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Autore: dirkfelpy89    15/03/2023    2 recensioni
Il giovane Marius Black ha undici anni e mille dubbi per la testa. Perché non ha ancora ricevuto la sua lettera da Hogwarts? Perché non riesce a compiere neanche la più semplice delle magie. Perché sua madre piange e suo padre lo caccia fuori di casa, il 1° Settembre?
Perché dovrebbe starsene buono e non cercare la sua vendetta?
(Questa fic partecipa alla challenge "Gruppo di scrittura!" indetta da Severa Crouch sul forum "Ferisce più la penna")
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aberforth Silente, Arabella Figg, Famiglia Black, Marius Black, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Capitolo, Spranga e Bulldog.

 



Marius e la piccola Elfa Domestica osservavano con deliberata attenzione l’alta cancellata che si parava di fronte ai loro occhi.
Il vento impetuoso di quell'inizio settembre stava spazzando la pianura brulla dove si ergeva, alta e solitaria, la costruzione che riuscivano a scorgere a fatica, dietro l'alto muro dall’intonaco scrostato che la circondava.
Era un edificio grande, dalle pareti bianche e con poche finestre squadrate.
"St. James Orphanage," sussurrò Daisy, leggendo con fatica da un piccolo foglio di pergamena che stringeva tra le mani nodose, lottando contro l'aria fredda.
La loro destinazione, la nuova casa che avrebbe ospitato Marius.

Il bambino gemette.
"Sei sicura che… io non voglio," borbottò, in un estremo tentativo di convincere la fidata Elfa a portarlo indietro.
Daisy scosse la testa.
"Sono ordini del padrone e io non posso non obbedirgli. Adesso lei suonerà quel campanello," rispose la piccola creatura, indicando un grosso campanello presente a un lato del cancello. "Verrà qualcuno e lei dirà che è disperato, che ha perso i suoi genitori in un incendio, e che da qualche giorno sta vagabondando ma che adesso ha fame, sete e non ha un posto dove andare."
"E se mi rifiutassi?"
"Sì, il padrone mi ha detto che avrebbe posto questa obiezione. Se si rifiuta sarà costretto a vivere per strada, senza un tetto sopra la testa. A lei la scelta," rispose l'elfa, prontamente. "O l'orfanotrofio o la strada, così ha detto padron Cygnus. Mi dispiace, padroncino, ma un Elfo non ha scelta se non obbedire al padrone."

Marius avrebbe voluto tornare a casa ma, dato che apparentemente quella scelta non era possibile, non vedeva altre alternative. Non era casa, ma pur sempre un posto dove l'avrebbero sfamato e sarebbe stato al calduccio, almeno fino al raggiungimento della maggiore età.
Contava di potersene andare via molto prima ma quello era un piano sul quale aveva bisogno di lavorare.
In silenzio, allungò la mano e tirò la cordicella appesa al campanello.

/ / / / / / /

Marius si svegliò di scatto e completamente. Rimase disteso nel letto ancora per qualche secondo, gli occhi chiusi, una mano sulla fronte madida di sudore. Ancora quel sogno, nonostante fossero passati tre mesi ancora quel fottutissimo sogno tornava a perseguirlo quasi tutte le notti.

Aprì lentamente gli occhi e poté notare come il sole fosse già sorto, i cinque compagni che condividevano con lui quel dormitorio squallido si stavano già alzando. Questo voleva dire che anche lui sarebbe dovuto uscire da quel bozzolo caldo entro breve tempo.
"Ehi, damerino, alza il culo sennò la colazione con il cazzo che te la prendi!"
La voce roca di "Bulldog", un ragazzo basso e taurino, lo scosse definitivamente.
Borbottando, scostò le lenzuola e si mise a sedere. I suoi compagni erano già usciti.

