Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    13/02/2023    1 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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Questo capitolo viene aggiunto in data 13 febbraio 2023, nel corso della revisione. Prima era tutt'uno con quello precedente, ma siccome risultava troppo lungo e ostico da leggere, ho pensato di spezzarlo per rendere tutto più facile. Ovviamente non ci sono recensioni, perché è già stato commentato in quelle del precedente capitolo, quando erano tutti e due insieme. 
Ulteriori avvisi: quando arrivate al disegno fatevi una risata e compatitemi, ma avevo voglia di ridere :D
Inoltre, se nel capitolo precedente facevo passare due mesi di colpo, da qui in poi ce ne vorranno tre o quattro per... raccontare un giorno solo! ;)
 
 
~ 20 ~
GIORNI DI TREGUA

 
 
Benché fossero passati già cinque giorni, dal loro ritorno dalla durissima avventura in cui erano stati prigionieri nel sottosuolo del Sahara, e avessero avuto tutti modo di prendersi il meritato riposo, l’equipaggio del Drago si ritrovava ancora a fronteggiare, a tratti, non i nemici, ma attacchi improvvisi di sonno, stanchezza e, nel caso di Yamatake e Bunta, anche momenti di fame incontrollabile.
Beh, a dire il vero, anche Briz si era ritrovata ad assaltare le cucine del Centro, alle tre di notte, per qualche rapina e furto con destrezza ai danni di frigoriferi e dispense; e, a dirla tutta, era sicura che ognuno di loro ci avesse provato almeno volta, Doc compreso.  
E poi il freddo… il freddo di quella segreta e di quel duro pavimento, che a Fabrizia pareva essere penetrato nei pori, nelle vene e giù per le vie respiratorie! Ancora, ogni tanto, aveva bisogno di mettersi addosso un paio di maglioni o felpe in più perché le sembrava di avere le ossa gelate, e spesso si sentiva le mani e i piedi come pezzi di ghiaccio e il naso che perdeva la sensibilità… e si era accorta che, chi più, chi meno, anche gli altri avevano risentito di questa cosa. Sanshiro e Jamilah avevano pagato questa discutibile esperienza con un raffreddore da primato, e per Doc si era temuta anche una brutta bronchite che per fortuna, affrontata prontamente, si stava già risolvendo.
Insomma, dormire, mangiare e scaldarsi erano davvero state le loro priorità, in quegli ultimi giorni.
Quella mattina, finalmente, ritrovato un minimo di voglia di vivere, Fabrizia si diresse alle scuderie, nonostante sentisse ancora una certa debolezza; e, benché si fosse quasi a metà marzo, il sole splendesse e l’aria fosse più che tiepida, sentì il bisogno di infilarsi un pesante maglione di lana sopra alla felpa. A essere sincera, non vedeva l’ora che si facesse piena estate.
Il pensiero che le attraversò fugacemente la mente fu se ci sarebbero arrivati, all’estate, ma si rifiutò di dargli peso e la sua testa andò oltre.
Obi-wan la salutò affacciandosi alla porta del box agitando la testa e sbuffando, un comportamento non molto consono alla sua abituale indole paciosa. Osservandolo bene, Briz trovò la brutta sorpresa: il cavallo aveva una ferita, sulla coscia sinistra, ancora sanguinante. Doveva essersela procurata dopo che Hakiro era andato via, altrimenti l’avrebbe subito avvertita. Non riuscì a capire come se la fosse fatta, ma necessitava sicuramente di qualche punto di sutura, così telefonò al veterinario, il quale promise di venire entro mezzogiorno.
Briz ripulì e disinfettò la ferita di Obi-wan, che per fortuna sopportò il fastidio senza ribellarsi, coprendola poi con una benda provvisoria perché non si sporcasse.
Una volta terminato si diresse nel suo ripostiglio privato, decisa a non fare nulla di impegnativo, in attesa del dottor Shidara.
