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Autore: time_wings    03/02/2023    1 recensioni
[SakuAtsu]
I motivi del litigio tra i gemelli sono ignoti a tutti, nel giro delle corse di auto clandestine, a metà tra folklore e informazioni provenienti da fonti inaffidabili.
Con le sue modifiche, Atsumu è una leggenda, nel giro. Non c'è gara che lui e il suo gruppo non vincano.
Questo, almeno, finché un meccanico misterioso non inizia a tessere le vittorie del gruppo di Osamu dalla sua officina segreta.
Ad Atsumu non resterà che mettere l'orgoglio da parte (impossibile) e infiltrarsi nel garage del meccanico strano, spacciarsi per un incompetente, lasciarsi insegnare e, una volta conquistata la sua fiducia, scoprire tutti i suoi segreti, per impedire che Osamu lo batta ancora.
C'è solo un problema, però. Anzi due, se si tiene conto del fatto che questo meccanico sia semplicemente insopportabile.
La regola è che nessuno può entrare nell'officina di Sakusa.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsumu Miya, Kiyoomi Sakusa, Koutaro Bokuto, Osamu Miya
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Atto terzo_


Gli alberi del parco alle spalle dell’officina frusciavano al ritmo del vento. Se si chiudevano gli occhi si poteva immaginare di essere su una spiaggia o rintanati sotto le coperte in una stanza dalle finestre che davano su una strada, dove le auto sfrecciavano sibilando gentili sull’asfalto.
Atsumu appoggiò una bustina sul tavolo da lavoro di Sakusa.
Lui non alzò gli occhi, spostò solo il collo della lampada da scrivania in modo da illuminare meglio i componenti che reggeva in una mano. “Che gusto?”
“Lampone.”
“Mh.”
Atsumu incrociò le braccia al petto e sbuffò, impaziente.
Finalmente Sakusa alzò gli occhi e strinse le labbra. “Sei passato. Ti insegno. Il patto era questo.”
La lampada gettava ombre sui volti di entrambi. Sakusa lo guardò, gli occhi fissi nei suoi. Atsumu serrò la mascella. Non aveva paura di lui, ma era una cosa intensa, come guardare troppo a lungo uno squarcio di notte e percepire la visione oscurarsi ai bordi. “Bene, da dove iniziamo?”
“Vieni, ti faccio vedere una modifica un po’ più difficile.”
Atsumu annuì e lo seguì verso la poltrona. Era di nuovo ricoperta di oggetti, ma questa volta la seduta era occupata da un pistone collegato a mille cavi.
“Lo sai che avresti dovuto fallire, sì?”
Atsumu annuì ancora, come se Sakusa gli avesse solo suggerito qualcosa a proposito di quel pistone e lui stesse prendendo appunti mentalmente.
Omi annuì a sua volta, si portò la mascherina sulle labbra e cominciò a spiegare.
Atsumu sapeva di aver fatto la scelta giusta, quando aveva deciso di puntare tutto sulla mancata lealtà di Sakusa. Sperava solo che non fosse una trappola di suo fratello. Si voltò a guardare Omi che gli diceva qualcosa sulla pressione e, per qualche ragione, all’improvviso gli parve cento volte più interessante della macchia d’inchiostro per cui l’aveva scambiato la prima volta che aveva messo piede in quell’officina.
La sua presunzione fece un primo passo verso il rispetto.
 

