Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Zobeyde    15/01/2023    5 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO "POST CREDITS"

 QUANDO IL CIRCO ARRIVA IN CITTÀ 
 
 
 
Quattro anni dopo…
 
 


Secondo i più, l’autunno era la stagione migliore dell’anno per godersi il New Jersey: i boschi si vestivano di caldi toni rossi e oro, e le temperature permettevano ai giovani di concedersi un ultimo bagno nel lago e intrattenersi fino a tardi al pub del paese.
A Tom Doherty, però, l’autunno infondeva sempre una gran malinconia, motivo per cui cercava di riempire il più possibile le sue giornate. Non che il lavoro mancasse alla fattoria, questo era sicuro: il mais era dorato al punto giusto ed era ora di raccoglierlo, così come i cavoli, le carote e le patate nell’orto. Bisognava arare i campi, seminarli, sistemare la stalla per l’inverno, tagliare la legna e metterla a seccare…
Tutte attività che avrebbero tenuto la sua mente occupata, impedendo ai ricordi dolorosi di farsi strada nel suo cuore. O almeno, se lo augurava. Se lo augurava ogni anno.
Quella mattina, Gandalf era particolarmente su di giri: mentre Tom si preparava il caffè in cucina, non aveva fatto che correre intorno al tavolo, scodinzolare e abbaiare a qualcosa fuori dalla porta.
Sebbene il suo compito principale fosse fare la guardia, oltre che badare al bestiame, il vecchio pastore inglese dal lungo pelo grigio era sempre stato un pelandrone, il che si sposava perfettamente con l’indole tranquilla di Tom. Eppure, qualcosa o qualcuno lo aveva messo in agitazione.
Allarmato, Tom aveva scostato le tende e sbirciato all’esterno, ma il vialetto rischiarato dalle prime luci era deserto. Forse aveva fiutato una volpe.
Non se n’era più preoccupato fino a che non era uscito di casa per andare al lavoro, notando che qualcosa sporgeva dalla cassetta della posta.
Due biglietti per il circo.
Tom sollevò il cappello e si grattò la testa. Non si era nemmeno accorto che fosse arrivato un circo in città. Ma erano davvero per lui? E chi mai li aveva lasciati?
Chiunque fosse, aveva commesso un errore: ormai da parecchi anni, lì ci viveva soltanto Tom, sempre che al giorno d’oggi non fosse imposto di pagare il biglietto pure ai cani. Perplesso, intascò i due biglietti e raggiunse la sua Ford.
La giornata si trascinò lenta come al solito. A mezzogiorno, Tom mangiò il suo sandwich all’ombra della solita quercia, lasciando a Gandalf gran parte del prosciutto e sfogliò qualche pagina di un romanzo che aveva acquistato quell’anno: Lo Hobbit, una strana storia che parlava di regni lontani, nani guerrieri, stregoni amichevoli e draghi a guardia di tesori.
Prima di rincasare, fece un salto ad Avalon per comprare la vernice con cui avrebbe imbiancato la staccionata nel weekend. All’entrata del ferramenta, c’erano due signore che parlavano del circo:
«Ci siamo passati davanti stamattina: Tony ha fatto il diavolo a quattro, ho dovuto trascinarlo in lacrime fino a scuola!»
«Anche il mio Charlie non vede l’ora di andarci! Steven ha promesso di portarcelo questo sabato.»
«Sono dei piccoli ricattatori!»
Entrambe si misero a ridere e anche Tom non riuscì a trattenere un sorriso. Un ricordo dolce e straziante si insinuò in lui a tradimento, il ricordo di un ragazzino imbronciato, con arruffati capelli rossi uguali ai suoi, che pestava i piedi sul pavimento della cucina piagnucolando: “Voglio andare al circo! Ci vanno tutti, perché io no? Non mi porti mai da nessuna parte!”
Il mio James…
Quella volta aveva ceduto alla sua richiesta e James si era divertito un mondo: aveva fatto una scorpacciata di schifezze, riso di fronte ai clown che si lanciavano torte in faccia, battuto le mani alle prodezze del domatore di belve feroci, sgranato gli occhi per gli acrobati che volteggiavano sul trapezio …
Aveva vissuto un assaggio di vita vera, una vita che gli era stata negata troppo a lungo…e, quello stesso giorno, gli era stato strappato via per sempre.
