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Autore: ConstanceKonstanz    19/02/2023    0 recensioni
Questa storia inizia nel passato.
In un mondo diverso dalla Terra, più freddo della Terra, più piccolo della Terra.
Dove abbiamo imparato a lavorare il ghiaccio, a usarlo come arma, come sostegno per le case. Dove la pioggia non è acqua, ma un tesoro da conservare. Dove la neve è più di un elemento: è una pietra preziosa. Dove il nostro nemico maggiore è ciò che ha permesso ai vostri antenati di sopravvivere: il fuoco.
Questa storia inizia nel Mondo del Natale.
Ed inizia con un nome.
Quello della mia nemica, o dell’unica persona che abbia mai conosciuto veramente: Dinah.
Genere: Avventura, Fantasy, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 13
LA CONTA DELLA MORTE
“Lasciala!” gridai e sperai di riuscire a mascherare il tremito nella mia voce.
L’ombra rise, di una risata grottesca e aumentò la stretta attorno al pallido collo di Maria.
Lei era senza forze, il viso sfigurato dal dolore, lo sguardo soffocato da un incendio che ingoia tutto.
“La ucciderai!” provai disperata. Mi scagliai contro di lei, ma non riuscii neppure a scalfirla. Le passai attraverso e caddi dall’altra parte.
Allargai gli occhi, mentre la paura si fece strada in me. Come puoi vincere un nemico che non riesci neppure a toccare? Stupidamente, cercai il pugnale di mia madre.
L’ombra mi osservò e strinse gli occhi, poi schioccò le dita e nella sua mano brillò il mio pugnale.
“Eri tu” sibilai.
Balzai in piedi e cercare di afferrarlo, ma veloce come era apparso, scomparve.
Un pensiero si fece strada in me.
Nel consegnarmelo, mia madre aveva detto che quel pugnale mi sarebbe servito. Mi chiesi se intendesse quello. Se quel pugnale fosse un’arma più potente di come appariva.
Se fosse l’unica arma in grado di ferire l’ombra.
Maria rantolò. I suoi capelli stavano diventando bianchi, il volto si stava scavando.
“Lasciala, maledizione! Prendi me, ma lascia lei! Lei non c’entra niente!” Piangevo e gridavo. Sentivo la frustrazione crescere in me e mi resi conto di non provare più paura.  Ma disperazione. Dovevo salvarla.
A qualunque costo.
Con un grido, balzai addosso a Maria e cercai di liberarla da quella morsa. Aveva lo sguardo completamente annebbiato, perdeva bava dalla bocca.
Per un attimo, l’ombra sembrò allentare la presa su Maria.
Ma fu troppo poco.
Mi spinse con un movimento secco. Caddi a terra e sentii il mio braccio andare a fuoco.
Digrignai i denti e trattenni un urlo.
Avevo una sola possibilità.
Non ero mai stata così certa di qualcosa in tutta la mia vita.  
“Ascoltami ” tuonai “Farò qualunque cosa per salvarla. Qualunque
Ed era vero. Anche se non sapevo bene cosa avrei potuto fare.
“Ma se tu adesso la lasci andare, io starò ai tuoi ordini”
L’ombra sembrò riflettere. Nella sua mano, Maria appariva più piccola. Per un secondo, il suo sguardo mi ricordò quello di Nick. E una lacrima mi rigò il volto.
“Tu vuoi qualcosa da me” continuai “Giuro che ti darò tutto, ma prima devi lasciarla andare”
Nick era morto per colpa mia. Non avrei permesso che succedesse un’altra volta.
“Allora?” ringhiai minacciosa.
L’ombra sorrise, un sorriso che mi divorò l’anima.
Con un gesto noncurante liberò Maria.
Le corsi incontro. Era pallida, esamine, il suo corpo era scosso da spasmi, ma era viva. Con sollievo, osservai il suo viso colorarsi di nuovo. Le presi una mano. “Scusami” sussurrai.
L’ombra mi toccò su una spalla ed io sentii il mio corpo bruciare nuovamente, ma ero troppo felice per aver salvato Maria e il dolore s’acquietò.
Mi voltai.
L’ombra  teneva in mano il mio pugnale. Brillava colpito dai riflessi della neve. Mi ricordò di mia madre. Guardai l’ombra e lei guardò me.
Non ci fu bisogno di parole. 
“Va bene” acconsentii.
Lei non aggiunse altro. Gli occhi accesi da una scintilla malvagia. Aspettava.
Io guardai Maria. “Promettimi che non le farai nulla”
Lei annuì e tracciò una croce nera per aria.
Giuro.
“Bene” poi guardai il pugnale.
Una volta, mio padre mi disse che quando devi fare qualcosa di particolarmente difficile, basta contare fino a cinque e poi farlo. Così. Aveva detto. Ecco fatto. Aveva detto.
Io sorrisi disperata.
Almeno avevo salvato Maria.
Con mano tremante afferrai il pugnale.
Uno.
Non lo ricordavo così pesante.
Due.
Lo alzai ad altezza del cuore.
Tre.
