Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: FiloRosso    24/01/2023    0 recensioni
Se non siete amanti dei racconti post apocalittici, dei mangia-carne e non amate le imprese stoiche di alcuni sopravvissuti...be' allora questa storia non fa per voi.
-Tutti abbiamo una storia.
La fine del mondo è iniziata, per ciascuno di noi, all'improvviso. Ma non ha spazzato i ricordi del passato.
Ci siamo lasciati alle spalle morti, cari, persone a cui volevamo bene. Qualcuno si è anche sacrificato per darci la possibilità di sopravvivere. Non è giusto dimenticarli così.-
Genere: Erotico, Horror, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“Ciò che abbiamo fatto per noi stessi muore con noi. Ciò che abbiamo fatto per gli altri dura per sempre.”

 

              

                                                            9.

Egoista.
 

 ➽

 

La verità è che non ho avuto il coraggio di passare per Manassas. Se non avessi incontrato Mel non avrei riportato quei medicinali e la Jeep. Non avrei neanche avuto una scusa per motivare la mia fuga nella notte.

Da quando Kael è morto non ho avuto né più modo, né coraggio per tornare in quel posto.

Il Blue Moon, ogni volta che chiudo gli occhi lo riesco a vedere con le sue insegne led, il videopoker, le slot…e con Raphael, Svetlana, Kael e Sanchez.

Poco prima di dormire, mi maledico perché se potessi restare ad occhi aperti, se potessi impedire ai ricordi di “svegliarsi” lo farei. Pagherei per poterlo fare.

Se solo riuscissi a dimenticare. Sto ferendo Joel nel modo più crudele che conosca.

Lui mi ama. E’ passato ormai un anno da quella notte e per mesi interi lui è stato al mio fianco. C’era lui quando piangevo disperata per aver perso il mio gruppo. C’era stato lui anche quando, gridando, gli dicevo di starmi lontano e non è andato via nemmeno quando gli avevo confessato di non aver dimenticato Kael.

Sembra passata un’eternità, dannazione.

Lo scandire del tempo è così mutevole ora.

Un anno o un giorno potrebbero avere la stessa durata e in un attimo può cambiare tutto. Imprevedibilmente, inesorabilmente, come quella notte.

«Permesso?»

Qualcuno bussa violentemente contro la porta della baita.

Mi sollevo di scatto dal materasso.

«Avanti.»

La porta si apre: è M.C.

Callum è dietro di lui ma l’uomo non gli permette di entrare. Si chiude la porta alle spalle e avanza all’interno della stanza raggiungendo la vecchia scrivania di Frassino.

Scosta la sedia e ci scivola a sedere sopra. Il  fucile stretto in una mano.

«Se sei qui per chiedermi il motivo per cui sono uscita di notte…E’ tempo perso.»

Gli dico sopprimendo lo sguardo.

«No, non sono qui per questo.»

Mi sorprende la sua risposta e sono costretta a guardarlo in volto con la speranza di percepire il motivo della sua visita.

«E allora cosa vuoi?»

L’uomo mi scruta in tralice. Mi osserva, mi studia. Cosa vuole?

«Sono qui perché voglio che tu prenda il posto di Joel nelle spedizioni.»

Spalanco gli occhi incredula.

«Cosa?»

«Hai capito bene. Mio nipote è troppo coinvolto da te. Non è lucido e rischio di perderlo durante le ricognizioni. Non c’è tempo per provare sentimenti, ho bisogno di una milizia. Di persone pronte anche a morire e tu…Bè, tu preferisci stare lì fuori che chiusa qui dentro, sbaglio?»

Sono confusa e atterrita dalla proposta. 

«Sei stata fuori dal Ranch molto più di Joel. Lui è qui da quando tutto questo è iniziato e anche se è un ottimo tiratore, non è pronto per uscire lì fuori.»

«Cosa ti fa pensare che io lo sia?»

