Storie originali > Soprannaturale > Fantasmi
Segui la storia  |       
Autore: Orso Scrive    20/01/2023    1 recensioni
Quando due anime vibrano di un amore vero e intenso, che arde nel profondo, è destino che si ritrovino sempre, oltre la vita, oltre la morte...
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

29.

 

 

Il rombo che saliva dalle profondità della terra era assordante. Il rumore incessante di un tuono che, invece che propagarsi nel cielo, si faceva strada attraverso la roccia e la terra. Il terreno vibrava e sussultava, sempre più forte, come un terremoto interminabile.

La nebbia si contorceva attorno a Villa Mayer. Le volute fumose della bruma formavano strane immagini e ghirigori, creavano l’illusione di demoni dalle ali dispiegate e dalle lunghe dita protese a lambire l’antico edificio che, con assurda tenacia, ancora resisteva, rifiutandosi di accettare il suo destino finale.

«Tenente!»

Alberto era caduto tra le frasche della stessa palma contro il cui tronco aveva impattato nel corso del primo volo. Le larghe foglie avevano attutito la caduta, prima di farlo scivolare sul suolo cosparso di sassi. A fatica, con tutte le ossa doloranti, riuscì a rimettersi in piedi. Si massaggiò le tempie, cercando di mettere al posto giusto le idee.

Cosa non facile, in quel frangente.

Cercò di capire chi fosse stato a chiamarlo.

«Tenente!» disse ancora la voce celata nel nero della notte e nel bianco della nebbia.

Questa volta la riconobbe. Sophia.

«Sono qui!» gridò.

«Qui dove?!» brontolò la voce di Orso, ad appena pochi centimetri di distanza. «Con questa nebbia, non si vede un bel niente!»

Manfredi allungò la mano e lo agguantò per un braccio, attirandolo verso di sé. Orso sbucò dalla bruma, e Sophia lo seguì subito dopo.

«Bene, ora che ci siamo tutti direi che sia il caso di allontanarsi in fretta da qui…» disse la donna.

«Ci siamo tutti un cazzo!» sbottò Alberto.

Ignorando il tremore che cresceva dalla terra e il frastuono dei crolli, partì di corsa. Le caviglie doloranti gli mandarono delle fitte acute al cervello, ma non ci badò. Cercò di mantenersi il più vicino possibile al muro della dimora, per potersi orientare e ritrovare l’ingresso. Con tutta quella nebbia, sarebbe stato facilissimo disorientarsi e allontanarsi senza accorgersene.

«Tenente, dove va?!» gridò Sophia, colta alla sprovvista. «Venga con noi, è pericoloso!»

Alberto Manfredi la ignorò. Aveva un solo pensiero fisso nella mente. Uno soltanto. La sola cosa importante in quel momento.

Aurora, dove sei finita?

Solo questo contava. Trovare la sua amica.

Lei era più importante di tutto. Anche della sua stessa vita.

Il resto sarebbe venuto dopo, se ne fosse rimasto il tempo.

Dietro le proprie spalle, Alberto sentì risuonare delle grida confuse e passi differenti. Due paia di passi affrettati. Orso e Sophia lo stavano rincorrendo.

Ormai c’era quasi, se ricordava bene, l’ingresso di Villa Mayer era vicino… presto sarebbe entrato di nuovo in quell’edificio maledetto e scalognato, proprio nel punto in cui era franato ogni cosa mentre Aurora ci stava passando sotto…

Non pensarci, si disse.

Continuò a correre. Aveva le orecchie tese al rumore e ai passi che lo inseguivano. A quelli di Orso e di Sophia se ne aggiunsero altri. Passi pesanti, rapidissimi, che superarono quelli dei due inseguitori e gli si avvicinarono…

«Manfredino, che cazzo stai facendo?!»

Due mani robuste e callose, abituate a maneggiare energumeni e a metterli al tappeto con facilità, lo afferrarono per il collo della giacca e lo trascinarono all’indietro. Ansante e confuso, ancora slanciato in avanti, Alberto provò la vaga sensazione di venire tranciato in due metà. Infine, il suo corpo smise di correre e lui si ritrovò steso a terra, sdraiato sulla schiena, mezzo soffocato.

Tossì forte, cercando di riprendere fiato dopo essere stato quasi strozzato. Provò a mettere a fuoco la figura alta e massiccia che incombeva su di lui.

«Aurora!» esclamò. Farlo gli procurò un dolore lancinante alla gola. «Sei viva!»

Non seppe nemmeno lui se mettersi a ridere oppure a piangere per la gioia.

«Io sono immortale, tenente», trillò lei. «Ma se non la finisci di fare l’idiota e di andare a buttarti a capofitto dentro un vecchio rudere sul punto di crollare, non penso che metterò di nuovo alla prova la mia immortalità per correre a salvarti quel culetto secco e ossuto!»

