Prima di lasciarvi all'aggiornamento di stasera, volevamo darvi un piccolo annuncio su una cosa che arriverà tra due settimane, in concomitanza con la pubblicazione del gran finale: stiamo lavorando per aprire i nostri profili social su instagram e facebook!
Quindi stay tuned, e preparatevi a seguirci anche lì 😎
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CAPITOLO 40 - RUNNING FROM MY SHADOW
Well, you almost had me fooled
Told me that I was nothing without you
Oh, but after everything you've done
I can thank you for how strong I have become
’Cause you brought the flames and you put me through hell
I had to learn how to fight for myself
And we both know all the truth I could tell
I'll just say this is I wish you farewell [1]
Told me that I was nothing without you
Oh, but after everything you've done
I can thank you for how strong I have become
’Cause you brought the flames and you put me through hell
I had to learn how to fight for myself
And we both know all the truth I could tell
I'll just say this is I wish you farewell [1]
“-La cosa assurda è che in realtà mi sei mancato. Non abbiamo più parlato perché io … Perché io non ho lasciato che succedesse. Perché avevo paura di te, e di quella parte di me che sei tu-.
-Perché parliamo adesso?-.
-Perché se c’è una parte di te in me, deve esserci una parte di me in te-.” - Mr Robot
Nonostante fosse quasi sera il sole estivo non sembrava intenzionato a calare. La finestra aperta non dava alcun sollievo, e ad Alessio non era rimasto altro che afferrare una scartoffia sulla sua scrivania e sventolarsela addosso, cercando un po’ di refrigerio momentaneo.
Lavorare il 14 di Agosto era letteralmente un’agonia, persino per lui, che del suo lavoro adorava ogni aspetto, dal più noioso a quello più creativo. Doveva resistere ancora poco: ancora dieci minuti e poi si sarebbe potuto alzare dalla sedia del suo ufficio fin troppo accaldato, pronto a rimettersi in auto ed andarsene verso Venezia; poteva risparmiarsi ore di straordinario il giorno prima dell’inizio delle ferie di Ferragosto.
Gli ultimi minuti passarono con l’inerzia tipica degli ultimi attimi del quotidiano lavoro, più lenti di tutte le altre otto ore. Alessio controllò un’ultima volta l’ora sul display del cellulare, prima di spegnere il computer ed alzarsi definitivamente, con un sospiro di sollievo. Ignorò le pieghe che si erano formate sulla camicia, arrotolandosi meglio le maniche fino ai gomiti; recuperò tutte le sue cose sparse sulla scrivania, prima di uscirsene dall’ufficio con un sospiro di sollievo misto a stanchezza.
Percorse con passo lento il corridoio che l’avrebbe condotto prima all’hall dell’azienda e poi fino al parcheggio. Non c’era quasi nessuno oltre a lui: gran parte degli impiegati e dei programmatori avevano preferito prendersi l’intera settimana di ferie. Alice gli aveva rinfacciato diverse volte di non aver fatto lo stesso: poco era cambiato che Alessio avesse cercato di spiegarle che, se voleva ottenere una qualche promozione il prima possibile, più lavorava e meglio sarebbe stato.
Salutò gli ultimi colleghi rimasti, senza però fermarsi a parlare con nessuno di loro, conscio che ad Alice avrebbe fatto comodo vederlo tornare a casa quanto prima. Su quel punto, perlomeno, non poteva darle torto: non doveva essere facile rimanere tutto il giorno con un neonato appresso, per quanto Christian si fosse rivelato un bambino piuttosto calmo.
Rallentò appena il passo in prossimità della hall, quando udì diverse voci parlare tra di loro con toni alti. Gli sembrò di non riconoscerne nessuna, segno che dovevano appartenere a gente di qualche altra azienda venuta lì per chissà quale motivo.
Si pentì di essere arrivato lì in quell’esatto momento nell’attimo in cui, percorrendo gli ultimi metri del corridoio, si ritrovò di fronte ai padroni di quelle voci. Si ritrovò ad essere sorpreso, quasi amareggiato, nel rendersi conto di non aver riconosciuto nemmeno la voce dell’unica persona che, tra tutte le presenti, conosceva fin troppo bene.
Alessio si bloccò a metà strada, incapace di continuare a camminare, gli occhi sgranati e il respiro che cominciava a farsi sempre più irregolare. Per un attimo pensò, sperò, che fosse solo un qualche miraggio dovuto al caldo; dovette ricredersi il secondo dopo, quando incrociò gli occhi neri di Riccardo, posatisi su di lui, probabilmente sentendosi troppo osservato.