M.C. si infila una mano nella tasca posteriore del jeans e tira fuori un blocchetto di pelle nera grande come il palmo della mia mano.

Lo apre e me lo porge.

Quando ce l’ho stretto tra le dita leggo una serie di numeri, coordinate, parole di cui ignoro il significato e un simbolo.

Ho un flash: la siringa trovata nell’appartamento del Blue Moon, il fratello di Svetlana, la milizia.

Perdo un battito.

«Non eri a Manassas, vero?»

Deglutisco.

«Non ho mentito, ero lì.»

M.C. sbuffa una smorfia e sospira «A chi hai sottratto quelle borse?»

Il tono della sua voce si fa più deciso.

«Le ho trovate.» Mento.

«Di chi sono quelle borse?», tuona.

Ho uno spasmo che mi fa oscillare sulle molle a bordo del letto.

M.C. mi fissa negli occhi per diversi istanti.

Se nomino Mel le daranno la caccia, non posso permetterlo. Qualcosa mi dice che lei è collegata a ciò che è successo qui poco più di un anno fa. Mel sa qualcosa su quella siringa, sa qualcosa sulla notte qui al Ranch.

«Un militare.», dico.

«Un militare?», sembra non crederci.«Hanno battuto ritirata molti mesi fa. Alcuni aerei del governo hanno recuperato le cellule sopravvissute. Quindi, dimmi…Come posso credere che sia stato lasciato un militare qui a morire?»

Nella mia testa c’è un gran caos in questo momento. Ho la sensazione di avere tutte le risposte ma non riesco a formulare un pensiero logico.

Mel. Mel è un militare?

Sono perfettamente certa di averla già incontrata in passato, ma non riesco a collegare la sua faccia da nessuna parte.

«Non lo so.» mi alzo di scatto «Io non lo so. Era per strada e c’erano alcuni notturni che l’avevano circondato-» Mentre parlo, davanti ai miei occhi tornano le teste glabre dei notturni nel bosco. I loro corpi trivellati, io che li uccido. «ne ho approfittato.»

L’uomo resta in silenzio per un lasso di tempo che mi sembra lungo un’eternità.

«Voglio sperare che questa sia la verità.» Si alza dalla sedia senza mai distogliere lo sguardo feroce da me.

Lo scruto attonita.

«Credi che io faccia parte del governo?»

Alla mia domanda un leggero ghigno gli alberga sulle labbra.

«Mi auguro di no…Sarei costretto ad ucciderti.»

Avanza verso la porta e ruota la maniglia.

«Partirai domani sera. C’è un baratto in atto e tu sarai la contrattatrice, eri un avvocato, dico bene?.»

«Non sono mai stata brava a contrattare.»

«Allora prega che vada tutto per il meglio.»

 

Non appena vedo la porta chiudersi alle spalle di M.C. torno a respirare.

Crollo nuovamente a sedere sul materasso: ho la testa confusa, il cuore impazzito e l’unica cosa che vorrei fare è sparire.

“Mio nipote è troppo coinvolto”.

Ho fatto un disastro con Joel.

Dovrei sparire dalla sua vita, dovrebbe dimenticarmi.

Mi tornano in mente i suoi occhi e lo sguardo che aveva quando mi ha vista tornare a Capen Hocks.

Lo sto facendo soffrire.

Sto ancora pensando a Joel quando il mio sguardo si imbatte nel piccolo blocchetto nero.

Mel.

Lo afferro e sfoglio le pagine.

Non ho idea del significato dei numeri che sto leggendo ma so che hanno a che fare con ciò che è successo al mondo intero.

Mel sa qualcosa. 

All’impatto con quel pensiero mi rendo conto che ho fatto un errore madornale lasciandola in quel bosco. Ora potrebbe essere morta e con lei tutto ciò che sa su queste coordinate e sul morbo.

«Merda!»

Tiro il blocchetto contro la parete.

