PROMPT:
- Lontano dagli occhi
- E adesso dove vai?
- Non vorrei dire che te l'avevo detto, ma... te l'avevo detto
- Esplosione
* *
“Allora James, sei pronto?”
“Aspetta, la cravatta…”
“Dai damerino, non siamo nel tuo ufficio, dobbiamo andare al pub. Debra e Ally ci aspettano. E da che mondo è mondo un uomo non deve mai far aspettare una donna…”
“Ti ho già detto che non mi va di uscire stasera, sono stanco”.
“Tu hai qualcosa che non va, amico mio. Le gemelle più sexy della città hanno deciso di uscire con noi, e tu ti sfianchi al lavoro? Dimmi che non finirà come al solito, che te la fili proprio sul più bello” lo canzonò Dylan mentre si dava l’ultimo ritocco ai capelli guardandosi nello specchio del bagno.
“Come sarebbe a dire?” sbuffò James. “Io non me la filo affatto! Però non moriremmo mica se una volta ogni tanto la sera ce ne stessimo tranquilli a casa a guardare un film”.
“Stronzate! Cosa c’è di più rilassante dopo una giornata di lavoro che uscire con due belle ragazze a bere qualcosa, divertirsi e magari poi… Invece sembra che tu non voglia mai arrivare al dunque. Non sarai mica uno snob che non trova nessuno alla sua altezza?” Dylan rise.
Ovviamente non era snob e la stanchezza non c’entrava niente. Ma preferiva di gran lunga che il suo amico lo pensasse, piuttosto che sapesse come stavano realmente le cose.
La verità era che la cosa più bella di uscire con delle ragazze insieme a Dylan era… uscire insieme a Dylan! Avrebbe fatto volentieri a meno di qualsiasi donna pur di stare da solo con lui. Ma non poteva certo farglielo sapere.
“E poi, che male c’è se preferisco andarci piano?”
“Se continui così, prima o poi le ragazze si stancheranno di essere lasciate a bocca asciutta” Dylan gli sorrideva attraverso lo specchio, mentre controllava che la sua pelle fosse uniforme dopo la rasatura. “E dovrò fare io anche la tua parte. Lontan dagli occhi…” lo schernì.
“Finiscila...”
James amava quando avevano quei piccoli battibecchi. Gli consentivano di rimanere a guardare Dylan mentre si muoveva all’interno della casa. Mentre si lavava, o si vestiva, o cucinava. Adorava il fatto che gli prestasse attenzione anche mentre faceva altro: rosolare un soffritto, abbottonarsi la camicia, radersi. Era come sapere di essere nei suoi pensieri in ogni momento.
“Allora sei pronto?” Dylan si voltò verso di lui, e gli afferrò il nodo della cravatta. Lo sciolse, e con una mano tirò lentamente verso di sé un lembo del nastro di seta, facendoglielo scivolare lungo il collo, fino a sfilarlo del tutto.
“Stasera questa non serve. Andiamo!”.
Irresistibile.
Infilò la giacca e lo seguì.
La serata con le gemelle si rivelò fin da subito frizzante. Le ragazze bevvero qualche bicchiere in più e fu chiaro a tutti come sarebbe finita la serata. Le labbra di Ally non volevano staccarsi da quelle di Dylan, e Debra era incollata a James con ogni centimetro del suo corpo.
Quando le portarono nel loro appartamento, il clima era già bollente. I vestiti iniziarono a cadere da ogni parte, e ben presto tutti e quattro si trovarono mezzi nudi e avvinghiati sul divano.
Dylan e James erano di schiena, l’uno appoggiato all’altro, tra le braccia delle due ragazze. Mentre Debra lo baciava con passione, James era concentrato a percepire il contatto della pelle sudata di Dylan, le sue scapole che si muovevano, i suoi muscoli che si contraevano ad ogni tocco di Ally.
Si ritrovò le mani di Debra dentro i boxer, che stuzzicavano la sua erezione. Alle sue spalle, Dylan aveva il capo reclinato all’indietro, mentre Ally lo baciava sul petto. James chiuse gli occhi. Immaginò su di sé le mani di Dylan, la sua lingua dentro la bocca, il corpo sopra il suo. Allontanò delicatamente Debra prendendola per le braccia, e si sfilò dal gruppo. Raggiunse la poltrona dall’altra parte della stanza e si sedette.
Debra non si scompose. Annullò le distanze da Dylan e fece aderire i suoi seni alla schiena dell’uomo abbracciandolo da dietro. Dylan si girò e la baciò, mentre con una mano stringeva i capelli di Ally, impegnata a succhiare con il viso affondato in mezzo alle sue gambe.
James si accese una sigaretta e restò sulla poltrona, a guardare: le mani di Dylan che esploravano il corpo nudo delle due donne, la sua schiena perfetta che si muoveva ritmicamente, i glutei che si contraevano mentre le penetrava con lentezza.