Un senso di soffocamento gli afferrò la gola, lo sentì risalire fino agli occhi, facendo affiorare le lacrime contro la sua volontà. Inutile rivolgersi alla polizia, inutili i manifesti sparsi per ogni città della contea.  Così come lo era stato affidarsi alla solidarietà dei compaesani, alle ricerche nei boschi fino a tarda notte, al peregrinare nel New England, nella speranza che qualcuno gli fornisse un indizio su cosa fosse accaduto a suo figlio…
Pagò la vernice e uscì dal negozio.
Appena lasciato il paese, iniziò a piovere a dirotto; Tom guidò con prudenza lungo la strada coperta di fango e sul ciglio notò un’auto ferma e una donna che cercava invano di coprirsi la testa con la borsa.
Gandalf prese subito ad abbaiare e a fare le feste. Tom fermò il furgone.
«Grace! Santo cielo, che ti è successo?»
«Oh, ciao Tom!» La donna sorrise, malgrado fosse letteralmente zuppa: era esile e piccola di statura, i capelli biondi incollati al viso. «Stavamo tornando a casa…ma ho paura di aver forato!»
Da dietro il finestrino dell’auto in panne, fece capolino una ragazzina di sei anni con le treccine, che lo salutò allegramente.
«Ma c’è anche Lizzie!» disse Tom, ricambiando il saluto. «Saltate su, vi do un passaggio. Una volta a casa potrai chiamare il carro attrezzi.»
«Sei veramente un angelo, grazie!»
Grace Warren – o la vedova Parrish, come ormai la chiamavano tutti – insegnava alla scuola elementare ed era la sua vicina: lei e il marito John avevano comprato sette anni prima il ranch dei Winchester, quando il vecchio Colm era andato a stare dai figli a New York.
Due anni dopo la nascita della piccola Elizabeth, però, John si era gravemente ammalato e non era riuscito a superare l’inverno. Da allora, Grace aveva cercato di tirare avanti, sobbarcandosi la responsabilità di crescere sola la figlia, lavorare e cercare allo stesso di far fruttare la terra.
Tom l’ammirava molto, per questo si offriva sempre di darle una mano se poteva: lui, senza più sua moglie e suo figlio e lontano dalla propria patria, conosceva bene la solitudine.
Lungo la strada, chiacchierarono amabilmente come al solito: del raccolto, dei progressi di Lizzie in matematica, delle marachelle dei bambini a scuola…
«Sono tutti eccitati per l’arrivo del circo» disse Grace. «Pare non si sia mai visto uno spettacolo del genere, non da queste parti, almeno. E le ragazze sono già tutte innamorate dell’illusionista!»
«Sembra che ormai non si parli d’altro» borbottò Tom. «Voi ci andrete?»
«Mamma dice che il biglietto costa troppo» rispose Lizzie, un pelo amareggiata.
«Tesoro, lo sai che i lavori al ranch hanno la priorità quest’anno» replicò sua madre. «Altrimenti non lo comprerà nessuno.»
Tom esitò. «Hai…ehm, hai già avuto qualche richiesta?»
«Un tale di Filadelfia è interessato: abbiamo parlato solo per telefono, ma sembra un signore a modo.»
«Bene» replicò Tom, ma dentro di lui avvertì una fitta di disagio. Era da mesi che ne parlavano: col passare degli anni e a causa della Crisi, Grace si era convinta di non essere più in grado di gestire la proprietà e aveva deciso di venderla.
“Col ricavato potremo trasferirci a Trenton” gli aveva spiegato, mentre prendevano il tè da lui. “Io continuerei a insegnare e Lizzie avrebbe da parte abbastanza soldi per il college.”
Tom aveva ammesso a malincuore che sembrava la soluzione la migliore per il futuro della bambina.
“La vita qui mi è sempre piaciuta” aveva commentato poi Grace, con un sospiro triste. “Ma da sola è diventata dura. L’unica cosa da fare è andarmene…be’, a meno che non trovi un valido motivo per restare.”
Tom a quel punto aveva sentito l’impulso di fare qualcosa di folle, di afferrarle la mano e implorarla di ripensarci…ma era riuscito a trattenersi prima di combinare un disastro e annegare qualunque sciocchezza stesse per dire dentro la sua tazza.
