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Autore: Zobeyde    21/12/2022    2 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ORA PIÙ BUIA
– SECONDA PARTE




I look inside myself and see my heart is black...
Maybe then I’ll fade away and not have to face the facts
It’s not easy facing up when your whole world is black


Paint it Black - 
The Rolling Stones
 
 




«É veramente un piano del cazzo» decretò O’Malley, appena Jim ebbe finito di parlare.
«Io lo definirei il tentativo estremo di arginare un disastro» ribatté Jim. «Però devo chiedervelo: chi è con me?»
Guardò a uno a uno i suoi amici: esausti, col morale a terra dopo tutte le prove che avevano dovuto affrontare e ancora poco a loro agio coi propri poteri. Vanja e Wilhelm continuavano a incastrarsi nelle proprie ali, Frank si muoveva come se camminasse sui cocci di vetro a causa della sua straordinaria forza e Rodrigo si stringeva le mani sotto le ascelle come se avesse paura di incenerire qualcuno per sbaglio.
Erano dei semplici saltimbanchi, dei reietti a cui la vita non aveva mai regalato nulla, ma che all’improvviso si erano trovati il destino del mondo sulle spalle. Se si fossero rifiutati di seguirlo in quella follia, non avrebbe potuto certo biasimarli…
«Credi sul serio che possa funzionare?» domandò Arthur, guardandolo con la massima serietà.
«Credo che abbiamo una discreta percentuale di successo dalla nostra.»
«Cristo, non ti mettere a parlare come Blake adesso!»
«Allora te lo dico così» disse Jim, ricambiando il suo sguardo con forza. «Il destino dell’intera umanità si decide ora e ci sono solo due modi in cui questa storia può finire. Sta a noi scegliere quale.»
«Ci sarebbe sempre la Florida» obiettò O’Malley.
«Io sto contigo» disse Rodrigo, senza traccia di esitazione nella voce. Gli altri lo guardarono stupiti e lui scrollò le spalle. «Be’, cos’altro dovremmo fare ora che abbiamo los poteros? Voltarci dall’altra parte? Scappare? È nostro dovere, una responsabilidad
I gemelli Svanmör si scambiarono uno sguardo e le loro ali traslucide fremettero.
«Pensi quello che penso io, sorellina?» disse Wilhelm.
«Che è l’occasione di mettere in scena il nostro numero migliore?» replicò Vanja con un sorrisetto. «E quando ci ricapita?»
Jim sorrise loro con riconoscenza e si volse verso Arthur. «Lo so che pensi sia una follia…»
«Ah, al diavolo!» Arthur si sfilò la giacca di velluto nero. «Facciamolo. Ma se vai a raccontarlo a qualcuno giuro che ti sbrano!»
Gli allungò Excalibur e si trasformò in leone in pochi istanti, poi con il muso gli fece segno di montare sulla sua groppa. Jim gli si mise a cavalcioni, reggendo con una mano Excalibur e con l’altra mantenendosi alla sua criniera nella maniera più rispettosa che poté.
«Non sei mai stato una spina nel fianco.»
Stupito, Jim si volse a guardare O’Malley. Era sicuro di aver capito male.
«Be’, pensavo dovessi saperlo» borbottò invece lui, con aria imbarazzata. «Considerando che ti ho cresciuto io, sei venuto su discretamente.»
A suo modo, era la cosa più dolce che Jim avesse sentito da parte sua in tutti quegli anni e gli scaldò il cuore. «Grazie, Maurice.»
Il Folletto sputò a terra e si sfregò le mani. «Bene, diamoci un po’ da fare adesso.»
«Tieniti pronto» disse Jim a Rodrigo. «Ne arriveranno parecchi.»
Il mangiafuoco ammiccò e gli mostrò due pollici in su. «Hasta la vista, chico»
Poi, Jim fece un segno a Vanja e Wilhelm e i due trapezisti si issarono in aria, sbattendo le ali in sincronia perfetta, con un piccolo mulinello di polvere e un ronzio come di vespe.