Sakusa saliva lentamente di livello, nei suoi insegnamenti, ma in modo del tutto innaturale. A volte saltava i concetti base, alludeva a principi di funzionamento che non gli aveva mai spiegato e lo invogliava a provare cose a cui non aveva mai accennato prima. Ogni volta che succedeva, Omi lo guardava un po’ più intensamente. Se quella fosse stata la prima volta che Atsumu entrava nella sua officina, l’avrebbe solo trovato strano e inquietante, ma, più passava il tempo, più riusciva a distinguere il suo stato d’animo tra i contorni rigidi della mascherina. Quando il grado di difficoltà dei suoi insegnamenti si alzava di colpo, quello sguardo intenso era sfida.
Atsumu scrollava le spalle e, come se fosse stata la cosa più facile del mondo, confermava sistematicamente i suoi sospetti: ne sapeva troppo. Sakusa passava la vita a calcolare i più insignificanti centimetri di mascherine, quindi credere di modificare un motore impossibile per un principiante e poi poter tornare a fingersi completamente incompetente era la mossa peggiore: di solito i calcolatori detestavano essere presi in giro. Atsumu, che era un bugiardo capace ed esperto, credeva che in quel caso fosse meglio adottare un diverso tipo di bugia. Se Sakusa aveva deciso di non pressarlo sulle sue reali competenze, lui avrebbe colto la palla al balzo e ne avrebbe fatto sfoggio solo quando preferiva, mischiando la verità alla bugia in un cocktail di confusione mille volte più efficiente di una farsa già smascherata e tenuta in piedi con stupida ostinazione.
“Allora?” gli aveva domandato una volta Atsumu, durante una delle pause che Sakusa gli concedeva. Pausa, per Omi, significava cinque minuti in cui lui se ne stava per conto suo e tracciava linee, grafici e parole su una lavagnetta a gesso in un angolo della stanza. Ad Atsumu in quel tempo era vietato rivolgergli la parola, il che significava che non faceva altro che parlargli e Sakusa lo ignorava, cercando di mostrare nei gesti tutta l’irritazione che taceva. A volte Atsumu gli rubava anche i mochi. “Perché nessuno può entrare nella tua officina?”
Una sveglia aveva squillato dall’altra parte della stanza. Sakusa aveva lasciato cadere il gesso a terra volontariamente ed era andato a spegnerla, un astronauta tornato sulla Terra che ancora ignorava la gravità. Atsumu aveva sospirato e aveva recuperato il gesso. “Sei fortunato, la pausa è finita.”
“Omi, questa cosa dei cinque minuti non ha senso.”
“Ti ho già risposto la prima volta che sei stato qui,” aveva detto lui, come se mettere in dubbio il senso di qualcuna delle cose che faceva non meritasse neanche una risposta. “Nessuno entra nella mia officina perché non mi piacciono le persone.”
“Io sono entrato nella tua officina.”
Sakusa lo aveva guardato come se il motivo fosse stato ovvio.
Atsumu aveva inspirato di scatto, colto da un’improvvisa ondata di ispirazione, poi aveva sorriso sornione. “È perché ti piaccio?”
“È perché non sei classificabile come persona.” Poi Sakusa si era voltato ed era tornato al tavolo da lavoro.
“Sicuro è perché ti piaccio,” aveva mormorato Atsumu, mentre lo seguiva. “Comunque devo andare un attimo in bagno.”
“Hai avuto cinque minuti per farlo,” aveva ribattuto Sakusa, algido. Per inciso, Sakusa non aveva toni algidi, caldi, gentili, arrabbiati, era Atsumu che se li inventava.
Atsumu gli aveva messo le mani sulle spalle e lo aveva guardato dritto negli occhi, ma Omi se lo era scrollato di dosso alla velocità della luce. “Guarda, Omi,” aveva giunto le mani davanti a sé come in preghiera. “Della tua pausa non me ne frega un cazzo,” poi era andato al bagno nell’officina del meccanico baffuto. Non aveva chiuso la porta dell’armadio e aveva quasi potuto vedere la vena sulla fronte di Sakusa iniziare a pulsare.
 
ᆞᆞᆞ
 
“Queste erano le basi,” disse Sakusa un paio di giorni dopo, guardando il cimitero di pezzi smontati davanti a loro. Atsumu gli studiò le dita sporche di grasso e la visione gli parve così contraddittoria e allo stesso tempo così ovvia da impedirgli di staccare gli occhi da lì. Lui non sembrò curarsene. “Il tuning però è la versione creativa di tutto quello che ti ho insegnato. Devi trovare il tuo stile da solo, è per questo che i meccanici si riconoscono dalla firma. Ogni creazione porta il loro nome, in qualche modo.”
Sakusa poteva anche essere un genio, ma alla fine di quel corso lampo Atsumu poteva affermare con certezza che come insegnante facesse schifo. “Puoi mostrarmi qualcosa di tuo nei prossimi giorni?”
Atsumu alzò gli occhi nei suoi, Omi lo stava già guardando. Lottò contro ogni suo istinto di abbassare di nuovo lo sguardo sulle sue mani. “Okay,” disse alla fine e questa volta Atsumu non riuscì a leggerlo.
Bingo.
La clessidra accelerò, le lancette mulinarono. Il suo tempo lì iniziò a finire.
ᆞᆞᆞ
 
