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Autore: Onda nel silenzio    27/02/2023    2 recensioni
1. La conta dell'atrocità - Dieci, venti, trenta milioni, moltiplichiamo per tre, che ne dici, tesoro?
A volte, nei momenti più impensati, senti ancora la voce di Arlong nella tua testa e la spalla brucia come se te la stesse mordendo a sangue.

2. Abbastanza - Nami si ruba tutto, anche le risposte che non hai.
3. Alla deriva - "Quando Nojiko ha deciso di raccontarci il tuo passato, io e Rufy non siamo rimasti ad ascoltare. Perché, secondo te?"
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arlong, Nami, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Bianco.
Bianco vuoto, muto, morto.
Bianco accecante, stordente, soffocante – come le pagine del diario di bordo su cui non resta nulla da scrivere, come i fogli su cui non traccerai più isole. Non vedi nient'altro all'orizzonte, il tuo futuro non ha né un nome né una forma.
Sei alla deriva, Nami. Trascinata via dai ricordi, da un passato che ti pianta le unghie nella schiena e graffia senza sosta. Vorresti fermare le immagini, le voci, i profumi, le urla, i brividi, le risate. Vorresti riposare.
Lasci la tua stanza a passi inquieti, muovendoti nel buio con disinvoltura in quel posto che presto non sarà più casa tua – ti farà lo stesso effetto sdraiarti a guardare le stelle nelle notti insonni, quando sarai a terra?
Raggiungi la cucina avvolta nel silenzio della notte, percorri la scala che porta al giardino, inali l'odore della salsedine che si fa sempre più pregnante man mano che sali, ed esci all'aperto aggrappandoti al cielo per cancellare il bianco.
Ti immergi nel nero con sollievo, cercando fra le stelle l'appiglio che ti manca, l'aggancio che ti faccia smettere di scorrere e sbandare e annaspare. Ti lasci cadere sull'erba a braccia spalancate, senza smettere di guardarle. Ascolti il silenzio circostante che poi non è silenzio, perché se presti attenzione ti accorgi che tutto scorre, che tutto si muove e vive anche quando sembra fermo.
Lassù, sola con te e la natura, ti sembra di rimettere un po' in ordine, di spegnere l'angoscia, di adeguarti al ritmo calmo delle onde. Inspiri ed espiri a occhi chiusi, inebriandoti del profumo dei mandarini, del vento, del mare.
Per un po' la corrente che ti trascina si placa, ti sembra quasi di toccare sponde accoglienti, di raggiungere, anche se solo per poco, un rifugio incontaminato.
"Posso restare?"
Spalanchi gli occhi al cielo, colta alla sprovvista. Ti sollevi a mezzo busto, volti indietro la testa e trovi Zoro vicino alla scala. Non l'hai sentito arrivare, non lo senti mai.
Lui ti guarda con un'espressione distesa, hai l’impressione di percepire un barlume di trionfo, quasi, per chissà quale pensiero che gli sta attraversando la mente – ne ignori l'origine, ma ti faresti contagiare volentieri da quella sensazione. Gli fai un cenno d'assenso. Lui si avvicina al prato, rivelando la bottiglia che teneva nascosta dietro al fianco.
Mistero svelato, pensi con un sorriso, un sorriso solo interiore che porta già con sé una punta di nostalgia. Perché realizzi che questa sarà una delle ultime volte in cui vedrai una scena del genere, uno degli ultimi momenti che passerai con lui.
Tremi. Tremi dentro, tremi fuori. Forse è soltanto colpa del vento, ma cerchi comunque di non darlo a vedere, sai che lui lo noterebbe, si accorge sempre che qualcosa non va. È una consapevolezza allarmante per chi come te è abituato a celarsi, ma al tempo stesso anche confortante. Sa di punto fermo, di sollievo.