Infine, Jim sussurrò all’orecchio peloso di Arthur. «Quando sei pronto.»
La risposta del leone fu un ruggito fiero e possente, e con uno slancio si diede alla corsa in direzione della Torre.
Il Vuoto venne loro incontro in pochi attimi, mentre Arthur correva a una velocità impossibile per un essere umano e il terreno sembrava liquefarsi sotto le sue zampe. Il muro d’ombra incombette davanti a loro e sopra di lor,o e presto le orecchie di Jim furono invase dalle grida degli abomini di Lucindra. Un gemito di paura gli palpitò dietro la lingua e strinse le dita intorno all’elsa di Excalibur, augurandosi con tutto il cuore di non stare per trascinare tutti loro verso il suicidio.
Le Creature Vuote riempirono il cielo come uno sciame di cavallette, ma la prima sfera infuocata scagliata da Rodrigo si infranse sul petto della più vicina, abbattendola come una palla di cannone.
Una pioggia di fuoco si levò alle spalle di Jim e Arthur e le creature stridettero di rabbia e sorpresa. Approfittando della loro distrazione, Arthur superò la prima schiera e si tuffò nella Torre.
Il buio li circondò e Jim strinse gli occhi per adattarli alla nuova oscurità. L’aria vibrava di elettricità e, in lontananza, fra le dune di sabbia nera e compatta, baluginavano gli archi di energia lasciati dagli incantesimi di Solomon, Alycia, Isabel, Volkov e forse anche Margot, circondati da uno stormo di Creature Vuote e impegnati a fronteggiare gli Zeloti sopravvissuti. Lampi di luce improvvisi illuminavano le figure in lotta e Jim vide che qualcuno era rimasto a terra, ad alcuni metri da loro.
Gli si strinse lo stomaco dal terrore al pensiero che potesse trattarsi di Alycia, ma non c’era tempo per fermarsi: il loro obiettivo era un altro, e in quel momento stava vorticando oltre le nuvole, dentro uno scrigno di oscurità nerissima e invalicabile come una fortezza.
«Jim!» gridò Vanja dall’alto. «Noi siamo pronti!»
Un altro gruppo di mostri si tuffò verso il basso per fermarli e Arthur ruggì.
A quel punto, anche Vanja e Wilhelm si gettarono in picchiata, sbattendo le ali con foga per arrivare a loro per primi. Mentre Arthur continuava a correre all’impazzata, Jim agitò Excalibur alla cieca, per allontanare morsi e graffi e a un tratto si sentì afferrare da sotto le ascelle, non da artigli ma da mani umane, e Vanja e Wilhelm riuscirono a issarlo in aria, virando leggermente.
E questa era la parte facile…
«Attenti!» gridò Jim, intercettando una terza schiera di Creature Vuote all’attacco. Stavano per entrare in collisione, quando uno dei portali di O’Malley serpeggiò tra loro e le bestie, creando un cerchio di fuoco perfetto.
«Gomiti stretti!» lo avvisò Wilhelm, mentre lui e la sorella lo facevano dondolare avanti e indietro come un'altalena. «Ginocchia piegate…ORA!»
I gemelli lasciarono la presa e Jim fu lanciato nel vuoto.
Il volo sembrò durare un’eternità, come se il tempo avesse iniziato inspiegabilmente a dilatarsi: questo pensò, mentre guardava il luccichio di otto schiere di zanne brillare nel buio, sentiva il fetido puzzo di carne in putrefazione delle creature, e il cuore decollargli in gola…
Non ce la faccio.
Non ce la faccio.
Non ce la faccio.
E invece, ce la fece.
Il portale sfrigolò mentre Jim lo oltrepassava per intero, sfuggendo per un soffio agli artigli delle Creature Vuote. Ruzzolò in avanti e colpì malamente un suolo duro, ricoperto di foglie secche.
Jim si issò sui gomiti e recuperò in fretta Excalibur, che era caduta poco distante.