Il lavoro di spia di Atsumu diede i suoi primi frutti.
Di giorno stava con Sakusa, di notte cercava di riprodurre senza successo quello che vedeva nella sua officina e al contempo di inventare un modo per rendere suo quello che apprendeva.
Bokuto si sedette sullo sgabello girevole da cui Atsumu si era appena alzato come una furia. Ancora ruotava su se stesso. “Quindi come sta andando?”
Il ragazzo scaricò una quantità di componenti imbarazzante sul suo tavolo da lavoro e si soffiò un ciuffo via dagli occhi. “Non lo vedi, Bokkun?”
Lui alzò le mani di scatto come un pentito. “Scusa.”
“È fuori di testa,” mormorò tra sé, riferendosi a Omi. Le sue mani volarono in quell’ammasso di ferraglia e si misero automaticamente a costruire e intrecciare pezzi. Gli capitava ogni tanto, quando era così ossessionato da un obiettivo complesso, che la maggior parte dei suoi pensieri si disconnettesse dalle mani. Quella volta, però, gli sembrava quasi di fare da spettatore.
“Voi meccanici lo siete tutti,” commentò Bokuto, affondando la mano nel suo pacchetto di patatine e seminando briciole ovunque sulla strada per la sua bocca. Atsumu era così disperato che non lo rimproverò neanche: forse il segreto per superare Sakusa era in una spruzzata di briciole di patatine nel cofano. “Certo però che con lui ti sei un po’ fissato,” continuò, osservando assorto una patatina in controluce.
“Che vuoi dire?” Atsumu alzò lo sguardo nel suo, Bokuto fece lo stesso, ma aveva l’espressione smarrita, come se non avesse detto nulla e si stesse chiedendo perché fosse stato interpellato. “È che è bravo davvero, ma è super rigido. La maggior parte delle modifiche più brillanti le fa a partire da altre modifiche, a volte anche dalle mie. Una volta ha detto che il fratello di Osamu è creativo, ma è sempre a un passo da una modifica geniale.”
“Aspetta, il fratello di Osamu? Ce n’è un altro?”
Atsumu rimise le mani tra freni smontati e pezzi di assali che non avrebbero dovuto essere lì e aggrottò la fronte. “No, Bokkun,” replicò pazientemente. “Io sono il fratello di Osamu. È una fottuta maledizione, non ci sto con la testa al pensiero che ogni cosa che faccio è a un passo da una scoperta.”
Per qualche secondo, nell’officina di Atsumu si sentì solo lo sgranocchiare di Bokuto.
“Senza contare che non ha senso che sia così bravo. È capace di far volare la macchina di ‘Samu senza pesare sul motore e senza superare le temperature critiche dei componenti, ma a volte dimentica di stringere gli pneumatici. Li lascia così, tutti lenti. Gli pneumatici, Bokkun. Chi è che dimentica di stringere le ruote?”
Altro sgranocchiare. Poi Bokuto deglutì rumorosamente. “Guarda, io non ci capisco niente,” e si leccò un dito, “ma ti sei davvero fissato con lui.”
 