Potevano essere passati anche cinque anni da quando l’aveva visto l’ultima volta, ma suo padre non era cambiato molto. Solo i capelli erano ormai più brizzolati che neri, il viso forse più asciutto di come lo ricordava. Conservava la stessa sicurezza di sempre, dritto nel suo gessato grigio: in quell’istante, osservandolo, Alessio quasi si vergognò del suo volto tirato e stanco per tutte le nottate in bianco per gli strilli di Christian, della sua camicia stropicciata e dei capelli ormai lunghi fino alle spalle.
Era sicuro che, se non avesse mosso un passo, Riccardo non gli si sarebbe mai avvicinato. Continuava a guardarlo, nemmeno troppo sorpreso – o forse era solo lui piuttosto bravo a dissimularlo-, e a parlare con un collega che gli stava di fronte.
Quell’ennesima mancanza di interesse spinse Alessio a fare quello che, in qualsiasi altra situazione, non avrebbe avuto il coraggio di fare: mosse il primo passo verso Riccardo, arrivandogli a qualche metro di distanza in meno tempo di quel che si sarebbe aspettato.
Fu solo quando gli fu di fianco che Riccardo sussurrò qualcosa sbrigativamente al collega per accomiatarsi, e voltarsi verso il figlio.
-Che ci fai qua?-.
Alessio se ne fregò di essere in mezzo a tanta altra gente. Probabilmente in molti dovevano essersi girati a lanciargli qualche occhiata, altri dovevano ancora stare a fissarlo, ma non vi badò. Tenne gli occhi chiari fissi su Riccardo, di fronte a lui, la stessa espressione enigmatica di sempre.
Ora che lo aveva più vicino poteva notare qualche ruga in più a solcargli il viso, una ragnatela di segni intorno agli occhi scuri.
Riccardo si sistemò la cravatta con un gesto veloce, sospirando profondamente:
-Affari di lavoro-.
Non sembrava intenzionato a sbottonarsi più di tanto, ma aggiunse subito:
-Non sapevo lavorassi qua-.
Ad Alessio venne quasi da ridere: era abbastanza sicuro che, invece, Riccardo fosse tutt’altro che sorpreso di vederlo lì. Doveva essergli giunta voce, nell’arco di un anno intero, che suo figlio fosse stato assunto dalla sua stessa ex azienda.
-Ci sono tante altre cose che non sai oltre a questa- gli dette corda, senza soffermarsi sulla questione.
Riccardo si lasciò andare ad un ghigno finto:
-Non ne dubito-.
Ad Alessio venne voglia di correre via il più veloce possibile, ma si costrinse a rimanere. Aveva ripensato a suo padre così spesso negli ultimi mesi che stentava quasi a credere che ora fosse veramente lì di fronte a lui, dopo cinque anni lunghissimi in cui di lui non aveva avuto nemmeno la minima notizia.
Ora che lo aveva lì gli tornarono in mente tutti i motivi per cui non gli era mai mancato in tutto quel tempo: lo sguardo ermetico, le poche parole che pronunciava, la vena di sufficienza nella voce che non veniva mai a meno. Potevano anche passare mille anni, ma era sicuro che Riccardo non sarebbe mai cambiato.
-Hai da dire solo questo?-.
Si sentì estremamente patetico mentre gli rivolgeva quelle parole, ed era solo l’inizio. Si pentì amaramente di aver continuato quella conversazione quando anche il ghigno sulle labbra di Riccardo si gelò:
-C’è altro che dovrei dire?- gli rispose, la finta sorpresa ad accompagnare quella domanda.
Alessio sentì talmente tanta rabbia crescere che dovette faticare a non urlargli in faccia.
-Sono passati cinque anni dall’ultima volta che mi hai visto- iniziò, un sorriso amaro ed ironico a distendergli le labbra – Magari un “come stai?” sarebbe gradito. Sai, è semplice buona educazione, non per forza una dimostrazione d’interesse verso l’altro-.
Se quelle parole colpirono Riccardo non riuscì a capirlo: restò silenzioso per qualche secondo, osservando Alessio dall’alto in basso per tutto il tempo.
-Sembri passartela bene- commentò infine, alzando un sopracciglio.
-Anche tu- Alessio gli restituì lo stesso sguardo – Forse con una tinta ai capelli staresti anche meglio-.
Suo padre rise appena – una risata che ad Alessio parve talmente finta da risultare fastidiosa-, mentre continuava a squadrarlo. Per un attimo, talmente veloce che gli parve quasi di esserselo solo immaginato, ad Alessio sembrò di scorgere un velo di tristezza negli occhi neri di Riccardo.
-Non sembri essere cambiato molto- gli disse infine, portandosi le mani nelle tasche dei pantaloni eleganti.
-Nemmeno tu-.