Zoro è in piedi sul prato, si mantiene a debita distanza da te. Guarda l’orizzonte col volto di profilo, e la cicatrice che ha sull’occhio rende la sua espressione più minacciosa di com'è realmente, perché ha le labbra distese in quello che sembra quasi l’accenno di un sorriso. Osservi meglio la bottiglia che tiene con sé e riconosci un’etichetta particolare. Heaven's Rum – nome banale, ma tremendamente azzeccato. È il migliore che tu abbia mai assaggiato, eppure vi siete lasciati alle spalle l’isola che lo produce da secoli.
“E quella da dove salta fuori?”
Stavolta Zoro incurva le labbra verso l’alto in modo evidente. Ci sono momenti in cui hai l’impressione che si compiaccia di saperti sorpresa e che ci metta un po’ a risponderti di proposito. Quando volta la testa nella tua direzione il ghigno impresso sul suo volto porta con sé quel barlume di trionfo che ti era sembrato di scorgere prima, e anche una certa dose di saccenteria. “Tengo sempre il meglio per ultimo.”
“L’hai conservata con te per tutto questo tempo?”
Non riesci a capire come ci riesca, tu che al contrario vuoi prenderti ogni cosa subito, che come motto hai ‘Chi si accontenta non gode’. Sotto sotto un po’ lo invidi, trovi tremendamente irritante quel suo ghigno saputo di chi si ritiene superiore, ma vorresti anche imparare a essere un po’ come lui, imparare ad aspettare (smettere di contare, di accumulare con smania).
“Beh, hai premuto il pulsante d’arresto?”
Ti riscuoti bruscamente dai tuoi pensieri. La prima cosa che metti a fuoco è la bottiglia di Heaven’s Rum. Zoro la sta tendendo nella tua direzione.
Sbatti le palpebre, confusa. “Vuoi darla a me?”
Lui inarca un sopracciglio. “Non ti allargare, ti offro solo qualche sorso.”
La sua particolare gelosia per l’alcol lo rende molto più simile a te che a se stesso, è un lato del suo essere che da eroe perfetto e inarrivabile te lo fa sentire più raggiungibile, più umano, ma questo non glielo dirai mai.
Afferri svelta la bottiglia. “Non sei affatto galante.”
“Lo so, grazie” è la sua risposta pronta, “attenta a quel che fai.”
Bevi un ampio sorso di rum senza staccargli gli occhi di dosso, trattenendo il tuo sorriso di sfida soltanto per non perderti alcuna goccia d’alcol. Provocare è nella tua natura, e il suo tono minaccioso non ti fa alcun effetto.
Zoro indurisce lo sguardo, tu continui a bere.
“Ma tu guarda ‘sta strega!”
Lo strattone con cui si riprende la bottiglia per poco non ti fa andare l’alcol di traverso. “Ehi!” protesti contrariata.
Lui ti squadra accigliato, tenendoti ben lontano il suo bottino, ma ti si siede comunque accanto.
Cerchi di ignorare i sobbalzi del tuo cuore, di mantenere la tua facciata indispettita.
“Ti sarebbe stato bene se ti fossi strozzata.”
Ti guarda di traverso, avvicinando svelto il collo della bottiglia alle labbra. Forse è per il tono pungente che ha usato o per la sua espressione circospetta, forse è per lo squisito retrogusto del rum che ti è rimasto sul palato, ma hai un’improvvisa voglia matta di ridere. Eppure c’è qualcosa che quella voglia te la cancella in poco tempo, qualcosa che ti toglie il fiato e ti fa crollare il sorriso sulle labbra quasi di colpo.
Zoro è guardingo, ti studia, ma non lo sta più facendo in modo involontariamente comico. Il suo sguardo è serio, appesantito – ti sembra attraversato da tante piccole crepe. Una di quelle crepe ti si incaglia nel petto, proprio al centro, si apre un varco un po’ più a sinistra, si estende e taglia.