Da un cassetto della libreria estrasse un blocco per schizzi e una matita e cominciò un disegno, mentre i pensieri andavano per conto loro, a rivivere le brutte avventure di quell'ultimo periodo: la Luna, l’Isola di Pasqua, Erika e Starl e il Diavolo Giaguaro… ma soprattutto, ovviamente, la recentissima prigionia nel deserto.
Si accorse che i suoi ricordi si soffermavano più spesso – com’era normale, supponeva – ai rari momenti meno pesanti di quei cinque o sei orribili giorni, cercando invece di dimenticare quelli più difficili e angoscianti, che erano stati senza dubbio la maggioranza. 
Avrebbe voluto evitare, però, di pensare troppo anche all’ultima notte, quando si era addormentata, sfinita e scoraggiata, addossata a Pete e circondata dalle sue braccia; o al momento in cui, minacciati da Sakon e convinti di stare per morire, le loro mani si erano cercate e le loro dita intrecciate in una stretta disperata. Erano stati momenti particolarmente duri e stressanti, e lei cercava di convincersi che gesti di quel genere sarebbero accaduti anche se al suo fianco, al posto di Pete, ci fossero stati, per esempio, Sanshiro o Fan Lee. Il cuore, ovviamente, le diceva di non raccontarsi stupidaggini, ma lei preferiva ascoltare la ragione… che, però, di ragioni non ne aveva.
Scelse di concentrare i pensieri su un altro momento di quell’ultimo giorno in cui avevano ritrovato la libertà; e così, ora, la matita di Fabrizia stava immortalando l’attimo in cui Jami, incurante della presenza dei compagni, aveva abbracciato il suo Prof: il disegno stava riuscendo bene, ma si accorse di essere troppo stanca per finirlo, e di avere le dita gelate che faticavano a tenere in mano la matita.
Appoggiò il blocco sul tavolino, con gli occhi che le bruciavano e le palpebre pesanti, e soffocò uno sbadiglio.
Dio… ancora!? Le sembrava di non aver fatto altro che dormire e mangiare da quando erano praticamente risorti dall’inferno, ma fu inutile resistere: si sdraiò sul divano, non prima di essersi avvolta in una coperta dalla sgargiante fantasia, e, nel giro di trenta secondi, era perduta in un sonno profondo.
 
***
 
Pete, preso dalla necessità di spazi aperti e di luce, aveva deciso di fare una passeggiata, ma i suoi passi non lo avevano portato molto lontano: si ritrovò alle scuderie, dove non andava da un po', ormai.
La costruzione era immersa nel silenzio, ma il cancello e il portone erano aperti. Sperò che Briz ci fosse: aveva un bisogno pazzesco di vederla, ma preferì non indagare sul perché; voleva solo assicurarsi che stesse bene, dopo quell’ultima, terribile disavventura, dalla quale erano tornati letteralmente a pezzi.
Persino lui, che non aveva mai avuto bisogno di tante ore di sonno, questa volta era letteralmente crollato, pregando, con tutte le sue forze residue, di non venire risvegliati dall'allarme.
Tuttavia, forse, questa ennesima, devastante sconfitta, avrebbe tenuto gli zelani lontani per un po'; ci sperava davvero, perché avevano tutti bisogno di alcuni giorni di tregua che, almeno per ora, pareva gli fossero concessi.
La prima cosa che notò, entrando nel corridoio e soffermandosi ad accarezzare il muso di Obi-wan, fu la benda di fortuna applicata sulla coscia dell’animale; la seconda, che la porta di fronte ai box, quella della stanzetta privata di Briz, era aperta.
Sbirciò all'interno e lì per lì non la vide: sul divano scorse solo una massa informe di morbido pile coloratissimo; avvicinandosi, si accorse che da un lato ne sbucava solo uno spettinato ciuffo di capelli scuri.
Poi la massa variopinta si mosse appena, e lui inquadrò la scena: Briz se la dormiva beatamente, raggomitolata nella coperta tirata fino alla fronte; un braccio sfuggì dalle pieghe del pile e la mano ciondolò giù dal divano, andando ad accarezzare inconsciamente il nero pelame di Atlas che, ai piedi del divano, faceva esattamente la stessa cosa: ronfava felice, come solo i cani sanno fare.
