Christmas
adventure
❄ peccati ❄
Il suono ottuso della
vibrazione sul legno giunse ovattato al di sotto del caldo abbraccio delle
coperte, seguito da un secondo tremolio, un terzo pochi istanti dopo, un quarto
nell’immediato. Yuri grugnì inquieto nel buio, rigirandosi più volte tra le lenzuola
della brandina cigolante, tirando le coperte sempre più fin sopra la testa ad
ogni aggiunta.
Un quinto tonfo arrivò
dal comodino, un sesto in contemporanea, un settimo, un ottavo, un nono, poi un
decimo. Il cuscino ingoiò il volto e l’imprecazione sussurrata finché dopo il
quindicesimo tutto tacque. Yuri allentò la presa sull’imbottitura in cui stava
tentando di auto soffocarsi sospirando sonoramente.
Il vento ululava
all’esterno infrangendosi a ritmo altalenante con la neve sui vetri, una ninna
nanna fatta di sbuffi e picchietti. La tensione accumulata tornò a scemare dai
muscoli in tensione spingendolo verso il baratro dell’incoscienza.
Alla vibrazione
impetuosa, persistente e ballerina, seguita dal volo solitario intrapreso dal
cellulare desideroso di trovare la pace sul pavimento, Yuri riemerse stizzito
dal bozzolo di coperte sibilando tra i denti la seconda maledizione, sbagliando
lato del letto da cui affacciarsi. La terza invettiva, più forte delle altre, sopraggiunse
alla collisione della sua testa con il muro rammentandogli di non essere nella
sua stanza all’ex monastero Vorkov.
Per tre settimane – a
causa della derattizzazione urgente a cui avevano dovuto sottoporre la
struttura prima di renderla agibile ad ospitare consonamente dei bambini – lui
e la sua squadra avrebbero dovuto soggiornare altrove, proprio nel periodo
natalizio. Un ulteriore regalo sgradito del loro ex carceriere e lo scarso
senso di igiene in cui li aveva fatti vivere, pensiero aggiuntivo di cui Yuri
avrebbe fatto volentieri a meno. In mancanza di ulteriori soldi – poiché
Daitenji aveva già prosciugato le sue casse per la ristrutturazione del
monastero – e con l’appoggio dello stesso presidente della BBA, loro avevano
trovato rifugio e accoglienza presso le suore del monastero di Novodevičij. Il più importante sito religioso di
Mosca, patrimonio culturale mondiale.
Era passata a malapena la
prima settimana e Yuri non vedeva l’ora di andare via.
Il problema non risiedeva
nell’essere costretti a vivere nuovamente in un’altra struttura religiosa, a
contatto con delle suore, a stretto contatto con tutto l’ambiente sacro di cui
ne aveva piene le scatole – anche se questa volta c’erano davvero delle persone
devote – ma nell’accoglienza gratuita e benevolente elargita solo a
parole. Le ultime dodici ore passate a spalare la neve dalle zone per i
visitatori pesavano ancora sulle sue spalle, impedendogli di compiere
agevolmente il più piccolo dei movimenti, come il piegarsi – questa volta dalla
parte giusta – a raccogliere il cellulare.
Senza contare i giorni
precedenti volti ad aiutare con il trasporto degli addobbi natalizi, la
decorazione di souvenir dalla dubbia utilità da rifilare ai turisti, i turni
come aiuto cuoco in cucina, la pulizia delle stanze e altri lavoretti di cui il
solo ricordo ripristinava la stanchezza.
Estenuante.
Sul cellulare recuperato
i numeri digitali indicarono le due e trenta del mattino.
Yuri sorreggendosi la testa dolorante inspirò a fondo per non urlare.
La schermata iniziale di
Telegram aperta con una ditata prepotente mostrò un totale di ottanta notifiche
accumulate nelle ultime due ore, di cui le prime cinquanta appartenenti alla
chat di gruppo rinominata a più mani da Boris e Ivan “I quattro cavalieri
dell'Apocalisse” all’arrivo nel monastero, subito modificata da Sergey in “I
quattro cavalieri dell'appicca-risse” dopo il penoso spettacolo dei due con
il confessore; venti notifiche arrivavano dalla chat di Boris da cui proveniva
in ultimo la chiamata persa e dieci da un gruppo nuovo denominato “SOS –
Salva Boris Kuznestov”.