Per mesi si accontentò di amarlo così, da lontano, sognando segretamente di poter vivere, un giorno, le sensazioni che si potevano provare essendo al posto di quelle donne. E con la costante consapevolezza che la situazione avrebbe potuto esplodere da un momento all’altro, insieme al segreto dei suoi sentimenti.
Successe molti mesi dopo, un tardo pomeriggio d’estate.
*
James uscì dal lavoro prima del solito e tornò a casa di corsa.
“Dylan, la nostra vita sta per cambiare!” esordì entrando i cucina.
Dylan era seduto a tavola. Alzò il viso dal piatto che aveva davanti. James notò che aveva apparecchiato per due. Il solito dolce e premuroso Dylan. Ultimamente James faceva sempre tardi al lavoro e da settimane non riuscivano a cenare insieme, se non durante il week end. Ma Dylan preparava sempre anche per lui, oppure gli lasciava sul tavolo un piatto coperto, scrivendo su un foglietto le istruzioni per scaldare le pietanze.
“Siediti e mangia qualcosa. E poi raccontami tutto, sono curioso. Anche io ho qualcosa da dirti”.
“Non ho fame. Piuttosto, dobbiamo programmare il nostro futuro. Fai i bagagli, andiamo a New York!”
“New York? E cosa ci andiamo a fare?”
“Ho avuto una proposta di trasferire lì la sede dell’azienda. E’ un’opportunità che non posso lasciarmi scappare!”
“Ne sono davvero felice James! Te lo meriti! Vuoi che andiamo in avanscoperta? Weekend a New York, niente male, amico!”
“Non solo il weekend. Avrei già trovato un appartamento per noi due. All’inizio dovremo adattarci un po’, ma col tempo le cose possono solo migliorare”.
“Come sarebbe un appartamento per noi due? Io che c’entro?” il sorriso di Dylan era improvvisamente scomparso.
In che senso?
“Non vorrai mica lasciarmi da solo…” rise, ma il suono che uscì dalla sua bocca risultò involontariamente forzato. “Ci farà bene cambiare aria”.
“Su questo sono d’accordo, ma perché mai dovrei venire a New York? Niente mi lega a quella città. A dire il vero, a parte te, non ho alcun legame neanche qui. La mia famiglia è a Xanthi, le mie origini sono lì, tutti i miei parenti sono in Grecia. Ecco, a proposito...”.
“E allora? A New York puoi avere tutti i legami che vuoi, puoi avere tutto quello che vuoi! Non puoi neanche paragonarla a un paesino dimenticato dal mondo in uno staterello piccolo e insignificante come la Grecia!”
“Dimentichi che in quel ‘piccolo e insignificante paesino’ io ci sono nato. E infatti, anch’io ti volevo parlare di una proposta che riguarda il mio lavoro...”
“Ah, il lavoro non è un problema. Troveremo anche un buco per te, vedrai”.
Aggrottò le sopracciglia, il suo tono si fece più duro. “Un ‘buco’, James?”
“Non sottilizzare, adesso. Se le cose vanno come spero, potrei anche farti lavorare per me!”
“Ma che cazzo stai dicendo?” Dylan si alzò di scatto, facendo cadere la sedia alle sue spalle. I suoi occhi azzurri erano diventati bui come il cielo prima di una tempesta, il suo sorriso sostituito da una smorfia di disgusto. “Sei impazzito, forse? Io non voglio lavorare per te”.
James rimase impietrito.
“D’accordo… potrai continuare il tuo lavoro lì…”
“Forse non sono stato chiaro. Io non voglio andare a New York!”
James sentì un brivido gelido corrergli lungo la schiena.
“E va bene. Rinuncerò all’offerta. Resteremo qui. Come adesso. Insieme”.
“Non devi rinunciare, James. E’ giusto che tu pensi alla tua carriera”.
“Ma noi...”
“Non c’è nessun noi! E anzi, se mi vuoi ascoltare, volevo dirti che sto pensando di tornare in Grecia”.
James si sentì come se qualcuno gli avesse tirato addosso un secchio di acqua gelata. Si aggrappò ad un’ultima, flebile speranza, come un naufrago in mezzo al mare in tempesta che si aggrappa ad un ramoscello.
“In... vacanza?”
“A lavorare. A viverci. Mio cugino ha continuato l’attività di mio padre e mio nonno, a quanto pare il negozio va alla grande, e ha bisogno di un socio”.
“Tu non puoi accettare!” ormai era in preda al panico. “Dobbiamo stare insieme”.
“Io ho già accettato, James”.
“Allora verrò io con te in Grecia. Tanto lo so che non durerà molto. Il tempo che tu apra gli occhi e capisca che enorme errore stai facendo. Vedrai che sarò costretto a dirti ‘Te l’avevo detto…’”.
“Non essere ridicolo! Hai dato il sangue per la tua azienda, è giusto che tu segua la tua strada. E che io segua la mia, che torni dalla mia famiglia”.