Il primo gesto che l'istinto, a bruciapelo, gli avrebbe suggerito di fare, sarebbe stato di inginocchiarsi accanto a lei e accarezzarle i capelli, ma si trattenne: non voleva svegliarla.  
Invece così, anche se non si vedeva granché, avrebbe potuto continuare a guardarla… ahhh, ma che diavolo stava pensando!
 
Chibi


Oltretutto quella notte aveva fatto dei sogni – lui, che i sogni non li ricordava praticamente mai, tanto da essere quasi convinto di non sognare affatto – che lo avevano lasciato alquanto sconcertato: stava abbracciando Briz addormentata, sul freddo pavimento della cella zelana; però a un certo punto, nel sogno, Briz si era girata verso di lui e lo aveva abbracciato a sua volta, gli aveva accarezzato il volto e i capelli e lo aveva baciato… baciato davvero! Lui l’aveva stretta a sé, mentre il duro e sporco pavimento si era trasformato in morbide lenzuola profumate di biancospino e, sotto le mani, aveva avvertito non il materiale sintetico della divisa di Briz, ma solo pelle nuda, tiepida e vellutata e… si era svegliato! Ovviamente, fra le braccia, stringeva solo il cuscino, e lui era ridotto in condizioni tali che aveva necessitato di una immediata doccia fredda!
Scrollò la testa, come se quel gesto potesse scacciare quei pensieri inquietanti. Briz era Briz! Faceva parte dell’equipaggio! Forse erano persino diventati amici, ma… insomma, un conto era prenderla un po’ in giro con due bacetti scherzosi, un altro indulgere in certe… fantasie. Non poteva, non doveva, pensare a lei in quel modo!
Vide il disegno incompiuto sul tavolino e, per distrarsi, lo prese e osservò i tratti precisi e riconoscibilissimi, benché fossero solo abbozzati, di Sakon e Jami, ritratti mentre si abbracciavano; posò il blocco e girò lo sguardo sulla vecchia libreria, sui volumi e i quaderni che conteneva. Il grosso dorso di uno di questi attirò la sua attenzione: forse l'altra volta gli era sfuggito. Sulla costa c'era scritto: “Le avventure di Balthazar”.
Curioso, lo estrasse e lo sfogliò: era un raccoglitore ad anelli in formato A4, con molti fogli alquanto rovinati e qualche bordo bruciacchiato, come molti degli oggetti miracolosamente salvati dalla casa distrutta di Briz.
Il quadernone conteneva una storia a fumetti, disegnata dal vero direttamente sui fogli a quadretti e colorata con i pennarelli a tinte vivaci. Raccontava le avventure di un certo Jack Lionheart, giovanotto belloccio, moro e con gli occhi blu, che difendeva la Terra dagli invasori alieni combattendo a bordo di un leone robot di nome Balthazar. Era aiutato nella sua battaglia da una ragazza bruna, e altrettanto belloccia, di nome Bree, che guidava un caccia stellare il quale, all'occorrenza, si agganciava al leone diventando le sue ali. Il leone robot non era proprio identico al Balthazar pilotato da Fabrizia, ma, nella sua semplicità, gli somigliava parecchio.
Non era difficile riconoscere la mano della ragazza in quei disegni e, anche se avevano l'aria più infantile rispetto a quelli che faceva ora, erano comunque carini. Pete guardò le ultime pagine, nelle quali i due protagonisti, dopo aver vinto la guerra, si dichiaravano finalmente il loro amore ed erano raffigurati in un'ultima vignetta, grande come l'intera facciata, mentre si baciavano appassionatamente.
Evviva: la fanciullina romanticona non si smentiva! C'era una data, in fondo al quaderno, e facendo due conti calcolò che, quando Briz aveva inventato e disegnato quella storia, doveva avere al massimo tredici o quattordici anni.
In quel momento Briz si lamentò, parlando nel sonno in una lingua che era un mix tra l’inglese e un italiano pesantemente inflazionato da un paio di cadenze dialettali:
– Dai mo’Ale, don't stress! ‘Un ci vado a scuola, oggi, ‘un ce la fo… Go away… 
– Ma come diavolo parli!? – disse Pete divertito, a voce bassa per non svegliarla.