Devo uscire da questa stanza, mi sta soffocando.

Infilo velocemente gli anfibi e apro la porta. 

Fuori dalla baita trovo Lorey. E’ seduto su una vecchia sedia a dondolo e sta fumando.

«Mi stai controllando?»

L’uomo solleva la testa e mi lancia uno sguardo allegro da oltre la sua fronte.

«Ordini del capo.»

Sospiro. «Deve essere una bella seccatura.»

Lo supero e mi siedo sui gradini dell’ingresso.

Lorey mi allunga la sigaretta.

Scruto le sue dita e poi nuovamente lui.

«Non mi va più.», ammette.

La raccolgo e faccio un paio di boccate, la seconda mi fa tossire appena.

E’ scesa la notte. Il falò al centro dell’accampamento si sta spegnendo. Credo che abbiano bruciato spazzatura e forse qualche notturno ucciso a pochi metri dalla staccionata principale. Alcuni uomini rastrellano la terra contenendo la cenere, altri raccolgono ciò che resta della cena condivisa in comunità all’aperto.

Donne e bambini hanno il coprifuoco anticipato, regola di M.C. e per questo sono già nelle loro tende.

Questo posto è cambiato impercettibilmente dopo quella notte in cui più di metà dei sopravvissuti è stata sterminata dai notturni, eppure, a me sembra totalmente diverso. Vuoto.

Dopo un bel po’ di silenzio, mentre i miei occhi vagano lontani, oltre il bagliore del falò e quello delle luci led, Lorey spezza il silenzio «Se continui di questo passo, farai morire di infarto quel povero ragazzo.»

L’affermazione mi spiazza.

Sposto, confusa,  lo sguardo verso l’uomo.

«In questo modo?»

«Scappando.» afferma «Joel ti ama, si preoccupa per te e tu continui a scappare da lui.»

Perdo un battito.

Non ho voglia di parlare dell’argomento.

Non so esattamente cosa rispondere. Lorey ha ragione. Quest’uomo ha maledettamente ragione. 

Resto zitta, ammonita dalle sue parole, anche se mi sta parlando esattamente come farebbe un padre.

«Continuare a cercare disperatamente Kael non lo riporterà indietro, Karina.»

Ho il magone allo stomaco e una lacrima si sgancia dalle ciglia. Cerco di nascondere il viso come posso.

«Smettere di farlo mi porterà via anche gli ultimi ricordi che ho di lui.» dico in un sussurro.

Lorey si volta del tutto verso me e mi scruta apprensivo.

«Non è vero. I ricordi che hai con Kael sono dentro di te e nessuno può strapparteli, né Joel, né i notturni. Lui resterà per sempre dentro il tuo cuore, ma devi andare avanti Karina perché ti sta ammazzando quello che stai facendo.»

Stringo le mani attorno alle mie cosce tanto da farmi diventare le nocche bianche.

Sono scossa da fremiti continui, è la prima volta che trattengo a fatica le lacrime.

«Non riesco-» provo a dire, ma la voce è rotta e difficilmente riesco a finire la frase «a darmi pace. Per me lui è ancora lì fuori che vaga in mezzo ad altri notturni ed io devo dargli la grazia. Lui merita di essere sepolto, Lorey. Lo merita.»

Mi fissa per un momento.

«No, sai benissimo che non lo cerchi per questo motivo.»

Un altro pugno nello stomaco.

«Credi che sia ancora vivo ma, Karina, nessuno sopravvive a quello che è successo a Kael. Continui a sperare che lui sia lì fuori, ma per quanto mi riguarda non c’è più nessun Kael lì fuori.»

La rabbia mi monta dentro.

«Se fosse successo a tua moglie? Se avessi perso la tua cazzo di moglie e l’avessi vista divorata dai notturni e l’indomani non avessi trovato il suo corpo…Anche tu, Lorey, staresti facendo la stessa cosa!»