Non aveva idea di cosa aspettarsi, una volta penetrato all’interno del guscio di Materia Vuota in cui Lucindra si era rintanata, ma non fu del tutto sorpreso nel ritrovarsi all’interno del sontuoso e decadente maniero sul lago in cui l’aveva incontrata per la prima volta.
La sua prigione per diciassette anni. L’unico posto al mondo che la strega avesse mai considerato casa.
In allerta, Jim impugnò la spada con entrambe le mani; la lama leggendaria emanava appena un pallido bagliore, niente a che vedere con la luminosità che sprigionava quando era Arthur a brandirla, ma dopotutto se lo aspettava: non era un lavoro da puri di cuore quello che si apprestava a compiere.
Camminò per i lugubri corridoi del palazzo, custodi di tesori e segreti, di amori impossibili e tradimenti, finché non giunse di fronte a una porta socchiusa.
 Qualcosa scivolò dalle travi marce del soffitto, priva di forma. Jim si fermò, l’elsa stretta nella mano e il respiro che accelerava, mentre guardava la melma nera gocciolare sul pavimento in una lucida pozza di pece, da cui emergevano punte di artiglio acuminate e piume di corvo. La melma gorgogliò, innalzandosi di parecchi metri, e assunse una forma abbozzata, provvista di tre paia di ali e di molti occhi e molte bocche.
«Lily» disse Jim, sorprendendosi di quanto suonasse ferma la sua voce di fronte a una visione del genere. «Fatti da parte, devo parlare con lei.»
Il demone non rispose, ma dalla sua figura informe si sprigionavano basse frequenze ostili, che facevano fremere l’aria.
«So che vuoi proteggerla» disse Jim. «Ma morirà se non si ferma.»
Lilith sibilò e i suoi molti occhi di un verde infuocato si assottigliarono, puntandolo con un fare predatorio che conservava qualcosa di vagamente felino.
Avrebbe potuto ucciderlo in meno di un istante, prima che lui se ne rendesse conto. E perché non avrebbe dovuto farlo? Lui non era più il suo padrone, anzi, non lo era mai stato del tutto. E non era più neanche un mago.
Era meno di zero, un essere insignificante quanto una pulce al cospetto di una divinità millenaria. Ma doveva tentare.
«Per favore» mormorò il ragazzo, guardando nel fuoco verde di quelle iridi. «Lasciami andare da lei. Permettimi di provare a salvarla.»
Un fremito scosse le penne grondanti di pece del demone e ogni muscolo in lui si tese. Poi, lenta come era apparsa, la melma strisciò via lasciando libero il passaggio.
Jim cercò di deglutire ma gli sembrava di avere il Sahara nella bocca. Dopodiché, spinse piano la porta e si ritrovò in una stanza dalle delicate pareti azzurro cielo invasa di giocattoli.
La cameretta di Caliban.
Lucindra era inginocchiata sul pavimento al centro della stanza, con il Codice Oscuro aperto di fronte a sé; tentacoli di oscurità si attorcigliavano attorno alle sue membra, alle ciocche scomposte di capelli, la cui fiamma si era spenta in un bianco argenteo. Anche senza i suoi poteri, Jim riusciva a percepire l’immenso potere che irradiava come se fosse vicino a una fonte di calore, e il campo di energia che la circondava rendeva la sua figura tremolante, come un miraggio tra le dune incandescenti di un deserto. Stringeva tra le braccia quella che sembrava una coperta per neonati.
Sollevò lentamente la testa e Jim inghiottì bruscamente il respiro. Aveva perso un occhio, nella cui orbita cava vorticava un nodo di ombre fumose. Rughe profonde le solcavano la pelle un tempo perfetta, ormai cadente e ricoperta di macchie…
«Ti faccio paura, Attraversaspecchi?» La sua voce debole e rauca graffiò le orecchie di Jim. «O dovrei dire, ex…»
Jim strinse l’elsa della spada e lo stomaco gli si torse. Malgrado tutto, scoprì che vederla in quelle condizioni lo addolorava.