Grace negli anni era diventata importante nella sua vita, più di quanto volesse ammettere… ma non voleva farsi illusioni: poteva aver frainteso la sua gentilezza per qualcos’altro, qualcosa che forse era solo nella sua testa…dopotutto, quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva corteggiato una donna?
Dopo la morte di Abigail, il suo cuore si era rifiutato di aprirsi ad altre relazioni: lei era stata il suo primo amore, il suo miracolo, un barlume di speranza durante la Guerra…e quando se n’era andata, anche la luce aveva abbandonato per sempre il suo mondo.
Ma Grace era stata in grado di restituirgli il sorriso dopo anni e Lizzie era la bambina più dolce che esistesse: che fosse arrivato il momento di concedersi una seconda occasione? Di essere di nuovo felice…?
«…dice che tutti quegli ettari gli fanno gola» stava raccontando intanto Grace, riportandolo bruscamente alla realtà. «Ma lo preoccupa lo stato in cui si trovano i terreni. Angus fa del suo meglio ma è anziano, non ce la fa a occuparsi di tutto da solo…»
«Perché non l’hai detto subito?» fece Tom. «Ti aiuto io, che problema c’è?»
«Ti ringrazio Tom, sei sempre troppo generoso con noi. Ma avrai già il tuo daffare, non oserei addossarti altro lavoro…»
«Posso passare questo sabato» ribatté lui, forse con un po’ troppo slancio. Sentì le orecchie scaldarsi e balbettò: «Sempre se…se non hai già dei programmi, è chiaro.»
Lei arrossì. «Be’, no.»
«Così mamma potrà mettere il vestito a fiori che le piace tanto» s’intromise Lizzie, con un sorrisetto. «Non vedeva l’ora di fartelo vedere…»
«Lizzie!» esclamò immediatamente Grace.
Tom sentì subito un sorriso idiota affiorare, ma non disse niente.
Giunsero alla proprietà dei Parrish quando aveva smesso di piovere.
«Grazie ancora per il passaggio» disse Grace, scendendo dall’auto. «Come si dice, Lizzie?»
«Grazie Tom!» disse la bambina e dopo aver coccolato un altro po’ Gandalf seguì la madre verso casa.
Tom le guardò allontanarsi, poi si ricordò di cosa avesse nella tasca e gridò: «Aspettate! Ho qualcosa per voi!»
Le due tornarono indietro e Tom porse a Grace i due biglietti trovati quella mattina. «Qualcuno me li ha lasciati per sbaglio nella cassetta della posta.»
Lizzie era fuori di sé dalla felicità. «Andiamo al circo! Andiamo al circo, vero, mamma?»
«Oh, Tom, grazie!» Grace lo guardò, il bel viso leggermente arrossato e domandò con una vocina sottile: «Perché…perché non ci accompagni? Ci farebbe piacere!»
Lui si sentì andare nel panico. «Oh, io…io ti ringrazio, ma non è un lusso che posso permettermi…e poi ho lo steccato da riverniciare, le grondaie da pulire e…»
«Ah» fece lei, con aria delusa. «Sì, certo, capisco. Non preoccuparti.»
Imbarazzato, lui sollevò il cappello in segno di saluto e mise in moto, ma a un tratto Grace esclamò: «Un momento! Possiamo usare noi due i biglietti! In questo caso ci verresti?»
«E Lizzie?» fece Tom, meravigliato.
Grace gli rivolse un gran sorriso: «Qui c’è scritto che i bambini sotto i sette anni entrano gratis!»
 

Sabato mattina, Tom indossò il completo riservato alla messa domenicale, indugiò in bagno più tempo di quanto fosse abituato a fare e poi, puntuale come un orologio svizzero, passò a prendere Grace e Lizzie.
Lungo la strada c’era molto traffico e tutti erano diretti nella stessa direzione, al grande prato di fronte al lago dove il circo aveva piantato le tende. Trovarono un gran numero di automobili parcheggiate e una folla rumorosa ed eccitata a fare la coda alla biglietteria; quando notò che molti, grandi e piccoli, indossavano maschere mostruose, Tom realizzò che doveva essere il giorno di Halloween.