Balzo in piedi.

Sono pietosa: il volto coperto dalle lacrime, il corpo che trema.

«Ho trovato solo la sua medaglietta», la sfioro «e questo per me è un segno. E’ stato lui a lasciarmela.»

Lorey sospira avvilito «Non è stato lui. Molto probabilmente è l’unica cosa che quei notturni non hanno digerito.»

L’idea mi alza lo stomaco.

«Stronzate!»

«Smettila, Karina. Non sprecare ciò che ti resta rincorrendo qualcuno che non c’è più. Vivi il presente, vivi quello che ti ha regalato.»

Mi torna in mente il bosco. L’esatto momento in cui ho sentito il ramo spezzarsi sotto il peso di qualcuno e quell’ombra che mi osservava nel buio.

Ho pensato subito che fosse lui.

Ho bisogno di credere che sia lui.

«Non posso permettermelo.» Abbasso il capo.

«Perché?», Lorey si solleva dalla sedia a dondolo e mi afferra delicatamente le spalle, «Perché continui a punirti in questo modo? Perché pensi di non poterti permettere un po’ di serenità?»

Lo guardo dritto in faccia.

«Perché lui è morto per colpa mia, per salvare me!»

Le sue spalle si afflosciano, atterrisce lo sguardo e sospira «Pensi che lui si sia sacrificato per vederti vivere quello che ti resta così? Con questo tormento interiore?»

Non lo so. Anzi lo so: no. Lui non vorrebbe questo.

Non si è sacrificato per vedermi soffrire, ma per vedermi vivere.

«Kael ti amava ecco perché ti ha permesso di vivere. E adesso Joel ti ama e non puoi permetterti di averlo sulla coscienza.»

«Non sono certa dei sentimenti che provo per Joel, forse lo sto prendendo in giro.» Non ho il coraggio di pronunciarmi guardando negli occhi Lorey.

«O non credi  sia giusto amare un’altro uomo?»

Mi sento minuscola.

«Non stai ferendo nessuno, credi che Kael non avrebbe fatto lo stesso?»

Probabilmente si.

«Questo mondo è troppo vicino alla fine per potersi preoccupare dei sentimenti di chi è morto, Karina. Vivi, perché potresti non avere un’altra occasione.»

Non ho mai sentito parole più vere e anche se il mio cuore è ferito e sanguina e la mia testa è confusa e persa, so che Lorey ha ragione.

Dovrei vivere per giustizia di chi me lo ha permesso. Dovrei dimostrare che il suo sacrificio non è stato vano, che non è morto per nulla. Che tutti loro non sono morti per nulla.

Il legno sotto i nostri piedi scricchiola appena. Lorey si volta di colpo e io seguo con lo sguardo la direzione dei suoi occhi.

Alle sue spalle c’è Joel. Ha l’aria affranta e il viso stanco.

«Dovresti andare da lui.», mi sussurra l’uomo lasciandomi andare le spalle, poi si allontana, raggiungendo il falò.

Mi faccio coraggio e raggiungo Joel che resta fermo, anche quando lo abbraccio senza dire una parola. Solo dopo un momento di esitazione ricambia la stretta.

«Mi dispiace, Joel. Io…»

«Non devi spiegarmi nulla.», mi interrompe «L’ho capito che sarò sempre il secondo e…mi va bene così se non può essere altrimenti.»

Mi feriscono le sue parole perché non corrispondono alla totale verità. Lui non è il secondo, lui è lui. Il fatto è che io sono bloccata, vorrei amarlo e ricambiarlo come merita ma forse non sono pronta.

Non sono pronta a lasciar andare la speranza di trovare Kael.

Sono un’egoista schifosa.

«Non è così, Joel. Mi serve solo del tempo.»

Sollevo lo sguardo e incrocio i suoi occhi cerulei. 

«Non sei obbligata ad amarmi ma almeno non farti ammazzare.»