La prima regola non scritta di quell'orfanotrofio era che tutti avevano un soprannome, praticamente solo i responsabili conoscevano il nome e cognome dei circa quaranta ospiti. E quando lui si era presentato con i capelli perfettamente curati, gli abiti puliti e spazzolati, il soprannome "damerino" era venuto da sé.
Sbuffando, indossò l'uniforme del St. James e scese, in ritardo come sempre, verso il grande refettorio dove servivano i tre miseri pasti delle loro altrettanto misere giornate.
Nel lungo stanzone al primo piano i responsabili avevano posizionato sette tavoli, tanti quanto erano i dormitori. Secondo la loro idea, questo avrebbe rafforzato i rapporti tra le persone che condividevano gli stessi spazi, in realtà per Marius e molti altri rappresentava un vero e proprio incubo.
Fu uno degli ultimi a raggiungere il tavolo del suo dormitorio, il numero 3, e riuscì a prendere posto accanto a "Moccio" un ragazzino alto, dinoccolato, sempre, appunto, con il moccio al naso.
Non ci aveva mai scambiato una parola ma era sempre meglio lui che Bulldog o il suo braccio destro "Tigre".

Osservò con malcelato disgusto la porzione di porridge acquoso e le due fette di pane bruciato con sopra della marmellata rancida e iniziò a mangiare, tenendo sotto controllo, con la coda dell'occhio, Bulldog e Tigre. Aveva ben presto capito che, se non voleva finire sotto la lente di ingrandimento di quei due, doveva finire il suo pasto entro un certo limite di tempo.
Se avesse terminato troppo prima, o troppo dopo, di quei due sarebbero stati guai.
"Spillo", un ragazzino secco secco con la testa piuttosto grande, evidentemente quella mattina si era scordato quella legge non scritta perché, mentre tutti gli altri terminarono di divorare la loro colazione, lui aveva ancora delle fette di pane tostato intatte.
"Passami quelle fette di pane," brontolò Tigre.
"Ehi, sono mie, non…"
"Dai, non rompere il cazzo, fighetta, o ti rompo il culo."
Ecco, quello era esattamente il tipo di attenzione che Marius voleva evitare.
Mentre Spillo, suo malgrado, dovette obbedire, il piccolo Black lasciò vagare lo sguardo sulle altre tavolate, in particolar modo sulle due riservate alle ragazze ospitate dall'orfanotrofio.
Poco dopo il suo arrivo una delle ragazze era rimasta incinta e questo, non capiva bene il perché, aveva causato un certo trambusto e la "colpevole" era stata espulsa. Per un paio di settimane quello aveva distratto l’attenzione di tutti gli altri ragazzi dal suo arrivo, ecco perché se lo ricordava così bene.
Inoltre da quel momento sembrava che i due sessi venissero tenuti ancor di più a distanza, un fatto che aveva inevitabilmente attratto le ire degli occupanti più adulti.
Il suono della campanella ruppe il filo dei pensieri di Marius. I quaranta ospiti dell'orfanotrofio si alzarono tutti insieme, diretti verso i dormitori dove si sarebbero preparati per la mattinata di lavoro.

Il tempo, al St. James, veniva scandito dalla campanella.
Dopo la colazione, i ragazzi passavano la mattina e il pomeriggio, dopo una breve pausa pranzo, intenti in varie attività sia fisiche che intellettuali.
C'era chi, a rotazione, puliva l'edificio, chi badava ai giardini e all'orto, chi si occupava della biblioteca oppure della cucina e la lavanderia; i più grandi andavano in città per fare compere. Nonostante a volte si trovasse a svolgere dei compiti faticosi, a Marius il lavoro non dispiaceva: gli dava meno tempo per pensare alla sua condizione e la sera gli altri erano troppo stanchi per dargli fastidio. Certo, erano sempre lavori Babbani, ma non poteva lamentarsi. Dopotutto poteva considerarsi così diverso da loro?

Si diresse perciò verso il suo dormitorio con il pensiero rivolto a come avrebbe passato quella giornata.
Mentre i sei ragazzi erano intenti a lavarsi i denti e a infilarsi le scarpe, un ragazzo piuttosto brufoloso, sulla ventina, entrò nella stanza: era William McCorban, il loro responsabile.
Ogni dormitorio aveva un responsabile, spesso un ex ospite dell'orfanotrofio, che si occupava di distribuire i compiti e, in teoria, vegliare sulla disciplina e fungere da supporto.
In teoria.