Alessio abbassò per un attimo gli occhi, esitante forse per la prima vera volta da quando avevano iniziato a parlare. Non aveva mai davvero preso in considerazione l’idea di rivedere Riccardo, non entro breve tempo. Ritrovarselo lì di fronte era anche l’occasione per chiedergli un confronto, anche solo qualche parola su come si era sentito lui quando era diventato padre, ed era anche l’occasione per affrontare le ombre che l’avevano inseguito per tutti quei mesi.
Quello che stava venendo meno, in quel momento, era la forza di chiederglielo ad alta voce. Si sentiva le iridi scure di Riccardo addosso: non era una sensazione a cui era abituato. Lo metteva a disagio, come se di fronte a lui non ci fosse nulla a poter coprire le sue vulnerabilità.
-Ti devo parlare- mormorò a mezza voce, dopo quasi un minuto di silenzio.
Vide Riccardo strabuzzare gli occhi, sorpreso sul serio:
-Di cosa?-.
-È una storia lunga- rispose Alessio, sbrigativamente. Sperava che Riccardo gli dicesse di vedersi un altro giorno, lontano da lì: gli serviva tempo per mettere insieme i pezzi e cercare di dare una logica ai suoi pensieri che l’avevano accompagnato per così tanto tempo. Dubitava moltissimo che sarebbe riuscito a parlare sul serio, così su due piedi.
Riccardo dette un’occhiata all’orologio che portava al polso, prima di tornare a guardare Alessio:
-Temo di non potermi fermare ora-.
“Meglio così”.
Alessio annuì, cercando di nascondere il proprio sollievo:
-Vivi sempre a Padova?-.
Non aveva idea di dove vivesse adesso suo padre: poteva essersi trasferito anche dall’altra parte del mondo, e lui ne sarebbe comunque rimasto all’oscuro. Davanti al lento annuire di Riccardo, però, si rese conto che, in fin dei conti, in cinque anni non era davvero cambiato granché.
-Che io sappia, sì- gli rispose semplicemente.
Alessio si morse il labbro inferiore, rimanendo in silenzio per qualche secondo prima di avanzare la proposta che aveva da fargli. Era l’insicurezza a frenarlo, la paura di vedersi rifiutare – di nuovo, per l’ennesima volta- e non sapere come reagire di fronte a quell’eventualità.
-Possiamo vederci lì un altro giorno?- chiese infine, a mezza voce – Non te lo chiederei se non fosse importante-.
Gli era sembrato quasi necessario aggiungere quella precisazione, come se fosse fondamentale fargli sapere che, in qualsiasi altra situazione, non si sarebbe mai nemmeno sognato di chiedergli una cosa simile. Riccardo non lasciò trasparire nulla di ciò che poteva star pensando, rimanendo fermo all’espressione inflessibile che aveva mantenuto la maggior parte del tempo.
Quando riaprì bocca per rispondere, Alessio non aveva la minima idea di cosa aspettarsi.
-Chiamami venerdì- la voce di Riccardo non era sfumata da nessuna inflessione, nessuna insicurezza o esitazione – Dovresti avere ancora il mio numero-.
Alessio annuì, cercando di ricordare se, effettivamente, avesse qualche contatto telefonico di suo padre registrato. La realizzazione del significato di quell’accettare la sua proposta gli arrivò solo in un secondo momento, come se la sola idea di rivedere Riccardo una seconda volta in pochi giorni fosse al di là di ogni sua qualsiasi aspettativa.
Anche in quel momento non capì come reagire: si sentiva contento all’idea di parlargli? Forse in fondo, in quegli anni, qualcosa in Riccardo poteva essersi ammorbidito. Dubitava che anni prima avrebbe ceduto a quella sua richiesta così facilmente, senza nemmeno chiedere spiegazioni. O forse avrebbe dovuto fare attenzione, come sempre, a non andare a sbattere contro il solito muro che c’era sempre stato tra di loro.
-Non è che poi troverai qualche scusa del cazzo per evitarmi?-.
Riccardo lo guardò stranito per qualche secondo, prima di ricomporsi:
-Se volessi evitarti te lo direi chiaramente-.
Quella risposta era esattamente da lui, parole che a Riccardo si adattavano perfettamente. Alessio annuì ancora una volta, lanciandogli un’ultima occhiata, prima di superarlo e girarsi verso di lui fugacemente:
-Ti chiamo venerdì-.