Sono attonita. Mi dispiace per averlo fatto soffrire.

«Non dire così, sai che provo qualcosa per te.»

Annuisce piano «Ma non è uguale a ciò che provo io per te, per questo…Forse è meglio finirla qui.»

Mi spiazza.

«M.C. ha ragione, sono troppo coinvolto, rischio di perdere di vista il vero obiettivo che è quello di mantenere in vita queste persone. Perciò preferisco che tu-»

«Che io cosa? Che me ne vada?»

Sospira un sorriso «Non ho intenzione di chiedertelo perché so che sei brava a farlo. No, preferisco prendere le mie cose e trasferirmi da Callum. Resta pure nella baita per il tempo che ti serve, so che domani partirai per la spedizione.»

Non so cosa rispondere, sta succedendo tutto troppo velocemente.

Voglio poter ribattere qualcosa, voglio…

Sollevo una mano, non so bene cosa sto facendo, forse voglio accarezzargli il viso, ma Joel si separa da me e smette di guardarmi.

«Buonanotte Karina.»

Lo vedo entrare dentro la baita e riuscire con un borsone attimi dopo, le sue armi sono agganciate ad esso. Mi sorpassa. Il volto chino.

Sto perdendo tutto per inseguire un fantasma.

Joel ha ragione.

 

 

◀◀


I palmi mi bruciavano ancora a causa di tutta la forza che avevo impiegato per bloccare i battenti della porta principale del teatro ma, tutto sommato, poteva andare peggio. Io e Kael eravamo salvi. Malgrado tutto, un’ora dopo, però, eravamo ancora lì, nella sala audio, a fissare il soffitto senza avere la minima idea di come uscire da quel teatro e il divario di silenzio fra noi incominciava ad essere insopportabile, così lo interruppi.

«Pensi che casa tua sia un posto sicuro?»

Kael piegò la testa sul pavimento, scrutandomi oltre la sua fronte.

«Non lo so, spero di si.»

«E’ tanto lontana da Manassas?»

«Abbastanza da farmi pensare che quelle belve non l’abbiano raggiunta.»

Sapevamo entrambi che molto probabilmente di casa sua non c’era rimasto molto, ma l’illusione che potesse essere un posto sicuro, in un certo senso, tornò a darci speranza.

Era passata una settimana. Sette giorni in cui avevo visto di tutto e non ero certa di riuscire a sopportare altro.

Di una cosa ero certa però, di lì in avanti le cose sarebbero solo potute peggiorare.

«Vuoi venirci?»

Mi domandò, accorgendosi del mio silenzio.

Non mi stava guardando più. Era tornato a giocherellare con le sue stesse dita e mantenne lo sguardo fisso su di loro per un bel po’.

«Vorrei tornare a casa mia, ma prima ancora, vorrei arrivare dall’altra parte del paese…Mia madre è in un ospedale e non ho idea di come stia.», ammetto.

A quel punto Kael sospirò pesantemente, si tirò su a sedere dandomi le spalle e tornò a parlare «Non vorrei essere pessimista ma…Hai visto com'era ridotto il New General Hospital…».

Ebbi un tuffo al cuore. «Non voglio nemmeno pensarci.», mi affrettai a rispondere.

«Non vuoi, ma devi.»

Francamente la sua crudezza incominciava a darmi fastidio.

Avevo l’impressione che la mia natura di donna speranzosa lo irritasse e di conseguenza si costringeva a ponderare modi per contraddirmi, ferendomi.

«So perfettamente che c’è una grande, grandissima, probabilità che mia madre sia già morta, ma come ti ho detto, mi rifiuto di pensarci.», lo aggredii.

Kael si voltò. Adesso non mi dava più le spalle, si era voltato con mezzo busto nella mia direzione poiché mi aveva sentita balzare in piedi.

Ero furiosa e non glielo nascosi.