«Perché non l’ho gettato
nel Moscova quando ne ho avuto occasione…»
Yuri ricadde a peso morto
sul letto mantenendo il cellulare sospeso a venti centimetri dal viso. Era
chiaro quale fosse il nome del suo disturbatore notturno anche se la sua
coscienza voleva concedergli il beneficio del dubbio.
La chat di gruppo
riportava una conversazione unidirezionale ed esclusiva di Boris, costituita
dai loro nomi recitati ad appello in una media di due volte ciascuno,
ovviamente inviati singolarmente per fargli salire l’istinto omicida, e un
ammasso di sticker animati in lacrime di ogni genere di animale esistente,
geneticamente modificato o inventato da qualcuno indubbiamente malato. Yuri
schioccò la lingua scontento, rimuovendo con non poca soddisfazione la spunta
verde alla voce “sticker e gif” accanto al nome di Boris prima di aprire la
chat personale con lui, ignorando platealmente quella con la richiesta di
aiuto.
«Cosa diavolo…»
Il suo nome scritto con cinquecento
“i” occupava mezzo schermo, seguito dal messaggio con l’imperativo di
rispondergli, altri quattro con il suo nome scandito lettera per lettera, un
sesto in cui lo chiamava capitano a caratteri cubitali, un settimo con una gif
di uno scimpanzè su una barella che non era una barella e lasciava lo scimpanzè
a terra – Yuri si soffermò sconcertato più del dovuto a cercare di comprenderne
il senso –, altri quattro sticker a casaccio, il ciclo smozzicato di prima
ripetuto senza nemmeno togliere la spunta di inoltro per concludere con il suo
nome scritto in grassetto.
L’ultimo accesso
sostituito immediatamente dal rimbalzante “Sta scrivendo…”.
“Yuri!!”
“Lo sapevo che eri sveglio”
Yuri emise un verso
seccato a fior di labbra inviando d’impulso “Mi hai svegliato tu deficiente”
che
finì per accavallarsi con la faccina gigantesca in movimento dagli enormi occhi
a cuoricino inviatagli da Boris, seguita da altri quattro messaggi inviati a
raffica in cui dovette pizzicarsi il ponte del naso per non sbottare.
Detestava quella mania di
frammentare le frasi ad ogni invio, l’aveva fatto presente centinaia di volte.
Sergey ed Ivan provavano a fare attenzione fin quanto possibile, lui no. Boris aveva
lo stramaledetto vizio di fargli diventare il cellulare un vibratore.
“Sì, sì, lo so”
“Ma sei l’unico con il sonno
leggero”
“Figurati se Ivan si sveglia così”
“Sergey poi”
«Io lo ammazzo» sibilò
strizzando gli occhi ancora assonnati, una palpebra aperta e una chiusa dinanzi
ai pallini sobbalzanti che non volevano saperne di arrestarsi «Giuro che lo
ammazzo»
“Nemmeno le campane lo buttano giù”
“Poi credo usi i tappi”
“Boris,
cosa cazzo vuoi?”
“Ho un grandissimo problema»
Yuri corrugò le sopracciglia
all’improvvisa sintesi ed essenzialità del messaggio, coinciso e senza alcuna
futura aggiunta a giudicare dall’inaspettata staticità della chat. Boris
funzionava al contrario, quando doveva perdersi in spiegazioni o necessitava di
aiuto bisognava caricare la molla per farlo andare avanti.
“Che
succede?”
“Ho fatto una cosa che non dovevo
fare”
Yuri rizzatosi
immediatamente sul letto rilesse il messaggio con il triplo dell’attenzione
passandosi lentamente una mano fra i capelli sciolti. Le ultime tracce di sonno
erano scomparse lasciandolo fin troppo vigile ad osservare il display
abbandonato sulle gambe incrociate.
“Cosa hai
fatto?”
“Yuri, lo sai”
«Lo sai…» ripeté a sé
stesso con sufficienza nel nulla «Come diavolo dovrei farlo a sapere se stavo
dormendo fino a due secondi fa?!» ringhiò a denti serrati cancellando e
riscrivendo il messaggio un paio di volte prima di propendere per qualcosa di
neutro per non iniziare a litigare telematicamente.