Briz però mugolò ancora qualcosa, si stiracchiò, uscendo in parte dalla coperta, e apri gli occhi; ancora assonnata, lo vide.
– Mmm, sei tu, Richardson… che ci fai qui? – sbadigliò, ancora intontita, mettendosi a sedere.
– Sono venuto a vedere come stai e se hai bisogno con i cavalli. Va tutto bene? – le chiese, posando il vecchio quadernone sul tavolino e avvicinandosi a lei.
Briz si massaggiò le tempie, e Pete si chiese come potesse, una ragazza, essere così bella appena sveglia e con i capelli arruffati. Lei ovviò a quest'ultimo inconveniente pettinandoli sommariamente con le dita e raccogliendoli rapidamente nella solita trecciona.
– Cribbio, ho dormito troppo, sono rincoglionitissima! No, non va tutto bene: sto aspettando il veterinario.
– Ecco, infatti ho notato la ferita di Obi-wan.
In quel momento Briz si avvide del suo fumetto appoggiato sul tavolino.
– Uhm – fece, alzandosi in piedi e finendo di intrecciarsi i capelli – Vedo che hai scoperto le mie cavolate di ragazzina. E così, adesso sai da dove mio padre prese l'ispirazione per la forma e il nome del mio gattone robot. Certo, allora non avrei mai immaginato che sarebbe diventato vero… e tantomeno che lo avrei addirittura guidato.
– Tuo padre… si è ispirato al tuo fumetto, per progettare Balthazar?
– Solo per quel che riguarda l'aspetto e il nome, naturalmente: nella mia storiellina disegnata non c’è niente di ingegneria meccanica, genetica o elettronica, solo follia delirante e romanticume da quattro soldi. Però… il babbo mi ha fatto un bel regalo, no?
– Eccome! Ma certo tu avevi una bella immaginazione, per inventarti una storia così.
– Mah, guardavo tanti vecchi cartoni giapponesi… Ero innamorata di Goldrake, Mazinga, Jeeg…
– Sììì, conoscendoti, lo eri più dei loro piloti, mi sa… 
– Beh, anche! Ci sta, no? Duke Fleed e Koji, che nel doppiaggio italiano si chiamavano Actarus e Alcor, erano così… fighi! Tetsuya, poi, era uno tosto da paura! E anche Hiroshi Shiba aveva il suo bel perché! Ah, e ovviamente adoravo il leone Beralios di Daltanious.
– Briz, sei fantastica, ti mancano solo le mani giunte e gli occhi a cuoricino, lo sai?
– Sì, che lo so: ancora mi emoziono quando penso a quei vecchi anime che anche i miei genitori amavano… E poi, guarda: la realtà ha davvero superato la fantasia.
– A chi ti sei ispirata, per i personaggi del tuo fumetto? Bree ha i capelli scuri e gli occhi verdi… per non parlare del nome.
– Già… Bree è tutto quello che avrei voluto essere e a cui non somigliavo nemmeno da lontano: una gnoccolona.
Pete non poté fare a meno di ridere, nel sentire quella buffa parola che non conosceva, ma di cui non fu troppo difficile intuire il significato.  
– Beh, ma avevi tredici anni, cosa pretendevi? Che poi, alla fine…
– …alla fine, che?
– Ecco, così a occhio… tu e Bree, vi somigliate un casino, ora!
– Dai, va là, smetti di dire boiate – disse in italiano.
– E Jack… chi era? – le chiese ancora Pete, ignorando il commento da bassa autostima e pensando per un attimo che lei fosse meglio, ma molto meglio, della fantomatica Bree.
– Ahh, Jack… è inventato di sana pianta: era il tipo di ragazzo che mi sarebbe piaciuto allora, ma non esisteva proprio, era solo un disegno. Infatti è uguale a Marin Raigan, il pilota di Baldios, altro gnocco da sballo di un vecchio anime! Sì, ne sono consapevole, non dirmelo: ho di nuovo gli occhi a cuoricino! Ehi, dev'essere arrivato Shidara – annunciò, sentendo il rumore di un’auto e uscendo.