«E io non ho nemmeno il costume!» brontolò Lizzie, ma si accorsero che erano state messe a disposizione di chiunque ceste piene di travestimenti a tema: Grace prese un cappello da strega per sé e per Lizzie e offrì un mantello a Tom, che indossò di buon grado.
Iniziava però a essere genuinamente curioso e allungò il collo sopra la moltitudine di teste: vide svettare una quantità impressionante di tendoni dalle forme e le dimensioni più variegate, verdi, rossi e oro, sovrastati da un’insegna enorme e luminosa come un faro:
 
IL GRAN GALÀ DELLE MERAVIGLIE DEI FRATELLI KING
 
Fortunatamente, la coda procedeva veloce e nel giro di pochi minuti furono al botteghino, dove un omone a dir poco gigantesco staccava i biglietti.
«Accidenti! Bel costume, amico!» commentò un ragazzo davanti a loro e Tom dovette riconoscere che, con quella pelle grigio-verdastra, le orecchie a punta e le zannone, il bigliettaio era davvero spaventoso. Malgrado il suo aspetto, offrì loro un sorriso gentile e regalò a Lizzie un lecca-lecca a forma di zucca.
Non appena messo piede nel cortile, Tom non riuscì a trattenere un “oh” di sorpresa: quel posto sembrava una città.
Ovunque i suoi occhi si posassero erano sopraffatti da un caleidoscopio di forme e colori: tutto era in movimento, le insegne a neon che lampeggiavano, i grappoli di palloncini colorati che fluttuavano dappertutto e poi lanterne di carta che illuminavano il dedalo di sentieri tra i tendoni.
Chioschi di cioccolata calda aromatizzata, zucchero filato, caramelle e leccornie varie erano disseminati qua e là e c’era un’infinita gamma di attrazioni tra cui scegliere. Gli indecisi potevano comunque godere delle performances dei numerosissimi artisti che si esibivano tra la folla: un uomo dai baffoni a manubrio aveva sollevato un furgone con una sola mano e poco più avanti una folla si era riunita in cerchio per assistere all’esibizione di un ragazzo ispanico sulle cui dita guizzavano fiammelle vive. Una grande galleria invece ospitava una serra piena di piante così strane che Tom dubitava fossero vere: i bambini si rincorrevano ridendo in mezzo a funghi giganti, si dondolavano sulle liane o facevano lo scivolo sulle radici di un enorme baobab rosa. La cosa più stupefacente però fu quando incrociarono una tigre a spasso tra la folla, come fosse la cosa più normale al mondo…per poi rendersi conto che non si trattava di una vera tigre, ma…
«É una macchina!» esclamò Lizzie.
Ce n’erano altre che scorrazzavano per l’accampamento, giraffe, dromedari, ippopotami e persino un elefante: automi di metallo e bulloni, ma identici in tutto e per tutto ad animali veri, di cui non videro traccia.
Vi era però una pista da ballo, di fronte a un gazebo illuminato dove una piccola orchestra suonava jazz; il direttore era un signore distinto, nero, con arruffati capelli grigi che lo facevano somigliare a un leone.  Mentre ascoltavano la musica e guardavano i ballerini, Grace trasalì e indicò qualcosa in alto. «Oh, cielo! Tom, guarda!»
Lui alzò la testa e vide un ragazzo e una ragazza bellissimi che si libravano sopra la folla come se stessero nuotando nell’aria: gli strascichi scintillanti dei loro costumi sembravano code di cometa.
«Come fanno?» domandò Lizzie, tirandogli la manica. «Come fanno a star su, Tom?»
«Be’…» fece lui, senza sapere cosa risponderle. Non gli era sembrato di scorgere fili o ganci a cui potessero essere appesi.
Per fortuna, Lizzie era così presa da ciò che aveva davanti da non pretendere a tutti i costi una risposta, ma bisognava tenerla d’occhio in mezzo a quella confusione, visto che saltellava da una parte all’altra come un grillo…
«Lizzie, non correre!» la sgridò sua madre. «Guarda, hai anche perso il cappello..!»
«Signorina» disse una voce dietro di loro. «Le è caduto questo.»
Si trovarono di fronte un giovane afroamericano, con indosso una redingote bordeaux abbinata a una camicia inamidata, a un paio di pantaloni neri e a un cilindro ornato di frange dorate. In mano reggeva il cappello da strega di Lizzie.