Non avrei mai più rivisto il mio regno.
Quattro.
Strinsi più forte il pugnale.
Poi premetti contro la carne.
Non avrei mai più rivisto casa mia.
Cinque.
 
“Ferma!” un urlo squarciò l’aria.
Sobbalzai e aprii gli occhi.
L’ombra sembrava piuttosto contrariata e mosse un passo in direzione della voce.
Rosa mi raggiunse nello stesso momento. Aveva il fiatone e gli occhi le brillavano per la paura. “Ferma!” gridò di nuovo, afferrandomi per i polsi. “Grazie agli Elfi  sono arrivata in tempo, grazie, grazie …” mi tirò indietro i capelli, mi accarezzò il volto “Sei viva”
Il suo sguardo era così intenso che non riuscii a sopportarlo.
“No …” balbettai. “Ho promesso”
Lei spalancò gli occhi. “No! Non farlo, principessa, tu non conosci tutta la storia, lei non è …”
Ma nello stesso istante l’ombra si avventò contro di lei e la scaraventò lontano.
“Rosa!” urlai , correndole incontro, ma l’ombra mi sbarrò la strada.
“Lasciami passare!” urlai brandendo il pugnale e lei tentennò.
La guardai.
Era spaventata.
Aveva paura  del pugnale.
Lo strinsi più saldamente e glielo puntai contro.
“Fammi passare”
I suoi occhi brillarono d’odio, ma Maria tossì ed io mi distrassi. L’ombra ne approfittò e con un gesto deciso colpì la mia mano.
“No!” protestai aspettando un fuoco che non arrivò mai. Fissai la mia mano. Non bruciava. L’ombra sembrava più incredula di me e approfittai di quel momento per correre da Rosa.
“Rosa” chiamai, prendendole una mano “Rispondimi!”
Lei aprì gli occhi, sembrava affaticata, ma riuscii a trovare le forze di parlare. “Principessa …” mormorò “C’è una cosa che devo dirti, tu non sai …”
“Come stai?” la interruppi.
“Maria è …”
Ma prima che potesse finire la frase l’ombra si avventò su di me e sentii il mio corpo bruciare da dentro. Era come se il mio sangue si fosse trasformato in lava. Soffrivo ovunque, tranne che nella mano destra. Ogni organo, ogni osso, ogni cellula andava a fuoco ed io non potevo fare altro, non potevo pensare ad altro che a quell’incendio. Volevo scoppiare, liberarmi dei miei vestiti, della pelle.
Ma non lasciavo il pugnale di mia madre.
Sapevo che l’ombra avrebbe stretto fino a che non glielo avessi ridato, e volevo farlo, stavo per rompermi sotto il peso di quel fuoco, ma una piccola parte di me, l’unica ancora lucida, sapeva che quel pugnale era l’unica ragione per cui ero ancora viva.
Urlai e cercai di colpire l’ombra, ma il mio braccio tremava e la mia vista era annebbiata. Sentivo i sensi abbandonarmi. Dovevo continuare a stringere il pugnale. Ma era così difficile.
Provai il lancinante desiderio di lasciarmi andare alle fiamme. Non sentivo più alcun suono, non vedevo più nulla, il fuoco continuava a bruciare. Morire non era nulla di così brutto alla fine. Morire, in quel momento, mi sembrava un meraviglioso epilogo. Sentii il fuoco smettere di stringere lo stomaco, i polmoni, la gola fin quasi alle braccia. Sorrisi. Ora mancavano solo le mani, ora solo le dita.
D’improvviso una luce mi accecò.
Mi trovavo a casa, nel parco del mio castello. Era una giornata di sole e il vento soffiava gentile tra gli alberi spogli. La neve rifletteva delicatamente la luce dell’alba ed io ne ascoltavo gelosamente lo scricchiolio ad ogni mio passo.
Delle risate attirarono la mia attenzione.
Mi voltai.
I miei genitori erano lì. Lanciai un urlo e corsi nella loro direzione.
Potevo rivederli, abbracciarli di nuovo. Mi resi conto di quanto mi fossero mancati. Piangevo di felicità. “Sembra un sogno!” esclamai, correndo da loro.
E qualcosa si ruppe.
Mi guardai attorno.
Dov’era Dinah? E le altre persone? Cosa ci facevano i miei nel nostro giardino? Avevano dato fuoco al giardino.
Fuoco.
Bastò quella parola per svegliarmi. Con un urlo ritornai alla realtà e avvertii la morsa dell’ombra stritolare il mio corpo. Attorno a me il mondo tornò a prendere forma, colori, senso.
Mossi la mano destra per assicurarmi che il pugnale fosse ancora lì e mi resi conto di quanto fossi stata vicina alla fine.
Sospirai. Poi strinsi il pugnale con tutta la mia forza, il mio dolore e le mia lacrime. Mi impossessai del fuoco che mi bruciava dentro e lo scagliai contro il pugnale. Sentii l’ombra allentare la morsa attorno al mio polso e con un gesto veloce la colpii. Un brivido la percorse per intero e finalmente mi liberò. Quasi incredula, mi aggrappai all’aria con tutte le mie forze e lascia che la neve mi bagnasse completamente.