*
Di bestie come te
Ce ne sono in giro e non è facile
Scoprirle e sai perché
Sono fabbricanti di maschere
Ti sputano nel mondo
Solo per avere un pasto facile
Io sono ancora qui
Ho la pelle dura pure più di te
Ce ne sono in giro e non è facile
Scoprirle e sai perché
Sono fabbricanti di maschere
Ti sputano nel mondo
Solo per avere un pasto facile
Io sono ancora qui
Ho la pelle dura pure più di te
Piazza dei Signori era gremita a quell’ora del tardo pomeriggio. Ad Alessio sembrava di essere in piazza San Marco durante le ore di punta, quelle in cui a malapena si riusciva a fare un passo senza incappare in un qualche turista o in un qualche piccione che zampettava a terra. Anche a Padova di turisti ce n’erano parecchi, fin troppi, in un miscuglio di lingue molteplici. Per quanto si fosse sforzato, Alessio non riusciva a capire in che lingua stessero parlando i membri della famiglia seduti al tavolino di fianco al suo.
Faceva parecchio caldo, in città, ancor di più che a Venezia: non c’era il mare a mitigare almeno un po’ la calura d’Agosto, né l’ombra tra le calli a cui chiedere ristoro. Padova risplendeva di luce solare, nei suoi palazzi antichi e nei vivaci locali del centro.
Alessio si torturò le mani, guardandosi intorno per l’ennesima volta: doveva ancora capire se sperava di vedere spuntare Riccardo, o se la paura di vederlo fosse ancora più forte.
L’aveva chiamato il giorno prima, tutto come previsto. Era stata una chiamata piuttosto breve e veloce: era bastato chiedergli quando potessero trovarsi in centro per almeno un’ora, e Riccardo gli aveva dato appuntamento a quel sabato pomeriggio. Il resto era stato tutto attesa, timore di non riuscire a spiccicare parola o non riuscire a dire davvero quel che voleva dirgli.
Non era stato troppo difficile tenere all’oscuro Alice della sua vera ragione per la sua visita a Padova. Di certo non si era insospettita troppo quando le aveva detto che sarebbe passato da sua sorella per qualche ora: si era limitata ad annuire, fargli qualche domanda, e a lasciarlo andare. Forse un giorno le avrebbe raccontato la verità, ma non subito. Per il momento si sarebbe tenuto quel momento per sé, in qualunque modo sarebbe andato.
Quando si girò nella direzione opposta in cui era voltato, quasi sussultò nell’accorgersi di Riccardo a qualche metro dal suo tavolo. Rimase ad osservarlo fino a quando non arrivò alla sedia di fronte alla sua, spostandola lentamente.
-Cominciavo a pensare non ti saresti presentato- Alessio lo tenne osservato, mentre Riccardo si sedeva. Pur non in giacca e cravatta come il giorno in cui l’aveva visto in azienda, Riccardo conservava la stessa aria distinta che l’aveva contraddistinto tutta la vita: la camicia bianca gli dava un’aria di fascino che Alessio gli invidiava.
-Non trovavo parcheggio- disse, semplicemente, accavallando una gamba sull’altra – Problema che tu di certo non hai a Venezia-.
Alessio sbuffò debolmente:
-Ne ho tanti altri, di problemi, a Venezia-.
Rimasero in silenzio qualche minuto. Passò il cameriere, prendendo le ordinazioni; tornarono in silenzio subito dopo, in uno stallo che stava cominciando a far sudare Alessio. Inaspettatamente fu Riccardo a prendere parola, dopo che arrivarono i loro caffè:
-Cosa devi dirmi?-.
“Troppe cose”.
Alessio si prese un secondo per decidere da dove iniziare, prima di domandargli a sua volta:
-Hai sentito la mamma ultimamente?-.
-Non la sento da un po’- replicò Riccardo, zuccherando il suo caffè. Alessio prese la tazzina, bevendolo amaro e in un unico sorso.
-Allora non sai la novità- mormorò, subito dopo. Si torturò le mani, esitante. Si aspettava che sua madre non parlasse con Riccardo da tempo: era piuttosto sicuro che, se fosse stato il contrario, Eva non sarebbe stata in grado di tenersi per sé quell’informazione troppo a lungo.
-Ho avuto un figlio-.
Alzò lo sguardo, osservando le iridi nere di Riccardo scrutarlo immobili.
-È nato lo scorso mese- Alessio riportò la tazzina sul tavolo, con un colpo secco – Quindi congratulazioni, sei diventato nonno-.
Riccardo abbassò gli occhi solo per un qualche secondo, ma bastò comunque ad Alessio per avere l’impressione fugace – quasi inesistente- che per quell’attimo, inaspettatamente, le sue barriere fossero quasi crollate.
Quando rialzò lo sguardo, tornò tutto come sempre:
-Non lo sapevo- Riccardo non gli rivolse nemmeno un cenno che potesse far supporre una sua qualche contentezza – Come si chiama?-.
-Christian- mormorò Alessio, quasi pentendosi di pronunciare il nome di suo figlio davanti a suo padre. Quasi sentendosi in dovere di spiegare la scelta del nome, aggiunse:
-Sua madre è inglese-.
Riccardo annuì, sospirando a fondo:
-Quindi ora ti stai abituando alla vita da padre-.
Suonava vagamente come una presa in giro, ma Alessio decise – con uno sforzo enorme- di non badarci. Non poteva rischiare di litigare, non subito almeno.
Strinse talmente forte le mani, nell’attesa che la rabbia calasse, che le nocche sbiancarono.
-Tu invece non dovrai abituarti a quella da nonno-.
Riccardo non si prese nemmeno la briga di negare, disinteressato al fatto che quel silenzio sottintendesse esattamente quello, che lui non avrebbe fatto parte della vita di suo nipote.
Alessio lo guardò freddamente, un sorriso amaro a disegnargli le labbra:
-Pensavo che almeno su un argomento simile avresti avuto qualcosa in più da dire-.
Osservò suo padre respirare teatralmente, mentre allargava le braccia:
-Mi hai preso in contropiede, lo ammetto- disse con voce stanca, distaccata – Ma ad essere sinceri, quello che penso io ha un’importanza limitata: sei tu il padre, ora. Ma ho l’impressione che tu non ne sia del tutto felice-.
Alessio si strinse nelle spalle istintivamente, come in un ultimo tentativo di coprirsi dagli occhi neri di Riccardo, a cui non doveva essere sfuggita nemmeno quella sfumatura di difesa.
“Colpito e affondato”.
-Non è vero-.
Si rese conto, in un attimo, che stava cercando di dirlo a se stesso, non a Riccardo. Non gli importava davvero cosa potesse pensare suo padre: gli importava cosa pensava di sé, del convivere con il timore che, forse, la felicità era ben lontana dall’essere presente.
Per un attimo gli tornò in mente il momento in cui aveva visto Christian la prima volta, in ospedale: si era sentito in colpa e pieno di gioia allo stesso tempo, in un miscuglio difficile da districare.
-Forse all’inizio non è stato facile … - lo disse ancora a mezza voce, di nuovo più tra sé e sé – Ma voglio bene a mio figlio-.
Non è mai semplice
Accettare di riconoscerti
Tra le mie rughe che
Assomigliano sempre di più alle tue
È questo sangue che
Sa un po’ di mostro e anche un po’ di me
Mi fa pensare che vorrei dirti grazie
Perché non ci sei
Accettare di riconoscerti
Tra le mie rughe che
Assomigliano sempre di più alle tue
È questo sangue che
Sa un po’ di mostro e anche un po’ di me
Mi fa pensare che vorrei dirti grazie
Perché non ci sei
Calò un silenzio che lo mise a disagio. Si sentì quasi nudo, di fronte alla mancata risposta di Riccardo, tanto da non riuscire nemmeno a sostenerne lo sguardo.
Per un attimo pensò che essere lì era soltanto un errore, una debolezza derivante dalla sua insicurezza. Qualcosa che Riccardo avrebbe potuto rigirare a suo vantaggio, per l’ennesima volta.
-Non ne dubito- lo sentì dire infine, la voce inflessibile ed asciutta.
-Non sono qui per dirti solo questo-.
Alessio si sentì estremamente stupido nel cercare di portare avanti comunque quella conversazione. Forse era l’istinto masochista che stava prendendo il sopravvento sul raziocinio, ma non cercò di dissuadersi dal lasciare perdere nemmeno in quel momento.
-Volevo anche chiederti una cosa- si costrinse ad articolare, le mani strette a pugno per l’agitazione – Come è stato per te, prima che nascessi io? Quando hai saputo che sarei nato … Cos’hai provato?-.
C’era qualcosa di diverso nelle iridi nere di Riccardo, qualcosa di sfuggente e che Alessio non sapeva come definire. Era forse uno sguardo meno duro, meno tagliente di quello che gli aveva rivolto fino a quel momento, anche se privo di calore.
Lo vide alzare un sopracciglio, sorpreso:
-Sei sicuro di volerlo sapere?-.
Non doveva essere qualcosa che potesse aspettarsi, di questo Alessio ne era sicuro. Non era sicuro, invece, di voler davvero la risposta alla domanda che si era posto in continuazione negli ultimi mesi. Annuì comunque: a che poteva essere servito essere arrivati a quel punto, se poi rinunciava in partenza ad un po’ di sincerità che poteva avere da Riccardo?
Era sicuro che gli avrebbe fatto male sapere, qualunque cosa suo padre dicesse. Ma non poteva nemmeno essere un male minore di quel che gli aveva già fatto per tutta la vita.
