: «E mi mancherà anche tutto questo, immensamente» aggiunse, con una punta di tristezza nella voce. «Ma debbo tornare in Inghilterra, per finire di scrivere i miei libri o, almeno, per provarci. Inoltre, finché il tempo me lo concederà, voglio rimanere vicino a Margaret, poiché la sua vicinanza contribuisce a mantenere sempre vivido il ricordo della mia Fatma.»

L’evocazione della memoria di quella donna che era stata cara ad entrambi, fece luccicare gli occhi di ambedue gli uomini. Dopo quell’attimo di scoramento, tuttavia, Thompson aggiunse, con rinnovato impeto: «Ma tu non ti sentirai solo troppo a lungo, Abdul. Ho come l’impressione che ti troverai molto presto tra i piedi Rachel e John. Non avrai il tempo di riposare, perché dovrai corrergli dietro per evitare che si caccino nei guai.»

Nell’udire pronunciare il nome dei due ragazzi, Abdul sorrise, sotto la fluente barba.

Si volse ad osservarli, mentre si davano da fare, sotto l’occhio attento di Summerlee ed aiutati da Meziane, camminando avanti e indietro tra la tenda ed il fiume, trasportando pesanti casse, e rispose: «I bambini saranno sempre i benvenuti. Ed anche tu e Margaret, ovviamente, se un giorno deciderete di fare ritorno.»

I due uomini si strinsero la mano, con vigore nonostante la stanchezza e l’età ormai avanzata per entrambi, poi si diressero entrambi verso il battello, sotto il caldo sole egiziano che faceva rilucere da millenni le acque benefiche del Nilo, vigilate dai colossi austeri e sereni di Ramses il Grande.

 
   
 
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