"Ok, coglioni, state a sentire," disse McCorban, con il suo tono stridulo, "Stamattina Bulldog, Tigre e Moccio dovrete pulire la cucina e aiutare il cuoco. Spillo, Carbone e Damerino voi invece vi occuperete della biblioteca. Muovete il culo perché alle tre ci saranno le visite."
"Le visite? È già passato un mese?" Esclamò Carbone, uno dei pochi ragazzi di colore presenti nella struttura.
"Evidentemente," sibilò l'altro. " Ma tu puoi pure restartene a dormire, qui nessuno vuole uno come te.”
Detto questo, girò sui tacchi e uscì.

/ / / / / / /

Occuparsi della biblioteca era uno dei compiti che più gratificava Marius, anche perché era uno dei pochi orfani a saper leggere e quindi a rimanere estasiato dalla collezione di libri Babbani presenti al St. James.
Eppure quella mattina, mentre era intento a spolverare i vari tomi presenti sugli scaffali, non riusciva a godersi fino in fondo quella occupazione. Quel pomeriggio ci sarebbero state le visite e Marius le odiava.
Una volta al mese, numerose coppie in cerca di figli da adottare arrivavano all'orfanotrofio per le visite, un pomeriggio nel quale gli orfani venivano agghindati e messi in mostra con l'obiettivo di trovargli una nuova famiglia (e diminuire così il numero di bocche da sfamare)

Dopo aver assistito alle prime due visite, a Marius era chiaro che i genitori fossero in cerca prevalentemente di bambini con un'età non superiore ai tredici o quattordici anni, lui in teoria poteva risultare come uno dei più papabili, dato che sapeva leggere e scrivere e sembrava un bambino così educato, ma la realtà era che Marius non desiderava una nuova famiglia.
Lui una famiglia ce l'aveva. Una sorella che sperava non lo avrebbe dimenticato, una madre pronta a riabbracciarlo.
E poi, in cuor suo, sentiva che l'orfanotrofio rappresentava per lui una soluzione temporanea perché sapeva che, una volta raggiunta la maggiore età, avrebbe potuto fare quello che più voleva, e cioè, cercare di riprendere i contatti con la parte sana della famiglia, quello che non l’aveva dimenticato.
Finire in affidamento da una nuova famiglia, rischiare di affezionarsi, andare in una scuola Babbana, in un mondo di Babbani, rappresentava per lui una scelta troppo drastica e indesiderata.

Fu per quel motivo che a mezzogiorno si recò, per la prima volta, nel piccolo ufficio di McCorban.
Chiamarlo ufficio forse sarebbe stato troppo eccessivo, c'era a malapena lo spazio per una piccola scrivania, uno schedario e una grossa radio malandata incrastrata, con difficoltà, in uno degli angoli.
William sedeva con le gambe accavallate, apparentemente concentrato nella lettura di un piccolo libro.
"È permesso?" Pigolò Marius, affacciandosi dalla soglia della porta aperta.
McCorban lo metteva sempre un po' in soggezione.
"Che cazzo vuoi?" sbuffò l'altro. Prendendo quella domanda per un invito ad accomodarsi, il giovane Black si mise a sedere su un'unica altra sedia presente in quell'ufficio.

"Non voglio partecipare alla visita di questo pomeriggio," disse.
"E perché no? " chiese William, chiudendo, suo malgrado, il libro.
"Non mi sento ancora…" non riusciva a trovare le parole.
"Pronto?" Chiese l'altro, osservandolo intensamente. Marius annuì.

"Ascoltami bene, so che all'inizio non è facile," disse McCorban, abbassando la voce, "all'inizio non lo è mai. Ma devi renderti conto che gli anni passano in fretta e ben presto sarai troppo vecchio e finirai la tua adolescenza qui. Credimi, lo so per esperienza, non vorrai che accada."
Il giovane Black osservò il suo supervisore, meravigliato: era la prima volta che qualcuno si apriva con lui e si sarebbe aspettato tutti, tranne che quel ragazzo normalmente così burbero.
"Prenditi il tuo tempo ma fallo in fretta e nel frattempo fatti valere, se vuoi sopravvivere all'interno del St. James, tira fuori gli attributi con quei coglioni," concluse McCorban. "E ora, fuori dai piedi."

Marius non se lo fece ripetere due volte. Era rimasto assolutamente sorpreso dal comportamento del suo supervisore e aveva decisamente molte cose sulle quali riflettere.
Quello che non capiva era che lui non voleva un'altra famiglia ma d'altra parte aveva ragione: doveva reagire se voleva sopravvivere.

/ / / / / / /

Se c'era un attività che Marius odiava era quella fisica.
Per undici anni era vissuto come un perfetto rampollo Purosangue, e cioè preoccupandosi solamente di imparare a leggere e scrivere, ignorando completamente come funzionasse il mondo, come le persone normali lavorassero, dato che per ogni sforzo fisico c'era subito un Elfo domestico pronto a sostenerlo.
Ma adesso le cose erano cambiate e, nei primi giorni, dover passare da una condizione di bambino viziato e membro di una delle famiglie magiche più importanti a quella di un orfano che era costretto a fare lavori più umili, era stato un vero shock.
Passava le giornate a letto e all'inizio i superiori lo capivano ma ben presto iniziarono le punizioni e le botte dei compagni.
Allora, lentamente, Marius aveva incominciato a riflettere e aveva capito che, se voleva sopravvivere, doveva adattarsi alla sua nuova condizione; ma non era certo un compito facile. Non si potevano cancellare undici anni di vizi e di privilegi in un colpo solo come un panno bagnato fa sullo sporco.

Ormai riusciva ad accettare i compiti senza colpo ferire ma c'era proprio una zona che detestava: il grande giardino dietro St.James. In quel grande spazio verde si potevano trovare numerosi orti, un piccolo allevamento di polli e galline, diversi alberi da frutto e cespugli ornamentali, tutti curati dagli orfani. E Marius lo odiava.
Era dicembre, il freddo ormai penetrava nelle ossa dei bambini, che le uniformi scucite e poco curate non riuscivano del tutto a proteggere. Normalmente il piccolo Black avrebbe dato di tutto per passare la giornata all'interno ma, dato che i locali di St. James erano off limits visto che quel pomeriggio ci sarebbero state le visite, l'alternativa rappresentata dal giardino sembrava tutto sommato migliore.
Non era il solo: quasi tutti gli orfani dai quattordici anni in su si rifiutavano di partecipare a quella giornata, le speranze di trovare una famiglia ormai erano notevolmente ridotte, perciò maschi e femmine trascorrevano il pomeriggio nel giardino, i più grandi nascosti dietro gli alberi nell'angolo nord ovest. Ancora non era riuscito a capire che cosa facessero.
Marius si avventurò verso un piccolo cespuglio che aveva notato il giorno precedente e con la coda dell'occhio vide chiaramente la presenza di una decina di compagni, per la maggior parte addossati intorno a una delle pareti delle mura di St James, intenti a fumare, ora che la sorveglianza era notevolmente ridotta.

Fino a quel momento non aveva stretto amicizia ancora con nessuno: erano dei Babbani, della peggior specie, sentiva forte ancora dentro di sé i pregiudizi che i suoi genitori gli avevano inculcato.
Certo, anche lui era feccia per il suo mondo, ma forse ancora si cullava in una falsa sensazione di superiorità. Certamente lui era meglio di tutti quei Babbani messi insieme… e allora perché farci amicizia? Vero?
Comunque, era appena arrivato alla sua destinazione e per la mezz'ora successiva non pensò ad altro che curare quel piccolo cespuglio che era nato per caso, visto che i suoi semi erano stati portati dal vento, un po' come lui. Si rispecchiava in quella piantina smorta, senza nome: entrambi non avrebbero voluto finire lì, eppure le casualità della vita avevano stravolto le loro vie.
Unendole.

Si raddrizzò, mettendosi in ginocchio. Sentiva la schiena e le mani a pezzi ma il risultato tutto sommato era stato gradevole.
"Ehi, che cazzo fai?"
Marius si voltò e vide "Orco", un ragazzo sedicenne piuttosto grosso e brutto, torreggiare su di lui.
"Cosa, io…"
"Zitto, frocio," ululò Orco, spintonandolo. Il piccolo Black, che tutto si sarebbe aspettato tranne che quell'aggressione, perse facilmente l'equilibrio e finì lungo disteso sulla schiena già dolorante. Orco, sghignazzando, si avvicinò, e per buona misura appoggiò uno dei suoi grossi piedi piatti sul petto di Marius.
"Che fai, io…" l'altro cercò di protestare ma era difficile reagire efficacemente, bloccato dalla schiena dolorante e dal piede dell'avversario.
"Mi sei sempre stato sul cazzo, Damerino, guardi tutti dall'alto in basso. Ma adesso non c'è nessuno a salvarti il culo che, tra parentesi, ti sfonderò per bene, e forse la smetterai di comportarti in questo modo. Che dici, proviamo?"
Marius non riusciva a credere alle proprie orecchie: non aveva mai avuto modo di parlare con Orco, i due non si erano scambiati nemmeno una parola.. perché lo stava attaccando in quel modo?
E poi era vero, era solo, non c'era nessuno che lo avrebbe salvato! Come avrebbe potuto…

"Sei pronto?" Ridacchiò Ordo, alzando il piede, pronto per prenderlo a calci, ma si bloccò a mezz'aria.
Accanto a lui era comparsa una ragazza magra, dai lunghissimi capelli neri come la pece, che osservava i due con espressione accigliata.
Marius l'aveva già vista, se non errava la chiamavano "Spranga" ma non riusciva a capire il perché.
Che cosa avrebbe fatto, si chiese, si sarebbe unita al pestaggio?

"Cosa stai facendo, coglione?" Chiese, rivolta a Orco.
"Fatti i cazzi tuoi, troia," brontolò l'altro, dimenticandosi completamente di Marius e volgendo l'attenzione sulla nuova arrivata.
Spranga osservò Orco con malcelato disgusto e poi, improvvisamente, si mise a urlare: "Signor Macky, signor Macky, venga!"

Ottenne evidentemente l'effetto sperato: il ragazzo si voltò, spaventato al solo sentir nominare il responsabile in capo del St. James. Approfittando di questo repentino calo di concentrazione, Spranga tirò un poderoso calcio in mezzo alle gambe di Orco, il quale, dopo un grugnito che aveva ben poco di umano, si accasciò per terra, rosso in volto.
"Levati dalle palle e non romperci più il cazzo, hai capito?" Esclamò la ragazza, mentre l'altro si rialzò da terra e, mescolando nelle stessi frasi bestemmie e minacce, si allontanò, ingobbito e dolorante.

"Scusalo, è il più grosso e demente della sua combriccola… perciò ne è il capo," disse Spranga, aiutando Marius a rialzarsi.
"Gra… grazie, io non so perché lui…" borbottò il giovane Black.
"No, non devi averne a male. In realtà, nel corso degli anni si sono formate delle vere e proprie bande all'interno dell'orfanotrofio, i capi ogni tanto hanno bisogno di riaffermare il loro potere su eventuali pretendenti… e come lo fanno? Picchiando i più deboli, ovviamente," spiegò la ragazza.
"Immagino che gli sia andata male… grazie," sussurrò Marius.
"Diciamo che per un po' smetteranno di romperti i coglioni, ci hanno provato anche con me quando sono arrivata al St. James, ma per loro sfortuna io non sono una tanto arrendevole," spiegò la ragazza, sorridendo. "Stavo facendo dei lavori in biblioteca quando mi si sono avvicinati da dietro, io ho preso un bastone e gli ho picchiati tutti e tre! Ecco perché mi chiamano Spranga."
L'altro sorrise. Fu un movimento assolutamente involontario e che lo colpì con tutta la sua forza: erano ormai troppi mesi che la sua bocca non si apriva in un sorriso.
"Grazie, davvero scusami ma non so cosa dire," sussurrò, pulendosi dalla polvere.
"Figurati… se non ci aiutiamo tra di noi Magonò!"

Cosa? Aveva capito bene le parole della sua nuova amica?
"Cos… come…"
Tutto si sarebbe aspettato tranne che trovare una sua… simile in quell'orfanotrofio!
"Mio padre mi parlava sempre dei Black, era un cacciatore di draghi e spesso riforniva la tua famiglia, ovviamente di contrabbando. So che dei Black abitano da queste parti e, quando all'improvviso sei apparso tu, vestito come un damerino, completamente all'opposto della gentaccia che vive da queste parti…" spiegò la ragazza. "Ho cercato di straforo, ovviamente, negli uffici del St. James e ho trovato la tua documentazione presente. Marius Black, un nome così strano che non ha fatto altro che aumentare i miei dubbi. Dubbi che sono diventati certezza dopo il tuo sguardo!"
Sembrava davvero incredibile, uno scherzo del destino. Due Magonò nello stesso orfanotrofio.
"Immagino lo shock che devono aver provato i tuoi. Ti avranno cacciato immediatamente, la stessa cosa è avvenuta anche con i miei."
Mille domande adesso affollavano la mente di Marius, c'erano così tante cose che desiderava chiederle, ma uno fischio in lontananza distrasse entrambi dai loro pensieri.

"Merda, le visite sono finite," sibilò Spranga. "Dobbiamo tornarcene dentro."
"Sì, io però…" balbettò Marius. Aveva trovato una persona uguale a lui e subito quel nuovo, piacevole, incontro era terminato.
"Avremo ancora modo di parlare, anche se immagino dovremmo aspettare le prossime visite," disse la ragazza. " A proposito, mi chiamo Sarah."
"M… Marius."
"Sì, lo so, damerino Black," replicò l'altra, sorridendo prima di tornare all'interno dell'edificio.

/ / / / / / /

Quella notte il piccolo Black fece molta fatica a prendere sonno.
Un po' perché era ancora dolorante, dopo lo scontro con Orco, un po' perché l'incontro con Sarah aveva decisamente svoltato la sua giornata, e forse la sua permanenza all'interno di quell'orfanotrofio.
I Magonò non erano molti, rappresentavano una condizione rara all'interno dei maghi, o così aveva letto nei numerosi libri che aveva consultato di nascosto a Black Manor. Trovarsi in compagnia di un'altra persona dalle sue stesse caratteristiche rappresentava sicuramente un segno del destino, forse una nuova amicizia sarebbe nata da quell'inferno, un po' come quel cespuglio di fiori selvatici era riuscito a sopravvivere nel giardino.
Un'altra somiglianza in più, annotò mentalmente, girandosi di lato e, per la prima volta dopo mesi, non pensando alla sua sfortunata esistenza prima di addormentarsi.

/ / / / / / /

Non è stato facile scrivere questo capitolo anche se mi sono divertito molto a tratteggiare questo orfanotrofio di inizio Novecento in un'area tutto sommato rurale e con poche possibilità.
Spero abbiate apprezzato, la mia mente non è non potuta non andare a Oliver Twist o ad altri film e opere videoludiche ambientati in posti tristi e sfortunati.
Siamo in un ambiente quindi totalmente opposto a Black Manor, con gente completamente diversa, e Marius fa fatica, anche se ho voluto inserire nella sua vita una figura diversa, Spranga (o Sarah, decidete voi xD) e che avrà la sua importanza nella storia e nell'evoluzione di Marius, lo scoprirete nel corso dei mesi e dei capitoli.
Spero vi sia piaciuto, scusate se ho utilizzato del linguaggio scurrile ma, insomma, pensare a dei ragazzini in quella condizione che parlano come dei damerini mi sembrerebbe piuttosto fuorviante :D

  
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