Riccardo abbassò lo sguardo per qualche secondo, senza dire nulla. Sembrava essere lui in difficoltà, stavolta, preso in contropiede da domande riguardo cose a cui non doveva aver pensato da anni.
Alessio si ritrovò quasi a sperare di poter sapere cosa gli stesse passando per la mente in quel momento.
-È difficile racchiudere in qualche parola quel che si prova a diventare padre-.
Sospirò rumorosamente, d’un tratto inquieto, mentre tornava a fissare Alessio quasi in modo truce.
-È stato più facile nei mesi prima che tu nascessi, le difficoltà sono venute dopo-.
-Che vuoi dire?- chiese subito Alessio. Non che gli fosse difficile credere a quel che Riccardo aveva appena detto: voleva solo capire quando le difficoltà erano comparse, e forse in parte anche il perché.
-Che non tutti siamo tagliati per la genitorialità. Lo si scopre strada facendo: non puoi saperlo prima, né saperlo subito- Riccardo si torturò le mani, portandosele in grembo – Lo capisci col tempo-.
Ad Alessio parve più una presa in giro che altro:
-Non mi meraviglia che tu abbia capito di non essere in grado di essere un padre-.
Si rese conto di averlo detto con aggressività, quasi sibilandoglielo in faccia. Per un attimo la tentazione di alzarsi ed andarsene sul serio fu fin troppo forte.
Poi ricordò il motivo per cui era lì: era proprio quello, il capire cosa avesse spinto Riccardo ad essere quel che era, ad averlo spinto a parlargli dopo anni di silenzio.
Si costrinse a rimanere, a respirare a fondo fino a quando non sentì di essersi almeno in parte calmato. Non guardò nemmeno Riccardo, insicuro di voler sapere cosa avrebbe potuto ritrovare nelle iridi scure in quel momento.
-Però ora sto cominciando a chiedermelo anche io, se ne sarò in grado-.
Alessio si bloccò di nuovo, alzando gli occhi chiari. Si ritrovò di fronte il viso di granito di suo padre, le rughe intorno agli occhi, i capelli sempre più grigi e non più neri come una volta. Era incredibile come, sotto i segni dell’età, i loro lineamenti continuassero ad essere percorsi dalle stesse linee, dalle stesse sfaccettature.
-Se finirò come te. Se anche mio figlio un giorno preferirà non vedermi affatto piuttosto che sopportarmi-.
Gli occhi di Riccardo erano cambiati negli ultimi anni. Sembravano stanchi, di quella stanchezza non solo fisica che, Alessio ne era sicuro, avrebbe avuto anche su di lui gli stessi identici segni evidenti.
-Ho passato gli ultimi mesi a chiedermelo ogni minuto di ogni giorno. E mi domando anche se le cose sarebbero potute essere diverse, se ti avessi avuto accanto-.
Poche rughe
Di espressione
Più nient'altro di te
Sopravvive in me
Di espressione
Più nient'altro di te
Sopravvive in me
Si morse il labbro inferiore, quando temette di sentire la propria voce incrinarsi. Se c’era una cosa che non avrebbe fatto era piangere di fronte agli occhi freddi di Riccardo.
-Non so neanche cosa significhi avere un padre, come potrei sapere cosa voglia dire esserlo per qualcun altro?-.
Per la prima volta si rese conto di non aver detto quelle parole con il solo intento di ferire Riccardo. Erano domande a cui avrebbe volentieri dato una risposta, più che voler vedere una qualche reazione da parte di suo padre.
Riccardo si mosse appena sulla sedia, forse vagamente toccato da quel che aveva appena udito. Alessio vide il suo sguardo indurirsi ancor di più:
-Nessuno può avere la presunzione di saperlo. Non è qualcosa per cui ti prepari prima, o che sai esattamente come andrà- disse, la voce fredda – Ti ci abitui, impari dagli errori. Oppure nel farlo, ne farai anche di più. È così che funziona-.
Alessio rimase sbigottito, quasi sbalordito: non riusciva a ricordare una qualsiasi altra situazione in cui Riccardo aveva dato segni di disagio. L’aveva sempre conosciuto per la sua flemma pacata, indistruttibile nella sua freddezza in qualsiasi momento; per la prima volta riuscì quasi a vedere un sottile incrinarsi dell’aura fredda e distaccata che suo padre aveva avuto da sempre.
Per anni aveva inseguito quella reazione: avrebbe voluto vedere molte più volte Riccardo cedere a qualche emozione che non fosse semplicemente egoismo o disinteresse. Non si stupì, però, nel rendersi conto che, in realtà, in quel momento non gliene importava.