“Ossia?”
“Quindici minuti per scrivere solo
una parola?”
“Ed io che prendevo in giro Sergey”
“che preme lo schermo con un solo
dito alla volta”
“Yuri devi essere più agile con le
dita”
“Boris”
“Yuri”
Yuri si alzò di scatto
dal letto ricadendoci sconfortato due secondi dopo, la schiena adagiata contro
il muro e lo sguardo alla finestra dove la neve continuava a cadere. Non erano
solo le spalle a far male, pure le sue gambe faticavano a reggerlo in piedi.
Nonostante le circostanze diverse, l’essere segregato nella stanzina di un
monastero, stanco morto e assorto a contemplare la neve in piena notte
ricordava sfortunatamente tante altre notti simili.
Detestava Boris e i suoi
casini notturni.
“Parla.”
“No Yu, non iniziare a mettere i
punti”
“Tre”
“Cosa tre?”
“Due”
“Ah”
“Uno”
“Ho capito, ho capito”
“Però non ti arrabbiare”
Yuri inarcò un
sopracciglio picchiettando l’indice sulla scocca del telefono senza degnarsi di
rispondere. Il solo mettere le mani avanti prima di parlare era già
preoccupante.
“Lo sai che odio questa stanza”
“è strana”
«La sua è strana»
Yuri lo borbottò acido
sollevando gli occhi verso quelli della Vergine Maria raffigurata nella tavola
dipinta posta davanti il suo letto. La grande icona mariana occupava quasi
tutta la parete, sistemata su un alterino stracolmo di candele, fortunatamente
elettriche, che non gli conciliavano il sonno ma evitavano almeno il rischio di
far scoppiare un incendio.
D’altro canto, la luce
soffusa diventava l’ultimo dei problemi quando affacciandosi alla finestra vedeva
il cimitero annesso al monastero. Quello era il vero problema.
Le suore in mancanza di
spazio gli avevano ricavato una stanza per la notte in una delle tante adibite
solitamente alle preghiere, categoriche sul non poter condividere le camere fra
loro, probabilmente per chissà quali pensieri malsani scaturiti alla pacca
d’incoraggiamento di Boris che anziché prendergli la schiena era finita sul suo
fondoschiena.
“volevo passare il tempo”
“in modo diverso”
In modo diverso.
Yuri sudò freddo.
“In che modo?”
“Lo sai Yuri, siamo uomini”
“siamo fatti di carne”
“lo so che ci hanno chiesto di non
farlo”
«Ti prego, no»
“ma abbiamo i nostri bisogni”
“dobbiamo soddisfarli”
“Non l’hai
fatto davvero”
“Non ho saputo resistere”
“Boris, una
cosa ti avevo chiesto!”
“è stato uno dei momenti più belli
della mia vita”
“ma ora davanti la porta ci sono le
suore”
“e io non so cosa fare”
Yuri batté la testa sul
muro attirando lentamente una gamba al petto, il volto poggiato sul ginocchio
alla ricerca dell’illuminazione divina. I messaggi a intermittenza avevano
smesso di dargli fastidio, tutto il suo nervosismo era ormai stato dirottato
sui livelli di deficienza del suo amico anche se… poteva rimproverare Boris per
questo? Per essersi goduto finalmente la vita? Vivere in strada per sole due
settimane poteva essere fattibile in fin dei conti.
“Chi sta là
davanti?”
“Sicuro suor Orsola”
“mai nome è stato più giusto, un
orso.”
“Te le ricordi le sue
raccomandazioni?”
“Sì”
“Ecco, questa mi ammazza!”
Suor Orsola, il piccolo
armadio a tre ante dall’accento tedesco, più alto e largo di Sergey.
La suora che per abbracciarlo gli aveva quasi incrinato una costola – non era
certo del quasi per Ivan – dopo le presentazioni di Daitenji e i piccoli
dettagli sulla loro storia. La stessa che aveva tirato fuori una spessa
bacchetta di legno minacciandoli di spiacevoli conseguenze se non avessero
rispettato le regole di castità, buona condotta e un’altra dozzina di norme
scritte su un foglio appeso in ogni camera. Sempre lei che davanti al loro
immediato colorito cereo per gli spiacevoli flashback era scoppiata a ridere
dicendo di scherzare.