James sentì la terra aprirsi sotto i suoi piedi.
Pensavo di essere io la tua famiglia.
“Stronzate! Me lo immagino! Tu e quel tuo cugino che non conosci per niente! Proprio un bel quadretto familiare!” Il tono era sarcastico, ma gli girò le spalle perché non vedesse i suoi occhi diventati lucidi.
“E poi” continuò Dylan, ignorando l’ultimo commento “Il fatto è che... non mi piace più. Quello che facciamo. Non voglio farlo più”.
“Quale delle cose che facciamo? Mangiare? Dormire? Lavorare? Vivere?” ironizzò James, fingendo di darsi un tono.
“Le ragazze”.
James tornò a girarsi fissando l’attenzione su di lui.
“Il nostro gioco non mi piace più” buttò fuori Dylan tutto d’un fiato.
“In che senso? Non ti diverti?”
“No, non mi diverto. L’ho capito, sai? Ho capito che a te piace guardare, che ti ecciti così. Io non ti voglio giudicare, James, rispetto le tue esigenze. Però a me non basta, io voglio qualcosa di più”.
Possibile che...
“Non è come pensi Dylan. Però forse hai ragione. Anche a me non basta più” James si avvicinò. Doveva fare qualcosa prima di perderlo definitivamente. Doveva alzare la posta in gioco, doveva rischiare.
Dylan stava per dire qualcosa, ma James gli chiuse la bocca con le labbra, e con il corpo lo spinse addosso al muro. Insinuò la lingua tra i suoi denti e succhiò avido il suo sapore.
Dylan appoggiò le mani sul suo petto e lo allontanò con forza.
“Allora è questo? E’ perché ti piacciono gli uomini? E’ per questo che ti tiri indietro davanti alle ragazze, è per questo che lasci fare tutto a me! Per quale motivo non me ne hai mai parlato prima?”
James fu preso dal panico.
E’ forse disprezzo quello che vedo sul volto di Dylan?
Lo sentiva nelle sue parole, nel tono della sua voce. All’improvviso si vergognò. “No, non è questo…”
“E allora cos’è, spiegami” Dylan sembrava furioso.
E’ che ti amo, che sono innamorato di te, da sempre.
“E’ solo che… che è divertente”.
“Ah, divertente. Quindi è solo un gioco per te?”
No!
“In fin dei conti è solo sesso...”
“Ma che dici? Sei impazzito? Allora non hai capito niente! Io voglio qualcuno da amare e che mi ami... Voglio fidanzarmi, sposarmi, e un giorno avere anche dei figli. Voglio una famiglia, capisci?”
Il silenzio calò tra di loro, fino a quando Dylan non uscì dalla stanza.
“E adesso dove vai?” gridò con voce rotta James alla cucina vuota.
Dylan tornò sui suoi passi e gli si mise di fronte, con aria di sfida.
“Dammi una ragione, una sola ragione per venire a New York con te, James. Dammene una sola!” lo guardò negli occhi, alla ricerca della verità e del coraggio che non ci aveva mai trovato.
Perchè ti amo!
James restò in silenzio.
“Ecco, come immaginavo. Partirò tra una settimana”.
Il giorno della partenza di Dylan, James non aveva neppure voluto salutarlo.
Era andato in ufficio prestissimo, cercando di ignorare le valigie accatastate davanti alla porta di casa.
Seduto alla scrivania, con una serie di bilanci sotto gli occhi, non riusciva a concentrarsi. Gli unici numeri ai quali riusciva a pensare erano quelli dell’orario di partenza del volo di Dylan. Mancava meno di un’ora.
Improvvisamente, sentì come un’esplosione nella sua testa, e il velo di ipocrisia e paura che fino a quel momento aveva avvolto tutte le sue decisioni, fu squarciato. Finalmente capì cosa doveva fare, e quando doveva farlo: subito! Preso da un istinto incontrollabile, lasciò l’ufficio e salì in macchina.
Doveva correre in aeroporto, arrivare prima che l’aereo decollasse, doveva fermare Dylan, impedirgli di partire, confessargli i suoi sentimenti, supplicarlo di non lasciarlo solo. O almeno salutarlo.
Non si rendeva conto del traffico, della gente, della strada. Riusciva solo a calcolare mentalmente i minuti che lo separavano dalla partenza di Dylan. Trenta minuti, venti minuti, quindici minuti.
I controlli di sicurezza, l’attesa al gate, l’imbarco...
Quando finalmente fu in vista dell’aeroporto, si trovò imbottigliato nel traffico. Forse lavori stradali, forse un incidente, o un banale ingorgo… di qualsiasi cosa si trattasse, quel maledetto ingorgo gli stava facendo perdere tempo preziosissimo. Cinque minuti alla partenza, tre minuti….
L’aereo decollò, passando proprio sopra la sua testa.
E’ finita.
James si accasciò sul volante, lasciandosi andare a un pianto disperato.