«Puoi ancora fermare tutto questo» sussurrò. «Puoi ancora salvarti.»
Lei emise una risata gracchiante che sembrò provocarle dolore.
«Non c’è mai stata salvezza per me. È per questo che il Vuoto mi ha scelta per compiere la sua opera…»
«Smettila con queste stronzate!» esclamò Jim con rabbia. «Il Vuoto non ha scelto nessuno, non esistono predestinazioni: siamo noi a scrivere il nostro destino, con le nostre scelte!»
«Come quella di rinunciare alla magia?»
Lui esitò. «Fosse dipeso da me, probabilmente non l’avrei scelto» ammise. «Ma ho capito che c’è altro per cui vale la pena vivere.»
Lei lasciò andare un sospiro stanco, tremante. «Una famiglia che ti ama, una vita breve e segnata dalla fatica, ma felice… si è trattato di uno scambio equo, alla fine. Ma io cosa otterrei, se rinunciassi? Quale ricompensa mi spetterebbe dopo tutti i miei peccati?»
Jim fece un passo verso di lei, implorante. «Se non puoi farlo per te stessa, fallo per me! Hai detto che potevamo essere una famiglia, che non saremmo stati mai più soli: resterò con te, sempre, potrai riavere quello che Arcanta ti ha tolto.» La guardò negli occhi, con tutta l’intensità e la disperazione che provava. «Potrai riavere Caliban.»
Lucindra serrò le labbra e il suo unico occhio luccicò. Lo lasciò vagare per la stanza e dopo un momento, disse: «Quando fui imprigionata, creai questa casa per sentirmi meno sola. Gli unici momenti davvero felici li avevo trascorsi qui e inizialmente non era il rudere che hai conosciuto: era splendida, proprio come nei miei ricordi. La prima cosa che avrei voluto fare è stato provare a ricreare anche Caliban.» Scosse lentamente la testa. «Ma per quanto tentassi, non sono mai riuscita a riportarlo indietro. È stato solo allora che ho compreso il mio errore: la parte di me che ho ceduto al Vuoto la prima volta era quella che mi permetteva di donare amore. E nel momento in cui vi ho rinunciato, ho perso per sempre anche la capacità di donare la vita.»
Jim si stupì delle lacrime che gli erano salite agli occhi: lacrime di tristezza, per la maga potente, geniale e caparbia, per la donna sensibile e forte che era stata e che ormai non c’era più. Per il vuoto che aveva creato attorno a sé, per il male che si era autoinflitta, per la sua immensa solitudine.
«Quando accolsi dentro di me questa verità, la casa iniziò a marcire» mormorò Lucindra. «E io insieme a lei. Si può dire che abbia dato forma a una metafora, se ci pensi. Questa stanza è l’unica a non aver subito effetti e non sono mai riuscita a spiegarmi il perché.»
Jim si inginocchiò di fronte a lei, posò a terra la spada. «Lucia...»
Un piccolo sorriso affiorò sulle sue labbra pallide e spaccate. «Piangi per me, Jim? Dopo tutto quello che ti ho fatto, riesci ancora a provare compassione? Vedi, è questa la differenza tra di noi.»  Allungò una mano, lentamente, come se le costasse un’enorme fatica, e si accinse a sfiorargli la guancia. «Tu puoi perdonare.»
Si accorse troppo tardi del pugnale. Vide solo un luccichio, e subito dopo la lama che gli bucava la pancia.
Sgranò gli occhi, succhiò il respiro tra i denti. Cercò a tentoni Excalibur, ma una propaggine oscura spinse la spada lontano, fuori dalla stanza.