Pessimo senso
dell’umorismo.
“Aspetta
che arrivo”
“Ok”
Yuri scostò le coperte
rabbrividendo al contatto dei piedi nudi con il pavimento. Le gambe dolevano ad
ogni passo così come le braccia stese per afferrare i vestiti ordinatamente
ripiegati sulla sedia. In canotta e boxer scoccò un’occhiata obliqua al quadro
cercando di infilare il jeans in una gamba provando contemporaneamente a
scrivere un altro messaggio.
Era inquietante vestirsi
e svestirsi con due occhi fissi su di lui, seppur disegnati.
“Ma lei sei
riuscita a farla andare via?”
“Eh?”
“Chi?”
Il sopracciglio scattò su
meccanicamente insieme alla zip dei pantaloni.
“Lo spirto
santo”
“Come chi,
la fonte dei tuoi problemi idiota!”
“No! Sta ancora qua!”
Il telefono aperto sulla
conversazione finì abbandonato sulla sedia.
Yuri scosse il capo facendo attenzione a non stirare troppo le braccia mentre
il maglioncino scivolava al suo posto. Il problema più grande sarebbe venuto a
galla con le scarpe.
“Se sapevo come fare non ti
chiamavo”
A fatica riuscì ad
infilare il primo scarponcino.
“Come credi debba sbarazzarmi da
solo di un bombolone alla crema di sette chili?!”
“Mi serve per questo il tuo aiuto”
Cosa?!
Yuri smise di fare il
contorsionista fissando sbigottito il display del cellulare. La gamba ancora
sollevata sul poggia-candele per agevolare la legatura dei lacci tirò alla base
del polpaccio ma non gli diede peso. Incapace di muoversi o fare qualunque domanda
continuò a fissare ad occhi sbarrati gli ultimi due messaggi avvertendo
distintamente la sua temperatura corporea salire.
“Yu, ci sei?”
“Perché visualizzi e non rispondi?”
Un bombolone alla crema.
Era stato svegliato dopo una giornataccia estenuante per un bombolone alla
crema.
«Tu mi hai svegliato alle
due e mezza del mattino SOLO perché non sapevi come disfarti di un bombolone
alla crema di sette chili?» esordì ad un soffio dal microfono quasi scavando lo
schermo sul pulsante di registrazione, scandendo bene ogni singola parola, a
ritmo contenuto, con una calma da fare invidia al più integerrimo pacifista
«Buttarlo dalla finestra no, eh?»
“Te lo sto dicendo da mezzora!”
“Ma quale finestra e finestra,
domani lo vedrebbero”
“Si alzano col gallo queste”
“Io non ne potevo più del loro
Ramadan!”
“Lo stomaco brontolava”
Yuri evitò di
sottolineare che il digiuno di quaranta giorni prima di Natale effettuato dalle
suore, a cui loro purtroppo si erano dovuti adeguare, fosse nettamente diverso
dal Ramadan islamico. Era fiato sprecato, in quel caso, cartilagine delle dita
usurata inutilmente.
“Se Maometto non va alla montagna,
la montagna va da Maometto”
Soprattutto se metteva in
mezzo Maometto.
“Hanno scassato il cazzo”
Lui era il capitano,
doveva sistemare i casini della sua squadra.
“Loro, il digiuno e il Natale”
Da lui dipendeva anche la
sopravvivenza degli altri due.
“Io volevo mangiare”
Era una sua
responsabilità.
“Yu, ma ci sei?”
Doveva ingoiare il rospo,
trattenere la rabbia per altri quattordici giorni e poi eventualmente
sopprimere la pecora nera del gruppo. Facile a dirsi, no?
Da dove
cazzo lo hai fatto entrare un bombolone alla crema di sette chili, di notte, in
questo posto in cui la sicurezza fa concorrenza al KGB?! Nemmeno posso tirare fuori
il beyblade che subito mi ritrovo una suora alle spalle!
“L’ho rubato dalla dispensa di suor
Orsola”
….
….
….
«Andiamo Yuri, ti vuoi
dare una mossa?»
Boris schioccò le dita
freneticamente facendo avanti e indietro nella stanza.