Lui lo nota, come sempre. Allora tu torni a ricucirti il sorriso sul volto, ad aggrapparti al nero del cielo per evitare di finire alla deriva (di nuovo, ti basta così poco, ormai…)
“Un altro sorso.” Abbassi il volto in direzione della bottiglia che ti sta sfiorando il braccio. “Ma solo un altro” ti ammonisce Zoro.
Ti chiedi se sia il suo modo di intervenire, di spazzare via quell’attimo intriso di spine. Afferri la bottiglia, lo guardi di sfuggita, e vedi che sembra di nuovo integro – incrollabile.
Forse ti sei soltanto immaginata tutto. Forse quel rum è più forte di quanto tu creda e ti sta dando alla testa. Ne gusti il sapore corposo e audace osservando le stelle, punti fermi che brillano distanti, indisturbati.
“Dove andrai?”
Quella domanda ti coglie di sorpresa. È una domanda così diretta, così personale.
E inaspettata. Specie da parte sua.
Gli allunghi la bottiglia senza staccare gli occhi dal cielo. Il cuore ti batte irrequieto, hai l’impressione di sentire rombi di tuoni tremarti contro la cassa toracica.
Dove andrai, Nami?
A casa
, ti rispondi quasi con ribellione, ma la casa a cui stai pensando non si affaccia nella tua mente abbagliante di sole. È piena di ombre sbagliate, di ricordi che hanno sporcato troppi volti, troppe cose, troppi luoghi, di mani che ti afferrano per la gola e te la schiacciano contro una scrivania colma di mappe che non sono mai state davvero tue.
Dieci, venti, trenta milioni – moltiplichiamo per tre, che ne dici, tesoro?

È tutto finito, ma i fantasmi non se ne vanno mai completamente, neanche quando si estirpa il male alla radice. I fantasmi si annidano all’interno e logorano, logorano, logorano, come ruggine, sino a –
“A casa.” Stavolta lo dici a parole, mettendo a tacere voci, numeri, tintinnio di monete, fruscio di banconote. “Tornerò a casa.”
Lo affermi più a te stessa che al tuo compagno di viaggio, in sfregio ai quei traumi che sai che saranno ancora lì ad aspettarti quando sbarcherai a Coco, quando rimetterai piede al villaggio, sulle strade della tua infanzia, nel giardino di Bellemere, dove Arlong non c’è più, ma dove sai che lo vedrai comunque – lo vedrai e lo sentirai ancora, Nami, perché è inevitabile, succederà, sì, succederà, e dovrai trovare il coraggio di – no, no, no, non sei uguale ad Arlong, non sei uguale ad Arlong, hai smesso di usare il denaro come merce di ricatto, stai facendo dei passi avanti, stai provando a disintossicarti, a guarire.
“Pensavo volessi restare con Rufy.”
Volti la testa di scatto verso di lui. Zoro beve e guarda dritto davanti a sé, sembra ostinato a non schiodarsi da lì, ma tu non gli dai tregua, lo costringi a incrociare i tuoi occhi. “Perché?” gli chiedi sorpresa, curiosa – avida.
Lui fa spallucce, si attacca un’altra volta al collo della bottiglia e distoglie lo sguardo. “Così.”
Assottigli le palpebre, la pretesa che ti respira addosso e non ti lascia più andare. Zoro ti conosce, sa che quando ti impunti non dai scampo. Per questo a un certo punto, dopo aver preso un sorso particolarmente generoso di rum, ti dice finalmente cosa gli passa per la testa.
“Lui ti piace, lo davo per scontato.” Parla in tono casuale, ma ha le spalle rigide e lo sguardo fisso in un unico punto che non si muove da lì – dettagli che noti senza registrarli pienamente, troppo spiazzata da quello che hai sentito.
“Cosa?”
Ti guarda di sfuggita e per un istante ti sembra di scorgere un velo di allarme sul suo volto. Forse ha interpretato il tuo tono sbigottito per arrabbiato. “Non intendevo impicciarmi, mi-”
Zoro non finisce la frase. Fa saettare lo sguardo sulle tue braccia raccolte al petto, sulle tue spalle che tremano incontrollatamente, quel suo velo d’allarme che si inspessisce attimo dopo attimo, ma quando scoppi a ridere sgrana l’occhio, disorientato. Lo fissi al di sotto delle ciglia con la vista appannata.