ᆞᆞᆞ
 
Ogni volta che, come promesso, Sakusa gli mostrava qualcosa di suo, Atsumu aveva la sensazione che gli mostrasse invece qualcosa di loro. L’auto arancione di Osamu portava anche la sua firma, i suoi pezzi e quelli di suo fratello. Gli sembrava che gli mettesse le mani nelle budella, le rigirasse a suo piacimento e gli promettesse che ne sarebbe venuto fuori qualcosa di fenomenale, che lui puntualmente non prevedeva.
Ancor più che non essere il migliore, Atsumu odiava sentirsi stupido.
“Il motore non avrebbe bisogno di essere un po’ rinnovato?” gli chiese. Ovunque guardasse vedeva almeno un pezzo che avrebbe migliorato le prestazioni dell’auto, se fosse stato sostituito. Il silenzio rendeva ogni gesto un po’ più segreto, la violazione di un luogo proibito.
“Non posso,” Sakusa gli passò alle spalle e diede solo una breve occhiata con lui, prima di tornare sul lato anteriore dell’auto.
Atsumu rise. “Perché, Osamu Miya ci è affezionato?”
Omi cercò i suoi occhi, come se ci stesse pensando, ma era difficile capire la sfumatura della sua espressione con la mascherina tirata su. E poi ormai era sera inoltrata, era già una fortuna che Atsumu non vedesse due Sakusa per la stanchezza. Non sapeva dove avrebbe trovato la forza di tornare alla sua officina, più tardi, e continuare a scervellarsi. “Credo di sì. È un peccato, falsa i risultati dei miei test.”
“Aspetta, credi di sì nel senso che ci è affezionato?”
“Sì, penso di sì. Non cambiare certi componenti del motore è l’unica regola che ho.” Sakusa lo disse come se quella fosse stata la seccatura più grande registrata sul pianeta, anche se il primato perdeva di importanza visto che per lui qualunque cosa era una seccatura.
“Cioè, ci tiene davvero?”
“Ma sei stupido?”
Atsumu rimase lì a fissare il motore con i pezzi vecchi, gli stessi che, quando lui e Osamu erano piccoli, avevano messo a punto insieme nel garage del nonno per creare due micidiali motori gemelli, come loro.
“Perché non te ne freghi e basta e li cambi?” gli domandò Atsumu dopo un po’, gli occhi ancora persi tra i componenti del motore. Glieli avrebbe distrutti lui. Glieli avrebbe distrutti e poi avrebbe visto l’auto di suo fratello sfracellarsi sotto il suo culo alla gara successiva. Lo avrebbe fatto, se una vocina nella sua testa molto simile a quella di Akaashi non avesse già iniziato a rimproverarlo.
“Se ne accorgerebbe.
Osamu Miya è un meccanico.
Sì, ma fa schifo, lo corresse mentalmente Atsumu.
Sakusa chiuse il cofano e sfregò le mani tra loro, poi prese a ispezionarle come se le tracce di grasso fossero invisibili a occhio nudo. Non ne aveva, in ogni caso, Atsumu non capiva come facesse a non sporcarsi più del necessario, gli sembrava di essere finito in Ratatouille: ecco un vero chef; grembiule sporco, maniche pulite. Al diavolo.
“Bene, vattene, è tardi.”
“Sei sempre un signore, Omi.”
Lui scrollò le spalle e aspettò a braccia conserte che Atsumu entrasse nell’ascensore. L’ultima immagine che ebbe di lui fu la sua mano, che finalmente scopriva il viso.
Dall’altra parte dell’armadio pareva che regnasse il silenzio, se non per un suono ritmico che sembrava… “Cazzo!” esclamò Atsumu, correndo attraverso la porta dell’armadio e poi fuori nella tempesta, verso la sua moto. Aveva passato ore nel garage sotterraneo di Omi e nessuno dei due aveva sentito la pioggia. Il suono scrosciante delle gocce che si dividevano fra asfalto, tetti e bosco colorava quel panorama musicale di strumenti che insieme non sembravano andare d’accordo. Salì in sella di fretta e inserì la chiave nella toppa, ruotandola in attesa del rombo fenomenale del motore.
Il rombo arrivò, ma era un tuono.
Atsumu ritentò, mentre sentiva già i capelli appiccicarsi sulla fronte e l’acqua fare breccia nei vestiti in quel suo modo disomogeneo e irritante. La moto prese vita per cinque secondi, poi i fari lampeggiarono e si spensero nuovamente.
Fantastico.
Ultimamente lo faceva spesso. Non era un problema, riparare le motociclette non era mai stato un problema. Di solito aveva solo bisogno di metterci un po’ le mani dentro o aspettare qualche ora e tornava come nuova. Diventava un problema quando non poteva mettersi a sventrare la sua moto sotto la pioggia, quando non poteva neanche portarla dentro, perché questo comportava il rischio che che Sakusa la vedesse. E l’aveva detto lui, in fondo: ogni modifica di un tuner porta la sua firma.
 
“Ehilà, Omi.”
Era umiliante. I capelli erano umilianti.
“Cambio di programma.”






 
NotEl: oh no! Piove e non si può tornare a casa. Accipicchia che disdetta, chissà cosa accadrà!
(Lo so che il capitolo è corto, LO SO, e infatti non mi farò attendere, visto che brava? (non è vero, sto mentendo, mi manca solo una scena e poi ho finito la stroria quindi faccio la spaccona perché so che ora posso permettermi di aggiornare prima...... but still, il risultato è positivo quindi che ci frega))

 
   
 
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