«Grazie, signore» disse timidamente la bambina. Il giovane sorrise e sollevò il cilindro educatamente.
«Spero che stiate trascorrendo una piacevole serata» disse poi, rivolto a Tom.
«Oh, sì!» fece lui, improvvisamente a corto di parole. Possibile che si trovasse di fronte il direttore? Sembrava così giovane! «La ringrazio, signor…»
«King» rispose il ragazzo, allungando la mano guantata di seta. «Arthur King. É un onore conoscerla di persona, signor Doherty.»
Lui si tese all’istante. «Un momento, come sa il mio nome?»
«Lei è l’ospite d’onore» rispose King, ammiccando. «E se posso darle un suggerimento: la nostra coppia di illusionisti si esibirà tra pochi minuti, sono sicuro che apprezzerà il loro numero.»
Tom non ci stava capendo niente. «Allora è stato lei a lasciarmi i biglietti…?»
«Si goda lo show» replicò solo il ragazzo e dopo essersi accomiatato con un inchino, li superò per immergersi tra la folla.
«Lo conosci?» sussurrò Grace, stupita.
«Non l’ho mai visto in vita mia.»
Seguendo le indicazioni, raggiunsero presto la tenda degli illusionisti, decorata con spirali nere e bianche: l’insegna all’ingresso recitava, in eleganti lettere corsive:
 
Lasciatevi stregare da Monsieur La Rue e Mademoiselle Dimanche
 
L’interno era molto più vasto di come appariva da fuori, illuminato da una teoria di candelabri e con una cinquantina di poltrone di velluto blu disposte in cerchio. Al centro, solo una piattaforma circolare e bianca come una luna piena.
«Credi sia uno spettacolo adatto ai bambini?» chiese Grace, mentre occupavano gli unici tre posti liberi in prima fila. Prima che Tom potesse rispondere, le luci si spensero e un mormorio agitato percorse la platea.
«Signore e signori.» Una giovane voce maschile si diffuse in ogni direzione, costringendo gli spettatori a voltarsi spaesati sulle sedie. «Monsieur La Rue e Mademoiselle Dimanche vi danno il benvenuto allo spettacolo di questa sera!»
Un istante dopo, un lampo squarciò le tenebre e una scarica di fulmini piovve dal nulla al centro del palco.
La reazione del pubblico non si fece attendere: Tom vide la gente saltare sulle sedie e precipitarsi all’uscita, per scoprire che le aperture erano scomparse. Grace strinse Lizzie a sé, spaventata.
Le saette continuarono a ronzare sul palco finché, in mezzo a esse, apparve un giovanotto con indosso un semplice completo da sera nero.
Emerse tra le scariche elettriche indenne e sorridente, si inchinò e sollevò il cilindro, mostrando una chioma bianca come neve appena caduta. Quando si raddrizzò, Tom emise un gemito strozzato. «James!»
Non aveva più i suoi capelli rossi ed era cresciuto, era diventato un uomo. Ma Tom avrebbe riconosciuto suo figlio ovunque…
Con nonchalance, il giovane allungò una mano come per afferrare una scarica elettrica e tutti trattennero il fiato; una saetta si staccò dalle altre, crepitando tra le mani del mago, che iniziò a piroettare come se stesse danzando con essa.
«Che meraviglia!» sussurrò Grace, incantata.
Il fulmine si allungò e si contorse e al suo posto comparve una bella ragazza dai ricci corvini, interamente vestita di diamanti. I due giovani continuarono a volteggiare, dopodiché si separarono e batterono le mani in sincrono.
Accanto a Tom, un uomo sobbalzò quando da sotto il suo cappello fece capolino una colomba bianca e molte altre si levarono in volo da sotto i loro sedili, suscitando una serie di “oooh!” meravigliati.
Tom guardava il giovane mago con occhi sgranati e pieni di commozione: non riusciva ancora a credere che lui fosse lì, che fosse vivo…
Credevo di averi perso per sempre…
Con un gesto plateale, Monsieur La Rue rimosse il cilindro e dopo averlo fatto rotolare sul braccio, ce lo infilò dentro fino alla spalla come se fosse senza fondo, per estrarne un mazzo di rose blu. Le offrì alla ragazza vestita di diamanti, che sorrise e vi soffiò sopra, tramutando i fiori in un nugolo di farfalle; il pubblico sospirò estasiato mentre svolazzavano sulle loro teste, svanendo nel buio.