Pete la seguì, piacevolmente frastornato dai divertenti sproloqui della ragazza, rendendosi conto di quanto il suo chiacchiericcio gli fosse mancato. La verità era che si sentiva contento per lei: era sollevato di vederla avviata a ritrovare una certa spensieratezza che, sperava, sarebbe durata ancora per qualche tempo.
Si stava già immaginando il dottor Shidara: un giapponese anzianotto con la pelata, piccolo e rotondetto, alla guida di uno scassato pick up.
Quasi gli venne un colpo quando invece, da un imponente Nissan Qashqai nero, scese un ragazzone alto quasi come lui, ben piantato, capelli nerissimi e occhi scuri, che dimostrava una trentina d'anni. Sembrava più un hawaiano, che un giapponese: una specie di… Keanu Reeves da giovane.
Atlas gli corse incontro e pretese la sua dose di giochi: sembrava proprio che, per il cane, il giovane dottore fosse annoverato tra gli amici. 
Briz li presentò:
– Pete, il dottor Kenji Shidara. Kenji, il Capitano Pete Richardson.
I due si strinsero la mano e Kenji si disse onorato di conoscere il pilota del Drago Spaziale. Poi, con una mano sulla spalla di Briz, disse:
– Vieni, fammi vedere cosa si è fatto il tuo cavallone nero.
Parlava un inglese quasi perfetto e Pete si sentì un po' idiota: era vero che, dopo quasi un anno nel paese del Sol Levante, era andato decisamente più in là di arigato, konnichi-wa e sayonara, ma sapeva che non avrebbe mai imparato il giapponese allo stesso modo in cui Kenji parlava l'inglese; il fatto di conoscere bene anche l'italiano e lo spagnolo, non lo fece sentire meno inadeguato. Ma perché!?
– Vieni anche tu, Pete: dopotutto, ultimamente, Obi-wan è stato quasi più tuo che mio – gli disse Briz.
Lui li seguì, e fu anche di discreto aiuto nello far stendere il cavallo, dopo che Kenji gli ebbe praticato una leggera anestesia che lo tenesse intontito. Con gesti precisi e competenti, il veterinario disinfettò e ricucì senza indugio la ferita dell’animale, e Pete si stupì, quando chiese a Briz se si sentisse di terminare la sutura.
Lei stessa esitò, ma poi, seguendo i consigli e gli insegnamenti del dottore, applicò gli ultimi due punti con un lavoro accurato e pulito, che meritò i complimenti di Kenji. Pete pensò che, guerra permettendo, il futuro della ragazza fosse davvero segnato: diventare veterinario sarebbe stata la sua strada.
Pochi minuti più tardi Obi-wan era di nuovo in piedi; e mentre Shidara compilava la ricevuta fiscale del suo onorario, Briz e Pete ebbero un battibecco – una vera stranezza! – poiché voleva saldare lui il conto: in fondo era stata lei a dire che Obi-wan era quasi suo! E, per una volta, la ebbe vinta lui.
Dopo aver salutato il dottore, Pete rimase a guardare dal portone Briz che lo accompagnava al Suv e lo salutava a sua volta con cordialità. Quando la vide tornare, una domanda gli salì da dentro irrefrenabile e gli raggiunse le labbra, senza che riuscisse in alcun modo a fermarla.
– E… da dove salta fuori, esattamente, questo Kenji Shidara?
– È… il veterinario…? – rispose lei, ironica – L'ho scelto sull'elenco telefonico, quando io, i miei cavalli e il mio cane siamo arrivati qui, un paio di anni fa! Mi suonava bene il nome. E dopo… siamo diventati amici quando gli ho detto che anch'io studio… studiavo veterinaria.
– E chissà come e perché, hai beccato subito il più figaccione!