Non sai nemmeno tu perché stai lacrimando, se per l’alcol o per il divertimento. Probabilmente per nessuno dei due, hai bevuto troppo poco e il divertimento…
Ti rendi conto che vista dall’esterno potresti risultare inquietante, perché smetti di ridere di colpo – di nuovo, attraversata da un pensiero tutt’altro che comico, una stilettata inflitta al cuore – e quando parli ti trema la voce. “Voglio bene a Rufy” chini la testa, lasci che i capelli sciolti ti coprano il volto, “ma non in quel modo.”
Ti nascondi, Nami.
Ti nascondi per non rivelare il tuo sguardo mesto, il segreto che ti trema dentro.
‘Lui ti piace.’
Che ironia, eh?

“Devo aver frainteso.”
La voce di Zoro è bassa, hai l’impressione di sentirla da lontano, eppure al tempo stesso ti arriva nitida, riecheggia nella tua testa senza interferenze (ha del sollievo, con sé, o è solo tranquilla come suo solito?).
Raccogli le ginocchia al petto, tieni stretto un braccio con l’altro, cercando di rendere te stessa l’appiglio che ti serve per non andare alla deriva.
Rufy. È iniziato tutto da lì, da quel momento lontano vicinissimo in cui hai sentito un cappello di paglia posarsi sulla tua testa.
Viaggi a ritroso con la mente, nostalgica e grata e felice e triste, viaggi a ritroso per riviverlo appieno, per ricordare ancora la sensazione sconvolgente che ti aveva travolto in quell'attimo, come ti era parso di avvertire il sapore metallico delle monete lasciare la tua bocca, come ti eri sentita parte – per la prima volta – di un gruppo con cui avresti davvero voluto restare, di un gruppo che avresti scelto.
Rufy.

È iniziato tutto da lì, da lui.
O forse ancora prima.
“Quel giorno, ad Arlong Park…”
Trattieni il respiro, senza capacitarti di come siate sintonizzati sugli stessi ricordi.
“… sarei riuscito a riaffiorare comunque, anche se non mi avessi salvato.”
Resti in ascolto incapace di sollevare lo sguardo, lasciando che i capelli ti nascondano il volto come una cortina, immobile.
“Volevo soltanto spingerti a reagire.”
Perché te lo sta dicendo proprio adesso? Perché, semplicemente, lo sta facendo?
“Non ero io quello realmente ammanettato.”
Sbigottito.
Il tuo cuore pulsa sbigottito, colpito dalla verità disarmante di quelle parole. Perché è così, Nami, quando ti sei tuffata per recuperare Zoro hai sentito le catene che ti eri autoimposta tendersi, tirare, iniziare a spezzarsi.
Tremi, sconvolta di scoprire che è stato capace di leggerti a tal punto, di svelarti in modo così accurato.
Tremi, ma solo internamente.
Lo guardi, il cuore che non la smette di pulsare a un ritmo irruente. E forse lui ti legge anche adesso, forse lui la vede la gratitudine che ti fiorisce negli occhi. Perché non si ferma, continua a renderti partecipe di quello che si porta dentro.
“Quando Nojiko ha deciso di raccontarci il tuo passato, io e Rufy non siamo rimasti ad ascoltare.” Zoro gira il volto verso di te, incrocia i tuoi occhi. “Perché, secondo te?”
Non sai cosa dire, ti perdi nell’intensità del suo sguardo, ma lui sembra aspettare, esigere una risposta.
“Perché non vi importava quello che aveva da dire” sussurri.
Ti offre la bottiglia per la terza volta, la prendi senza nemmeno accorgertene, dimentica che solo fino a poco prima ti aveva detto che la seconda sarebbe stata l’ultima. “E perché non me ne importava?”