-L’unica cosa che so è che non voglio essere come te-.
Alessio lo disse senza l’intento di pungere di nuovo Riccardo come poco prima. Era una semplice constatazione, qualcosa di viscerale che sapeva già da molto tempo.
-Non puoi neanche immaginare quanto possa fare male avere una speranza del genere- mormorò, tenendo gli occhi fissi sul viso di Riccardo.
La collera che sembrava averlo animato fino ad un minuto prima sembrò diminuire: per quanto fosse difficile interpretare una qualsiasi delle sensazioni che dovevano influenzarlo, Riccardo sembrò abbassare gli occhi quasi dolorosamente.
Annuì lentamente, passando una mano sulla superficie del tavolo:
-Penso tu sappia già cosa fare per evitare di essere come me-.
Alessio lo guardò per un’ultima volta, prima di alzarsi dalla sedia dove era rimasto seduto per almeno un’ora. Sentì addosso gli occhi scuri di Riccardo seguire ogni movimento, in silenzio. Anche Alessio lo guardò a lungo: ne voleva memorizzare ogni dettaglio, da quello che odiava di più a quello che, seppur controvoglia, gli sarebbe mancato ogni singolo giorno.
-Sì. Ora che ci penso è meglio che me ne torni a Venezia. Da mio figlio-.
Fece per incamminarsi, senza attendere nemmeno una risposta da Riccardo, ma si bloccò. C’era un’ultima cosa che voleva chiedergli, qualcosa che si era domandato da quando l’aveva rivisto.
-Perché hai accettato di parlarmi?- gli chiese, con voce ferma – Non ti sei mai fatto vivo in tutti questi anni. Eppure sei venuto qui quando te l’ho chiesto-.
Non riuscì ad intuire nulla dei pensieri di Riccardo attraverso la sua espressione vuota, e quel particolare lo fece pentire ancor di più di averglielo chiesto – e di avergli chiesto di incontrarlo.
-Curiosità-.
Riccardo non esitò nel rispondere, gli occhi neri che dardeggiavano su Alessio.
-Ero curioso di sapere cosa avevi da dirmi dopo tutto questo tempo-.
“Quindi sono solo questo” Alessio si ritrovò a pensare, rendendosi conto che avrebbe potuto intuirlo sin da subito, “Solo una pedina di stranezza”.
Stavolta si allontanò davvero, senza dire null’altro. Non sapeva se quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe rivisto, ma non si voltò indietro lo stesso.
Un cognome da portare
Solo questo sarai
Né mai più mi vedrai
Solo questo sarai
Né mai più mi vedrai
*
Non c'è più paura
E non c'è niente
Quello che era gigante oggi non si vede
Sulla schiena trovi cicatrici
E lì che ci attacchi le ali
E non c'è niente
Quello che era gigante oggi non si vede
Sulla schiena trovi cicatrici
E lì che ci attacchi le ali
-Sei diverso-.
Alessio si voltò lentamente verso Alice, in piedi sulla soglia della camera di Christian. Nonostante il parto, era già dimagrita parecchio: le sarebbe servita solo qualche altra settimana per tornare alla sua linea di sempre. I capelli rossi, più corti di quelli di Alessio, seppur di poco, le contornavano il viso arrossato per il caldo. Guardandola, così graziosa ed eterea, Alessio quasi si dispiacque del fatto che Christian sembrava aver ereditato più i suoi tratti che quelli della madre: i ciuffi biondi non accennavano a scurirsi, ed anche le iridi erano rimaste azzurre esattamente come alla nascita.
-In che senso?- le chiese, aggrottando la fronte.
Quando era tornato a casa, dopo l’incontro con Riccardo, non le aveva spiegato subito cos’era successo in realtà. Aveva eluso abbastanza abilmente le domande che Alice gli aveva posto, ripromettendosi di dirle la verità non appena si sarebbe sentito pronto a farlo. Era passato qualche giorno prima che questo avvenisse, ed in mezzo aveva dovuto mettere in conto anche un tatuaggio.
“Do you ever cry for the days gone by?
Do they haunt you like a ghost until the end?”.
Ricordava ancora bene quanto doloroso fosse stato incidere il primo tatuaggio sul polso, l’anno prima. Quel secondo tatuaggio, se possibile, lo era stato anche di più, fisicamente e a livello mentale. Era stato quasi catartico, incidersi sulla pelle quelle parole, come se racchiudere nell’inchiostro tutto quello che poteva pensare su Riccardo lo potesse aiutare a metabolizzare.
Ora che a distanza di qualche giorno la sua pelle cominciava a cicatrizzarsi, sotto la pellicola che proteggeva i tratteggi sulla sua scapola destra, anche Alessio sentiva che lo strappo subito con l’incontro con Riccardo stava cominciando a guarire. Era come se pian piano l’ombra di suo padre se ne stesse andando, e lui potesse smettere di correre per scappare. Non era stato quel che si era aspettato, quello che aveva agognato, ma gli era servito ugualmente.
-Non lo so-.
Alice avanzò verso l’interno della camera, affacciandosi alla culla: Christian si era appena riaddormentato, dopo un’ora in cui Alessio aveva cercato di tranquillizzarlo e farlo smettere di piangere. Si era calmato solo quando aveva iniziato ad intonare una qualche canzone che ora nemmeno ricordava.
-È che sei tornato, e mi sei sembrato diverso da quando eri uscito di casa per Padova- continuò Alice, accostandosi ad Alessio, in piedi accanto alla culla – Non saprei dirti come, ma lo sei-.
Quando le aveva raccontato tutto, Alice l’aveva ascoltato in silenzio. Quella era stata forse la prima volta, da quando era rimasta incinta, in cui si erano parlati sinceramente. Per Alessio era stata quasi una liberazione, ancor di più quando Alice si era dimostrata più comprensiva di quel che si sarebbe aspettato.
-Forse più sereno, ecco- Alice gli poggiò il capo sulla spalla sinistra, sospirando – Sì, direi sereno-.
Alessio si limitò ad annuire, senza dire nulla. Forse Alice non aveva tutti i torti: forse del tutto sereno non ci si sarebbe mai sentito, e forse era ancor più strano pensare che tra tutte le ferite che Riccardo poteva avergli inflitto fosse nata comunque una consapevolezza di potercela fare, ma in parte era proprio così.
Per una volta, dopo parecchio tempo, si sentiva sereno.
I'm proud of who I am
No more monsters, I can breathe again
And you said that I was done
Well, you were wrong and now the best is yet to come
'Cause I can make it on my own
And I don't need you, I found a strength I’ve never known
No more monsters, I can breathe again
And you said that I was done
Well, you were wrong and now the best is yet to come
'Cause I can make it on my own
And I don't need you, I found a strength I’ve never known
[1] Kesha - Praying
[2] Ermal Meta - Lettera a mio padre
Il copyright delle canzoni appartiene esclusivamente ai rispettivi cantanti e autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Ormai siamo giunti ad agosto inoltrato e, con il calore che caratterizza questo mese, arriva anche il penultimo capitolo di Walk of Life - Growing
Decisamente più inaspettato è l'incontro che Alessio ha avuto in queste righe. Un incontro, quello con il padre, che può essere definito propizio e che, volente o nolente, fa riemergere vecchi dubbi che il biondo aveva avuto nei mesi scorsi.
Era forse nell’aria un confronto tra padre e figlio, dopo anni di completa assenza … E stavolta Riccardo sembra non essere scappato dalla richiesta fattagli da Alessio. Alla fine Alessio si trova ad uscire da questo breve (ma carico di emozioni) dialogo sia con diversi strascichi dolorosi, ma anche con qualche spunto utile ai suoi dubbi... Un finale decisamente diverso da quello che a cui gli eventi passati ci avevano abituati.
E così, siamo giunti al penultimo capitolo di questa seconda parte. Manca solo l'ultimo... Cosa succederà nel gran finale?
Segnatevi la data del 15 marzo, perché sarà la serata in cui chiuderemo Growing!
Kiara & Greyjoy
[2] Ermal Meta - Lettera a mio padre
Il copyright delle canzoni appartiene esclusivamente ai rispettivi cantanti e autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Ormai siamo giunti ad agosto inoltrato e, con il calore che caratterizza questo mese, arriva anche il penultimo capitolo di Walk of Life - Growing
Decisamente più inaspettato è l'incontro che Alessio ha avuto in queste righe. Un incontro, quello con il padre, che può essere definito propizio e che, volente o nolente, fa riemergere vecchi dubbi che il biondo aveva avuto nei mesi scorsi.
Era forse nell’aria un confronto tra padre e figlio, dopo anni di completa assenza … E stavolta Riccardo sembra non essere scappato dalla richiesta fattagli da Alessio. Alla fine Alessio si trova ad uscire da questo breve (ma carico di emozioni) dialogo sia con diversi strascichi dolorosi, ma anche con qualche spunto utile ai suoi dubbi... Un finale decisamente diverso da quello che a cui gli eventi passati ci avevano abituati.
E così, siamo giunti al penultimo capitolo di questa seconda parte. Manca solo l'ultimo... Cosa succederà nel gran finale?
Segnatevi la data del 15 marzo, perché sarà la serata in cui chiuderemo Growing!
Kiara & Greyjoy