– Ma che ne so? Al telefono mica potevo saperlo, che aspetto avesse: sarebbe anche potuto essere un vecchio barbogio! Ma ammetto che, quando l'ho visto, è stata una piacevole sorpresa – si interruppe e fece due più due, vedendo l'espressione di Pete – Ma si può sapere cosa vai pensando? Kenji ha trentadue anni, è felicemente sposato con Yuki che, per inciso, è una donna meravigliosa, e hanno due figli bellissimi, Nami e Hiroshi: tre anni lei, quattro mesi lui! Non avrai creduto che…
– Non ho creduto un bel niente, okay? Fine del discorso! – concluse lui, bruscamente.
– Non ci posso credere! – esclamò Briz – Richardson, ti rendi conto che sembri geloso, sì?
– Piantala, Cuordileone! Non posso essere geloso: non sei mica la mia ragazza! Per me puoi avere tutti gli uomini che ti pare!
– Ehi, biondone! Guardami bene e altrettanto bene ascoltami: io posso scherzare, ma non faccio la scema con gli uomini, chiaro?
– Me l'hai già detto una volta, e io già allora ti risposi che non l'ho mai pensato! Era solo un modo di dire… Perché hai così tanta paura di passare per poco seria?
– Non so… visto come mi sono comportata con te qualche volta, avresti anche potuto crederlo. Però è stato solo…
– Smettila, le ultime volte sono stato io a fregarti un paio di baci a tradimento. E in ogni caso, non potrei mai giudicarti una ragazza facile per un paio di… come li hai chiamati? Bacetti da asilo d’infanzia? Dai, stavamo solo giocando, in fondo, no?
– Mmm… qualcosa del genere, sì. E poi… è stato una vita fa. Un gioco, come hai detto tu: ho già rimosso.
– Vuoi che ti rinfreschi la memoria? – scherzò Pete facendo un passo verso di lei.
– Ma non ci provare! – esclamò lei prendendola in ridere, tendendo un braccio in avanti e bloccandolo lì, con una mano al centro del petto. Sollevò lo sguardo nel suo e disse:
– A casa mia si usava spesso un proverbio: "Un bel gioco dura poco". Okay?
– Okay, hai ragione…
Briz abbassò la mano e… il cellulare di Pete si mise a suonare, togliendoli da quel momento di lieve imbarazzo. Briz non poté fare a meno di notare che aveva cambiato suoneria: da quella standard era passato alla musica di Indiana Jones!
Lo vide guardare, perplesso, il numero apparso sul display, come se non lo riconoscesse; ci mise un po' prima di decidersi a rispondere, poi lo fece, voltandole le spalle. Prima che potesse parlare, all'altro capo si sentì una voce: Briz non capì le parole, ma era decisamente una voce di donna, che lasciò Pete palesemente basito; era ovvio che fosse qualcuno, anzi qualcuna, che lui non si sarebbe aspettato minimamente. Briz fece per allontanarsi, ma lui si girò di nuovo dicendole a voce bassa:
– Dove vai? Puoi restare, se credi – poi si rivolse di nuovo all’interlocutrice telefonica – Ehi… Ehi, Meli… Melissa…! Posso parlare anch'io? No… Sì… parlavo con una persona… no, non la conosci, come potresti, sono in Giappone! …Certo che sono stupito! Dopo due anni, non dovrei…?
Briz non sentiva cosa dicesse la misteriosa Melissa, ma a questo punto, avendo avuto il permesso di restare, non si sarebbe persa questa novità per niente al mondo! Si appoggiò alla parete e incrociò le braccia, osservando la glacialità di Capitan Richardson venire messa a dura prova da quella che sembrava proprio una ex alquanto agguerrita.
– Senti, Melissa, vieni al punto: che vuoi da me, dopo tutto questo tempo? …Beh, eravamo stati abbastanza chiari e onesti su come stessero le cose tra… noi due. …Ah, no, senti… No. Melissa, ho detto no, okay? …ma certo, perché adesso sono il pilota del Drago Spaziale, mentre prima ero solo uno sfigato Tenente dell'aviazione americana… Ma lascia perdere! Ma porc… – Briz lo sentì reprimere un'imprecazione mentre chiudeva di colpo la comunicazione, facendo un gesto brusco come se volesse tirare via il telefono.