Lo shock fu tale che il dolore sembrò arrivare in ritardo, dandogli tutto il tempo di andare nel panico, di strisciare lontano dalla strega stringendosi il ventre con un braccio, e gesticolare con l’altro alla ricerca disperata di un appiglio, di un aiuto che non sarebbe arrivato da nessuna parte…
La macchia scura sulla sua camicia si allargava di secondo in secondo. Le sue mani erano sporche di sangue. Il pavimento era sporco di sangue. Persino i soldatini di stagno sparsi intorno lo erano…
«Credevi sul serio di poter vincere, Jim?» gracchiò Lucindra, issandosi faticosamente in piedi, mentre l’oscurità pulsava e sfrigolava intorno al suo gracile corpo ricurvo. «Volevi essere l’eroe di questa storia? Non c’è misericordia nel mondo dei maghi, nessuna possibilità di espiazione: Blake avrebbe dovuto dirtelo il primo giorno.»
Alla fine, il dolore esplose e gli tolse il respiro. Jim si accasciò a terra, le forze che gli venivano meno e la vista che si riempiva di macchie scure…
«E adesso» sussurrò la strega, sollevando la sua mano nera e scheletrica verso di lui. «Morirai da miserabile Mancante, come tua madre...»
In quell'istante, una massa di oscurità si levò come un'onda alle spalle del ragazzo e piombò su Lucindra. Lei urlò, agitando le braccia magre nel tentativo di allontanarla.
«Lilith!» strillò fuori di sé. «Che stai facendo, maledetta stupida?!»
Ma il famiglio non si fermò e continuò ad aggredirla con i suoi artigli, a sbatterle le tre paia di ali di corvo in faccia, spargendo piume nere e melma dappertutto.
«Ubbidisci!» gridò la strega. «É la tua padrona che te lo ordina!»
«Non sei la sua padrona» rantolò Jim, la bocca piena di sangue. «Anche se si sente affine a te, non ti resterà fedele se non ti guadagni il suo rispetto. E hai tralasciato anche un’altra cosa…»
Allargò il braccio con cui si stringeva la ferita, mostrandole il Libro Nero dalle pagine sgualcite e imbevute di rosso.
L’unico occhio della strega si spalancò come se potesse inghiottirlo per intero. Forse, se fossero stati ancora legati dal vincolo con il Vuoto, che gli aveva permesso di entrare in contatto con Lucindra e conoscere a fondo il suo dolore, lei avrebbe percepito le sue intenzioni. Forse, se non fosse stata così decisa a punirlo per non essere più ciò che lei voleva che fosse, si sarebbe accorta dell’inganno.
Di quel banale trucco. Di quel gioco di prestigio.
«Un bravo illusionista...» Le dita di Jim si mossero leste dentro la manica e ne tirarono fuori un frammento di vetro appuntito, lo stesso che aveva usato poco prima per specchiarsi. «...Ha sempre un asso nella manica!»
E spinse la punta nel cuore del Libro.
Dalla bocca di Lucindra proruppe un grido strozzato.
L’inchiostro nero trasudava dal rivestimento di pelle del Codice Oscuro, come un torrente di sangue infetto. Lucindra gemette, si piegò su se stessa, le dita nere che artigliavano furiosamente il petto da cui si sprigionava un vortice di ombre sottili come filamenti.
Un suono vibrante, come il sospiro di un’immensa bestia, scuoté le pareti della stanza, e un istante dopo Lucindra scomparve, disperdendosi come cenere nel vento.
Jim lasciò cadere il libro e il frammento di specchio e si sdraiò piano sul pavimento, trattenendo un gemito, mentre attorno a lui la stanza continuava a tremare. Fissò l’affresco che decorava il soffitto: un cielo azzurro, piccole nuvole bianche, soffici come pecore al pascolo…
Un senso di pace lo pervase e fu solo vagamente consapevole delle crepe che serpeggiavano lungo le pareti, del pavimento che cedeva, dell’abisso che si spalancava sotto di lui…
Non ricordò molto altro, soltanto brevi sprazzi: la sensazione di cadere, come nel dormiveglia. Un possente battito d’ali. Una voce che gridava il suo nome. Poi, il mondo divenne un luogo molto buio.
  
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