«Non volevo farti innervosire», proferì compunto «vorrei solo che incominciassi ad essere pronta.»

«Pronta per cosa? Per vedere la gente morire davanti ai miei occhi senza che io possa fare nulla? No, non lo sarò mai.»

«Allora non sopravviverai.», capitolò sollevandosi da terra.

In quel momento, i metri che ci stavano dividendo mi sembravano sin troppo pochi. Non volevo più ascoltare le sue parole, volevo solo uscire da quel posto e tornare a casa mia, lontano da tutto e tutti. 

«Che ne pensi di questa?», all’improvviso il suo tono cambiò. Come se non avessimo mai avuto la conversazione precedente e non mi avesse fatto saltare i nervi, Kael si avvicinò ad una finestra e me la indicò con il pollice.

«Questa…cosa? La finestra?»

«La tettoia.» rispose mimando un’espressione eloquente.

«Credi veramente che mi arrampicherò lì sopra?»

«A meno che tu non voglia restare qui dentro.», fece spallucce.

«Credi quello che ti pare, non salirò su quella tettoia. Chi ti garantisce che regga il nostro peso?»

«Nessuno, ma suppongo che lo scoprirò una volta salito lì sopra.»

Scostò l’anta della finestra in men che non si dica.

Perché era così impulsivo in tutto ciò che decideva di fare!

«Ok-Ok, aspetta…Fermati un momento.», mi affrettai a dire, sollevando i palmi delle mani.

«Finora nessuno si è fatto male, giusto? Non pensi che dovremmo rifletterci un attimino prima di rischiare di fare un volo di tre metri nel vuoto? Fra l’altro sta piovendo ancora, quelle tegole saranno scivolosissime.»

Kael mi fissò dritta in faccia, poi, all’improvviso, scoppiò a ridacchiare.

«Sei proprio una codarda.»

Aggrottai la fronte «Solo perché non amo rischiare l’osso del collo non significa che sia necessariamente una codarda.»

Mi sentii offesa.

Come si permetteva?

«Ok», Kael poggiò entrambe le mani sulle mie spalle «Andrò solo io, se tutto va bene e la tettoia regge allora salirai anche tu.»

Mi scrollai di dosso le sue mani e rimasi ferma a fissare quel dannato tetto.

«Affare fatto?»,incalzò lui, sporgendo il viso nella mia direzione.

Mi morsicai l’interno della guancia, incerta sul dafarsi.

«No, saliremo insieme», decisi d’impulso alla fine.

Tanto, anche se fosse morto solo lui, di me cosa ne sarebbe stato?

Cercai di mantenere un’espressione impassibile mentre Kael scavalcava il cornicione della finestra mettendosi a cavalcioni su di esso.

Gli avrei voluto urlare di fare attenzione in più occasioni, ma mi costrinsi a tacere.

La tettoia era sotto di noi, ad almeno un metro di distanza dalla finestra. Non era esattamente un salto nel vuoto, ma se solo osavo sporgermi con lo sguardo oltre di essa, avevo l’impressione che l’asfalto fosse lontano chilometri.

Mi ritrassi, colpa del senso di vertigine.

«Non cadrai.»

Kael mi sfiorò alla base della schiena per invitarmi a scavalcare il cornicione esattamente come aveva fatto lui, e il peso della sua mano mi bruciò la pelle attraverso la camicetta umida che mi ero costretta ad indossare di nuovo.

Di certo non potevo andarmene in giro vestita da Zar. Fra l’altro quel soprabito era veramente ingombrante.

Caldo, ma ingombrante.

Ad un tratto, ero seduta con una gamba penzoloni nel vuoto, sul cornicione e attorno a me il tempo sembrava scorrere più veloce del solito.

Dovevo scavallare anche l’altra gamba ma non riuscivo a muovere un muscolo.

«Sei pronta?»

«Ho scelta?»

Riuscii a sentire per un solo istante i suoi occhi su di me, che studiavano ogni mia reazione.