Ti stringi nelle spalle, scuoti la testa con un sospiro nervoso, notando che è passato a parlare al singolare. Cerchi di convertire quel sospiro in una risata, ma non ci riesci. “Ti stai dando ai quiz? Peccato, se mi avessi avvisata per tempo avrei fatto i compiti.”
Zoro ignora l’ironia, ti fissa serio, perentorio. Il suo sguardo ti toglie il fiato.
Inerme – è lui che si sta mettendo a nudo, eppure sei tu che ti senti così.
“Perché…” Interrompi il contatto visivo, rifletti in cerca della risposta giusta, e ti rendi conto di essere completamente in alto mare. “Non lo so” ammetti allora, “perché non ti interessava sapere chi fossi?”
“Esatto.”
Nascondi l’ombra di delusione che ti attraversa a quella risposta, rifugiandoti nella bottiglia che porti alle labbra.
Non capisci dove voglia andare a parare.
“Non giudico le persone dal loro passato, ma da quello che fanno nel presente.”
Quelle parole gli appartengono come poche altre cose, ma prima d’ora non avevi mai pensato di associarle al vostro rapporto.
“Giudico quello che vedo. E io” – ti viene istintivo cercare i suoi occhi, mentre non puoi fare a meno di pensare a quanto tutto questo sia dannatamente prezioso – “ti ho vista, Nami.”
La sua voce è bassa, rispettosa.
Come la sua confessione.
Ti ho vista.
Zoro ha visto il tuo dolore, l’ha visto passarti sul viso – tutto – mentre era ammanettato davanti a te, quando Arlong aveva detto quelle parole marce che ti avevano fatto sussultare – ed è in nome di quel dolore, la prova della tua innocenza, che non ha voluto saperne di più.
Zoro ha scelto di non violare il tuo passato per rispetto. Rispetto per il tuo dolore, rispetto per il tuo silenzio, rispetto per te che non avevi voluto condividerlo.
Te lo dice con poche parole. Parole sincere e dirette.
Non muovi un muscolo. Non riesci a pensare, a fiatare.
“Un giorno però, se sarai tu a volermene parlare” – il tuo cuore perde un battito – “sappi che io ti ascolterò.”
Nessun ghigno, nessuna smorfia sarcastica o di compassione. La sua espressione è ferma e dignitosa, ti esprime un invito autentico.
Aspetti di razionalizzare, di trovare l’interruttore che ti aiuti a non sentirti sottosopra, frastornata, scioccata, confusa, destabilizzata. Ti senti vacillare, ti senti alla deriva.
La corrente su cui viaggi però non ti porta via con irruenza, non ti lascia persa e sommersa. Scorre a un ritmo serrato ed eppure gentile.
Perciò – così, ti viene naturale come respirare –, gli posi la testa sulla spalla.
Zoro si irrigidisce.
Indossi i tuoi brividi sotto le stelle, respiri il sussurro delle onde e il profumo di sale che ora ti stendono sopra un conforto inedito.
"Ti ho chiesto di lasciare la cella di Arlong e di non tornare più indietro solo per proteggerti."
Quasi non lo senti fiatare. Sai che col tempo Zoro è arrivato a capire la motivazione della tua scelta, ma il bisogno di dirglielo adesso è sconfinato come l’oceano.
"Io mi fidavo di te."
Le parole che mormori al vento sembrano avere un effetto alleviante su di lui, che rilassa le spalle in silenzio. Allora tu, con altrettanta naturalezza, la testa leggera, quel conforto inedito che ti avvolge da capo a piedi e ti sfiora come una carezza tiepida, gli passi un braccio attorno alla vita.
Ascolti i battiti del tuo cuore che esulta e aspetta ed esita e spera.
Poi, pian piano, senti Zoro avvicinare la testa alla tua.
Chiudi gli occhi.
Sorridi.
Lui ti avvolge un braccio attorno alla vita, la sua mano posata sul tuo fianco è calda, salda. Rispettosa come lui.
Sei alla deriva, Nami, ma la corrente non ti trascina via con violenza.
Ti lasci trasportare serenamente, ancorata a una roccia incrollabile.




Ti svegli per la troppa luce che ti brilla contro le palpebre, un bagliore caldo e dorato di sole nascente che ti acceca non appena dischiudi gli occhi. Sollevi un braccio per coprirti il viso, e nel farlo sfiori una mano poggiata sul tuo ventre.
Volti la testa di lato, incontrando quella di Zoro a pochi centimetri dalla tua. Vi siete addormentati così, stesi sul prato della Sunny. Eppure non ricordi una notte caratterizzata da un sonno altrettanto profondo e privo di interruzioni come quella. L’alba che ti ha appena accolta è confortante e pacifica come poche. Forse è opera di quella vicinanza, di quel contatto fra i vostri corpi che ti fa sentire al sicuro come non sei mai stata.
Tendi la mano che hai sollevato per coprirti dalla luce verso il volto di Zoro, avvicinando ulteriormente il tuo al suo. Fai scorrere le dita sulla sua guancia con una delicatezza che non sapevi nemmeno di avere, non smetti neanche quando lui contrae appena il volto e schiude la palpebra senza cicatrice.
“Cosa fai?” ti chiede, la voce ancora impastata dal sonno.
Continui ad accarezzarlo, facendogli nel frattempo scudo dalla luce del sole. “Quello che fai tu.”
Ti restituisce uno sguardo disorientato, eppure al di sotto intravedi anche una scintilla di aspettativa. Sorridi, i vostri nasi che si sfiorano, mentre lui trattiene il fiato. “Mi prendo il meglio per ultimo” mormori. E lo baci.
Il tuo sorriso si modella direttamente al suo, mentre il sole dell’alba sfiora i vostri volti uniti.





~~





I fantasmi sono con te quando rivedi la casa bianca circondata dagli alberi di mandarino.
I fantasmi sono con te, ma sanguinano di un dolore che non schiaccia, un dolore tollerabile.
Uno, due, tre, quattro – i battiti veloci del tuo cuore che corre, corre e corre, ma che non conta più in preda a una morbosa smania.
Cinque – le dita ruvide e gentili intrecciate alle tue, che ti aiutano a portare il peso di quel dolore.
Sospiro di sollievo, felice.
Sei al sicuro, bambina mia.












Note
Sia Rufy che Zoro non sono rimasti a sentire Nojiko raccontare del passato di Nami, che per me vuol dire tantissimo. Rufy, a detta sua, non aveva bisogno di prove per fidarsi di lei. Zoro invece secondo me la prova che gli serviva l'aveva già avuta poco prima, ad Arlong Park. Credo che lui sia estremamente rispettoso, non solo nel senso che a differenza di Sanji non sbava e non allunga le mani sulle donne, ma anche per quanto riguarda tutto il resto, il dolore altrui in primis.
Io interpreto quel momento in cui si è messo a dormire mentre Nojiko parlava come un modo per rispettare il silenzio di Nami, un modo per evitare di invadere il suo suo passato senza il suo consenso. Forse non si era davvero messo a dormire, perché sapeva che sarebbe probabilmente dovuto entrare in azione da un momento all'altro, ma ci metto la mano sul fuoco sul fatto che non abbia ascoltato una singola parola. Il bello di quel momento è proprio questo, presuppone l'esistenza di un legame più particolare con Nami da parte sua e di Rufy. Con la differenza che Rufy questo legame particolare ce l'ha con tutti. Mentre Zoro... vabbè, cos'altro c'è da aggiungere?
Il finale con l'inserimento di quella prima persona, nonostante Bellemere non l'avesse usato nella prima one-shot, si è inserito di prepotenza, da solo. E io, che sono sempre molto istintiva, ho deciso di assecondarlo.
Alla prossima!

  
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