Dopodiché, il mago lanciò in alto il cilindro: la stoffa si tramutò in un paio di lucenti ali nere spiegate e un corvo passò in volo sulle poltrone, gracchiando. Mentre la gente boccheggiava sbalordita, il corvo compì un largo giro della tenda e poi, richiamato da Mademoiselle Dimanche, calò in picchiata verso il palco…
«Oddio!» esclamò Grace.
Le ali del corvo avvolsero la ragazza come una colata d’inchiostro, tingendo il suo vestito di un nero trapunto di pietre preziose, come una notte stellata.
La platea era impazzita, ma andò in estasi quando il giovane tirò fuori da chissà dove un grosso specchio intarsiato e la sua compagna lo attraversò per intero: svanì nel nulla, ma non prima di aver salutato la folla facendo emergere dal vetro solo un braccio.
Infine, anche il ragazzo sparì, inghiottito una nuvola di fumo blu.
«Sono bravissimi!» commentò Grace, mentre la gente ancora applaudiva. «Non avevo mai visto niente del genere.»
Tom però non perse tempo. Dopo aver borbottato delle scuse, lasciò la tenda per mettersi in cerca del ragazzo coi capelli bianchi.
«James!» lo chiamò, facendosi largo sul sentiero affollato. «Per favore, fatti vedere..!»
«Ti ho sentito, papà, non c’è bisogno di urlare.»
Tom fece un balzo e si voltò. Monsieur La Rue era di fronte a lui, ma aveva sostituito il completo elegante con un giubbotto in pelle da aviatore, e nascosto la chioma albina sotto un berretto degli Yankees. In mano reggeva due tazze fumanti.
«Cioccolata?» chiese, allungandogliene una.
Scombussolato, Tom la prese, senza smettere di fissarlo.
«Facciamo due passi» disse il ragazzo, facendogli strada. «Ho un’oretta libera prima del prossimo spettacolo.»
Tom riuscì solo ad annuire. S’incamminarono tra i visitatori, nessuno dei quali parve riconoscere Monsieur La Rue, nemmeno quelli presenti poco prima al suo show.
«Giù dal palco e senza lustrini si è molto meno interessanti» spiegò James, come se gli avesse letto nel pensiero. «Ti è piaciuto lo spettacolo?»
«Oh, sì! Mi è piaciuto moltissimo.»
«Ci speravo.» Lui sorrise. «E speravo anche che rispondessi al mio invito.»
«Jamie.» Tom lo fissò negli occhi, a bocca aperta. «Che cosa ti è accaduto? Dove sei stato tutti questi anni?»
«Ovunque. Ho girato il Paese, da Nord a Sud, insieme a un circo…non questo, un’altra compagnia; i King’s Brothers sono in attività da quattro anni.»
«Avete messo su tutto questo in soli quattro anni?» fece Tom, sbalordito.
«Arthur ha insistito perché apportassimo dei cambiamenti» spiegò James. «Niente animali, per cominciare, gli automi che hai visto ce li ha regalati un'amica. L’idea della serra invece è di Alycia.»
«Mademoiselle Dimanche, intendi? È la tua…?»
Lui ridacchiò. «Se la chiamassi “fidanzatina” mi ucciderebbe! Ti piacerà, è una tipa tosta. E non vede l’ora di conoscerti!»
«É come te, vero?» chiese Tom, esitante. «Quello che fate è magia, no?»
«Solo quello che fa lei, il mio è puro e semplice illusionismo. Qualche anno fa ho perso tutti i poteri.»
«Cosa?» Tom lo fissò, incredulo. «Come è possibile?»
Il sorriso abbandonò per un istante il volto del ragazzo.
«Una lunga storia.» Afferrò dal nulla una moneta d’argento e la fece rotolare sulle nocche. «Ho dovuto rinunciare a qualcosa di importante per salvare altre vite. Mi è sembrato un buon compromesso.»
«Hai sofferto?» chiese Tom, temendo la risposta.
James fece spallucce. «Perdere qualcosa fa sempre male. Tu non mi hai mai raccontato della Guerra, perché?»
«Pensavo non fosse un argomento adatto a un bambino.»
«Quando sei stato congedato» disse James. «Non hai avuto l’impressione che una parte di te fosse rimasta laggiù, al fronte?»