La guardò, e lei non poté fare a meno di sorridere: Pete che perdeva le staffe e diventava  pure rosso, era proprio uno spettacolo fuori dal normale!
– Non c'è proprio niente da ridere! – ringhiò – Ero arciconvinto che quella pazza non mi avrebbe mai più cercato! Avevo cancellato il suo numero, non pensavo proprio che lei avesse ancora il mio! Dopo due anni, poi! Lo… lo sapevamo tutti e due che era stata una storia… così!
– Così come? – fece Briz, con un’espressione birichina e maliziosa – Sesso e rock and roll, arrivederci e grazie? Melissa era una… scopamica
– Dio, Briz, certe volte ti esprimi proprio…
– …come un camionista, lo so!
– Eh! Però devo ammettere che hai reso il concetto: ci piacevamo e basta – confessò lui.
– Però, da quel po' che ho capito, alla cara Melissa piacerebbe ricominciare. Magari… non tanto con l'ex Tenente Richardson, quanto con l'eroico Capitano, nonché pilota, del Drago Spaziale.
– Va be', speriamo che abbia capito che non sono più interessato – le disse, infilandosi il cellulare in tasca; non aveva nemmeno finito di farlo, che il tema di Indiana Jones ricominciò a suonare.
– Come non detto… La vedo dura, liberarmi di lei! Ma tu guarda, oggi, cosa va a succedere… – sospirò esasperato, guardando il numero sul display.
– Idea! – esclamò Briz; e, senza lasciargli il tempo di aprire bocca, gli tolse il cellulare di mano e se lo portò all'orecchio aprendo la comunicazione.
Pete la guardò con gli occhi sbarrati e agitò le mani come per dire: “Non farlo”, mentre lei si metteva un dito sotto al naso, intimandogli di tacere. Il giovane decise di arrendersi: c'era forse altro che potesse fare, con due donne dall'altra parte? Bene, che se la sbrigassero tra loro.
Melissa passò all'attacco esattamente come prima, senza dare all'interlocutore nemmeno il tempo di dire “Pronto”.
– Non ti permettere! Non è nel tuo stile, attaccarmi il telefono in faccia!
– Buongiorno! – disse allegramente Briz, attivando il viva voce.
– Chi… parla? – chiese Melissa, indecisa.
– Dovrei chiederlo io, visto che sei tu che hai chiamato – esclamò Briz, con voce angelica, dirigendosi fuori, sul retro; Pete la seguì, curioso come una scimmia di vedere cosa avrebbe combinato.
– Ma io ho chiamato Pe… il Capitano Richardson – replicò intanto Melissa, con tono quasi lamentoso.
– Infatti è il suo telefono, ma in questo momento è sotto la doccia. Senti? – e allungò la mano ad aprire il rubinetto posto all’esterno, a cui era attaccato il tubo dell'acqua per lavare le zampe ai cavalli; lo rivolse all'insù, in modo che l'acqua che cadeva dall'alto, a pioggia, producesse un rumore simile allo scroscio di una doccia.
– Ma chi sei? – chiese Melissa, sconcertata.
– Il Comandante Fabrizia Cuordileone, ma gli amici mi chiamano Briz.
– E che ci fai nella stanza di Pete? Mentre lui fa la doccia, poi!
– Ahem, non so… Usa l'immaginazione: magari quello che ci facevi tu un paio d'anni fa, in America?
Silenzio attonito; proprio come quello di Pete, che si portò una mano chiusa a pugno alle labbra, tentando di dominare una risatina e senza riuscire a capacitarsi di quella scena, che gli sembrava al limite del surreale.
Melissa ritrovò la voce, ma non sembrava più così sicura di sé:
– Io… beh, scusa… non avevo capito. Io credo… uhm, di averti vista in tv, e… sai una cosa? Non avrei la minima speranza, al confronto con te. Fai le mie scuse a Pete, per prima, Briz… visto che è così che ti chiamano gli amici. E digli… che non lo disturberò più: probabilmente stavolta, quel bel musone, ha davvero trovato l'altra metà di sé stesso.