Nel corridoio le voci si erano attenuate, evidentemente sfiancate da una caccia
surreale, anche se poteva ancora sentire i passi pesanti di suor Orsola andare
da una parte all’altra borbottando qualche stranezza in tedesco.
«Dai, quanto ci metti»
Stufo di aspettare
sbloccò il cellulare mandano altri tre messaggi apprensivi al suo capitano,
notando per la prima volta la singola spunta di consegna ai messaggi,
l’improvvisa scomparsa della foto profilo di Yuri e l’ultimo accesso risalente
a “molto tempo fa”.
«Ma…cosa…»
Al tentativo di chiamata
per sviare i dubbi lo schermo gli restituì l’avviso di connessione fallita con
l’allegro messaggio che invece di rassicurarlo sortì l’effetto opposto.
“Spiacente, non puoi chiamare Yuri a
causa delle sue impostazioni di privacy”.
«Non ci credo… Mi ha
bloccato!» sbottò ripetendo inutilmente l’operazione più volte, premurandosi di
mantenere un tono di voce contenuto per evitare di attirare l’attenzione del
segugio appostato dinanzi la porta «Lo stronzo mi ha bloccato!»
Boris fissò a bocca
aperta il cellulare spostandosi nella chat di gruppo in comune con Ivan e Sergey,
constatando suo malgrado di non poter comunicare nemmeno lì.
«Fottuto mestruato»
Il suo capitano era
sempre stato troppo irascibile e vendicativo, ma con un limite. Era
drasticamente peggiorato da quando si erano trasferiti là dentro. La colpa era
senz'altro l’assenza di un pranzo normale, degli zuccheri, dei grassi saturi…almeno
prima dopo una fetta di crostata gli poteva rivolgere la parola civilmente. Persino
chiedere un favore! Ora era praticamente impossibile anche parlargli. Yuri era pronto a saltare alla sua giugulare
al minimo sospiro… o a bloccarlo senza motivo per i suoi cinque minuti da
isterico.
Nemmeno un grazie gli
aveva inviato, eppure aveva pensato a lui con cui mangiare insieme il dolce
sgraffignato.
«Ingrato»
Era stato abbandonato al
suo triste ed ignobile destino. L’unico modo per uscirne vittorioso era quello
di combattere e rinfacciare a Yuri l’indomani l’aiuto non fornito, magari alla
presenza di Sergey così da avere manforte nel farlo sentire in colpa.
Non gli restava che farsi
coraggio.
Boris convintissimo
inspirò a fondo, le mani battute sulle ginocchia e una luce risoluta negli
occhi. Lo sguardo fisso dinanzi a sé, alla seduta della sedia con in bilico il
bombolone alla crema di sette chili. La forchetta stretta nella mano destra.
«A noi due bombolone»
Note:
Adoro la sezione delle note, posso parlare da sola! :D
Lo so che vi starete chiedendo di quali disturbi io soffra per partorire
delle idee così strane ma avevo bisogno di scrivere qualcosa per riprendere il
ritmo e dedicarmi a tutto quello che ho lasciato in sospeso. Abbiate fede
(come sono spiritosa!), non durerà a lungo.
Il Natale è fatto di gioia, leggerezza, allegria…e per questo motivo io ho fatto precipitare dalla
padella alla brace questa povera squadra che nemmeno l’ha mai vissuto XD. Il genere
principale è senz’altro quello comico, ma non sono brava a mantenermi in un
unico settore; quindi, non sorprendetevi se qua e là troverete delle frasi un
po’ più “serie”.
A parte gli scherzi, so che potrebbero esserci imprecisioni qui e nei
prossimi capitoli sulla gerarchia ecclesiastica ortodossa, la planimetria del
monastero e varie cose annesse ma consideratele delle libertà poetiche, non
sono molto ferrata su tutti gli usi di questa religione.
Infine, dato che io i social che ho collegato a questo profilo nemmeno
li uso in maniera costante, se volete fare quattro chiacchiere mi trovate su telegram con il seguente nick: @Aky96 o nel gruppo di EFP.
Detto questo, la chiudo qui prima di occupare troppo spazio. >.<
Buon Natale a tutti e al prossimo capitolo! ❤
Aky
Questi personaggi non mi
appartengono, ma sono proprietà di Takao
Aoki, questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro