Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Nidafjollll    14/03/2023    2 recensioni
Quello che apparentemente sembrava una tranquilla crociera verso i caldi mari dei Caraibi si è trasformata in una catastrofe, un vero e proprio incubo.
I pochi sopravvissuti si ritrovano su quella che sembra un'isola deserta. Ma non tutto è come sembra.
Piante esotiche alte quanto un grattacielo, insetti e animali strani dai denti affilati e cascate che scorrono al contrario...
Un isola che sembra rompere le regole del tempo e dello spazio, un isola distopica e misteriosa in cui in pochi sopravviveranno.
Riusciranno i pochi naufraghi a capire il mistero di questa isola? Chi lo sa...
Genere: Dark, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 01: Azzurro





 

L’oscurità più totale vigeva tutt’attorno.
Oscurità e un freddo raggelante che s’insinuava infido fra le ossa.
Dafne non aveva idea di dove si trovava né di cosa le fosse accaduto, i suoi ricordi erano sfocati.
Stava dormendo? O era cosciente? Proprio non lo sapeva.
Era sicuramente sdraiata, non riusciva a controllare né sentire i propri arti. Era come se fosse completamente schiacciata dalla forza di gravità, divenuta impossibile da sostenere.
Si sentiva la faccia umida; un sapore salmastro in bocca.


 

Passarono parecchi minuti prima che la ragazza riuscisse ad aprire gli occhi, e l’oscurità in cui era immersa fino a poco prima si spezzò. Il sole brillava così violento da far male ai suoi occhi.
Le ci vollero un paio di secondi prima che la vista tornasse. E quel che vide la lasciò totalmente sotto shock.
Si trovava su una spiaggia, vicino alla riva del mare. Il suo corpo buttato su un fianco con la faccia quasi rivolta verso terra.
Cosa diavolo era successo?
Defne non riusciva a parlare, la gola secca che bruciava e le labbra che non accennavano ad emettere alcun suono. La testa le pulsava tantissimo.
Le braccia e le gambe le formicolavano, aveva perso sensibilità, ma poco alla volta riuscì di nuovo ad avere il controllo su di loro.
Stordita cercò di mettersi a sedere, piano e con fatica. E fu solo allora che si accorse che qualcosa nel suo corpo non andava; quando fece per tirarsi una fitta lancinante al fianco sinistro le fece vedere le stelle, mordendosi la lingua per il dolore.
Abbassò velocemente una mano a toccare la parte lesa e quando la ritrasse la trovò piena di sangue. Era ferita, ma il vestito scuro che indossava le copriva la visuale.
Con mani tremanti e la paura nel petto si sistemò a sedere e poi si alzò il vestito fradicio e strappato per avere miglior visione della ferita. Ciò che vide la orripilò.
Uno squarcio di alcuni centimetri, dal fianco fino ad arrivare al ventre, faceva capolino - trovandosi sporca di sangue, ormai rappreso, un po’ ovunque. Guardare quella ferita le fece venire la nausea; non era molto profonda ma molto grande e le faceva male in maniera indicibile.
Più il suo corpo riprendeva coscienza e più quella ferita le doleva.
Inoltre, guardandola meglio, era sporca di sabbia - un brutto segno, rischiava l’infezione. Doveva ripulirla il prima possibile ma ancora più importante doveva trovare Leila.
Cazzo, si era dimenticata della sua amica e nel petto aveva un brutto, bruttissimo, presentimento.
Ormai era abbastanza vigile e i ricordi, anche se fiochi, le erano ritornati.
La vane, il vento, la tempesta…
Certo, ad un certo punto lei aveva perso conoscenza ma era quasi certa che fossero naufragati su qualche costa. Non sapeva con certezza quanto tempo fosse passato e quanto in là la nave si fosse spinta, ma di certo non abbastanza per raggiungere i Caraibi o le coste del Messico.
Si trovavano sicuramente ancora nel bel mezzo dell’Oceano. Quindi, andando di logica, quella doveva essere un’isola.
Che fosse abitata o meno l’avrebbe scoperto tra poco.



Una volta trovate le forze di alzarsi si guardò attorno per bene; non c’era anima viva.
Non vi era traccia di alcuno dei passeggeri né del relitto della nave. Sfortuna volle che si ritrovasse da sola, completamente abbandonata in una spiaggia.
Tuttavia non demorse, con una mano a tenersi il fianco dolorante si incamminò sulla spiaggia alla ricerca della sua amica e di eventuali sopravvissuti.
Camminò per minuti e ore, forse.
Più camminava e maggiore era il dolore che sentiva - non solo al fianco, ma tutto il corpo le doleva. E aveva sete. La gola e la bocca bruciavano per tutta l’acqua salata che aveva inconsciamente ingurgitato, e ciò non faceva altro che aumentarle ancora di più il senso della sete.
Si fermò e osservò davanti a se: il nulla più totale, solo chilometri e chilometri di sabbia dorata e brillante.
Forse doveva cambiare tattica, provare a inoltrarsi nella foresta. Magari avrebbe trovato qualcuno o qualcosa.
Così fece.
Più camminava e più riscontrava stranezze.
Non aveva mai visto in vita sua una flora così; vi erano alberi altissimi - così alti da non riuscire a vederne la vetta, e fiori mai visti prima dai sgargianti colori. Vi erano anche cespugli pieni di frutti rossi tondi, lucidi. Defne si disse di non assaggiarne nemmeno uno; potevano essere velenosi.
La cosa più strana tuttavia era il colore della foresta. Non era del consueto colore verde, ma bensì sfoggiava sfumature di blu e azzurro. Alti alberi dalle fronde turchesi e erbetta color ghiaccio.
La ragazza non seppe dire se fosse strano o soltanto ‘esotico’. D'altronde lei non aveva mai messo piede fuori dall’Europa prima d’ora, magari quella era la normalità in Paesi più esotici.
A farla stranire di più, comunque, ci pensarono gli insetti. Più a fondo s’addentrava e maggiori erano le probabilità di incontrarli.
Ma come già detto non si trattava di semplici insettini, no. Vide larve, verdi, grandi quanto una mano strisciare lente su tronchi e farfalle variopinte grandi quanto un braccio.
Se fosse normale, Defne, ancora non lo sapeva. Ma vederli metteva i brividi.
Dopo quella che sembrò un’eternità finalmente la ragazza trovò qualcosa d’interessante: un laghetto immerso tra la boscaglia.
Aveva bisogno di una pausa. E avrebbe approfittato dell’acqua per bere un po’ e ripulirsi la ferita prima che fosse troppo tardi.
Certo, la missione di trovare Leila era prioritaria ma Defne aveva perso così tanto sangue che si sentiva sul punto di svenire se solo avesse camminato ancora un altro po’.
Anche se era altamente pericoloso bere da un laghetto come quello lei era disperata e quasi non sentiva più la gola. Doveva ripulirla dal sale ingerito precedentemente.
Si accontentò solo di qualche piccolo sorso, non volendo rischiare.
Dopodiché si spogliò e si immerse piano in quell’acqua fresca e apparentemente limpida. Dapprima lavò il suo vestito nero dal sangue, mettendolo successivamente ad asciugare su un masso. Poi si concentrò a pulire se stessa; aveva sangue ovunque.
Infine pulì più che potè la ferita dalla sabbia, causando di nuovo il sanguinamento da essa e fitte scariche di dolore. Ma almeno ora era un po’ più pulita e non a rischio d’infezione.
Quando finalmente tornò a dedicare tempo per sè stessa, lasciandosi a mollo nell’acqua fresca per recuperare le energie che ecco un forte fruscio tra i cespugli.
Lì per lì, nuda e vulnerabile, non seppe se pregare che si trattasse di un animale o di un umano. In entrambi gli scenari si sarebbe trovata non bene.
Velocemente e il più silenziosamente possibile cercò di nuotare verso un’isoletta di alti giunchi azzurri per nascondersi tra essi. Ma non fu abbastanza veloce.
“Ehi tu!”
Una voce maschile le arrivò forte e chiara alle orecchie. Tirò un sospiro di sollievo; perlomeno non si trattava di qualche strana belva potenzialmente pericolosa.
Contenta di non essere più l’unico essere umano vivo in quell’isola si girò versò la voce. E rimase impietrita. Tra tutti, tra 700 passeggeri, proprio lui doveva rincontrare?
Era il ragazzo dagli occhi verdi che le aveva mandato a monte la lezione di yoga. Che ora la guardava impertinente, non staccando gli occhi dalla sua figura nuda.
“Brutto pervertito, non guardarmi!” tuonò la ragazza, improvvisamente in imbarazzo e in preda al fastidio.
Il ragazzo, in tutta risposta, ignorò le sue urla e si avvicinò a riva maggiormente, socchiudendo gli occhi per capire con chi avesse a che fare. Lei gli dava le spalle ora, quindi era un po’ difficile capirlo. Ma magari con un po’ di fortuna avrebbe incontrato qualche faccia amica, dato che la voce della ragazza gli era vagamente familiare.
“Ma sei ritardato? Ti ho detto di non guardarmi, brutto cafone che non sei altro.”
Ed eccola. Tutti i pezzi si collegarono.
Era la stronza della lezione di yoga! Quante probabilità al mondo c’erano di incontrare proprio lei? Poche. Eppure eccola là che sguazzava in un laghetto tutta tranquilla, nuda, come se non fosse appena successa una catastrofe. Questo a confermargli di quanto le sue supposizioni iniziali su di lei fossero corrette.
Solo una persona con poca morale poteva affrontare un dramma del genere, fregandosene e facendosi un bagno. Il ragazzo era totalmente basito.
“Esci dall’acqua.” disse semplicemente, girandosi di spalle e sospirando sconsolato.
Quella ragazza era di certo una pessima compagnia ma, vista la situazione, non poteva permettersi di mettere in mezzo le emozioni: serviva trovare più sopravvissuti possibili - simpatici o meno.
Defne fu tentata di cacciarlo via e continuare per la propria strada da sola ma, col senno di poi, si disse che era una pessima idea. Non aveva senso d’orientamento e aveva un disperato bisogno d’aiuto per trovare la sua cara amica.
Lo faccio per Leila, si disse.
Cercando di mantenere un briciolo di dignità uscì furtiva dal laghetto, indossando di tutta fretta il suo vestito che un po’ si era asciugato, ma restava comunque umido. Meglio che niente.
Per quanto riguardava le scarpe, beh, quelle non le aveva. Infatti a causa di ciò i suoi delicati piedi erano ormai tutti graffiati e arrossati per la lunga camminata nella foresta che aveva fatto.
Si affiancò al ragazzo e si prese qualche secondo per contemplarlo meglio.
A differenza sua aveva le scarpe e i vestiti asciutti; un pantalone della tuta grigia e una semplice t-shirt bianca. I capelli scuri - che sulla nave erano pettinati con cura all’indietro, ora erano tutti spettinati e gli coprivano la fronte. Paragonato a lei, lui sembrava godere di un’ottimo stato.
Bastardo fortunato.
“Io mi chiamo Aymon, comunque.” si presentò lui allungando educatamente la mano alla ragazza che lo guardava torva.
Lei lo fissò in silenzio, senza ricambiare la stretta di mano. “Defne.”
Il ragazzo sorrise amareggiato tra sé, dando ulteriore conferma di ciò che pensava della ragazza - cose non poco carine, insomma.
Ma non si diede per vinto.
“Sei qui sola?”
Defne annuì muta.
“Io provengo dalla nave, è naufragata poco lontano da qui. Ci sono alcuni sopravvissuti e ci siamo divisi per esplorare e cercare eventuali naufraghi. Che ne dici di tornare dagli altri? Ci sono cibo e acqua.”
Lei annuì ancora, sul volto una maschera di gelo ma dentro di sé sprizzava gioia da tutti i pori.
C’erano dei sopravvissuti, molti a quanto pare. E tra di loro ci sarebbe potuta essere la sua amica.
In lei una speranza si accese.


 

…passarono minuti e poi intere ore.
Aymon sapeva dove andare, procedeva a passo spedito e veloce, non curandosi di cosa lo circondasse o di Defne che arrancava con fatica dietro di lui.
Voleva chiedergli di fermarsi un attimo, di fare una pausa, ma il suo orgoglio non glielo permetteva. Avrebbe ingoiato altri tre litri di acqua salata piuttosto che mostrarsi debole dinanzi a lui.
La sua ferita, però, non era dello stesso avviso. Aveva ripreso a pulsare e mandare scariche di dolore a tutto il corpo, costringendola a mordersi il labbro a sangue per sopportare il tutto.
Vicino a loro passò svolazzando l’ennesima farfalla gigante; le ali color zucchero filato e le zampette nere lunghe e inquietanti.
A quel punto Defne non seppe più star zitta: “Scusami, ma questi insetti sono normali? Prima ho visto anche dei bruchi giganti e colorati… non capisco se siano normali o meno.”
Il ragazzo quasi non credette alle sue orecchie quando lei gli rivolse la parola. Tuttavia decise di essere superiore a lei e risponderle. “No. Mentre venivo qua mi sono imbattuto anche in degli strani uccelli con la coda da lemure. Ho viaggiato molto e non ho mai visto cose del genere, inoltre la foresta è azzurra: altra stranezza.”
Uccelli con la coda da lemure?
“E’ solo una mia ipotesi, ma sono fermamente convinto che quest’isola sia disabitata e popolata da queste strane creature. Da nessuna parte si è mai sentito parlare di erba azzurra o uccelli del genere. Certo, in Australia ci sono insetti giganti ma non così giganti.”
Era informato il ragazzo, si disse lei. Si ritrovò a concordare con lui; effettivamente un posto così lei l’aveva visto solo nei libri di fiabe.
“Possiamo fermarci un attimo? Sono un po’ stanca.” sussurrò alla fine lei, ingoiando l’orgoglio e con una mano sulla ferita.
Aymon nemmeno si girò verso di lei. “No, siamo quasi arrivati.” sentenziò freddo. “E poi credo tu ti sia riposata abbastanza mentre facevi il bagno nel lago.”
Quest’ultima risposta era stata una vera e propria bastardata. Indispettita, Defne, strinse le labbra e continuò a camminare. Ormai anche i suoi piedi sanguinavano, ma a lui questo chiaramente non importava.
Era proprio uno stronzo.

Finalmente, dopo qualche piccola ora, la foresta iniziò ad aprirsi fino a rivelare la spiaggia.
Erano finalmente arrivati a destinazione.
Prima che il ragazzo potesse mostrarle, Defne già notò il relitto della nave e qualche persona attorno ad essa. Persone vive.
Il suo cuore fece un tuffo di gioia e, senza che se ne rendesse conto, iniziò a correre - ignorando tutte le scariche di dolore che il suo corpo subiva ad ogni passo.
Corse il più velocemente possibile, lasciandosi Aymon urlante alle spalle, e in direzione dei gruppetti di persone. Senza curarsi troppo dei dettagli cercò e andò da qualsiasi ragazza bionda che potesse essere Leila, invano.
Non erano moltissimi, ma erano qualcosa. Ma nessuno di loro era Leila.
“Sono tutti qui i sopravvissuti?” chiese brusca a un signore fulvo che stava raccogliendo le valigie cadute dalla nave.
“Sì. In pochi si  sono avventurati nella foresta, ma da quel che vedo hanno fatto tutti ritorno.”
Senza che finisse di parlare la ragazza corse via.
No, no, no!
Non poteva essere, non doveva essere.
Col cuore in gola si avvicinò alla carcassa distrutta della nave dove si imbatte coi primi cadaveri.
Fu un duro colpo, non lo negò. Non aveva mai visto un morto in vita sua e ora ne stava vedendo a centinaia. Chi senza un arto, chi trafitto a metà da pezzi di legno o acciaio o chi semplicemente… morto.
La brutta sensazione che aveva provato all’inizio, prima di incontrare Aymon, si fece largo tra le sue viscere, salendo e stringendo il suo cuore in una stretta morsa.
Ora non correva più, camminava lenta e si guardava attorno con la gola secca.
La cosa più straziante da vedere erano i bambini morti; giovani anime ancora fresche strappate violentemente dalla vita. Avevano ancora tutta la vita davanti…
Poi la notò.
Una lunga chioma bionda, con piccole treccine e una piuma colorata tra essi. La riconobbe subito, non c’era bisogno di vedere altro. Era Leila, la sua amata Leila.
Con le lacrime agli occhi si buttò verso il corpo, schiacciato da una sbarra di metallo rotto.
Il suo volto rivoltò all’ingiù. Anche provandoci e riprovandoci non riuscì nell’intento di girarla - anche perché la sbarra su di lei lo impediva.
Con mano tremante le toccò il collo, alla ricerca di battito cardiaco.
Niente.
Sentiva il panico piano piano impossessarsi del suo corpo. Con le lacrime che le offuscavano la vista infilò una mano a tastare il viso dell’amica, alla ricerca del naso per sentire se ancora respirasse o meno.
Niente.
Non sembrava avere ferite aperte o gravi, solo qualche graffio. Eppure era morta.
Perché? Perché…?
Il suo corpo fu scosso da forti singhiozzi mentre si abbandonava ad abbracciare il corpo dell’amica.
Nella sua mente poteva vedere i suoi bellissimi occhi tondi, azzurri come il cielo. Si immaginava il suo dolce viso che regala caldi sorrisi. E si immaginava lei, fasciata nel suo vestitino rosa che la salutava con la mano mentre andava alla spa.
Cazzo, quella maledetta spa. Perché non era andata con lei? Almeno avrebbero trascorso insieme quella catastrofe, nella vita o nella morte.
Era tutta colpa sua, sua e del suo stupido programma che aveva voluto seguire a tutti i costi. Da quanto un programma era più importante della sua amica?
Era tutta colpa sua.
Passò interi minuti - forse anche un’ora - a piangere piegata sul corpo. Nessuno si era interessato a loro, nonostante Defne avesse più volte urlato aiuto. Erano tutti presi a sopravvivere o, per i più sfortunati, a piangere i propri cari deceduti - proprio come lei.
Le serviva aiuto, le serviva aiuto per tirare fuori Leila da sotto quelle macerie. Di una cosa era sicura: non avrebbe fatto marcire la sua amica su una schifosa spiaggia sporca di sangue e infestata dalla morte. Le avrebbe dato perlomeno una degna sepoltura.
Dapprima si sforzò da sola a spostare quella stramaledetta sbarra, invano. Come unico risultato ottenne soltanto quello di far sanguinare nuovamente la sua ferita, sentendo il caldo fluido vitale scorrerle per la pancia fino alle cosce.
Poco importava adesso.
Era così rotta dentro che ormai le ferite sul corpo non le sentiva neanche.
Secondariamente provò a tirare l’amica fuori, facendola sgusciare in qualche maniera, dalle grinfie di quel mostro d’acciaio. Invano.
Doveva per forza trovare qualcuno che l’aiutasse; avrebbe cercato Aymon sperando nel suo buon cuore.
Con fatica si alzò e il senso di vertigini prese il sopravvento. Stava per cadere ma non lo fece.
Doveva trovare Aymon. Doveva seppellire Leila e solo dopo avrebbe pensato a se stessa.
Ormai camminava a fatica e la sabbia bollente le bruciava i piedi, insinuandosi fastidiosa nelle ferite aperte che aveva. Sentiva il sudore scendere freddo lungo la sua schiena, il cuore che martellava violento nel petto e la vista che si faceva sempre più offuscata.
Stava per perdere i sensi, se lo sentiva. Solo Dio sa come riuscisse a trovare la forza per camminare ancora; il sangue della ferita ormai le sgorgava lungo il polpaccio.
Ma finalmente lo trovò, trovò il ragazzo intento a fasciare delle ferite ad un altro ragazzo.
“Aymon…” sussurrò appena, allungando un braccio in sua direzione.
L’ultima cosa che vide prima del buio furono i suoi felini occhi verdi guardarla.
Dopodiché, il nulla.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Nidafjollll