Melissa chiuse la comunicazione; Briz e Pete si guardarono in silenzio per alcuni secondi, poi la tensione si ruppe e scoppiarono in una risata.
– Tu sei davvero matta! Ma come ti è uscita la storia della doccia?
– Una delle mie balordate, no? E zitto, che avevo perfino voglia di urlare qualcosa tipo: “Pete, dove sono le mie mutande?”, ma mi sono trattenuta.
Per un altro minuto buono furono impegnati con un’altra risata, che stemperò l’imbarazzo per la malizia di quella battuta e fece pensare a Pete che, nonostante tutto quello che avevano passato da quando la guerra era iniziata, non ricordava di aver mai riso così tanto. Si rese conto di averne davvero avuto bisogno, dopo quel recente brutto periodo.
– Se andiamo avanti a raccontare questa balla, un giorno o l’altro finiremo per ritrovarci davvero fidanzati senza nemmeno rendercene conto! – ansimò Briz, ancora senza fiato.
– Certo, non ne abbiamo già abbastanza di Yamatake, che ci prova in continuazione a metterci insieme! – rispose lui, riprendendo il controllo – Senti, io non avrei saputo come cavarmela, senza rasentare la maleducazione. Non sono molto diplomatico…
– Ma cosa mi dici mai, la novità del secolo! E comunque, quanto a diplomazia, non è che io stata molto più delicata, povera Melissa – ammise Briz, restituendogli il cellulare.
– In ogni caso… grazie.
– Ma ti pare!
Si sorrisero, senza sapere che altro dirsi; Briz pensò all'ultima frase che Melissa aveva detto prima di chiudere: "Probabilmente quel bel musone ha davvero trovato l'altra metà di sé stesso".
"Ah, sì, proprio, guarda!" si disse "Io non sarò mai la metà giusta per nessuno, figurarsi per 'sto bellone tormentato e con tremila pensieri. Che poi… nemmeno ci tengo, sarebbe una bega di quelle grosse! L’unica cosa che desidero, io, è stare in pace e tranquillità".
Desiderio, quest’ultimo, che pensando a ciò che stavano attraversando da quasi un anno, aveva parecchio dell’ironico.
In quel momento di assoluto silenzio, uno strano, sommesso brontolio, si fece sentire.
– Cos'era questo? – chiese lui.
Briz arrossì pietosamente dalla vergogna: – Il mio stomaco… credo.
– Solo lui poteva conoscere delle parolacce del genere! Devo dedurre che hai fame?
– È l'una e mezza! Ho fatto colazione stamattina alle sette, e ho mangiato anche poco: ho il diritto.
– A volte mi chiedo se Yamatake non abbia ragione, quando ti chiama Anoressina.
– Ma se da quando siamo tornati non faccio altro che mangiare come un orso!
– Hai voglia di una passeggiata in città? Mangiamo qualcosa in giro.
– Mi stai invitando a pranzo fuori?
– No, ti sto invitando a mangiare qualcosa in giro!
– È che… ho paura, ad allontanarmi troppo dal Faro.
– La città è a dieci minuti da qui, Briz. E, non so perché, ma ho fede che non succederà niente, per un po'.
– E va bene, ci sto, ma a una condizione – dettò lei, cominciando a chiudere le scuderie.
– Sentiamo: devo preoccuparmi?
La risposta, che fu in realtà una domanda, lo lasciò un po' più che sbalordito.
– Mi ci porti in moto?


> Continua…

 


E mo’ vi lascio qui! Ci andranno davvero in città insieme, addirittura con la moto, che Briz dice di non amare?
Scopriranno qualcosa del loro passato, o litigheranno un’altra volta? O tutte e due le cose? O niente di tutto ciò?
Prossimo capitolo, se vi interessa!
Come sempre grazie a tutti: quelli che leggono, quelli che mettono tra seguite/preferite/ricordate, e a chi ha voglia di perdere qualche minuto a recensire.
 
  
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