Rosa mi sorrideva, ma poi la sua espressione mutò. “Siena attenta!”
Mi scansai un secondo prima che l’ombra mi imprigionasse di nuovo. Rotolai di lato e la guardai. Era più piccola di prima. E stava molto più attenta alle mie mosse. Ma mi sottovalutava ancora. Mi guardava, ma  guardava molto di più il pugnale. Sorrisi.
Essere sottovalutati, in guerra, può essere una benedizione.
Urlai e con un balzo le fui addosso e iniziai a colpirla. Lei mi feriva, mi incendiava, ma ad ogni colpo che le infierivo, i suoi attacchi perdevano di potenza.
Alzai il pugnale per infliggerle il colpo fatale, ma nello stesso istante Maria mi guardò.
“Non farlo” sussurrò.
Tentennai.
“Non darle ascoltò!” urlò Rosa.
Confusa, mi distrassi e l’ombra ne approfittò per balzare addosso a Rosa.
“No!” urlai, ma Maria mi fermò.
“Dammi ascolto” borbottò, afferrandomi saldamente per le spalle “Lei ti avrebbe dato in pasto ai leoni, avrebbe permesso ai Grace di ucciderti, lei è la cattiva. Lascia che sia divorata dall’ombra. E’ la giusta punizione, principessa”
Fu quell’ultima parola a svegliarmi.
Maria non mi aveva mai chiamata ‘principessa’, fin dal principio aveva usato il mio nome.
Mi accorsi che era stranamente calma per essere una donna che aveva appena sfiorato la morte e che guardava l’ombra come si guarda un cane fedele.
D’istinto, strinsi il pugnale.
Ma prima che potessi capire meglio, Rosa urlò di dolore ed io vidi che stava sanguinando.
L’ombra l’avvolgeva completamente, lasciando scoperte solo le mani, che pendevano senza vita. Era questione di una manciata di secondi e sarebbe morta.
Stavo per correre da lei, ma qualcosa mi fermò.
Fissai Maria.
Sorrideva.
Le puntai il pugnale al collo.
E nello stesso istante l’ombra si fermò.
Ci guardò ed io guardai lei.  “Lascia andare Rosa o la uccido”
L’ombra sembrò combattuta e allentò la presa.
“Siena!” urlò Maria, la voce ferita. “Cosa stai facendo?”
Tentennai.
Non avevo mai puntato un’arma contro nessuno.
Il suo collo emanava un calore insopportabile.
Il mio braccio tremava.
Ci fu un secondo.  
Un secondo di calma dopo la tempesta.
In cui il mio sguardo si incrociò con quello di Maria.
Ed io presi una decisione.  
Balzai in avanti e prima che Maria riuscisse ad afferrarmi,  lanciai il pugnale nel petto dell’ombra, dove sperai si trovasse il suo cuore o qualcosa di simile.
“No!” gridò Maria, affondando le unghie nelle mie gambe.
Io aspettai.
Attimi che sembrarono ore.
Poi, si udì un lieve cigolio. Come di ghiaccio che si spezza.
E l’ombra scoppiò in mille schegge.
Divenne luce. Una luce accecante.
Lasciò andare Rosa ed mi precipitai verso di lei. Maria, alle mie spalle, scoppiò in urlo esasperato. Fu allora che avvenne la cosa più strana di tutta la giornata.
L’ombra non si volatilizzò come avevo sperato, ma si trasformò.
 In una persona.
La stessa che la prima sera avevo visto parlare con un’ombra, quella che mi aveva accolto in casa sua, che era scomparsa nel momento in cui eravamo stati attaccati dai piccioni-kamikaze, la stessa che aveva causato la caduta del nostro elicottero.
Bianca.
La guardai e avrei avuto così tante domande, ma lei non sembrava vedermi.
Aveva gli occhi annebbiati e con un sospiro, cadde a terra.
Guardai Rosa.
“Principessa” sussurrò.
 Le strinsi la mano. “Sono qui”
“C’è una cosa che devi sapere …” mormorò. Ogni parola era interrotta da un gemito. Vidi che perdeva sangue dal petto.
“Non ti affaticare”
“Maria ed io …” S’interruppe e sputò sangue “Noi siamo …”
Ma prima che potesse finire, un rumore sinistro attirò la mia attenzione. Mi voltai e con un brivido di sorpresa osservai gli occhi di Maria tingersi di rosso, i suoi capelli scurirsi, il volto impallidire, le gambe allungarsi fino a perdere consistenza. Busto e braccia si fusero insieme in un lungo e tetro abito nero. Un bagliore rosso si delineò attorno alla sua sagoma. 
Non era un’ ombra.
Potevo ancora distinguere il suo volto, le mani e il collo.
Ma non era nemmeno umana.
Ricordai la storia di Nico, della sua famiglia, di come tutto il suo villaggio fosse stato spazzato via dalla stessa terribile potenza.
E capii.
Non era un’ombra.
Era una strega.
   
 
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