Sorridendo, gli tese la mano. Lui l’afferrò. Aurora lo trasse in piedi senza nessuno sforzo. Ancora tremante e ansante, Manfredi quasi le crollò addosso, e dovette aggrapparsi alle sue braccia per mantenere la posizione eretta.

Lei ne approfittò per avvicinargli la bocca all’orecchio.

«Ma grazie per aver pensato a me, Manfredino», sussurrò.

Un rumore crescente di crolli e di vetri infranti si fece largo fino ai loro timpani per rammentargli che non era il momento adatto alle smancerie.

Tenendosi per mano, si lanciarono in corsa ratta e folle giù per il pendio.

 

* * *

 

Villa Mayer fu scossa da un ultimo fremito, come un corpo morente che, fino all’ultima stilla di energia, si oppone al trapasso. Lampi di luce accecante la attorniarono, come se dei silenziosi fulmini le stessero esplodendo tutto attorno. Fulmini e scariche che non scendevano dal cielo, ma che salivano dal suolo.

Infine, spaccata in due metà come dal colpo della scure di un gigante invisibile, la collina si aprì al di sotto dell’antica dimora. Con un sussulto mortale, ciò che ancora restava in piedi dell’edificio venne inghiottito nell’oscurità, illuminata a tratti da quei fulmini misteriosi e da rossori e bagliori arancioni che parvero emanare da un fuoco sotterraneo. Una nube di polvere si levò altissima, al di sopra della nebbia, confondendosi con essa. Una nuvola che, per un brevissimo istante, parve assumere le fattezze di un mostro orrido e sofferente. Poi anch’essa tornò a posarsi, mentre la collina collassava e crollava su se stessa, seppellendo per sempre ciò che avrebbe celato nei propri più oscuri e impenetrabili recessi.

Uno sbuffo di vento soffiò dal meridione, dissipando gli ultimi rimasugli di pulviscolo. Anche la nebbia, colta alla sprovvista da quell’aria tiepida e secca, cominciò a diradarsi, sollevandosi in fretta per poi disperdersi e lasciando comparire il cielo punteggiato da migliaia di stelle e di altri corpi celesti.

Fermi ai margini del bosco, coperti di polvere e malconci – ma grossomodo illesi – Alberto, Aurora, Daniele, Valeria, Sophia e Orso contemplarono il vuoto lasciato dalla villa. Poi alzarono gli occhi verso il cielo, che brillava di una purezza impareggiabile.

Avevano ancora nelle orecchie l’eco fastidioso del frastuono. L’assoluto silenzio che era disceso su tutta la vallata, adesso sembrava quasi assordante, come un ronzio incessante acceso dentro i timpani. Per qualche minuto nessuno osò parlare, perso a rincorrere chissà quali pensieri.

Fu Orso il primo a riscuotersi. Aveva tolto gli occhiali, perché le lenti si erano riempite di polvere, e li sorreggeva con la mano sinistra. Visto così, con gli occhioni liberi, sembrava più giovane di quanto fosse apparso fino a quel momento.

«Ecco», borbottò. «Ora avrò qualcosa in più da raccontare ai miei clienti.» Si portò la mano destra al viso e si sfregò la barba, cosparsa di polvere. «E tutto questo senza essermi scolato nemmeno una bottiglia intera di vecchio Jack.» Ripensò alla conversazione che aveva avuto con il dottor Bernasconi. «Ma quasi quasi, invece che raccontarla, questa storia la scrivo: così, chi vorrà, potrà leggersela anche tra un mucchio di anni, quando io sarò scomparso tra i boschi.»

Valeria era pallida e tremava. Aveva profonde occhiaie sotto gli occhi. Nonostante questo, aveva trovato la forza per sorridere.

«Pensavo di essere prigioniera di Edith Mayer», sussurrò. «Non avevo capito che anche lei era prigioniera, e da più tempo di me. Ma ora siamo libere. Libere tutte e due.»

Daniele le pose con garbo la mano sulla spalla. Lei sollevò la sua e gliela strinse.

«Grazie per essere rimasto con me», aggiunse.

Il ragazzo sorrise.

«Non ti avrei mai lasciata sola, anche se sono stato del tutto incapace di gestire la situazione…» mormorò. «Sei mia amica, Vale… è andata come doveva andare, non poteva essere diversamente…»

La ragazza si girò di scatto a fissarlo negli occhi. Nel suo sguardo acceso dalla luce eterea degli astri lontanissimi passò una consapevolezza nuova. I loro corpi si unirono in un abbraccio in cui vibrarono segreti da cui furono escluse le altre persone attorno a loro.

Sophia li fissò per un momento, sorridendo tra sé. Poi spostò lo sguardo su Aurora e Alberto. Lei si era appoggiata al tronco di un enorme faggio, che aveva ancora alcuni rami coperti di foglie gialle, e aveva infilato tra le labbra una sigaretta spenta. Era in preda al nervosismo, mentre si tastava le tasche alla ricerca di un accendino che non c’era più. Lui si era seduto direttamente sul terreno, con il fiato corto.

«Allora, tenente», disse la donna, con tono basso e roco, ammantato di qualcosa di ammaliante. «Ho fatto del mio meglio per aiutarvi tutti. Spero di aver in qualche modo rimediato ai miei errori. Ora, se desidera arrestarmi, sono a sua completa disposizione. Le vorrei soltanto chiedere di usarmi la cortesia di non mettermi le manette. Prometto che non tenterò di fuggire. Sa, alla mia età non ho voglia di vivere in latitanza.»

Alberto e Aurora si scambiarono uno sguardo fugace.

«Non ho tanta voglia di arrestare nessuno, ora come ora», borbottò Manfredi. Si rigirò tra le mani il basco che si era tolto. «Per questa notte, ne ho abbastanza di tutto. Ho fatto anche troppo. Con quella miseria che mi passa lo Stato e che hanno il coraggio di chiamare stipendio, poi…»

«Ma lasciamo che sia la giuria, a decidere che cosa ne sarà di lei, signora», soggiunse Aurora, masticando il filtro della sigaretta. Il suo sguardo corse su Daniele e Valeria, che si erano lasciati andare e li stavano guardando.

Sophia comprese l’antifona.

Si avvicinò alla ragazza.

«Piccola mia, mi dispiace tanto», sussurrò. «È stata colpa mia e di Joseph, se ti è accaduto tutto questo. Con quel libro abbiamo teso una trappola, senza nemmeno sapere chi avremmo voluto farci finire dentro. Tu hai avuto questa sfortuna. Potrai mai perdonarci?»

Lo sguardo di Valeria indagò i tratti misteriosi della donna che aveva di fronte a sé. Poi guardò il punto rimasto vuoto, dove era sorta Villa Mayer. Sollevò gli occhi alle stelle, e infine li posò su Daniele. Lo prese per la mano e gliela strinse.

«Non c’è nulla di cui debba perdonare nessuno», sussurrò. «Devo solo dirle grazie, signora.»

Daniele annuì.

«Sì, signora…» mormorò. «Grazie.»

Tra tutti e tre corse un sorriso complice, che Manfredi non comprese. Aurora forse sì. Orso, dal canto suo, aveva soltanto un pensiero per la testa.

«Visto che siamo tutti felici e contenti, che ne direste di toglierci da questo bosco e andare al caldo? Mi sto congelando persino i… insomma, fa un freddo boia! È novembre, se non ve ne siete accorti. E, per una volta che è andata via la nebbia, si gela ancora più del solito.»

«Puoi pure dire senza problemi che ti si stanno congelando i coglioni», rimarcò Aurora, con una delle sue smorfiette. «Siamo tra gente adulta, non c’è bisogno di censurarsi.»

Alberto grugnì qualcosa di incomprensibile. Aurora lo aiutò ad alzarsi.

«Va bene, andiamo pure», borbottò il tenente. «Io, però, non sono ancora troppo convinto di non sbattere in cella quel vecchio psichiatra convinto di essere onnipotente. Gli scienziati pazzi stanno bene e al sicuro dietro una porta blindata chiusa a doppia mandata dall’esterno. Non si sa mai, cos’altro potrebbe mettersi in testa di combinare.»

Nessuno trovò nulla da aggiungere.

Probabilmente, erano tutti quanti ancora troppo emozionati per riuscire a fare discorsi più lunghi di così. Di sicuro, nessuno di loro accusava la stanchezza di quella notte folle e indimenticabile. Erano ancora troppo scossi da tutto quello a cui avevano assistito e troppo carichi di adrenalina. Avrebbero dovuto aspettare che cessare di rombargli nelle vene e di scorrergli a fiumi impetuosi sotto la pelle, per sperare che la stanchezza e il sonno tornassero a calare nei loro corpi.

Per il momento, erano svegli e lo sarebbero stati ancora a lungo.

A passi lenti, dosando ogni movimento per non offrire troppe chance ai diversi dolori che provavano nelle ossa e nei muscoli, si avviarono lungo il sentierino che si faceva largo tra gli alberi oscuri del bosco.

Alle loro spalle, il vuoto di Villa Mayer fu un cielo nero e punteggiato di stelle meravigliose. Due stelle, in particolare, parvero brillare più delle altre, e si mossero insieme, affiancate, lasciando dietro di sé una scia variopinta e meravigliosa.

 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Fantasmi / Vai alla pagina dell'autore: Orso Scrive