Le sue labbra si assottigliarono, guardò di sotto e poi tornò a guardare me.

Ci stavamo mettendo un’eternità solo per balzare su una tettoia ad un metro dalla nostra finestra e la colpa era soltanto mia.

Forse aveva ragione, non sarei mai riuscita a sopravvivere di quel passo. Non avevo la tempra per sopportare tutto quello che ci stava succedendo, anche se si trattava solo di dover balzare giù di un metro.

Esitai ancora e ancora e ancora.

«Non ce la faccio.» esplosi. «Non posso farlo, ok?»

«Si che puoi!»

«No Kael, dico sul serio.»

Non riuscivo a stare ferma, se avessi potuto sarei balzata per aria. Lottai per tornare dentro ma Kael, testardo com’era, mi afferrò da prima per le spalle «Karina. Karina, ascoltami.», e poi, lasciò scivolare entrambe le mani sulle mie. «Se molli ora, resteremo bloccati qui dentro»

«Non tu. Tu puoi andare, puoi saltare da questa tettoia e arrampicarti dove cazzo ti pare, ma io no. Io non posso.»

L’agitazione che mi pulsava nelle vene mi annebbiò i pensieri.

La paura aveva preso il sopravvento e non si trattava del fatto che dovessi  saltare da quella finestra, bensì di tutto ciò che ci stava aspettando fuori: i mangia-carne, le persone che stavano morendo, il semplice futuro che palesemente era stato messo alla prova più che mai.

«Ok.» Sospirò di getto «Allora non andremo da nessuna parte.»

Un velo di afflizione gli oscurò il viso.

Inclinò la testa all’indietro e l’appoggiò contro lo  stipite della finestra alle sue spalle.

«Ho detto che puoi andare. Non devi restare con me per forza!»

Schiuse una palpebra «E averti sulla coscienza? No grazie.»

Stranamente stava sorridendo. 

All’istante mi resi conto che lo stavo rallentando. Che ogni volta, cercavo di sabotare tutte le idee che aveva per metterci al sicuro.

Mossa dal senso di colpa, mi lanciai nel vuoto senza che Kael se ne accorgesse.

«Karina.»

Ero senza fiato. Mi ero lanciata sulla tettoia ed anche se ero caduta maldestramente su un fianco, essa aveva retto: ero viva.

Frastornata sollevai lo sguardo verso di lui.

«Non voglio essere la causa della nostra dipartita. Non voglio che per colpa mia tu ti senta obbligato a restare in pericolo.»

Uno strano sfarfallio prese vita nel mio petto. Ero sincera, più che mai.

Un sorriso compiaciuto apparve sul suo viso e durò un istante prima che si lasciasse cadere a qualche passo da me.

Si appoggiò alle tegole per sollevarsi.

Ero quasi sul punto di ringraziarlo per non avermi fatto arrendere alla paura, quando tornò a parlare spazzando via tutto «Ti ho mentito.»

Restai attonita per un momento.

«Non sarei rimasto a morire con te, ma era l’unico modo per spingerti a lanciarti.»

Non sapevo esattamente quali e quante sensazioni stessi provando, non era nemmeno più rabbia o astio, ero spiazzata e basta.

I nostri occhi si incontrarono e non riuscii a decifrare nulla di ciò che stesse pensando. Mi sorpassò e si sporse oltre la tettoia.

«C’è un balcone qui sotto.»

Con cautela mi sporsi anche io, sdraiandomi sulle tegole e afferrando il bordo del piccolo tetto saldamente.

Effettivamente c’era un balcone ed era molto più vicino a noi di ciò che sembrava. 

«E’ chiaro che dovremmo saltare.», disse con ovvietà.

«Lo so.», oltremodo infastidita mi obbligai a non guardarlo.

Un attimo dopo, però, lui era ancora accanto a me. 