Tom annuì e un brivido lo scosse nel profondo, al ricordo di quell’amico fraterno dalla risata contagiosa, che aveva affrontato con lui l’inferno senza riuscire a sfuggirne, e di cui suo figlio portava il nome. «Più di una.»
«É stato così anche per me» disse James. «Ma in un certo senso, adesso ho trovato me stesso: la magia si sta di nuovo spargendo nel mondo, sempre più persone stanno scoprendo di avere poteri che non comprendono. Noi li troviamo, li rassicuriamo, offriamo loro una mano a controllarli. E se vogliono, li prendiamo a lavorare con noi.»
«E Arcanta?» chiese Tom, preoccupato. «É al corrente di cosa sta accadendo?»
Da quel che ricordava, l’oligarchia che governava la città dei maghi non era affatto elastica quando si trattava di condividere i propri doni con altri…
«So che la voce è giunta ai Decani» rispose il ragazzo. «Ovviamente, cercano di contenere il fenomeno, ma noi li battiamo quasi sempre sul tempo: ho il sospetto che gli Arcistregoni ci lascino un certo vantaggio.»
Si fermarono sul limitare della fiera, in riva al lago scintillante di luci.
«Perché non sei mai tornato a casa?» si decise a domandare finalmente Tom.
«Avevo paura di cosa avrei trovato al mio ritorno» rispose James, sollevando lo sguardo su di lui. «Che non ti piacesse il genere di persona che ero diventato…perciò ho pensato che senza di me saresti stato meglio.»
«Meglio?!» ripeté Tom, sconvolto. «Jamie, ti ho cercato per anni! Non c’è stato giorno in cui non abbia pregato per te! Ti ho aspettato e avrei continuato a farlo per sempre.»
Gli occhi del ragazzo divennero lucidi. «Adesso lo so.»
Improvvisamente, si sentì un botto, poi un altro e Tom trasalì: un istante dopo, il cielo sopra la fiera si riempì di splendidi fuochi d’artificio, simili a fiori infuocati. Lui e James li contemplarono col naso all’insù per un po’, in silenzio, gustando la cioccolata calda.
«La mamma ti saluta» disse a un tratto il ragazzo, il volto illuminato ora di giallo, ora di rosso. «É difficile da spiegare, ma voleva che sapessi che è orgogliosa di te.»
Tom ricambiò il suo sguardo e dentro di sé, qualcosa si incrinò. «Io…»
«Ti ha amato molto e sa che anche tu hai amato lei» disse James. «Ma è tempo di andare avanti, papà. Sono sicuro che lei lo avrebbe voluto.»
Tom restò in silenzio, senza sapere cosa dire.
«Dovresti dirle cosa provi» proseguì il ragazzo, facendo un cenno a qualcuno tra la folla. «Certe occasioni capitano solo una volta. E quando arrivano, bisogna afferrarle.»
«Ma…»
James tirò fuori dalla tasca l’orologio. «Oh, capperi! Fra poco vado in scena! Meglio che corra a prepararmi.»
Gli mollò la sua tazza in mano e si allontanò in fretta.
«Ah!» fece poi, tornando a voltarsi. «Dopo l’orario di chiusura organizziamo sempre una festicciola: tu, Grace e la piccola Lizzie siete nostri ospiti, ovviamente.»
«Jamie» fece suo padre, ancora frastornato. «Ma tutto questo sta accadendo davvero? Mi sembra così assurdo!»
Il ragazzo sorrise e gli strizzò l’occhio. «É il bello del circo: qui tutto diventa possibile!»
Senza aggiungere altro, svanì tra i tendoni in un paio di saltelli.
Tom restò impalato lì in mezzo al prato, mentre i fuochi d’artificio continuavano a incendiare il cielo. Batté le palpebre, si riscosse e prese un bel respiro: forse James aveva ragione. Era arrivato il momento di darsi da fare.
Così, si mise a correre anche lui come un pazzo verso il Luna park illuminato, e chiamò a gran voce il nome di Grace, deciso a darle un ottimo motivo per restare.








 
P E R S O N A G G I















































  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Zobeyde