«Sei arrabbiata.», mi disse con grande tranquillità.

«Puoi ben dirlo. Non mi piaci per niente.»

Lui ridacchiò. «Invece a me piace che cerchi di essere sincera.»

Gli lanciai un’occhiata sospettosa. «Non sto cercando di fare proprio niente: io sono sincera, a differenza tua.»

Kael si esibì in un sorriso smagliante «E’ una bugia. Una parte di te mi trova simpatico.»

Mi sollevai. «Non sono io quella che mente adesso.»

Scavallai una gamba senza pensare realmente a come mi sarei dovuta far calare dalla tettoia, quando lui, imperterrito, allungò una mano e mi afferrò il braccio, tirandomi indietro proprio mentre una tegola si stava per staccare da sotto la mia gamba.

«Occhio» mormorò. «Dubito che l’interno del tuo corpo sia carino quanto l’esterno.»

Di colpo mi resi conto di essergli estremamente vicina.

La mia mano si strinse sul suo petto. Come ci era finita lì? Non lo sapevo ma a quel punto tre erano le cose a cui stavo pensando: la pioggia, il fatto che fossi stata ad un passo dallo spalmarmi a terra come nutella su una fetta di pane e al mio sguardo posato sulla sua bocca.

Vicina. Troppo vicina.

Il mezzo sorriso di Kael si fece più definito.

Mi riscossi in fretta, divincolandomi dalla presa.

La risatina che mormorò mi fece rizzare i peli dietro la nuca.

Kael mi porse entrambe le mani. Non sapevo esattamente come ci avrebbe fatto scendere da quella tettoia ma per qualche strano motivo, avevo deciso di fidarmi.

«Sai, avresti potuto ringraziarmi per averti salvato la vita poco fa.»

«Non mi hai salvato la vita, avevo tutto sotto controllo.»

«Certo…»

Rimasi in silenzio per un secondo mentre, tenuta saldamente da lui, sporgevo metà del mio corpo nel vuoto, sorretta dai soli piedi serrati contro il bordo della tettoia.

«Se ti dico grazie, ci dai un taglio?»

«Si.»

«Grazie.»

«Ho mentito.»

Kael si abbassò quanto bastava per far sì che i miei piedi e le mie gambe fossero in direzione del balcone.

«Possiamo concentrarci sul fatto che sono penzoloni nel vuoto?», gracchiai.

Una fossetta gli si materializzò accanto alla bocca.

«Ora devi dondolarti e quando sei pronta, ti lascerò andare.»

Facile a dirsi, un po’ meno a farsi.

Dopo un paio di giri sull’altalena, finalmente ordinai lui di lasciarmi andare.

Il volo che feci mi costò caro. Ricaddi su un ginocchio, per fortuna la tettoia non era molto alta rispetto al balcone, ma temevo ugualmente di essermi rotta qualcosa.

Agilmente, Kael si aggrappò ad essa e bastò poco perché balzasse al centro del balcone. Anche lui ricadendo si fece male ad una caviglia però.

«Tutto ok?», chiese a me, serrando una palpebra mentre ponderava un modo per nascondere il dolore.

«Credo di sì e tu?»

Annuì. Ovviamente mentiva.

«Ti sei storto la caviglia.», la indicai. «Non mentirmi quando ti chiedo se ti sei fatto male.»

Kael si appoggiò al pavimento di mattonelle chiare respirando affannosamente. Inclinò nuovamente la testa «Scusa mamma.»

Alzai gli occhi al cielo.

«Puoi camminare?»

«Si, credo di si.»

Non mi disse mai quanto gli facesse male quella caviglia. Mi portò lontana dal teatro e tornammo a prendere la Jeep. Mi salvò per l’ennesima volta. A quel punto non avevo idea del perché lo avesse fatto innumerevoli volte; francamente nessuna delle cose che faceva aveva un senso reale, ma gli dovevo la vita.

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: FiloRosso